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    Il cristiano e l'umanizzazione del mondo



    Giannino Piana

    (NPG 1974-9/10-70)

    L'educazione alla fede comporta lo stimolo ad una presenza impegnata nella storia. Il rapporto tra fede e impegno politico è oggi qualificante per il giovane cristiano. Ma, spesso, problematico. Per il rigurgito non infrequente di nuovi integrismi.
    Il fatto preoccupa giustamente l'educatore della fede. Anche perché è comune costatare come sia facile il salto da una politicizzazione accesa e non sufficientemente integrata a livello di significati profondi ad un rifiuto della vita ecclesiale.
    Per arginare questi eccessi, ogni tanto fa capolino la tentazione opposta di depoliticizzare l'esperienza cristiana.
    È quindi indispensabile una chiarezza precisa sull'argomento: per cogliere significati, rischi, scelte, verso uno «specifico del cristiano» nell'impegno di umanizzazione.
    La «scuola della fede» è chiamata oggi ad un attento confronto con questi temi.

    Il significato della partecipazione del cristiano all'edificazione della città terrestre è divenuto oggi uno dei problemi più angustianti e difficili, non soltanto all'interno del dibattito teologico (dove è facile la tentazione dell'accademismo), ma soprattutto nel tessuto più vivo e sofferto delle comunità cristiane.
    Il progresso delle scienze umane, con la messa a fuoco dei condizionamenti psicologici e socio-culturali dell'agire umano, e l'enorme sviluppo tecnologico contemporaneo, hanno senza dubbio contribuito ad acutizzare la «coscienza politica», stimolando gli uomini di buona volontà ad un impegno più serio e più concreto nella vita del mondo.
    La crescita della coscienza politica è venuta sviluppandosi secondo una duplice direzione.
    * Anzitutto, nella direzione della dilatazione, nel senso che cresce la convinzione che il discorso politico non è un discorso settoriale, ma è sotteso a tutta la problematica dell'esistenza umana e delle istituzioni nelle quali si realizza la convivenza, per la stretta connessione esistente tra settore e settore e, in senso più generale, tra i diversi popoli del mondo.
    * In secondo luogo, nella direzione dell'approfondimento, nel senso che va ogni giorno più affermandosi la consapevolezza, grazie al crescente processo di secolarizzazione, che le sorti della famiglia umana non sono il frutto di un destino fatalistico ed ineluttabile, ma dipendono da precise scelte degli uomini, il più spesso determinate da motivazioni di potere. Tale fenomeno di «politicizzazione» della realtà ha stimolato, nell'ambito della Chiesa, la riscoperta della dimensione «politica» della fede, mediante il ricupero del significato storico e mondano del messaggio di salvezza.
    Per questo molti credenti - individualmente o in gruppo - si sono buttati con impeto nel vivo della realtà politica, assumendo gli atteggiamenti e le metodologie delle diverse ideologie dell'attuale momento storico. Si sono così determinate alcune gravi lacerazioni interiori, che hanno riproposto, in termini drammatici, il problema dello «specifico» del messaggio cristiano nei confronti dell'umanizzazione del mondo.

    LA RICERCA DELLO «SPECIFICO»

    È nata, in questo contesto, l'esigenza di una seria riflessione teologica attorno al significato dell'impegno del cristiano.
    La «novità» di tale riflessione sta nel fatto che in essa il discorso politico - mi riferisco qui soprattutto alla cosiddetta «teologia politica» tedesca e alla «teologia della liberazione» latino-americana - non è affrontato tematicamente come uno dei molti problemi che affiorano all'orizzonte della coscienza cristiana nell'attuale momento storico, ma, in modo più globale, come una delle dimensioni «trascendentali» che appartengono alla natura dell'intero messaggio di salvezza. Non si tratta perciò di un ampliamento in senso quantitativo dell'area di interesse della riflessione teologica, ma di un vero e proprio salto qualitativo nell'interpretazione del significato profondo del cristianesimo.
    In altre parole, l'obiettivo non è, in primo luogo, quello di offrire precisi orientamenti all'impegno politico del cristiano, ma piuttosto quello di riscoprire la dimensione «politica» della fede come una dimensione essenziale, che deve esprimersi, in modo originale, all'interno dell'intero contesto dell'esistenza cristiana.
    Il discorso «politico» chiama così in causa, in modo globale, il problema dell'identità del cristiano e della Chiesa, e tocca l'essenza stessa del cristianesimo. È questo, infatti, il nodo cruciale dell'attuale dibattito teologico. Anche se il terreno della «politica» è quello sul quale la difficoltà di identificazione si è fatta più acuta, forse perché ci si trova dinanzi ad una problematica che nasce dalla prassi ed è sollecitata da situazioni drammatiche, che esigono risposte immediate e impegni precisi.
    La situazione di secolarizzazione, che caratterizza il nostro tempo, con la restituzione all'uomo e al mondo della loro autonomia originaria, ha contribuito a purificare la fede, liberandola da tutte le sovrastrutture sacrali, in cui era in passato avviluppata, e con le quali finiva spesso per confondersi.
    Questo processo positivo di liberazione comporta tuttavia, inevitabilmente, enormi rischi, che meritano di essere attentamente soppesati.
    I rischi più grossi, almeno sul terreno che a noi qui interessa, sono quelli di vanificare il messaggio cristiano, fino al punto di ridurlo ad una proposta astratta, soprannaturalistica, e perciò storicamente insignificante, riproponendo così il dualismo del passato; oppure quello di farlo del tutto coincidere con un'ideologia umanistica di liberazione, svuotandolo di quella carica di «novità», che è legata alla sua dimensione trascendente, e indulgendo verso forme di «neo-integrismo» forse più pericolose, perché più subdole, di quelle di altri tempi.

