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    Fede e religione in un contesto di secolarizzazione



    Giuseppe Gevaert

    (NPG 1974-7/8-06)

    Prima premessa: lo studio del rapporto esistente tra fede e religione, utilizzando il dato della secolarizzazione come parametro di analisi.
    È un discorso molto importante, quello cui si introduce Gevaert. E pregiudiziale, proprio nel momento in cui siamo preoccupati di impiantare un progetto educativo che permetta di far passare una certa superficiale religiosità giovanile in matura esperienza di fede.
    Troppi educatori sono bloccati da una identificazione burocratica tra la fede e gli atteggiamenti sociali e personali che la esprimono: e si parla volentieri di crisi di fede, solo perché sono crollate molte tradizionali «attività» religiose.
    Oppure, sul versante opposto, qualcuno ipotizza una «fede senza religione» e quindi si dispensa dal tentativo di ricostruire quella pratica religiosa che sembra, in molti giovani, definitivamente dispersa.

    Di fronte alla vastissima problematica richiamata dal titolo «Fede e religione in un contesto di secolarizzazione» le seguenti considerazioni non possono far altro che proporre alcuni semplici rilievi, che forse interessano più direttamente un «cammino di fede».
    Chiunque oggi non si accontenta di una fede sentimentale, superficiale, di sola appartenenza sociologica, prigioniera di pratiche più o meno magiche e soprattutto profondamente contestata dal mondo secolarizzato, deve confrontarsi con la domanda: come vivere, in un contesto di secolarizzazione, una fede adulta e credibile?
    Genericamente si può dire che nel mondo d'oggi una fede adulta e credibile si vede confrontata con tre compiti fondamentali: situarsi nella esistenza umana di fronte alla secolarizzazione; orientarsi in un confronto diretto con il Cristo dei Vangeli; rendersi credibile attraverso una salvezza realizzata nel mondo. Il secondo punto è già trattato altrove; in questa premessa ci fermiamo al primo e al terzo aspetto.

    LA FEDE CRISTIANA NON È IDENTIFICABILE CON «RELIGIONE»

    Non si identifica con una cultura

    È comunemente ammesso che di fronte al mondo secolarizzato, con la sua nuova immagine dell'uomo e del mondo, un determinato tipo di cristianesimo convenzionale non è più vitale e praticabile. Le trasformazioni culturali sono talmente profonde e hanno tale ripercussione sulla presenza della fede cristiana, che W.H. Van de Pol ha ragione quando parla di «fine del cristianesimo convenzionale».
    Fino a qualche anno fa il problema della fede adulta e credibile in un contesto di secolarizzazione era visto anzitutto come un problema di purificazione: eliminare dal cristianesimo tutti gli elementi «religiosi» che ormai non si sostengono al confronto critico con la nuova cultura. Nel seguito di K. Barth e di D. Bonhoeffer molti parlavano di un cristianesimo a-religioso, di fede senza religione, ecc. I teologi della morte di Dio - ormai fuori moda e tramontati - seguivano, spesso acriticamente, le cosiddette tesi sociologiche sul tramonto della religione nella società secolarizzata.
    Certo, non possiamo identificare il Vangelo con una «religione», quando con «religione» intendiamo - in un senso molto ristretto - un insieme di pensiero e di atteggiamenti in cui Dio funziona come colui che deve risolvere i problemi e i bisogni umani. La fede evangelica non coincide con tutto il corredo di pratiche religiose che esprimono questo modo di pensare e di agire appartenenti a una cultura prescientifica e non ancora secolarizzata.
    Se prendiamo sul serio l'autonomia del mondo (scienze, tecnica, organizzazione sociale, economia, ecc.) dobbiamo purificare il pensiero religioso da ogni traccia di fideismo, di miracolismo, di prassi sacramentale più o meno magica, di odio del corpo e del mondo, di fuga di fronte alle responsabilità, di fatalistica rassegnazione, di legittimazione delle situazioni di ingiustizia esistenti nel mondo, ecc. Tale critica purificatrice non riguarda in primo luogo la chiesa ufficiale, ma la vita cristiana dei singoli credenti: la struttura «religiosa» della loro fede.
    Il fatto dunque che tutto un modo di pensare, tutto un insieme di pratiche religiose non quadrano più perfettamente con la nuova immagine dell'uomo e del mondo non è un disastro. È una felice possibilità, che permette di vivere una religiosità evangelica più degna dell'uomo e più rispondente alla volontà del Creatore.
    Su questo punto il Vaticano II ha già detto e accolto le cose principali. Gaudium et spes, n. 58 sottolinea che la fede cristiana, pur avendo bisogno di incarnarsi nelle culture, non si identifica con nessuna in particolare. Aperta a tutte le culture, ha anche il compito inderogabile di ripensare il proprio inserimento culturale, in modo che il messaggio evangelico possa essere sentito e compreso dappertutto.

