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    Appunti per una pastorale dei preadolescenti



    Erminio De Scalzi

    (NPG 1974-03-02)

    Alla riflessione degli operatori pastorali offriamo questo contributo che, tra le altre cose, ha il pregio della concretezza, perché è nato in una chiesa locale, come «proposta» del centro diocesano ACR. Chi ha le mani in pasta non stenterà a riconoscere molte delle quotidiane preoccupazioni che assillano i responsabili della pastorale dei ragazzi. Anche il quadro delle risposte suggerite nella parte conclusiva, pur nella necessaria brevità, indica punti di raffronto davvero stimolanti per una seria progettazione pastorale.
    Comunque il discorso è aperto. Sia a livello di sintesi (e rimandiamo per visioni complementari a 1973/2 e 1973/5) che di singole suggestioni operative.
    Nel Centro Salesiano Pastorale Giovanile e nel gruppo redazionale sta prendendo consistenza una équipe di lavoro, tutta protesa al servizio della pastorale dei preadolescenti, attraverso l'elaborazione di sussidi e la proposta di pagine di studio.
    Il dialogo con i lettori interessati alla pastorale dei preadolescenti è quindi oggi più concreto e... urgente.

    PROBLEMI CHE NASCONO DA ALCUNE SITUAZIONI CHIARAMENTE DOCUMENTABILI

    Pur circoscrivendo la mia esposizione all'aspetto strettamente pastorale ed ecclesiale, vengono subito alla luce problemi che nascono da situazioni chiaramente documentabili anche dal giovane educatore e che chiedono alla nostra pastorale interventi e cambiamenti precisi. L'attenzione a questi problemi è la condizione indispensabile anche per dare l'avvio ad alcune esperienze.

    Una comunità adulta che non è più cristiana

    È finita l'epoca di una cristianità costituita anche a livello di Chiesa locale, dove educare significa introdurre in un'area cristiana e in strutture di un contesto cristiano omogeneo.
    Il preadolescente, poi, da parte sua incomincia a percepire, guardando soprattutto al mondo degli adulti, una non sempre riscontrabile identità fra praticante e credente. Oggi cioè al ragazzo manca il sostegno della comunità adulta.
    Questa costatazione pone il problema della catechesi degli adulti come una opzione fondamentale della pastorale.
    * In un tempo in cui gli adulti erano fondamentalmente cristiani (a questo punto si potrebbe aprire una lunga discussione) educare era principalmente uno sforzo teso ad aiutare i piccoli a crescere da cristiani, ma oggi la realtà è cambiata: la comunità adulta è «in diaspora» e occorre quindi forse mutare la rotta.
    * Una pastorale che punti esclusivamente sui ragazzi e sui giovani, sicura che poi essi si trasformeranno in cristiani maturi è illusoria e sconfessata dalla realtà di oggi.
    * Il primato della pastorale agli adulti però, non significa in nessun modo abbandono dell'attività tra i piccoli, anzi ne costituisce la vera possibilità.
    * A contatto con le situazioni concrete ci si accorge che le parrocchie le quali si pongono seriamente il problema dei ragazzi e dei giovani avvertono contemporaneamente anche il problema del loro rinnovamento: il preadolescente, con le sue doti di sincerità, schiettezza e generosità, interpella la religiosità dell'adulto e diventa a volte «impietoso invito» all'adulto per una autenticità di fede. Occorre quindi che ogni parrocchia si metta in ascolto del mondo dei ragazzi.
    I ragazzi hanno molte cose da dirci: è la scoperta di tanti sacerdoti che hanno rivolto una attenzione particolare al problema della preadolescenza. Partiti con l'intento di far qualcosa per i ragazzi ci si è accorti della ricchezza dei doni di cui essi stessi sono portatori all'intera comunità ecclesiale.