    Contenuti propri o intenzionalità

    L'interrogativo circa lo «specifico» dell'impegno politico del cristiano e della Chiesa deve allora essere riproposto, in termini più chiari e precisi, così: esiste un «proprium» dell'impegno politico del cristiano e della Chiesa sul piano dei contenuti, nel senso che la fede cristiana ha in se stessa una risposta concreta ed immediata ai problemi della convivenza umana organizzata, cioè ci offre un modello articolato di società e ci fornisce gli strumenti per realizzarlo? O, invece, tale «proprium» va ricercato soltanto sul piano dell'intenzionalità, nel senso di un'ispirazione fondamentale, di un'illuminazione globale e profonda che la fede, in base ai valori trascendentali e permanenti di cui è portatrice, getta sulla condizione umana, colta in tutta la ricchezza delle sue dimensioni, e perciò anche nella sua dimensione socio-politica?

    Il rischio dell'integrismo

    Nel primo caso ci troviamo di fronte all'ipotesi tradizionale della necessità di una «dottrina sociale della Chiesa», comunque essa venga elaborata; cioè di un ampio «corpus» dottrinale di principi teorici e pratici, che devono presiedere all'edificazione della città terrestre e della convivenza umana secondo il piano di Dio.
    È fin troppo evidente, in tale ipotesi, il rischio dell'integrismo. La lezione della secolarizzazione sembra essere, in questo senso, un dato irrinunciabile. Restituire all'uomo e al mondo la loro originaria autonomia significa, in concreto, rispettare fino in fondo le leggi proprie della storia, e perciò dell'analisi sociale e politica della realtà e delle modalità operative di intervento su di essa.
    D'altronde tale posizione ha spesso fatto da paravento - e la storia ce lo testimonia - all'assunzione, di fatto, di interpretazioni ideologiche della realtà sociale, orientate, il più delle volte, alla conservazione dello status quo. L'analisi critica dei documenti del magistero sociale della Chiesa, condotta con attenzione al contesto socio-culturale nel quale sono stati elaborati, fa emergere, con evidenza, l'esistenza di tale contaminazione. Non si discostano da tale posizione, e perciò non superano tale equivoco, i numerosi tentativi, oggi in atto da parte di gruppi cristiani impegnati (per lo più al di fuori delle strutture ufficiali della Chiesa), di utilizzare, in modo totalitario e acritico, le ideologie più avanzate dell'attuale momento storico (si pensi al marxismo e più al neo-marxismo) per un'analisi della situazione socio-politica, nelle sue cause profonde, e per l'elaborazione di un progetto alternativo, cioè di una prassi rinnovatrice e rivoluzionaria.
    Non si vuole negare con ciò l'importanza di tali strumenti, che vanno senz'altro usati per una lettura concreta della realtà storica, ma piuttosto mettere in guardia nei confronti del pericolo di un'assunzione univoca e globale, condotta con la preoccupazione di risolvere attraverso tali strumenti (e soltanto attraverso di essi) il problema dell'analisi scientifica dei fenomeni sociali e, di conseguenza, il problema del tipo di impegno da assumere in vista di un effettivo cambiamento.
    Se infatti questo avviene - come di fatto spesso avviene da parte di singoli o di gruppi - in nome del vangelo, si corre inevitabilmente il rischio di un'identificazione tout court del messaggio cristiano con tali ideologie. Il che comporta, come risultato, una visione riduttiva ed immanente del messaggio stesso, fino alla sua vanificazione, con il ritorno a forme di integrismo o di neo-integrismo, del tutto superate dal processo di autonomia del «politico» positivamente indotto dal fenomeno della secolarizzazione.