    La fede non è un ghetto religioso

    La ricerca di una fede adulta e credibile è molto più interessata al fatto che la secolarizzazione della cultura tende a confinare la fede nell'ambito di un ghetto religioso (indipendentemente dal fatto che questa religiosità sia stata purificata o meno). La religione sarebbe soltanto una sfera soggettiva e privata, isolata dal mondo profano, che non ne ha bisogno.
    Rifiutare di ridurre la fede a una «religione» significa perciò anche - molto esplicitamente nel Vaticano II - rifiutare la riduzione della fede evangelica a un insieme di credenze e di pratiche isolate dalla vita umana: rifiutare il dualismo tra fede e mondo. Un cristianesimo incapsulato in una «sfera religiosa» è assolutamente alieno all'essenza della fede evangelica. Confrontandolo con tratti manifesti di altre religioni, si potrebbe vedere il cristianesimo come una religione «secolare» in quanto l'adorazione di Dio, l'affidarsi a Dio, deve essere vissuto anzitutto nella concretezza della vita e nell'amore dei fratelli. Il Vaticano II (Lumen Gentium, n. 34) rivendica chiaramente questa caratteristica:
    «Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo».
    Una fede cristiana adulta deve dunque immergersi nella realizzazione positiva dei grandi compiti umani, mediante i quali si attua l'amore dei fratelli. Deve adorare Dio nella lotta per l'umanizzazione del mondo, nel lavoro, nella scienza, nella tecnica, nella politica, nella cultura...

    La fede critica la religione

    La critica della religione non è soltanto un fenomeno connesso con la secolarizzazione. Lungo tutta la tradizione ebraico-cristiana essa si fa anche in nome di una più autentica adorazione di Dio.
    L'AT illustra la mordente critica dei profeti nei confronti della religiosità del loro tempo: gli atti di culto, i sacrifici, l'osservazione del riposo festivo, l'elemosina per il tempio, i gesti di appartenenza religiosa, diventano controtestimonianza e non-senso se vengono staccati dalla ricerca di Dio attraverso la pratica di una autentica giustizia e carità verso il prossimo, secondo le esigenze del tempo. Ogni autentica fede implica una dimensione di critica nei confronti delle espressioni culturali-religiose del tempo.
    Il NT va più in profondità nella critica della religiosità esistente. L'adorazione di Dio nello Spirito e nella verità non è separabile dall'amore radicale del prossimo. I Vangeli, come le lettere degli apostoli, contengono numerosi elementi di questa critica religiosa: nel nome della vostra tradizione... Gesù, come prima i profeti, e più tardi gli apostoli, è stato perseguitato e ucciso in nome della «religione»...
    Nella tradizione cristiana questa componente critica è sempre stata praticata, specie ad opera dei fondatori religiosi e delle figure profetiche.

