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    La nostra parrocchia: «stazione di servizio» per gruppi ecclesiali



    Una parrocchia di Bolzano

    (NPG 1973-12-48)

    Ancora una esperienza sulla linea della quotidianità.
    Molti lettori, leggendo queste pagine, vi ritroveranno scelte da tempo perseguite, tanto da pensare che, tutto sommato, anche la loro esperienza potrebbe essere raccontata...
    D'accordo in pieno.
    Ma con una sottolineatura a monte di tutto il discorso. Le categorie del «grande» e del «piccolo», dello «straordinario» e del «banale» hanno poca intonazione ecclesiale e molto invece dell'acido sapore della società dei consumi.
    Quindi, ogni esperienza vissuta con largo orizzonte di meditata concretezza, è «grande» e significativa.
    In questa che prospettiamo, attraverso l'intervista condotta ai sacerdoti della comunità parrocchiale, alcuni elementi sono degni di un'attenzione tutta speciale.
    Li richiamiamo, offrendo, come sempre, chiavi di lettura.
    1. È vivissima la preoccupazione di dare un'esplicita dimensione ecclesiale alla vita di gruppo, al di là delle semplici strutturazioni funzionali (gruppi verso un servizio pastorale) o di approfondita analisi metodologica.
    È un'istanza da sottolineare, anche come contrappeso ai frequenti richiami fatti dalla rivista per una qualificazione tecnica, presupposto indispensabile ma radicalmente inadeguato nella ricerca di un vero spazio ecclesiale.
    2. I gruppi sono in diretto raccordo con l'istituzione parrocchiale.
    C'è la esigenza chiara di non ridurre l'esperienza di chiesa al piccolo angolo amicale, pur superando quella fredda legata all'appartenenza ad una parrocchia, quando è ridotta a vuoti compiti burocratici.
    Il punto di sutura è dato dalla condivisione di un fascio di valori comuni, coltivati con attenta cura, pur nelle modalità diverse con cui i gruppi si caratterizzano. E, nello stesso tempo, dalla saggia valorizzazione dei tradizionali momenti d'incontro (messe domenicali, giornate di ritiro...), per un'ampia circolazione ecclesiale.
    3. Interessante e stimolante è il dialogo giovani-adulti, sia nel momento interno della vita di gruppo che come prospettiva concreta di sbocco.
    La chiave per comprendere la scelta sta nell'aver posto l' «apertura «tra le caratteristiche della maturità, personale e di gruppo.
    4. Una cosa che non vorremmo naufragasse tra le tante pregevoli: la preoccupazione di impiantare una pastorale giovanile davvero coincidente con la crescita educativa. Va meditata la parziale «marcia in dietro «dal primo affermato impegno cristiano in assoluto («ai divertimenti ognuno provveda per conto proprio!»), verso uno spazio in cui «tutto l'uomo «possa stare a suo agio.
    Qualche lettore potrà, in queste righe, rileggere in filigrana la sua personale esperienza...

    I GRUPPI NELLA PASTORALE DELLA PARROCCHIA

    Una scelta di fondo: «stazione di servizio»

    D. Ogni comunità parrocchiale è chiamata a caratterizzare la propria linea d'azione attraverso un progetto pastorale.
    In città, la vostra esperienza indica un punto di riferimento, almeno per un confronto. Segno che a monte delle molte attività, è stata operata una scelta precisa.
    Quale?