    Il rischio del disimpegno

    Nel secondo caso, quello cioè di una ricerca del «proprium» sul piano dell'intenzionalità, il problema è di stabilire una relazione corretta e adeguata tra fede e impegno politico, e, più precisamente, tra l'ispirazione fondamentale del messaggio cristiano e l'analisi sociale, al fine non solo di salvaguardare l'autonomia dei rispettivi ambiti e delle rispettive sfere di competenza, ma soprattutto di superare tutte le forme di dualismo, che costituiscono una tentazione permanente della riflessione cristiana.
    Il rischio è, infatti, in questo caso, quello del disimpegno, di fatto, dei cristiani e della Chiesa dall'azione politica concreta; di una comoda evasione, cioè, in un soprannaturalismo vuoto ed insignificante, che priva il fatto cristiano della sua incidenza storica.
    Le brevi riflessioni, che qui intendo sviluppare, si muovono nel contesto di questa seconda linea, più consentanea allo spirito del messaggio evangelico e insieme più fedele alle esigenze dell'opera storica presente. Non ho con ciò la pretesa di esaurire il problema, ma soltanto di offrire alcune indicazioni metodologiche, che servano ad inquadrarlo correttamente e ad assumere, di conseguenza, una posizione più chiara, pur nella consapevolezza della complessità della situazione, e perciò della difficoltà di una riflessione perfettamente adeguata e coerente.

    SALVEZZA COME LIBERAZIONE INTEGRALE E STORICA

    Il punto di partenza della riflessione cristiana è l'approfondimento del concetto di salvezza, come ci viene presentato dalla rivelazione.
    La salvezza, comunione degli uomini con Dio e tra loro, non è qualcosa di puramente ultramondano, di fronte al quale la vita presente sarebbe soltanto una prova; è invece qualcosa di reale e di concreto fin d'ora, che prende tutta la realtà umana e cosmica, la trasforma e la conduce alla sua pienezza in Cristo. Essa abbraccia, infatti, l'uomo nella sua totalità: corpo e spirito, individuo e società, persona e cosmo, tempo ed eternità. Cristo, immagine del Padre, Dio-uomo perfetto, assume l'esistenza umana in tutte le sue dimensioni.
    Da ciò appare chiaro che non esistono due storie, una profana e l'altra sacra, giustapposte tra loro, ma solo un divenire umano, assunto irreversibilmente da Cristo, Signore della storia. La storia della salvezza ha il contenuto stesso della storia umana. È infatti il divenire storico dell'umanità che deve essere posto nell'orizzonte salvifico.

    Salvezza e storia

    La teologia contemporanea sembra non essere giunta ancora ad elaborare le categorie, che ci permettono di pensare e di esprimere la prospettiva unitaria della storia. Permane il timore, da una parte, di cadere nei vecchi dualismi, e, dall'altra, di non salvare sufficientemente la gratuità divina e il fatto specifico del cristianesimo.
    Nella rivelazione biblica troviamo tre gradi temi, che illustrano il rapporto tra salvezza e storia.

    La creazione

    Anzitutto, il tema della creazione, che ci è presentata come inserita nel processo salvifico; anzi come il primo atto salvifico. Essa dà inizio alla storia come avventura umana e insieme come luogo delle gesta salvifiche di Jahvè. D'altronde l'atto creatore è legato, fin quasi ad identificarsi con il gesto che liberò Israele dalla schiavitù d'Egitto: creazione e liberazione dall'Egitto sono un solo atto salvifico.
    Ora la liberazione dall'Egitto è un atto politico: è la rottura con una situazione di sfruttamento e di miseria, e l'inizio della costruzione di una società giusta e fraterna, la soppressione del disordine e la creazione di un ordine nuovo. L'esodo è la lunga marcia verso la terra promessa, nella quale si potrà costruire una società libera dalla miseria e dalle alienazioni. Questo cammino troverà il suo compimento nel mistero di Cristo, che porterà all'uomo la salvezza come liberazione integrale, frutto del dono di Dio e della partecipazione libera e cosciente dell'uomo.

    Le promesse sul futuro

    In secondo luogo, il tema delle promesse escatologiche. La Bibbia è il libro della promessa della salvezza definitiva, che viene da Jahvè. Tale salvezza si realizza lungo il corso della storia, che viene totalmente orientata al futuro. La realizzazione della promessa nella storia è sempre parziale: si esplicita in alcune promesse particolari (l'alleanza, il regno di Dio, la risurrezione di Cristo, ecc.), che sono compimento di qualcosa e insieme anticipazione del futuro.
    L'escatologia cristiana ha perciò due dimensioni: un'attenzione al presente, in quanto in esso la promessa si compie già in realtà storiche, ed una proiezione nel futuro, che è tensione verso il compimento pieno di quanto le promesse realizzate annunciano. La predicazione profetica è tutta contrassegnata da questo modulo interpretativo della storia. La lettura non va fatta secondo il cliché di coloro che distinguono tra «promesse materiali o temporali» e «promesse spirituali», ma piuttosto nel senso di realizzazioni parziali in avvenimenti storici liberatori, che sono, a loro volta, nuove promesse, che segnano il cammino verso il pieno compimento.
    Le promesse escatologiche, dunque, si compiono lungo il corso della storia. Ciò non significa tuttavia che esse debbano essere semplicemente identificate con realtà sociali o politiche determinate; la loro opera di liberazione va al di là del previsto e sfocia in nuove ed insperate possibilità.