    L'incidenza della secolarizzazione anche a questa età

    Il nostro è un mondo dove Dio, più che negato, è assente. Quanto il ragazzo oggi legge, sente, vede, incontra come esaltazione del tempo in cui vive, non è altro che opera dell'uomo. Gli diventa sempre più difficile trascendere la creazione in direzione del Creatore. Si pensi allo spazio e al favore riservato ad una certa propaganda che, se non è negazione diretta della fede, è certamente «proposta di vita senza fede» o denuncia della fede come ostacolo a un pieno sviluppo della vita.
    Il discorso è decisamente negativo se per secolarizzazione noi intendiamo solo perdita di valori, non è più tale se invece parliamo di perdita di un certo tipo di valori che non dicono più nulla al preadolescente, anzi a volte parlano in senso contrario. È un po' il discorso di togliere l'orpello per trovare al di là qualcosa di più prezioso e di più autentico.
    È il caso di chiederci fino a che punto conosciamo il ragazzo, come inserito nel suo ambiente, nel suo entroterra di interessi particolari, o quanto piuttosto operiamo su di un ragazzo studiato su manuali, seppur scientifici, di psicologia.

    Il pluralismo ideologico

    Nessuno misconosce, per un verso, la validità del pluralismo.
    Il ragazzo lo incontra fin dalle scuole medie nella persona degli insegnanti: esso sostituisce l'ambiente portante di ieri, la compattezza di una comunità credente che certamente era di grande aiuto ad una decisione personale della fede. Questo però crea dei problemi!
    Occorre aiutare i ragazzi a fare unità, dando dei criteri di giudizio. Possiamo agire seguendo una certa teologia, ma ricordiamoci sempre che siamo pastori. La vita dei ragazzi continua e ha bisogno di noi al di là delle nostre dispute, di noi che spesso preferiamo alla voce del magistero quella dei «competenti».
    Certo questo non significa non assumersi i propri limiti e recitare la parte dell'educatore ideale che ha risolto tutti i problemi e non ha più nulla da scoprire e da conquistare.

    La contestazione, nel campo della fede, anche a livello di scuola media inferiore

    Non è più mistero ormai per nessuno questo fatto, alimentato da insegnanti giovani, usciti da gruppi estremisti che cercano di portare a livello di scuola media inferiore, quanto forse va perdendo campo nella superiore (non parlo della giusta contestazione e progettazione della scuola). È il problema della presenza cristiana all'interno della scuola e nel nostro caso all'interno della scuola media inferiore.
    Il problema si renderà sempre più urgente con l'entrata in vigore delle due grandi novità in campo scolastico di prossima realizzazione: il distretto scolastico e la scuola a tempo pieno.
    Certo l'aggettivo «prossimo» in queste cose non ha la velocità della luce, ma non ci dobbiamo far prendere in contropiede. Occorrerà preparare giovani che siano capaci di assumere il ruolo di educatori, di animatori del tempo libero, capaci di un impegno di partecipazione alla gestione del discorso politico della scuola. Sarebbe indice di disimpegno se queste attività finissero per diventare «proprietà privata» di giovani di certe tendenze, e non fossero cogestite anche dai cristiani.
    Anche i sacerdoti però dovranno curare i modi di presenza cristiana all'interno della scuola media.
    Normativo - per i ragazzi della media - come punto di partenza e di arrivo, in questo campo, deve essere sempre il gruppo parrocchiale dove il ragazzo a questa età è pienamente inserito. Questo ambito è chiamato ad essere il gruppo di riferimento e di sostegno per tutti i ragazzi che vivono nella scuola media.
    Nulla però impedirà di ritrovare, all'interno della scuola, dei momenti precisi nei quali tutti coloro che nella scuola si dicono cristiani, si ritrovino, specie quando si è interpellati su alcuni problemi, a dare la propria risposta cristiana.
    Gli assistenti degli oratori che operano in una zona dovrebbero ritrovarsi per studiare assieme i modi, i tempi, le strutture e i contenuti di questa presenza e demandare ad uno di essi il compito di esercitare questo impegno, di tenere i contatti con gli insegnanti e con i sacerdoti e le associazioni di quartiere.