    R. Nessuna cosa trascendentale.
    Abbiamo individuato la nostra linea pastorale, con due modi ben precisi: un'attenzione alla massa ed una particolarissima ai gruppi.
    La parrocchia è soprattutto la comunità delle persone che ci stanno ad un certo discorso di fede. Accanto a tutti costoro, egualmente oggetto delle preoccupazioni pastorali, la larga frangia di coloro che vengono in chiesa più o meno per tradizione. Li chiamiamo «massa», anche se la parola non piace a qualcuno, perché il termine dice con verità la situazione: tante persone, disperse nell'anonimato, spersonalizzate dal punto di vista della fede.
    L'altro polo: i gruppi. Siamo partiti molto alla lontana, con discorsi a tappeto, parlando di comunità e affermando che la parrocchia deve essere soggetto di pastorale. Ci siamo accorti di far parole... Soggetto di pastorale la parrocchia è soltanto per coloro che hanno la coscienza di cosa significhi far qualcosa per gli altri, in chiave di fede.
    Soggetto di pastorale sono diventati, lentamente, i vari gruppi: quelle persone che accettano un discorso esplicito di fede, si raccolgono attorno ad un determinato interesse religioso e cercano di vivere la loro esperienza di fede a livello di gruppo.
    Per tutti costoro la parrocchia è «stazione di servizio»: una casa aperta a tutte le ore, una proposta di servizio, un luogo dove ciascuno può dire «trovo qualcuno che mi ascolta».
    Lo sappiamo: il termine «stazione di servizio» suona male; pastoralmente indica un aspetto negativo, burocratico della vita parrocchiale. Può essere però recuperato, capovolgendone il significato dall'interno. Ed è quello che abbiamo cercato di fare.

    D. Vorrei che si approfondisse il significato della scelta dei gruppi nell'impegno pastorale.
    Perché questa scelta? In che modo essa si raccorda con il movimento tradizionale di una parrocchia e in quali termini invece lo sostituisce?

    R. Siamo partiti da un dato di fatto, innegabile: le istituzioni tradizionali sono in crisi. Quello che muore o è sul punto di morte... è inutile farlo risorgere: va sostituito. D'accordo: ha un passato perché ha fatto tanto bene onorevole... Nessuno lo nega. Né una nuova scelta lo vuole contestare. Ma una Chiesa che vuole rinnovarsi non può vivere della nostalgia delle cose felici del passato, se esse, oggi, sono in crisi.
    Molte istituzioni del passato sono sparite. Non ci soffermiamo a fare rimpianti. Cerchiamo di leggere con coraggio e con fantasia quello che sta muovendosi, di vivo e di valido, oggi. E ci vuol poco a cogliere che i gruppi sono un fatto.
    Se hanno una motivazione religiosa e se non si pongono fuori o contro o ai bordi dell'istituzione ecclesiale, ma scelgono di viverci dentro... se hanno queste due connotazioni, ci interessano.
    Sottolineiamo: il coraggio di voler vivere dentro l'istituzione parrocchiale. Se non si ancorano ad una comunità più vasta, che li «porti», vagano a vuoto e diventano inutili e sterili «chiesuole».
    Quindi i gruppi, in una comunità più vasta: come il letto del fiume che porta la corrente e quanto in essa è trascinato. Questa comunità più vasta è la diocesi; è soprattutto la parrocchia, intesa come punto di riferimento, di unità, di animazione.
    I gruppi portano con sé una notevole dose di cambi frequenti: oggi ci sono e domani spariscono. Non ci preoccupa questo fatto. Un tempo, se crollava nelle nostre parrocchie l'A.C., sembrava cadesse il mondo, la Chiesa e la cristianità...
    Noi ci accorgiamo che la provvisorietà è elemento tipico di queste nuove espressioni di Chiesa. Nessun dramma se muore un gruppo... perché presto ne risorgerà un altro.
    Insistiamo invece perché i gruppi siano veri luoghi di ascolto, di rispetto assoluto delle persone, senza integrismi. E così se un gruppo si scioglie, i membri rimangono buoni amici, senza inutili traumi.
    Ricadono nel grande fiume, la parrocchia, che tutti li porta. E l'esperienza è ricordata con simpatia, con amore, con un certo rimpianto. Nel caso contrario, quando il gruppo fa coincidere la propria esperienza con l'essere Chiesa, crollato il gruppo, crolla la Chiesa!

    Gruppi e parrocchia

    D. È stato più volte sottolineato che la parrocchia, in quanto vasta comunità, ha la funzione insostituibile di «portare» i gruppi e le persone.
    Uscendo dalla metafora, in quali contatti si realizza questo rapporto?
    I momenti di incontro sono lasciati alla libera iniziativa o esistono spunti ufficiali, istituzionalizzati, per favorire il reciproco contatto?