    In Cristo

    Infine, la profonda unificazione del piano di Dio trova la sua giustificazione ultima e il suo significato decisivo nell'evento-Cristo, che è il momento culminante della rivelazione cristiana. In Lui il divino e l'umano si coniugano in modo definitivo e pieno. Cristo è parola di Dio e risposta dell'uomo; è l'immagine del Dio invisibile e il primogenito di tutta la creazione. In Lui Dio si è riconciliato con l'umanità e l'umanità con Dio.
    L'azione liberatrice di Cristo - fatto uomo in questa storia una, e non in una storia marginale alla vita reale degli uomini - sta al centro del fluire storico dell'umanità. La lotta per una società più giusta, più a misura dell'uomo, si inscrive, dunque, pienamente, proprio nel cuore della storia salvifica. Tutto l'uomo e tutti gli uomini sono chiamati in causa, e con essi il mondo stesso delle cose.
    La liberazione radicale dell'uomo, che Cristo ci ha donato nel mistero della sua morte e della sua risurrezione, è redenzione dell'uomo dal peccato e dalle sue conseguenze.
    Ora il peccato non è soltanto una realtà individuale, privata ed intimistica. È un fatto sociale, storico. È mancanza di fraternità, di amore nelle relazioni con il prossimo; rottura dell'amicizia con Dio e con gli uomini e, conseguentemente, divisione interiore, personale. Le situazioni di ingiustizia, infatti, non sono casuali, non sono qualcosa di segnato da un destino ineluttabile. Alle loro spalle esiste sempre una precisa responsabilità umana.
    I profeti dell'Antico Testamento lo hanno sottolineato con chiarezza ed energia. La riscoperta della dimensione collettiva del peccato, che è presente nella rivelazione, ci aiuta a capire il senso della redenzione di Cristo. Se il peccato è anche - per usare un'espressione cara a Gonzalez Ruiz - «una specie di struttura o di ambito che condiziona oggettivamente lo stesso cammino della storia umana», allora la redenzione non può che essere una liberazione radicale, la quale include necessariamente la dimensione socio-politica.
    In questo senso la vita cristiana è una pasqua, un passaggio dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, dall'ingiustizia alla giustizia, dall'infraumano all'umano.
    Cristo, infatti, ci fa entrare, mediante il dono del suo Spirito, in comunione con Dio e con tutti gli uomini. Ed è proprio perché ci fa entrare in questa comunione che egli vince il peccato, negazione dell'amore, con tutte le sue conseguenze. Ma questo processo, iniziato da Cristo, deve essere portato a compimento dall'uomo. Questo avviene mediante ogni forma di lotta contro lo sfruttamento e l'alienazione, attraverso la quale si manifesta la volontà di allontanare l'egoismo. Per questo ogni sforzo per costruire una società più giusta è già opera salvifica, è attuazione del regno.

    Liberazione storica e salvezza cristiana

    La crescita del regno è dunque un processo che si svolge storicamente nella liberazione, in quanto essa significa una maggiore realizzazione dell'uomo, la condizione di una società nuova. Questo tuttavia non deve farci dimenticare che il regno di Dio non si esaurisce nella liberazione storica e intramondana. La salvezza cristiana, pur realizzandosi in fatti storici liberatori, denuncia i loro limiti e le loro ambiguità, annuncia il loro pieno compimento nel futuro ultramondano e li spinge effettivamente alla comunione totale.
    Tutto ciò è richiesto, in definitiva, dalla radicalità e dalla globalità del processo salvifico. Nulla sfugge a Cristo, nulla si trova al di fuori della sua azione e del dono dello Spirito, che conferisce alla storia umana la sua profonda unità.
    In Cristo perciò la globalità del processo liberatore raggiunge il suo pieno significato. La sua missione salvifica è integrale: abbraccia l'uomo in tutte le sue dimensioni (tutto l'uomo e tutti gli uomini); è perciò anche salvezza politica nel senso più genuino e più globale del termine.
    La Chiesa è chiamata, di sua natura e per sua vocazione, ad annunciare agli uomini questo tipo di salvezza. Questo fa sì che essa debba diventare «un'istituzione critica della società». La sua missione critica si definirà come un servizio alla liberazione dell'uomo.
    La comunità ecclesiale - e non solo il singolo credente - è allora il soggetto dell'azione di liberazione promossa dal messaggio evangelico. Essa dovrà perciò diventare, al suo interno, uno spazio di libertà, per essere «segno» di liberazione nel mondo e per il mondo.
    Per realizzare questo, la Chiesa deve farsi povera di strutture e di privilegi, cioè proclamare la sua permanente precarietà, annunciando la speranza nel regno di Dio. Deve soprattutto riscoprire il suo fecondo rapporto con il mondo, superando ogni forma di dualismo.
    Se è vero che la salvezza è liberazione integrale dell'uomo e che tale liberazione si compie nella storia, pur avendo uno sbocco finale metastorico, «i confini tra Chiesa e umanità - osserva E. Schillebeeckx - svaniscono non solo in direzione della Chiesa, ma anche in direzione del mondo e dell'umanità».
    La costruzione di una società più giusta ha valore di edificazione del regno, o, se si vogliono usare parole più vicine alla nostra odierna sensibilità, la partecipazione al processo di liberazione dell'uomo è già, in un certo modo, opera di salvezza.
    Il superamento del dualismo chiesa-mondo nell'unica vocazione del cristiano, che si compie nella storia, non deve però portarci ad identificare del tutto il regno di Dio con la storia umana. Certo il regno di Dio è immerso totalmente nella storia, ma emerge da essa, nel senso che la consumazione definitiva della storia sarà opera di un intervento gratuito di Dio, che si porrà al di là del tempo e della storia stessa.