    Il numero rilevante di preadolescenti in diverso modo disadattato o handicappato

    Secondo l'autorevole parere di medici, psicologi, assistenti sociali, magistrati e secondo anche la nostra diuturna presenza pastorale tra i ragazzi, è impressionante il numero di questi ragazzi.
    Sono i ragazzi, comunque disadattati, presenti in percentuale rilevante anche nelle nostre comunità ecclesiali, nei nostri gruppi e nei nostri quartieri. È tutta una gamma di ragazzi impediti di frequentare la scuola, avviati per motivi di bisogno economico ad un lavoro in età minorile, fino a quelli dediti a droga, fughe e con precoci esperienze sessuali.
    Questa costatazione crea il problema di «una pastorale speciale» o almeno di una attenzione preferenziale a tali ragazzi.
    L'assenza di tale preoccupazione e una mancata conoscenza precisa della situazione all'interno della nostra parrocchia, non è segno di pastorale personalizzata.
    Una indagine, di valore chiaramente strumentale, potrebbe far luce su eventuali situazioni esistenti nella nostra parrocchia per operare fattivamente a rimuoverle.

    Il fenomeno della riduzione delle presenze

    La frequenza dei preadolescenti nelle nostre comunità ecclesiali va progressivamente riducendosi. Questo fatto comporta alcune evidenti domande:
    * Esiste una documentazione ed una rilevazione pastorale nelle nostre parrocchie?
    * Se sì, è stata discussa per trovarne le motivazioni di fondo?
    * È stata una presa di coscienza solo a livello di sacerdoti o di tutta la comunità...?
    * Questa costatazione quali strumenti di accostamento dei ragazzi ha messo in atto?
    Va notato subito che non si parla solo di riduzione numerica, cioè di riduzione rilevabile in cifre, ma soprattutto di riduzione negli indici abitualmente usati per valutare la vita di fede della comunità giovanile o adulta. E cioè: della frequenza alla messa domenicale, della vita sacramentale, dell'accettazione, a livello di quotidianità della vita, di un relativismo di dottrina e di comportamenti morali caratteristici del nostro tempo, di conoscenza ridotta ai minimi termini di contenuti dottrinali, di pochissima percezione di senso di corresponsabilità ecclesiale, anche se richiesto a misura di questa età.

    La catechesi: un bilancio fallimentare?

    Don Milani in un suo libro del 1953, Esperienze pastorali, discutibilissimo per altro in alcuni aspetti, si poneva già il problema, faceva il calcolo di tutte le ore di catechesi che un ragazzo aveva «subìto» negli otto anni della scuola d'obbligo, concludendo poi con amare considerazioni.
    Non si vuole drammatizzare né generalizzare, ma questa costatazione apre tutto il problema della catechesi e del come si opera la catechesi.
    Si impongono allora alcune domande:
    * Ha operato la nostra catechesi quella rivoluzione di strutture, di contenuti, di metodi e di tempi che il Documento di Base ha portato nella Chiesa italiana?
    * La nostra catechesi, fa veramente sintesi tra fede e vita, con una attenzione alla vita dei ragazzi?
    * È risposta ai problemi personali dei ragazzi e alle realtà sociali sulle quali il ragazzo si apre con una certa precocità?
    * È coordinata agli orizzonti culturali e a tutte le altre agenzie di informazione e formazione che si rivolgono ai ragazzi?
    * Conduce ad esperienze concrete?
    Va da sé che occorre chiarire che cosa sia la catechesi.
    Non si può pensare che il problema principale del contenuto della catechesi ai ragazzi di oggi sia la traduzione in linguaggio moderno dei «contenuti di sempre». Bisognerà piuttosto convincersi che «i contenuti di sempre sono da riscoprire in un leale confronto con le realtà di oggi».
    Questa sensibilità ha certamente i suoi pericoli, ma non ci permette di ridurre la proposta cristiana ad una ideologia astratta. Ci stimola invece ad una proposizione della fede in ascolto dei problemi del mondo, a un messaggio cristiano che sia veramente annuncio di vita.
    Allora la catechesi non sarà un far apprendere a memoria tutto il catechismo o lo svolgere un programma in un modo pedissequo e preoccupato di arrivare al termine, non sarà lo sforzo di dire tutto, ma sarà quello di riuscire a far vivere tutto e solo ciò che siamo riusciti a dire. Catechesi che deve arrivare a creare degli atteggiamenti, a un impegno di vita: quindi l'insegnamento catechistico deve prevedere particolari momenti di esperienza e di assimilazione vitale di questa fede a livello liturgico, sacramentale e di servizio di carità.
    Ogni forma di catechesi deve essere considerata complementare... e quindi insufficiente, se slegata dalle altre forme di catechesi (familiare, di gruppo).
    La formazione alla fede poi esige «metodicità di incontri».