    Fede senza religione? Il pericolo di una fede secolarizzata

    La fede cristiana, come atteggiamento della persona di fronte a Dio, non è identificabile con l'appartenenza a una struttura ecclesiale, con un quadro dottrinale, pratiche religiose, codice morale, strutture, ecc.
    L'essenza della fede cristiana è invece nella «comunione di spirito con il Dio vivente» (J.H. Walgrave, Parole de Deu et existence, Tournai 1967, p. 57). È prendere un atteggiamento vivo e reale verso il Dio di Gesù Cristo, nel senso in cui Egli lo ha insegnato e lo ha mostrato con la propria scelta di vita e come tuttora viene insegnato dalla comunità cristiana. «Credere non significa accettare come verità indirettamente dimostrata una serie di proposizioni su Dio. Credere è impegnarsi liberamente rispondendo a un invito, a un messaggio di salvezza da parte di Dio, che ci viene rivolto mediante Gesù Cristo ed è annunciato dalla Chiesa» (ibid., p. 211).
    Tuttavia esiste un reale pericolo, cercando una fede adulta e credibile in un contesto di secolarizzazione, di ricadere in un altro estremo: cercare Dio unicamente nella trasformazione del mondo; tralasciare tutte le tradizionali espressioni religiose e ridurre la fede a un servizio qualificato del prossimo. La «inutilità» e «non-funzionalità» della religione per la realizzazione del mondo culturale e umano invita non pochi a pensare nella linea della fede secolarizzata. In modo particolare - e a differenza dei loro educatori, che danno più importanza alla purificazione della religione - molti giovani stentano a comprendere la necessità di inquadrare «religiosamente» i grandi valori della cultura contemporanea.
    In questa prospettiva orizzontalista si mette tra parentesi, o comunque si considerano fattori «secondari» l'adorazione di Dio, la preghiera, il culto, i sacramenti, l'assemblea dei credenti, ecc. Il cristianesimo viene ridotto all'amore del prossimo, alla fraternità, con qualche riferimento a Gesù Cristo, visto però in primo luogo come «uomo» e «riformatore» della società.
    Quando, in questo contesto, si tende a scartare la componente «religione» si tratta dunque di qualcosa di molto fondamentale: il mondo soprannaturale, cioè l'insieme di adorazione di Dio e di salvezza umana operata da Dio e celebrata in gesti ed espressioni religiose.
    Questo indirizzo orizzontalista non è criticabile per il fatto che insiste sull'amore del prossimo (è un dato assolutamente cristiano...), ma perché parla soltanto di questo e perché tende a ridurre tutto a questa sola realtà. La fede cristiana senza virtù teologali, senza la fede in Dio Creatore e Padre nostro, senza culto in cui si celebrano i misteri della salvezza, senza appartenenza a una comunità di fede... è non-senso.
    La presenza della Chiesa in un contesto di secolarizzazione non diventa credibile per il solo fatto che si trasforma in un'organizzazione umanitaria, sociale o politica. Essa è un popolo-testimone. La sua missione fondamentale consiste nell'aiutare e nel radunare coloro che cercano Dio nella loro vita.
    In questo senso una fede senza religione non è pensabile.

    FEDE CRISTIANA E RELIGIOSITÀ UMANA

    Una fede adulta e credibile in un contesto di secolarizzazione deve sapersi giustificare, cioè deve situarsi nell'esistenza umana. Questo, oggi, è certamente un problema centrale. Non è possibile accettare ragionevolmente la fede se non si vede che essa risponde a una struttura e a problemi inalienabili della nostra esistenza umana. Se la fede è «in-utile» e «non-funzionale», essa deve tuttavia manifestarsi come estremamente «importante», poiché risponde a problemi decisivi della vita.

    La religione risponde al senso della vita

    La fede cristiana non può comprendersi senza religione, cioè senza l'orientamento umano verso Dio e senza le problematiche esistenziali in cui questo orientamento si manifesta. Vi sono religioni perché l'uomo è un essere religioso, e non il contrario. E tale è anche nel mondo secolarizzato.
    Al di là della veste culturale che distingue e divide, le diverse religioni (Induismo, Buddhismo, Islam, ecc.) hanno in comune la problematica umana alla quale cercano di offrire un abbozzo di risposta, indicando una via di salvezza.
    «Gli uomini delle varie religioni attendono la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e il fine del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo» (Vat. Il, Decl. Nostra Aetate, 1,3).
    Con Paul Tillich possiamo accennare al fatto che l'uomo è un essere religioso perché si sente afferrato da qualcosa che lo concerne incondizionatamente. Religione è riconoscere che l'uomo non ha l'esistenza da se stesso e che dipende totalmente, nell'origine e nel destino, da un Altro, che investe incondizionatamente la sua esistenza. Questa religiosità non scaturisce dalla prassi religiosa, ma dalla vita umana.
    In altre parole, non è possibile che una persona umana prenda radicalmente sul serio, in senso autentico e critico, la realtà umana, senza che si senta confrontato personalmente con quella problematica di fondo di cui precisamente si occupano tutte le religioni e tutte le antropologie aperte. Molti operatori pastorali e catecheti vanno in questa linea quando si tratta di realizzare un cammino di fede, scoprire che la religione, in un senso generale e fondamentale, riguarda il problema del senso della vita umana e del futuro dell'uomo; indicare alcuni fenomeni umani che, indipendentemente dagli atteggiamenti personali, possono essere riconosciuti come esperienze religiose originarie. In questo senso E. Feifel per la catechesi degli adulti.
    «Ad esse appartengono - afferma Feifel - la felicità della vita umana, il superamento dell'ingiustizia e dell'inumanità, l'esperienza dell'amore, nonché le esperienze della delusione. dell'angoscia, della fuga di fronte alla responsabilità, dell'infedeltà, come anche dell'impotenza e della solitudine, che sono collegati con la realtà del male in questo mondo. Si possono dunque considerare come originariamente religiose tutte le esperienze che al di là della conoscenza empirica indicano una dimensione trascendente o una dimensione di profondità che tocca la coscienza umana» (E. Feifel, in Erwachsenenbildung, Einsiedeln 1972, p. 59).