    IDEOLOGIA, UTOPIA, ESCATOLOGIA

    C'è tuttavia il rischio, in questa posizione, che si limiti il compito della Chiesa ad una funzione negativa di denuncia. Il cristiano e la Chiesa devono impegnarsi responsabilmente e in modo attivo all'interno delle strutture della società, sia per riformarle, qualora ciò si renda possibile, sia per contestarle e sostituirle, quando si oppongono radicalmente alla liberazione umana.
    Il problema diventa allora quello di evitare due opposte posizioni, ugualmente pericolose:
    * La prima è quella che afferma l'esigenza di una relazione diretta tra fede e azione politica, spingendo facilmente a chiedere alla fede criteri immediati per opzioni politiche particolari. Si cade, in tal modo, in un pericoloso messianismo religioso, con il rischio dell'integrismo. È l'errore del passato, dal quale non sono tuttavia del tutto esenti, sia pure con atteggiamenti più sfumati, alcuni movimenti attuali della cosiddetta «sinistra cristiana».
    * La seconda è quella che afferma che fede e politica si muovono su piani giustapposti e paralleli, senza rapporto tra loro. Tale posizione favorisce evidentemente la estraneazione e il disimpegno del cristiano dalla vita sociale e politica.
    Il superamento di queste due opposte tentazioni esige uno sforzo lucido di mediazione delle autentiche istanze che vi sono sottese, anche se unilateralmente interpretate. Anzitutto l'istanza di una concreta incarnazione del messaggio, che risponde a tutta la logica della storia della salvezza; in secondo luogo, l'esigenza di salvaguardare la forza critica e contestatrice del messaggio evangelico nei confronti di tutte le ideologie, di tutte le strutture e di tutti i sistemi politici, di cui vanno denunciati i limiti e la provvisorietà.
    Forse vale la pena di tentare una chiarificazione del discorso, ricuperando una categoria cara alla «cultura» del nostro tempo e cercando di approfondirne il senso in questa prospettiva. Si tratta della categoria dell'utopia, intesa nel suo significato più genuino e storicamente valido.