    Crisi delle associazioni tradizionali per i ragazzi

    Se per crisi si intende abbandono completo di questi mezzi senza la assunzione di altri, mi sento di dissentire.
    Se la crisi invece oltre che nella sua giusta etimologia anche nella vita significa revisione, reinterpretazione delle vecchie e collaudate strutture portanti, la cosa non solo è possibile, ma doverosa.
    Per l'impossibilità di addentrarmi a fondo nel discorso preciserei solamente alcune cose:
    * La disponibilità iniziale di raggiungere tutti i ragazzi della parrocchia con una proposta indifferenziata e simultanea ha ricevuto spesso un duro colpo dalla realtà, da una concretezza sfuggente, fluttuante e soprattutto sproporzionatamente vasta rispetto alla capacità di chi voleva interpellarla.
    * Una proposta indifferenziata, se toglie lo scrupolo dei favoritismi, crea però disattenzione ai doni personali, tipici, che il Signore misteriosamente distribuisce come vuole. Una pastorale autentica non deve essere titubante e pigra nell'individuare quei carismi particolari che il Signore ha dato ad alcuni ragazzi. Significherebbe altrimenti l'incapacità di proporre la «missione» per la quale il dono è stato affidato.
    * Il valore della testimonianza è ancora il valore primario. Non c'è proposta migliore che quella proveniente dall'esperienza umana ed ecclesiale di alcuni gruppi di ragazzi che prendano parte attiva alla vita della comunità parrocchiale.
    * Prima di rifiutare la presenza delle associazioni, bollandole col nome «dispregiativo» di «strutture», è serio e doveroso confrontarsi con la loro proposta educativa, con i loro contenuti e metodi ed evitare il pericolo dell'adultismo che misura sugli schemi mentali degli adulti le esigenze dei ragazzi.
    * L'apostolato del simile verso il simile, anche nel caso del ragazzo è indicazione conciliare (AA, n. 12).
    * Giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma a ciascuno il suo. Molti, dopo il Concilio, pur avendo rivendicato la molteplicità dei carismi, all'atto pratico hanno sempre negato tale affermazione con la loro pianificazione pastorale.

    La coeducazione

    Ragioni di tipo sociologico, psicologico, di ambiente, ripropongono il problema con una certa precocità (che non equivale sempre a maturità; il più delle volte si tratta di una stimolazione più pressante cui non riesce a tenere il passo la corrispondente capacità critica e di assimilazione). È chiaro che il problema va affrontato, va posto nei termini esatti, che fa sì che per noi cristiani più che di educazione sessuale si debba parlare di educazione all'amore.
    L'introduzione nelle scuole dell'educazione sessuale non ci deve trovare sprovveduti, né tanto meno contrari, ma giustamente attenti che:
    * non se ne faccia semplicemente un problema di «informazione» di gran lunga riduttiva rispetto all'educazione;
    * non si consideri questo problema a sé, slegato da tutti gli altri, ma come un momento dell'educazione globale dell'uomo.

    ALCUNI INDICI POSITIVI DI SOLUZIONE

    Si tratta di aspetti che aprono prospettive incoraggianti.

    Una larga preoccupazione educativa

    Il risveglio dell'attenzione educativa non solo a livello di singoli educatori ma di intere parrocchie. Si sta riscoprendo che la pastorale dei giovanissimi non è un problema di esperti, i quali, in veste di addetti ai lavori, ne cercano la soluzione, ma di tutta la comunità ecclesiale.
    Ci si dovrebbe muovere allora su queste linee:

    • Creare una coscienza educativa.
    È tutta la comunità locale che si mette in missione verso i minori, e che in questo non solo ritrova un suo preciso impegno, ma anche una fonte di rinnovamento. Si tratta concretamente di far nascere, nell'ambito della più vasta opera di educazione a cui tutta la parrocchia deve essere risvegliata, delle concrete «comunità di educatori».