    Fede cristiana: espressione compiuta della religiosità umana

    Qualsiasi manifestazione autentica di religiosità ha affinità profonda con la fede cristiana. La teologia cattolica si orienta sempre più a vedere nella religiosità umana un insieme di «vie», che trovano la loro espressione compiuta e perfetta nella fede cristiana. L'appello di Dio non riguarda unicamente i confini della chiesa organizzata, ma si fa sentire dappertutto nell'umanità. Le diverse forme di autentica pietà possono perciò essere considerate come «salvifiche». K. Rahner afferma:

    «Questa pietà extra-ecclesiale può generalmente avere valore salvifico. Il cristiano non la deve considerare come un tentativo puramente umano che vuol costruire «dal basso» un rapporto con Dio. Di fatto, questa pietà è intrinsecamente animata dalla grazia divina, che viene liberamente offerta a tutti gli uomini. Esso porta salvezza ad ogni uomo che obbedisce all'esigenza assoluta della coscienza ed esprime oggettivamente in qualche forma di pietà il rapporto di questa obbedienza con Dio. Il cristiano cattolico e il teologo possono dunque accettare fondamentalmente che, di fatto, ogni pietà sincera e conforme alla esigenza della coscienza è portatrice di salvezza, è animata dalla grazia divina e, in questo senso, è già cristiana, pur restando anonima» (K. Rahner, Kirchliche und ausserkirchliche Religiosität, in Stimmen der Zeit, 98 (1973), n. 1, p. 5).

    Questo ha come conseguenza che la fede cristiana, vissuta nel quadro della chiesa cattolica, vede se stessa in un senso costruttivo e perfettivo nei confronti di tutte le forme particolari di vita religiosa e di autentica pietà. La chiesa è un segno particolare di quella grazia salvifica destinata e offerta a tutti gli uomini.
    «Il carattere ecclesiale - osserva ancora Rahner - non è la forma iniziale della grazia, ma la forma terminale. Con sovrana libertà la Grazia chiama alcuni uomini a far chiesa, cioè a essere un segno storico della presenza vittoriosa della grazia divina nel mondo. Di fatto, anche se il messaggio di Gesù è destinato a tutti gli uomini, la chiesa è nella storia dell'umanità un segno particolare di quella grazia divina che è presente in tutte le forme di pietà dove un essere umano obbedisce alla voce impellente della coscienza» (art. cit., p. 5).

