Giulia Caffaro Rore
(NPG 1974-02-55)
UN CRISTIANO NELLA SCUOLA: PROBLEMI
Il cristiano che vive nella scuola, insegnante o allievo, sente di dover giocare la propria fede all'interno del suo quotidiano, cioè nella scuola stessa: siamo tutti d'accordo. Ma quando ci chiediamo in termini concreti cosa deve fare il cristiano nella scuola, allora la risposta diventa, a parer mio, molto difficile.
Una costatazione facile: manca una chiara coscienza politica
Parto dall'esperienza personale. All'interno del mio istituto esiste un gruppetto di una decina di allievi che si definisce «comitato di base», si dichiara unico organismo rappresentativo degli studenti e si presenta come autoeletto. Per me sorge il problema di capire come si possa definire organismo rappresentativo di 900 studenti un gruppetto autoeletto. Propongo a questo «comitato di base» un confronto con la base, cioè propongo di chiedere in assemblea a tutti gli studenti se riconoscono questo «comitato di base», ma il comitato di base non vuole questo confronto. Ed è più che evidente il perché non lo vuole. Penso di poter dire con certezza che su 900 allievi cinquanta o al massimo cento accettano e riconoscono il comitato di base, gli altri non ne vogliono sapere.
Mi chiedo: questa forte maggioranza silenziosa non ha una sua idea? Come mai tutti questi studenti non sono in grado di far sentire la loro voce e di proporre un organismo rappresentativo degli studenti, diverso dal comitato di base che loro stessi non accettano più? Qualcuno sostiene che solo quelli del comitato di base hanno capito problemi della scuola: tutti gli altri non hanno capito. Se è così, mi chiedo che preparazione umana hanno dei giovani che a 18 anni, vivendo nella scuola, non si accorgono dei gravi problemi che agitano la nostra scuola? Forse nessuno ha loro insegnato a fare un'analisi della situazione in cui vivono. Qualcun'altro sostiene che tutti conoscono i gravi problemi della scuola, ma che la maggioranza si disinteressa e lascia a quel piccolo gruppo il compito di portare avanti un certo discorso di protesta. Ma questi ragazzi che oggi sono disposti a delegare altri per risolvere problemi della scuola domani non saranno i cittadini che delegheranno, altri a risolvere i problemi sociali e politici? L'assemblea all'interno della scuola dovrebbe essere, a parer mio, i momento in cui ognuno esprime il suo pensiero per confrontarsi con gli altri; come mai così pochi allievi partecipano alle assemblee e sono sempre gli stessi quelli che prendono la parola? Molti dei presenti all'assemblea non sono d'accordo con quanto dicono quei pochi che si alternano al microfono, ma invece di intervenire, si alzano e se ne vanno. Perché?
Ma questo non è un ritirarsi dalla storia? A tutti questi interrogativi io ho trovato solo una risposta: gli studenti non sono preparati politicamente.
È meglio una scuola senza politica?
Molti insegnanti a questo punto dichiarano: è meglio la scuola dove si insegnano le materie scolastiche e le si insegna bene piuttosto che perdere tempo in assemblee e in discussioni. Ma io mi chiedo: la scuola che noi vogliamo deve preparare il tecnico o deve preparare l'uomo, o meglio un «uomo nuovo»? Un istituto per periti aeronautici che non prepara in aeronautica o tecnologia non assolve al suo compito, ma una scuola che prepara esclusivamente dei tecnici assolve il suo compito? L'esperienza di cui vi ho parlato mi ha fatto sentire l'esigenza di preparare i giovani ad una discussione e di sviluppare in loro uno spirito critico, affinché giungano ad avere idee personali e sappiano sostenerle con convinzione. A mio parere c'è un altro motivo che dimostra la necessità di sviluppare nei giovani lo spirito critico. A fianco della scuola ufficiale esiste la scuola parallela; da una parte l'insegnante trasmette un certo tipo di cultura, dall'altra mezzi come la televisione, la radio, i cinema, i giornali, la pubblicità, forniscono tutt'un altro insieme di informazioni. In tempi passati il giovane si trovava davanti ad una sola proposta perché la famiglia, la scuola, il parroco trasmettevano gli stessi valori. Ora il giovane si trova ben presto al centro di gravi conflitti generati dalle proposte contrastanti che riceve. Di qui nasce la necessità di saper scegliere fra le proposte; e come può essere fatta questa scelta se non ponendosi di fronte alle diverse alternative con spirito critico?
I rapporti tra le persone nella scuola...
Ma forse bisogna fare un passo indietro: gli insegnanti sono in grado di preparare gli allievi perché essi possano fare delle scelte libere e consapevoli? A me pare che la prima caratteristica necessaria sia l'apertura al dialogo; ma un'apertura sincera. Quando l'insegnante si mette in rapporto con l'allievo cerca veramente di assumere dall'allievo quanto c'è di positivo nel pensiero dell'allievo stesso o cerca solo di fargli accettare le sue idee, convinto che l'insegnante sa e deve trasmettere il suo sapere all'allievo che non sa? È anche questa soltanto una domanda.
Il rapporto insegnante-allievo, a mio parere, avviene troppo spesso attraverso i ruoli, molto raramente ci si pone davanti agli allievi con la vera convinzione che da tutt'e due le parti c'è qualche cosa da dare e qualche cosa da ricevere. È necessaria una grande umiltà per accettare questo. Ma questo dialogo con scambio di idee che potrebbe portare ad una maturazione di tutti e che dovrebbe essere il primo passo per camminare insieme spesso non avviene neppure fra insegnanti.