    •  Creare una competenza educativa.
    Al di là della prima ed essenziale competenza educativa che è data dalla testimonianza di vita, occorre anche la capacità di un discorso educativo organico e articolato, che comporta anche una certa competenza professionale (= vocazione) ed una conoscenza delle tecniche, della metodologia e tutta una attenzione pedagogica non trascurabile. Non ci si può autodefinire e autopromuovere «educatori» solo per la buona volontà che si cerca di portare nello svolgimento dell'impegno educativo.

    •  Creare una convergenza educativa.
    Esigenze di unità e quindi di credibilità ci impongono un impegno di revisione a livello pastorale di quanto si fa per i ragazzi. Il ragazzo soffre della dicotomia dei vari ambienti educativi autonomi e diversi per metodi, obiettivi, direttive e richiami che sembrano contrastare l'unità del suo sviluppo. Occorre un'azione sincrona, convergente che non sia esposta ad inutili e dannose remore, ma che avvii a soluzione tali problemi.

    •  Creare una continuità educativa.
    Nella condizione di un impegno pastorale verso gli adolescenti, il problema della programmazione educativa, che è principalmente problema di contenuti e di metodi, è cosa fondamentale. Per rispetto ai ragazzi ai quali siamo chiamati a dare la nostra opera, non è più possibile vivere alla giornata e un piano in prospettiva diviene anche motivo di credibilità.

    •  Creare una unità educativa.
    Un discorso di pastorale che sia preciso, completo, certamente perfettibile, ma con delle linee di contenuti e di metodo condivise da tutti. Garante di questa unità è il Vescovo, il Centro Diocesano, inteso non come struttura verticalistica, ma come convergenza e confluenza dell'apporto di tutti.
    L'autorità, il carisma ministeriale degli apostoli, è segno e garanzia dell'autentica comunione con il dono di Dio. Essa ha il compito di ordinare i carismi perché siano espressione di carità e servano all'unico scopo per cui sono dati: la costruzione del corpo di Cristo, che è la Chiesa.
    La fede che ci deve portare a tale visione dell'autorità esige che vi si aderisca qualunque sia la persona che la incarni. Questo dice però anche quanto l'autorità sia impegnata a «meritarsi» tale sguardo di fede e come non può trovare la sua nuova collocazione oggi, senza l'aiuto di ogni fratello nella fede.
    Il problema non è di un semplice coordinamento ecclesiale dei gruppi, ma primariamente quello di formulare una proposta di fede che sia il più possibile interpretativa del mondo di oggi.
    Perciò:
    * nessuno può essere autorizzato a muoversi per conto proprio in un problema così delicato che compromette la fede delle nuove generazioni;
    * nessuno, d'altro canto, può compiere questo lavoro senza l'apporto di tutti e di ciascun gruppo.
    Parlo anche di comunione concreta col proprio Vescovo che significa assunzione delle scelte, dei mezzi primari, degli strumenti che collegialmente si sono assunti per animare la pastorale di una determinata Chiesa locale.