    FEDE LIBERATRICE

    Una fede adulta e credibile in un contesto di secolarizzazione deve anche essere «liberatrice». Se la fede cristiana non consiste soltanto nell'affidarsi a Dio nel santuario del cuore, ma nel cantiere della vita, è importante che la «salvezza» di Dio sia effettivamente e tangibilmente presente nel comportamento e nella convivenza umana dei cristiani. La forza salvifica e liberatrice di Dio deve essere «verificabile» nell'azione liberatrice e nella effettiva libertà dei cristiani.
    In un contesto di secolarizzazione, teso verso la liberazione dell'uomo, vi è anzitutto una particolare sensibilità per l'impegno cristiano in questo senso. Una fede adulta deve incarnarsi in tutti i valori e nelle imprese che dall'uomo d'oggi sono giudicati centrali e fondamentali per la liberazione umana.
    Ora, l'amore del prossimo, che il Cristo esige come condizione sine qua non dell'amore di Dio, non è possibile senza l'impegno per un insieme di realtà oggettive che assicurano l'attuazione dei grandi valori e ideali dell'uomo: giustizia sociale, pace, diritti fondamentali, ecc. Una fede che non si impegnasse a fondo per la causa della liberazione umana dovrebbe apparire come mistificazione e fuga. L'Episcopato italiano (Documento di base, n. 97) desidera perciò che «i temi della pace, della libertà, della giustizia sociale, dell'impegno culturale e politico, della collaborazione internazionale» entrino nella catechesi.
    In secondo luogo va osservato che la liberazione dell'uomo alla quale una fede adulta e credibile collabora, non va senz'altro identificata con una riforma delle strutture economiche, politiche, sociali e culturali. Vi è una liberazione che si manifesta a livello personale e interpersonale. Essa scaturisce dalla conversione del cuore e dalla certezza dell'amore divino che «porta» la nostra esistenza. Essa è una prospettiva di speranza eterna che libera tutte le liberazioni umane.
    È la liberazione che il cristianesimo indica come «frutti dello Spirito»: carità, gioia, pace, pazienza, servizio, bontà, fiducia nell'altro, dolcezza, equilibrio, dominio di sé... (Gal 5,22).
    «Se la fede cristiana - annota A. Dondeyne - non riuscisse a fare del cristiano un uomo migliore, se non portasse nel mondo un amore più grande e più fine verso l'altro, difficilmente potrebbe essere riconosciuta dall'umanità moderna come "lieto messaggio" da parte di Dio: un messaggio che non soltanto annuncia cose liete per più tardi, ma che le realizza effettivamente già adesso. Anzi se dovesse risultare che la fede nel Dio di Gesù Cristo non ci porta più vicini al prossimo, o non costituisce una forza positiva per la costruzione di un mondo più umano. basato su "verità e giustizia, amore e libertà" (Pacem in terris), tale fede dovrebbe dare l'impressione di essere una specie di alibi, cioè una temibile mistificazione» (in Grondvragen van de gelovige mens, Antwerpen 1969, p. 45).
    In terzo luogo va ricordato che la fede cristiana ha una funzione liberatrice quando è autenticamente fede nel Dio trascendente. Credere in Dio, professarsi creatura, celebrare la liberazione operata da Dio in Cristo, credere nella comunione eterna... è un atto rivoluzionario, che contesta a fondo le pretese di salvezza assoluta operata dall'uomo. La libertà che il cristiano vive, in un contesto di secolarizzazione, credendo in Dio e vivendo religiosamente, è un'azione autenticamente liberatrice, perché contesta radicalmente gli idoli della cultura secolarizzata: la razionalità e la funzionalità, l'avere, il potere, il rendimento, la dittatura, ecc. La fede diventa, in tal modo, una forza umanizzatrice, che restituisce all'uomo in qualunque modo oppresso, la dimensione di speranza e di amore. Questa fede è una vera risposta al mondo secolarizzato e una giustificazione della sua esistenza. Potrebbe far riflettere l'osservazione di Th. W. Adorno (in Frankfurter Hefte, 13 (t958, p. 485):
    «Se una religione non è più accettata per la sola ragione di essere vera, ma per qualche altra ragione, essa mina se stessa. Il fatto che molte religioni positive oggi accedono così facilmente a questa posizione presentandosi preferibilmente in una posizione di concorrenza con altri organismi pubblici, manifesta chiaramente che esse internamente non credono più alla propria verità».

    CONCLUSIONE

    Dalle indicazioni precedenti - troppo brevi e schematiche - risulta comunque che un cammino di fede, in un contesto di secolarizzazione è cosa assai impegnativa. Non identificare il cristianesimo con un particolare tipo di religiosità vissuta finora e destinata a un definitivo tramonto. Non rifiutare la religione in nome della purezza della fede, poiché una fede non più ancorata nella problematica esistenziale di ogni essere umano, appare presto come inutile sovrastruttura e cessa di essere fede cristiana. I compiti più urgenti sono la riscoperta della dimensione religiosa nel cuore della vita umana vissuta nel mondo; l'accentuazione più netta, al di là delle molte incrostazioni storiche della pietà popolare, delle linee portanti del Vangelo e del centro della testimonianza del Cristo morto e risorto; una effettiva testimonianza che mostra la forza liberatrice della fede religiosa e evangelica.
    Lungo questa pista si può evangelizzare la religiosità dei giovani perché diventi fede cristiana adulta e credibile.


    T e r z a
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