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    Scuola cattolica e educazione alla fede: problemi strutturali



    Ambrogio Albano

    (NPG 1974-02-81)

    Gli appunti cui mi rifaccio saltano volutamente le polemiche, laiciste o cattoliche, relative all'esistenza e alla funzione della «scuola cattolica»; essi non si rifanno neppure alle dichiarazioni ufficiali generalmente basate sulle descrizioni dell'essenza, del proprium teologico o pastorale di detta scuola.
    L'intento sarà diverso: cercherò di offrire qualche spunto di riflessione per valutare se il sistema «scuola cattolica-educazione alla fede» funziona secondo le attese e anche secondo gli impegni assunti dalle numerose persone che vi investono la loro vita con consacrazione religiosa e con dedizione pedagogica.
    I primi rilievi partiranno dalla scuola cattolica; gli altri dall'educazione alla fede.

    LA SITUAZIONE DELLA SCUOLA CATTOLICA

    Scuola e società

    La «scuola cattolica» come entra nel mondo scolastico italiano? Mi pare - ed è rilievo negativo - che la maggior parte delle scuole cattoliche inizi e sviluppi la sua azione integrandosi innanzitutto e perfettamente nel sistema scolastico italiano la cui «economia» burocratica monopolizza gran parte delle politiche dei singoli istituti: orari, programmi, esami, parifiche, ecc. Questa integrazione al sistema scolastico è osservabile addirittura a livello di organismi nazionali che si interessano della scuola cattolica: lo sforzo maggiore è di integrazione scolastica nazionale piuttosto che di presenza cattolica!
    Personalmente ricalcherei quanto scrive Piero Balestro in «La scuola e l'uomo nuovo» (Note di Pastorale Giovanile, 1973/67): per la scuola cattolica i ritmi e le cadenze importanti vengono stabilite dalla scuola di stato; lo spirito umano di base che essa respira è quello scolastico-amministrativo della scuola statale le cui caratteristiche peculiari sembrano di fatto voler essere agnostiche, neutrali o, comunque, disattente alle preoccupazioni religiose della scuola cattolica.
    Bisogna naturalmente riconoscere che a questa preoccupazione di fatto, la scuola cattolica prepone un'intenzione di presenza religiosa chiaramente manifesta ed esplicita. Ma non è solo su tale intenzione che dobbiamo interrogarci ma anche sulla sua possibilità o capacità di operare nel mondo scolastico italiano con mentalità di fede: sia come libera scelta fatta dall'alunno - o da chi per lui - sia come offerta realizzata dalla scuola cattolica.
    Mi pare che né l'una né l'altra mozione rappresenti la realtà della scuola cattolica nel contesto della scuola nazionale tanto che questa precarietà gioca psicologicamente in modo negativo sugli addetti ai lavori che addirittura si chiedono quale senso abbia parlare di scuola cattolica e di educazione alla fede attraverso di essa.

    Scuola in situazione di pluralismo religioso

    Nel contesto scolastico nazionale, la scuola cattolica agisce ormai in situazioni di diaspora più che in situazioni di «societas christiana». Questo rilievo - che alcuni riconosceranno preso a prestito da scritti di K. Rahner - mi pare importantissimo per l'educazione alla fede per un motivo molto semplice: né il giovane da educare alla fede vivrà isolato all'interno di una scuola cattolica né la scuola cattolica - ammesso anche che appaia ideale - sarà il solo fattore della sua educazione. Essendo suo fine quello di insegnare (= creare e ricreare) a vivere cristianamente nel nostro tempo e nella nostra situazione nazionale, occorre riconoscere che la scuola cattolica si muove in regime di diaspora o, se si vuole una parola più sociologica, in regime pluralista. Per cui essa viene a trovarsi in una situazione stridente in quanto deve creare un ambiente di regole e di vita che contraddice quello in cui essa stessa compie la sua opera educatrice: quasi una palestra d'addestramento per successive operazioni di sbarco sulla «bay of pigs». L'educazione alla fede che la scuola cattolica persegue viene sperimentata, per quanto possibile, in un ambiente cristiano pensato omogeneo mentre i giovani vivranno in ambienti nient'affatto omogenei, in ambienti d'indifferenza se non di opposizione a quella fede.

    Scuola per cristiani?

    La scuola cattolica, nella nostra società, è ormai tale solo per definizione ma non più per popolazione né per ambiente sociale. Nella scuola cattolica, per vari motivi, convergono giovani e famiglie rappresentativi di un pluralismo ideologico e religioso che copre, credo, tutto l'arco delle sfumature culturali e politiche.
    La scuola cattolica è tale per intenzione ma non per realtà sociologica e la gente sembra chiederle solo secondariamente di essere «cattolica». Addirittura è esistita ed esiste una diffusa mentalità che accettava la sua «cattolicità» a condizione che si comportasse come una «scuola» di second'ordine!
    Questi tre rilievi sulla scuola cattolica avranno, a mio parere, il loro influsso sull'educazione alla fede perché se dalle definizioni essenzialistiche della scuola cattolica si passa alle situazioni esistenzialistiche l'incidenza di questi loro condizionamenti non sarà irrilevante.