    La partecipazione dei genitori

    Desiderio di partecipazione attiva e interessata dei genitori, parallelamente a quanto avviene a scuola e nel quartiere, alla gestione del discorso dell'educazione religiosa dei loro ragazzi.
    Sembrano aprire orizzonti incoraggianti tre tentativi che possiamo così sintetizzare:
    - Conversione della pastorale parrocchiale alla dimensione familiare
    L'insieme delle famiglie crea l'ambito cristiano in cui l'educazione dei ragazzi possa svilupparsi.
    Siamo ancora agli inizi di un discorso che si trova a volte ad avere interlocutori disorientati e impreparati. La famiglia spesso non ha la consapevolezza del ruolo di primaria importanza che ad essa compete nell'educazione del ragazzo. Occorre allora operare su alcune direttrici ben precise:
    * aiutare i genitori ad assumere la piena consapevolezza del loro ruolo e a svolgerlo come la naturale continuazione di un compito che inizia con la nascita dei figli. Si tratta cioè di aiutarli ad esercitare il loro potere creativo sino in fondo;
    * credere che la migliore garanzia della pastorale dell'infanzia è ancora la scoperta che una famiglia può fare dell'amore coniugale;
    * fare comprendere alla famiglia che non deve demandare agli educatori i suoi compiti, ma prolungarli, collaborando con essi;
    - Coinvolgimento dei genitori nella catechesi dell'iniziazione cristiana nell'oratorio, nel gruppo...
    A questo proposito c'è un avvio incerto ma massiccio di una serie di iniziative nelle quali i genitori vengono cointeressati al problema catechetico. Occorrerebbe coordinare queste presenze a livello decanale e diocesano, attraverso scuole, giornate di studio, scambio di esperienze. Ma contemporaneamente bisogna essere attenti a non cadere nell'errore di pensare ai genitori catechisti solamente in funzione del servizio che rendono alla comunità. Essi infatti sono educatori alla fede dei propri figli e di altri ragazzi, non solo in quanto sono capaci di trasmettere oralmente e fedelmente il messaggio cristiano, ma soprattutto in quanto «vivono in pienezza e autenticità il loro matrimonio cristiano».
    Una attenzione concreta a questa crescita della «Chiesa domestica» può esprimersi nella realizzazione di Gruppi Familiari nei quali i coniugi cristiani abbiano la possibilità di «rileggere» costantemente la loro vita alla luce della Parola di Dio e della disponibilità alla Chiesa, e siano perciò:
    * gruppi di vita, più che di discussione;
    * gruppi familiari, non familiaristici: dove cioè i problemi non sono solo quelli della famiglia ma anche della Chiesa, quelli specifici dell'educazione, ecc.;
    * gruppi ecclesiali e quindi pastorali (inseriti nella pastorale di una parrocchia);
    * gruppi che non esauriscono la pastorale della parrocchia (ma ne costituiscono però una esperienza).