    Coscienza e utopia

    Tre note sembrano caratterizzare la nozione di utopia come oggi viene utilizzata nella riflessione culturale. Anzitutto la sua relazione con la realtà storica. In questo senso l'utopia riveste un duplice significato: retrospettivo, cioè di denuncia dell'ordine (o disordine) esistente, e prospettico, ossia di annuncio di un ordine nuovo. Fra la denuncia e l'annuncio si colloca il tempo della costruzione. Ecco perciò la seconda nota, che qualifica il concetto di utopia: la sua verifica nella prassi storica. Se l'utopia non porta ad un'azione nel presente è un'evasione dalla realtà. Anzi denuncia e annuncio possono essere realizzati solo nella prassi. È questa la lezione irrinunciabile del marxismo. Infine, l'utopia appartiene all'ordine della razionalità. Essa è irrazionale solo rispetto ad uno stadio superato della ragione, quello dei conservatori. In realtà discende dalla vera ragione; è l'aspetto creativo, dinamico della razionalità, che fruisce cioè dell'apporto della fantasia e dell'intuizione. È, in altre parole, quella che in politica si può definire come l'immaginazione.
    Il terreno sul quale è possibile la coniugazione tra fede e impegno politico è quello della riscoperta della dottrina dell'utopia. Si impone tuttavia, a questo punto, qualche ulteriore precisazione. Mi pare doveroso, per ragioni di chiarezza, distinguere tra «coscienza utopica» e «scelta utopica» e tra «coscienza ideologica» e «scelta ideologica».
    Diverso è, infatti, il discorso se dal piano della coscienza, cioè degli atteggiamenti di fondo, si passa a quello delle scelte operative concrete ed immediate.
    * Per «coscienza utopica» si intende quell'atteggiamento di fondo dell'uomo, che lo pone in uno stato di tensione permanente, inducendolo a superare di continuo tutte le scelte fatte, a metterle in discussione, con il senso della provvisorietà e del limite, e perciò con la disponibilità al «nuovo», al «diverso», all'«alternativo», che devono essere costantemente inventati e ri-creati.
    * La «scelta utopica» è invece la pretesa di operare, subito e in modo totale, un cambiamento della società, mediante un ribaltamento radicale delle attuali strutture; è cioè l'esigenza palingenetica, che contraddistingue spesso l'azione di singoli e di gruppi, i quali finiscono per trascurare del tutto l'analisi storica circa le possibilità reali di mutamento, e, in definitiva, per cadere in uno stato di frustrazione, che conduce al disimpegno.
    È fin troppo evidente che, a questa distinzione, è soggiacente un diverso modo di intendere l'utopia.
    * Nel primo caso, utopia, è, in senso positivo, «ciò che non ha luogo, ma può averlo» (ciò che non è, ma può essere); è, in altre parole, il vero futuro dell'uomo e del mondo; un futuro verso il quale è doveroso incamminarsi e tendere, con la consapevolezza che è possibile costruirlo, anche se mai in modo totale e definitivo, e soprattutto con una profonda aderenza alla realtà, che matura progressivamente, e con un impegno diuturno e concreto.
    L'utopia è allora, in definitiva, la dimensione trascendentale o «escatologica» della speranza umana, per usare un'espressione cara a E. Bloch; dimensione che apre costantemente l'uomo verso il «non-ancora», e insieme lo stimola ad impegnarsi per poterlo realizzare.
    * Nel secondo caso, il termine utopia è assunto nella sua valenza negativa, che è del resto la più frequente nell'uso comune, cioè come «qualcosa che non è, e non potrà mai essere», come un sogno, una chimera, un puro futuribile.
    La «scelta utopica», fatta cioè con la pretesa di realizzare tutto e subito, finisce per essere sterile e per favorire, in definitiva, l'alienazione umana. È questa la condizione di molti gruppi giovanili, che, dopo l'exploit della contestazione degli anni '68-'70, vivono oggi in modo anemico, con un atteggiamento pessimistico nei confronti della realtà, senza tensioni e senza speranza. La verifica dell'impossibilità di giungere, in breve tempo, alla realizzazione di una società alternativa, li ha chiusi in se stessi, in uno stato di impotenza e di passiva rassegnazione. Rimane sempre vero che la politica è l'arte del «possibile», che sta tra l'ideale e il reale, e che pertanto l'impegnarsi in essa suppone un'attenzione realistica alla concreta situazione storica e alle effettive potenzialità, che tale situazione contiene.

    Coscienza e ideologia

    Diverso, e sotto certi aspetti addirittura opposto, è il discorso della distinzione tra «coscienza ideologica» e «scelta ideologica».
    * Per «coscienza ideologica» si intende, infatti, l'atteggiamento dogmatico e preclusivo di chi pensa di poter inscatolare tutta la realtà all'interno dei propri schemi mentali, della propria concezione dell'uomo e della storia: concezione che diviene, in tal modo, totalizzante, onnicomprensiva, e pertanto escludente.
    * La «scelta ideologica» è, invece, una scelta concreta, realistica, basata sull'analisi scientifica della realtà sociale e portata avanti con rigorosa aderenza alla situazione, senza preclusioni verso altri possibili contributi, ma insieme con coerenza e coraggioso impegno nella prassi.
    Ci troviamo anche qui di fronte all'assunzione del termine ideologia secondo valenze profondamente diverse.
    * Nel primo caso - ed è questa l'accezione più frequentemente usata ideologia ha un significato prevalentemente negativo. È cioè la pretesa di un'interpretazione globale ed esaustiva della realtà, in tutte le sue dimensioni; finisce, in altre parole, per coincidere con una vera e propria «Weltanschauung».
    La «coscienza ideologica» è dunque, di sua natura, una coscienza integrista, chiusa, impenetrabile, e perciò estremamente pericolosa.
    * Nel secondo caso, l'ideologia viene assunta nel suo significato positivo di interpretazione provvisoria della realtà sociale, orientata alla prassi; essa è cioè un progetto articolato di intervento, una strategia globale, che esige l'utilizzazione di strumenti tecnici precisi per modificare la realtà. In questa prospettiva, l'ideologia acquista enorme valore, e diviene mezzo indispensabile per un'azione politica concreta, e perciò incidente.