    R. Ci siamo accorti che il contatto tra i vari gruppi e tra gruppi e parrocchia è sommamente importante.
    Abbiamo anche la coscienza che non basta la buona volontà generica per realizzare questo raccordo: ci vogliono momenti precisi e articolati. Lo scorso anno avevamo questo ritmo: un incontro all'interno del gruppo, nelle singole case; ed un altro, di tutti i gruppi, nella chiesa parrocchiale.
    Quest'anno abbiamo allentato il ritmo degli incontri ufficiali, perché ci si conosce già a fondo e non è più necessario moltiplicare i contatti. Rimane però sempre e comunque il fatto della necessità di un frequente interscambio.
    La messa della domenica è diventata il momento di confluenza dei vari gruppi. Attorno alla messa gira quel clima di amicizia che è importante per il gruppo: ci si incontra prima di messa, ci si dà appuntamento per il pomeriggio, per uscire assieme.
    La messa fornisce il grosso alveo all'interno del quale tutti i gruppi confluiscono. Ed ha di fatto sostituito quella urgenza, che sentivamo all'inizio, di creare strutture per garantire l'incontro.
    Evidentemente si tratta di una messa viva, partecipata intensamente. La nostra comunità parrocchiale tiene davvero molto alla liturgia: la vogliamo una espressione vera, di una comunità che cerca un rapporto con Dio e nello stesso tempo un rapporto con i fratelli. Cerchiamo di rispondere ogni volta con particolari «nuovi», all'esigenza, che ogni uomo ha, di sentirsi nuovo, rinnovato come è dalle situazioni diverse che vive.
    La messa domenicale... è sempre a livello di massa; ma con un impegno preciso ed anni di rodaggio, si giunge ad una certa personalizzazione. La gente dice di sentirsi a proprio agio... e questo è davvero tanto! Non sempre le cose vanno a pennello come le stiamo descrivendo. Ora, per esempio, stiamo attraversando un periodo di stanca. Questa situazione ci spinge a penetrare più dentro alla nostra esperienza, a fermarci un po' a meditare: il gruppo si proietta verso il suo interno, per una verifica. Spesso affiora il problema del dualismo: dimensione verticale o orizzontale, anche nell'esperienza di gruppo? Lo rifiutiamo come un falso problema. Dio lo si trova nei fratelli. Ma non solo nei fratelli: perché è Persona che ci supera, che è «avanti».
    D'altra parte il rischio dei due momenti... fa parte del rischio di vivere: ci accompagna sempre.

    Gruppi come esperienza di chiesa

    D. I gruppi sono Io spazio in cui le persone fanno esperienza di chiesa.
    È possibile precisare nei particolari in che cosa consista questa «esperienza ecclesiale»?
    L'interrogativo ne apre un ventaglio: quali sono i momenti forti dell'esperienza? che ruolo ha il sacerdote al loro interno? sono proiettati in una pastorale specializzata, per irradiare verso l'esterno l'esperienza che stanno vivendo?