    Lo spostamento della cresima all'inizio dell'età preadolescenziale

    L'impegno a vivere il sacramento ricevuto potrebbe offrire spunti di soluzione alla pastorale preadolescenziale.
    Questo fatto pare che nella pastorale sia stato finora recepito a livello di semplice «mutamento cronologico», non tanto invece come una riscoperta del significato dottrinale insito in questo sacramento, generatore di nuovi interventi pastorali-educativi.
    L'iniziazione alla vita cristiana si concentra purtroppo nella fanciullezza e spesso si esaurisce in essa!
    È importante oggi sottolineare anche il discorso del post-cresima. Bisogna tuttavia evitare di fare dei post-cresima un discorso slegato dal catecumenato sulla cresima. Occorre far avvertire che il «dopo» è tutt'uno con la preparazione. Si deve poter dire: ti preparo a ricevere il dono di Dio e ti aiuto perché la tua vita si converta ad essere il dono di Dio, dono che non è giustapposizione alla vita, ma è la vita vissuta in un modo nuovo.
    Condurre i ragazzi a ricevere un dono e non aiutarli a viverlo, crea in loro la sensazione che Dio è «fuori della storia», che la cresima è una bella cerimonia, ben preparata, terminata la quale, però, tutto è finito, anzi la vita è un'altra cosa.
    L'anno che fa seguito a quello della recezione del sacramento ci pare potrebbe essere il primo anello di congiunzione con lo sforzo di invenzione di un triennio catechistico che inizi dalla cresima e sfoci, al termine dei tre anni, nella professione di fede.
    Occorre portare il ragazzo a prendere coscienza della realtà di questo sacramento che, dopo essere stato ricevuto, troppo spesso rimane semplicemente lettera morta, rito incomprensibile e lontano, gesto che, per alcuni, chiude insieme l'infanzia e la serie degli atti religiosi.
    Retroguardia di una fede infantile, la cresima deve diventare invece l'inizio della maturità (maturazione) cristiana di un adolescente che ormai con gli occhi puntati sul mondo, sente il dovere dell'acquisizione di responsabilità dovute al mondo in quanto cristiano, coglie il suo impegno a partecipare attivamente e in prima persona a questa azione di salvezza della Chiesa nella costruzione di un mondo nuovo (Regno di Dio) che si sta attuando.
    In questo sacramento va dato spazio e importanza all'accostamento dei genitori. Se nel battesimo i genitori sono «i primi annunciatori della fede» (LG, n. 11) essi saranno ora i primi confermatori della fede in quanto «primi e principali educatori dei figli» (GE, n. 3).
    Cioè il ragazzo deve essere condotto a cogliere il dono dello Spirito nell'esperienza quotidiana della sua vita e innanzitutto nell'ambiente familiare, perché alle soglie della preadolescenza egli è ormai capace di cogliere alcuni valori come la collaborazione, la solidarietà, l'impegno caritativo e missionario da verificare a scuola, nel quartiere, con gli amici, in famiglia.
    Nasce l'esigenza di un gruppo, come mezzo indispensabile per non lasciar cadere il discorso del dopo cresima. Si tratta di far sfociare il dono dello Spirito in una esperienza ecclesiale.
    Credere all'importanza di questo sacramento e al suo valore educativo porta anche ad una celebrazione di esso ben preparata.
    È di immediata percezione la connessione tra cresima e vocazione, cresima e missione, in ragazzi per i quali ha sempre un grande fascino la presentazione della vita come vocazione, particolare, personale e irrepetibile.
    La cresima è il sacramento che forse più di ogni altro deve farci riflettere che chi lo riceve entra e si assume una particolare personale, originale responsabilità in rapporto alla Chiesa.
    Occorre curare questo aspetto del sacramento della cresima, tenendo presente però che se è errata l'identificazione tra vocazione e vocazione sacerdotale o religiosa, altrettanto errato è sottacere la vocazione sacerdotale religiosa come un aspetto della proposta cristiana.

    INDICAZIONI PASTORALI PER UN LAVORO COMUNE TRA I PREADOLESCENTI

    La situazione sopra descritta sollecita certamente un ripensamento di tutto un certo atteggiamento pastorale.
    Sarebbe interessante cogliere in questi problemi alcune indicazioni pastorali per un lavoro comune tra i giovanissimi. Esso deve inserirsi in un organico piano pastorale che risenta dei profondi dinamismi rinnovatori operati dal Concilio e che sono richiesti dall'aderenza alla situazione preadolescenziale di oggi.
    Mi limito ad alcune indicazioni molto semplici.

    ♦ Il primato della testimonianza sulla organizzazione.
    Si deve partire innanzitutto nell'impegno educativo dalla chiara consapevolezza che la pastorale non è altro che il risvolto operativo di una profonda esperienza di comunione individuale e comunitaria del dono di Dio.

    ♦ La coscienza del primato della dimensione missionaria.
    Da quanto siamo andati costatando, nasce l'esigenza di una pastorale dei giovanissimi in prospettiva missionaria di evangelizzazione. Qualcuno, tempo fa, si chiedeva se la preadolescenza fosse una età da evangelizzare. Oggi - e la risposta ci viene dalla vita - pare si debba rispondere decisamente di sì.
    Forse abbiamo ancora una visione di ragazzi come credenti a cui fare la catechesi. Questa è una visione bruciata dalla realtà: oggi invece ho davanti a me, dentro il mio oratorio, dei ragazzi che se non evangelizzo non saranno mai più credenti.