    LINEE PER L'EDUCAZIONE ALLA FEDE

    Una scuola cattolica così descritta - in diaspora, integrata nel sistema scolastico italiano senza vera autonomia, pluralistica ideologicamente e anche religiosamente - deve educare alla fede, alla fede cristiana: «educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa» (RdC, 38). Lo sappiamo tutti che simile educazione appare follia e scandalo non più solo a coloro che non hanno dimestichezza con la fede ma anche a molti che, in qualche modo, sono stati contagiati dal suo insegnamento senza peraltro assorbirne la mentalità di fondo.
    La scuola cattolica non deve arrossire di confessare e di annunciare la fede in Dio e in Cristo risorto altrimenti la sua opera diventa veramente vana e scade a compiti di supplenza di per sé non motivati e socialmente forse non più urgenti.
    Ma proprio perché non dobbiamo arrossire di educare alla fede, sono portato a porre alcuni interrogativi.

    A partire dal dato di fatto

    Di fronte al pluralismo ideologico e religioso che oggi troviamo anche nella scuola cattolica, «il fenomeno dell'ateismo assume forme e proporzioni prima sconosciute. Il cristiano deve saperlo giudicare nelle sue componenti storiche, sociologiche, dottrinali e morali per assumere un atteggiamento responsabile. Secondo l'opportunità, la catechesi riserva un esame serio alle ragioni che si nascondono nella mente degli atei. Essa mostra che la dignità dell'uomo trova la sua radice e la sua perfezione nel riconoscimento di Dio; richiama i fondamenti razionali della fede facendo soprattutto riferimento ai più profondi problemi dell'uomo; insegna che la speranza dei beni futuri dà nuovi motivi anche per gli impegni terreni; educa a respingere l'incredulità e insieme a riconoscere che tutti gli uomini debbono contribuire fraternamente alla retta edificazione del mondo; rivendica l'autentica libertà religiosa in tutte le sue dimensioni; guida i credenti a rivelare la presenza di Dio attraverso la testimonianza della vita. Così il cristiano diviene capace di un dialogo sincero e avveduto, nel contesto concreto del proprio ambiente...» (RdC, 5l ).
    Penso che una scuola cattolica debba partire, nel momento che si adopera per educare alla fede, dal non-essere-cristiani di moltissimi suoi alunni e famiglie e insegnanti prima ancora che dalla sua intenzione e dichiarazione d'essere-cattolica. In genere, si parte invece da quest'ultima affermazione per costruire la catechesi della fede preoccupandosi di conservare intatto il «depositum fidei»: col rischio di non avere interlocutori.

    Per un nuovo progetto sulla realtà

    Di fronte alla globalità dell'educazione «il catechista non disperde il suo insegnamento in una serie interminabile di nozioni e di informazioni frammentarie; né agisce di volta in volta episodicamente senza tener presente il significato complessivo di tutta la sua azione» (RdC, 54). Ricordiamo che l'educazione alla fede richiede di portare innanzitutto a una mentalità, a una visione globale sulla totalità del reale, a una risposta alle richieste più profonde dell'uomo, a una realizzazione integrale dell'uomo: «con la grazia dello Spirito Santo, cresce la virtù della fede se il messaggio cristiano è appreso e assimilato come «buona novella», nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana per l'uomo. La parola di Dio deve apparire a ognuno «come un'apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori e insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni». Diventerà agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e per le scelte della vita» (RdC, 52).

    Verso una integrazione tra fede e vita

    Di fronte all'unità della persona umana una eventuale «dissociazione tra fede e vita è gravemente rischiosa per il cristiano, soprattutto in certi momenti dell'età evolutiva o di fronte a certi impegni concreti» (RdC, 53). L'unità della persona umana non può sopportare due mentalità diverse: quella di fede e quella della vita, quella religiosa e quella profana, quella numinosa e quella scientifica. Insistere sull'una come appartenente a una riflessione e a una pratica irriducibile all'altra vuol dire creare una dicotomia non solo radicale ma anche irrecuperabile.
    Valga un esempio: la mentalità di fede parlerà e indurrà ad agire sempre «nel nome del Padre...» mentre la mentalità della vita odierna è sin troppo portata all'uccisione, alla morte del padre, sia esso Dio, il superiore, il genitore, la tradizione o il partito. Parlo di mentalità e quindi di posizione totalizzante e totalitaria: se l'educazione alla fede indurrà ad atteggiamenti assunti «nel nome del Padre...» solo per il piano dell'esperienza religiosa e non anche per quello dell'esperienza cosiddetta profana, lo sforzo di tale educazione risulterà fallimentare proprio a causa dell'unità della persona umana.
    E così pure per la proclamazione della risurrezione di Cristo come evento salvifico e restauratore di tutta la realtà creata: se l'educazione alla mentalità di fede porrà quell'evento «al di là delle cose», essa lascerà che la mentalità della vita moderna secolarizzi la salvezza e la restaurazione. La mentalità di fede non diventa una «teologia sul mondo» e dà via libera ai gravi equivoci e ai fallimenti che J.B. Metz ha ben evidenziato.

    Conclusione

    Confesso le perplessità che provo tutte le volte che mi si parla dell'educazione alla fede operata dalla scuola cattolica appellandosi al poco o molto di bene che essa fa: non si tratta di misurare una pratica religiosa né per difendere né per condannare la scuola cattolica. Si tratta di valutare il suo impegno e la sua capacità a indurre una mentalità di fede per cui la vita umana non sia un luogo ove si compiono degli atti religiosi ma un luogo ove la vita stessa è capita come un atto religioso.
    L'educazione alla fede che la scuola cattolica deve instaurare mi pare proprio riassumibile in questa formula: non tanto atti religiosi nella vita ma la vita come un atto religioso.


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