    Una proposta

    È evidente, da quanto fin qui detto, che la mediazione fede-impegno politico deve avvenire al livello del rapporto tra «coscienza utopica» e «scelta ideologica». L'errore, infatti, in cui oggi molti, singoli e gruppi, frequentemente incorrono, è quello di compiere delle scelte utopiche, con una coscienza profondamente ideologica; cioè di tendere verso mete ideali ed avveniristiche, con la pretesa di veder realizzato, tutto e subito, quanto è stato ipotizzato, senza attenzione alla dinamica evolutiva della storia finendo per cadere in uno stato di crisi radicale.
    Non ci si discosta, in tal modo, di molto, anche se i contenuti sono profondamente diversi, dall'atteggiamento di coloro che fanno «scelte ideologiche» con una «coscienza ideologica». È il caso di molti partiti politici, e più in generale dei gruppi di potere, impegnati in modo attivo nella conservazione dello status quo, con realismo di obiettivi e concreta scelta di strumenti operativi. Identica è, infatti, la matrice; una matrice integrista ed escludente, con in più il grosso svantaggio, rispetto a questi ultimi, dell'inefficienza pratica, e perciò della sterilità. È fin troppo evidente allora l'esigenza che si compiano delle scelte concrete, storicamente situate, ispirate a ideologie precise, e, di conseguenza ,capaci di modificare profondamente la realtà; in una parola, delle scelte ideologiche. Ma insieme che tali scelte vengano tradotte nella prassi, con la consapevolezza della loro precarietà e il senso del provvisorio, cioè con la tensione verso il loro continuo superamento; in altre parole, con una coscienza utopica.
    L'utopia deve misurarsi con le ideologie storiche di liberazione per potersi incarnare e diventare così strumento vivo di trasformazione della società; le ideologie, a loro volta, hanno bisogno di una sporgenza utopica per non rinchiudersi nell'orizzonte limitato del presente e non diventare così un sistema totalizzante.
    Utopia ed ideologia devono perciò rimanere in uno stato di tensione permanente, in un rapporto aperto, dinamico, dialettico di interdipendenza reciproca.
    Il primato di valore va tuttavia riservato all'utopia, che è il lievito mediante il quale tutte le ideologie, anche le più perfette e le più capaci di interpretare la situazione storica, vanno costantemente fermentate e purificate.

    Coscienza e struttura

    È qui riproposta, in altre parole e sotto diversa forma, l'eterna questione della relazione tra coscienza e struttura, e, conseguentemente, tra rivoluzione interiore (o della coscienza) e rivoluzione strutturale (o del sistema).
    La soluzione non può essere, senza dubbio, ricercata nell'assolutizzazione manichea dell'uno o dell'altro dei due corni dell'apparente dilemma, se non si vuole ricadere nelle forme dello spiritualismo disincarnato e inoperante o del materialismo vuoto, perché senz'anima; ma soltanto in un'integrazione dialettica e contemporanea dei due momenti. Senza peraltro dimenticare il primato di valore della coscienza, con la consapevolezza - come ha scritto Péguy - che «la rivoluzione sarà morale o non sarà». Si chiarifica perciò, in questo contesto, il discorso del rapporto tra fede e impegno politico. Sembra doveroso fare qui una premessa sul significato della fede oggi e del suo rapporto con la religione.
    Il processo di secolarizzazione, tuttora in corso, ha evidenziato l'esigenza di una purificazione della fede da contaminazioni «religiose» e più ancora «sacrali», che finivano per comprometterla nel suo significato genuino ed originario. Tale lezione non può essere elusa.
    Non si deve tuttavia dimenticare che non esiste una fede «allo stato puro» e che pertanto la «religione» è la mediazione storica necessaria della fede stessa. Non c'è fede senza religione, né evidentemente religione autentica senza fede. La fede deve costantemente purificare la religione nelle sue espressioni concrete, nel suo linguaggio, nelle sue strutture, nei suoi simboli, che sono legati al particolare contesto socio-culturale in cui si incarna. Ma d'altra parte la fede ha bisogno della religione per esprimersi in modo vero e costruttivo. L'affermazione del primato della fede non deve dunque indurci all'eliminazione della religione, ma piuttosto a un suo costante rinnovamento.
    È fin troppo evidente l'analogia di rapporti tra fede-religione e utopia-ideologia.
    Il piano sul quale è possibile stabilire l'impatto tra fede e azione politica, così che esse entrino in una relazione corretta e feconda, è pertanto quello dell'utopia, cioè della creazione di un nuovo tipo di uomo in una società diversa.