    ♦ Un'altra scelta concreta che nella soluzione della pastorale dei preadolescenti dobbiamo operare è l'opzione per una comunità ecclesiale adulta e credente
    È la «fede professata» dalla comunità la prima catechesi efficace e credibile. I ragazzi sono sì capaci di atti di fede, ma la loro fede principalmente è partecipazione di quella degli adulti.
    Si inserisce qui a livello di prassi una ristrutturazione degli oratori con l'immissione degli adulti, il discorso del ruolo del laico adulto all'interno delle nostre comunità giovanili, i rapporti con i genitori, ecc.
    È un po' il ritornare a parlare della esigenza di trasformare la pastorale parrocchiale in pastorale familiare. È sempre stato affermato che questo non significa disattendere i piccoli e i ragazzi.
    Forse però anche qui occorrerà passare da una pastorale «ai» ragazzi, «per» i ragazzi, ad una pastorale anche «dei» ragazzi. In questa trasformazione di mentalità e di prassi, essi stessi sono invitati e sollecitati a partecipare responsabilmente a sentirsi «soggetti» veri della pastorale, autentici protagonisti della loro ricerca e maturazione cristiana. Di qui la necessità della creazione di «gruppi di impegno» tra i ragazzi.
    Se quelli che ricevono la cresima credono sul serio a quello che noi andiamo dicendo loro nel catecumenato alla cresima, a quanto il Vescovo dirà loro nella celebrazione del sacramento, scopriranno certamente di aver un posto nella Chiesa. Ma quale posto?
    È il problema vocazionale. Sarà quindi nostro compito pastorale una attenzione posta ad individuare i doni particolari dati dal Signore, perché siano portati a maturazione e posti al servizio di tutta la comunità.

    ♦ Ne consegue una pastorale a livello di preadolescenti forse ancora tutta da scoprire, che chiamerei «pastorale della creatività, dell'invenzione» e sempre meno una «pastorale della assimilazione» (si è sempre fatto così!)
    Ciò non significa per niente proiettarsi nella pastorale del «dover essere» senza tener conto della realtà che c'è. Creatività e invenzione non possono essere il frutto della genialità di un prete o di un responsabile, ma devono essere il risultato, l'emergenza dell'apporto di tutti, in consonanza all'unico piano di pastorale del Vescovo e ad una analisi storica della condizione preadolescenziale.
    Va detto però a chiare lettere che in ogni processo innovativo occorre tener presente il peso e l'esigenza della continuità. È vero, il miglior servizio che si può fare ad una causa in cui si crede è «il senso critico», basta che ciò sia dettato dalla passione che uno ha per un determinato impegno e non sia semplicemente un credere che si è nella direzione esatta perché si segue sempre e comunque il carisma di chi ha fatto voto di andare sempre controcorrente.
    D'altro canto la continuità col passato non deve mai identificarsi con l'immobilismo, ma, senza perdere il contatto con le tradizioni vive, deve conoscere la «prudenza dell'audacia» e sfociare in alcune «sperimentazioni pastorali».

    ♦ Per la pastorale generale e di gruppo a livello di preadolescenti, punto di riferimento è ancora l'oratorio, come espressione educativa di tutta la comunità in missione verso i minori
    La comunità parrocchiale deve quindi essere normativa per tutti i gruppi di ragazzi. Anche questa affermazione non esclude momenti di vita e di verifica trascorsi altrove, ma il gruppo, anche quello che si raduna nella scuola, nel quartiere, deve trovare nella parrocchia il suo luogo naturale.
    La struttura di alcuni oratori magari farà obiezione ad una apertura esigita dalla attuale situazione di vita dei ragazzi. Qui chiaramente si dovranno attuare tutti quei cambiamenti che una aggiornata pastorale esige, dicendo che non siamo lì a servire delle strutture, ma a far servire le strutture agli uomini.

    ♦ Un altro importante punto da evidenziare nella nostra pastorale dei preadolescenti è «la formazione dei responsabili», la cura di «vocazioni educative»
    Spesso il nostro lavoro si limita all'annuncio di fede: occorre anche la preoccupazione pastorale di legare vicendevolmente, di creare dei rapporti, di evidenziare la Chiesa.
    La ventata contestatrice ci ha resi allergici ad ogni struttura; occorre superare questo complesso e ricostruire in ogni parrocchia dei «gruppi educatori», dei «gruppi responsabili» che siano la garanzia della continuità di un lavoro aldilà di facili e transitori entusiasmi.


    T e r z a
    p a g i n A


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