Le cose mi pare che stiano ancora peggio nel rapporto insegnanti-famiglie-allievi. Come mai in una assemblea insegnanti-famiglie-allievi avvengono scontri violenti fra genitori e insegnanti, ma più ancora fra genitori e allievi? Forse le famiglie non hanno colto molto dei problemi della scuola. È vero quanto si dice: alla famiglia in genere interessa solo il voto? Dobbiamo ancora rinunciare a coinvolgere le famiglie nella gestione della scuola? Io direi di no, ma bisognerà cominciare un discorso di preparazione a questa collaborazione fra le diverse componenti della scuola, e certamente è un discorso tutt'altro che facile.
UNA SCUOLA DIVERSA
È un discorso che secondo me deve partire da molto più lontano, deve partire da una visione di una scuola umanizzante. Questo non è un problema che riguarda solo gli insegnanti di lettere o di filosofia o gli insegnanti di matematica, ma che deve essere sentito anche dagli insegnanti di materie tecniche, se crediamo che le realtà terrene abbiano un significato teologico.
La convinzione di molti è che l'insegnante di lettere o di filosofia abbia davvero in mano la possibilità di rendere umanizzante o non umanizzante la scuola; ma è altrettanto convinzione di molti che l'insegnante di materie tecniche non possa fare altro che spiegare la sua materia, così com'è senza possibilità di alternative. È veramente molto difficile, lo riconosco, dare un valore umanizzante alla spiegazione di come è fatto un aereo. Ho sentito più di una volta ingegneri parlare in questi termini: «Quando spiego come è fatto un certo motore aeronautico non posso che descriverlo così com'è, non ha senso discutere con gli allievi», ma un motore aeronautico 10 anni fa era ben diverso da quello di oggi e fra uno o due anni non si costruirà più un motore aeronautico come quello che io spiego oggi, quindi non è una realtà così assoluta e indiscutibile. Lasciar fare all'allievo qualunque domanda, sentirsi chiedere il perché di ogni particolare tecnico è spesso veramente scomodo; però mi pare che sviluppi nell'allievo la curiosità di sapere e il sapere deve tradursi in pensare e in capire, con lo scopo di agire sulla realtà per trasformarla, e in questo mi pare che proprio la tecnica sia un campo molto adatto. Il prospettare le diverse soluzioni tecniche di uno stesso problema, l'attento studio dei motivi che hanno fatto operare la scelta di una soluzione piuttosto che un'altra, lo reputo utilissimo per preparare l'allievo a porsi davanti a qualsiasi realtà con spirito critico e con la convinzione di potere e di dovere intervenire sulla realtà stessa per modificarla, sempre alla ricerca di soluzioni migliori.
Lasciar spazio alla capacità inventiva
Tutto il progresso è, secondo me, un continuo rinunciare alla sicurezza della meta raggiunta per tendere a progetti più avanzati. Io vedo veramente un'analogia fra la storia ed il progresso tecnico in questa continua evoluzione, in questo continuo tendere ad una soluzione migliore, pur sapendo che quando l'avremo raggiunta non potremo fermarci, ma dovremo procedere verso altre mete ancora da scoprire.
In questo continuo scoprire bisogna lasciar spazio alle capacità inventive del giovane; mi par di sentire i miei colleghi che sostengono che i nostri allievi non hanno le basi e che quindi è ridicolo parlare di invenzioni. È vero, le loro invenzioni in campo aeronautico non saranno brevettate da nessuna industria, né la NASA si interesserà di conoscerle prima di preparare i prossimi lanci sulla Luna, ma non penso sia opportuno bloccare gli allievi per questo. Penso sia meglio discutere con loro delle loro invenzioni, dimostrando loro, o, meglio, facendoli arrivare a capire perché la loro invenzione non funziona o non risponde ai requisiti richiesti.
Tutte queste sono soltanto parole. Io riconosco anch'io: mi sono trovata veramente in difficoltà a far scendere nella pratica questi discorsi. Non c'è una ricetta. Ognuno di noi deve inventare giorno per giorno forme nuove adatte alla sua situazione particolare. Certo è molto più comodo continuare a spiegare come abbiamo sempre fatto; ma se richiediamo ai giovani spirito inventivo perché non cominciamo a provare noi? C'è chi dichiara che in molti studenti c'è una certa pigrizia e la volontà di fare il minimo. Forse gli studenti potrebbero rivolgere a noi, insegnanti di materie tecniche, la stessa accusa se non abbiamo il coraggio di cercare alternative ad una forma di insegnamento che certo non è umanizzante.
Una scuola nuova nasce da uomini nuovi
È necessario cambiare i metodi di insegnamento, pur sapendo che questo non basta; bisognerà, per giungere ad una scuola veramente umanizzante, cambiare anche i contenuti e le strutture. Ma bisogna cambiare anche i rapporti fra insegnante e allievi: bisogna che l'insegnante scenda dalla cattedra, ma non solo a parole, bisogna che dimostri veramente di credere che come ci si salva insieme così ci si educa insieme.
Per questo io vi inviterei a cercare tutte le occasioni possibili di contatti con gli allievi. Io ho accolto un gruppo di exallievi, ci incontriamo una sera alla settimana per lavorare per il terzo mondo, organizziamo cose impegnate come recital e cose disimpegnate come gite o tornei di ping-pong. Ho imparato moltissime cose proprio in questo vivere insieme. Questa mia esperienza è una cosa strana per la scuola pubblica. Il mio invito è di non sottovalutarle; sono momenti veramente importanti per imparare a conoscerci e forse ci aiuteranno a capire come deve essere la scuola nuova.