    L'impegno politico del cristiano

    Allora l'impegno politico del cristiano si presenta come un cammino verso l'utopia di un uomo più libero, più protagonista della propria storia: «Penso - ha scritto E. Schillebeeckx - che da una parte il messaggio evangelico non dia direttamente nessun programma di azione politica e sociale ma che, d'altra parte, indirettamente, direi a livello di utopia, tale messaggio abbia un significato sul piano politico e sociale».
    L'atteggiamento del cristiano e della Chiesa deve perciò configurarsi come ispirato a questo elemento critico e razionale di dinamismo storico e di immaginazione creativa, se non si vuole cadere ancora una volta nel dogmatismo e nell'integrismo.
    Ma l'utopia, per assolvere validamente questo compito, dovrà di continuo essere verificata nella prassi sociale; deve cioè diventare impegno effettivo, senza purismi intellettuali e senza illegittime pretese; in una parola, deve essere continuamente revisionata e concretizzata, mediante l'utilizzazione delle ideologie storiche di liberazione socio-politica dell'uomo. Dire questo non significa accettare un dialogo indifferenziato e paritetico con qualsiasi ideologia, ponendole tutte sullo stesso piano. La rivelazione cristiana ci aiuta, infatti, a fare un giudizio concreto delle singole ideologie. Essa è prima di tutto manifestazione progressiva che Dio fa di se stesso all'uomo. Ma all'interno di tale manifestazione, l'uomo viene rivelato a se stesso, nei suoi elementi costitutivi essenziali e nei valori che devono normare il suo agire.
    D'altra parte, accettando la mediazione della religione, in fedeltà alla logica della storia della salvezza e del mistero dell'incarnazione, la fede accetta di entrare nella dinamica contingente e provvisoria delle strutture umane, legate al particolare contesto storico in cui l'uomo vive; strutture che hanno tutte, indistintamente un determinato peso politico, positivo o negativo, a seconda dei casi.
    L'affermazione della non neutralità, sul piano politico, di ogni struttura comporta evidentemente la presa di coscienza che le strutture ecclesiali in se stesse e le scelte concrete, storiche di ogni genere che la Chiesa viene facendo, hanno un'indubbia rilevanza politica. Il che deve farci uscire dalla falsa presunzione della possibilità di non contaminazione della Chiesa sul piano ideologico. Tale presunzione si è, infatti, risolta in passato - e la storia ce lo dimostra - e può risolversi anche oggi in una contaminazione di fatto con le ideologie dei detentori del potere effettivo, contribuendo così al consolidamento dello status quo.
    Le scelte storiche del cristiano e della Chiesa devono perciò, in una certa misura, farsi ideologiche, o meglio il cristiano e la Chiesa devono, a diversi livelli e nelle diverse situazioni, assumere nella lettura della realtà sociale e nell'impegno di promuoverne il cambiamento, le indicazioni che provengono dalle ideologie di liberazione del tempo, nel rispetto profondo dell'autonomia dell'analisi socio-politica, onde evitare una vanificazione della fede e del messaggio evangelico, e con il senso della provvisorietà, e perciò la tensione costante al superamento di ogni schematismo chiuso e riduttivo.
    È questo, del resto, il compito critico, di contestazione permanente della fede: compito che essa esercita in nome di quelle «riserve escatologiche» costituite dai grandi valori universali della giustizia, della comunione umana e della pace, che, in quanto tali, denunciano la precarietà di qualsiasi situazione storica e di qualunque sistema di convivenza umana.
    Torna qui ad evidenziarsi l'importanza del rapporto fede-utopia. La creazione dell'uomo nuovo, che l'utopia ci propone, è, infatti, il luogo di incontro tra la liberazione politica e la comunione di tutti gli uomini con Dio; comunione che passa attraverso la liberazione dell'uomo dal peccato, radice ultima di ogni ingiustizia e di ogni contrasto tra gli uomini.

    La radicale «novità» della promessa

    Il discorso dell'utopia è tuttavia ancora un discorso «laico». Va integrato, sul piano cristiano, con la prospettiva escatologica della rivelazione, ancorata al tema della «promessa». Il contenuto dell'escatologia cristiana è la garanzia che il progetto utopico è possibile; anzi è la certezza della sua realizzazione.
    La fede ci dice che gli sforzi per realizzarlo non sono vani, che il definitivo si sta costruendo nel provvisorio; e tutto ciò perché Cristo è morto e risorto per noi. In questo senso, essa assume l'utopia umana e la trascende assicurandoci la attuazione della «patria dell'identità».
    La fede ci apre dunque al dono del futuro, promesso da Dio, evitandoci di confondere il regno con una determinata tappa storica del processo di emancipazione umana. Grazie a ciò ci fa radicalmente liberi di impegnarci nella prassi sociale. Anzi esige e giudica questo impegno. L'identità dell'impegno politico del cristiano e della Chiesa non va perciò ricercata sul piano dei contenuti, cioè di precise indicazioni programmatiche o di criteri immediati per opzioni politiche particolari, ma piuttosto e in modo prevalente, sul piano dell'intenzionalità, nel senso che la fede stimola il credente a vivere, in modo sempre nuovo e creativo, l'avventura storica e a ricercare, con lucidità e con coraggio, le forme concrete di impegno nella prassi sociale.


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