    R. Andiamo per ordine.
    Prima di tutto, ci teniamo ad affermare che i gruppi non sono al servizio di una pastorale specializzata. Non abbiamo bisogno di pastorale specializzata, che in rarissimi casi...
    Sono gruppi che sentono il bisogno di stare assieme, di scambiarsi il dono dell'amicizia: in questo vivono l'esperienza di Chiesa. E basta. Naturalmente, a mano a mano che la parrocchia avverte l'esigenza di un servizio, i gruppi sono disponibili, nel limite del possibile. Ma non sono nati prima di tutto per questi servizi. Sono nati per essere Chiesa.
    E un dualismo solo di parole. Più essi diventano «comunione», più si fanno «missione». Come la lampada: più è viva, e più irraggia tutto attorno.
    Una volta eravamo preoccupati del cosa fare: nei primi passi della nostra esperienza, si costruiva il gruppo per la liturgia, quello per il mondo del lavoro, l'altro per i problemi economici... Ora abbiamo capovolto le carte: c'è il gruppo e basta. Quando c'è bisogno, fa quel servizio o l'altro. I problemi sono altri: quelli della crescita, per esempio.
    Abbiamo scoperto una cosa che può suonare strana: quanto più i laici diventano «adulti», tanto più sentono il bisogno del prete. Per noi il problema è nella capacità di accompagnarli, se è vero che il prete diventa sempre più indispensabile.
    Un'altra cosa vogliamo sottolineare. I gruppi più vivi nascono attorno ai sacramenti.
    I genitori che hanno capito il senso della prima comunione del ragazzo –questa tensione di tutta la famiglia verso un momento così centrale nella esperienza dei figliuoli – sentono il bisogno di ritrovarsi, prima per approfondire assieme il significato di una tappa tanto importante; e per coinvolgere, poi, in questa scoperta, altre mamme, altre famiglie, negli anni successivi.
    Troppo spesso si tende prima al servizio e poi alla propria identità. D'accordo: non è possibile smembrare due fatti tanto collegati... Ma è questione di accento.
    Quando ci si sente Chiesa, nei termini più ampi, il servizio viene spontaneo... lo stesso si può dire per la vita interna.
    Ci chiedeva se esistono momenti forti dell'esperienza.
    È difficile rispondere, perché tutta l'esperienza dovrebbe diventare un vero momento-forte.
    Possiamo tentare un elenco.
    Gli incontri nelle case: sono un vero momento di impegno, perché ci si incontra per condividere la parola di Dio, per pregare, per celebrare l'Eucaristia.
    La domenica è il punto d'incontro centrale, per tutti.
    Sono inoltre programmate alcune giornate all'anno da passare assieme: una specie di «ritiro». E, infine, le ferie... perché, con la scusa che i ragazzi sono a campeggio in un determinato posto, le famiglie si ritrovano lì e... ricostruiscono la normale esperienza di gruppo.

    LA PASTORALE GIOVANILE NELLA PASTORALE DEI GRUPPI

    D. Mi pare di aver compreso che i gruppi di cui si è parlato finora, sono costituiti prevalentemente da adulti.
    Vorrei centrare l'attenzione, ora, sui problemi giovanili.
    Come si sviluppa, nel vostro quadro parrocchiale, la pastorale giovanile?

    R. La nostra parrocchia è una comunità di comunità. Quindi anche di comunità giovanili.
    È chiaro che non si può pensare ad una pastorale speciale, nei confronti dei giovani. Però i giovani vanno presi in maniera diversa: sono in fase di crescita e di maturazione; quindi la pastorale va rapportata a questo particolare momento della loro esistenza.
    Ci spieghiamo meglio raccontando dei fatti.
    Alcuni anni fa, la parrocchia aveva il suo bravo oratorio tradizionale. Ma stava morendo. L'unico gruppo giovanile esistente era preoccupato soprattutto di divertirsi: organizzare «feste» era il punto di coesione. Il prete passava il suo tempo a rabberciare calcetti e bigliardini... Certo le cose non potevano continuare su questa linea.
    Ci siamo detti: dobbiamo operare una scelta, meditata ma coraggiosa. Conclusione: abbiamo chiuso l'oratorio, nonostante le diffidenze che il fatto ha procurato. E ci siamo buttati con i preadolescenti, l'unico terreno «vergine» su cui era possibile lavorare. Si sono moltiplicati i gruppi, spesso segnati da un preciso impegno cristiano. Ai giochi e ai divertimenti... ciascuno pensi per conto proprio: avevamo detto.
    Ma poi si è fatto parzialmente marcia indietro. Ci siamo accorti di essere stati ammalati da integrismo, proponendo ai ragazzi una scelta cristiana... troppo globale, troppo impegnativa: in una parola, sproporzionata. Cambio di rotta, quindi, mettendo l'accento sul momento educativo, per aiutare il ragazzo che cresce a saldare quel dualismo che sente e soffre, tra la sua fede e le cose di tutti i giorni. Nello stesso tempo si è fatto spazio anche all'impegno verso l'esterno: il ragazzo ha bisogno di vivere «fuori» quello che ha scoperto «dentro».
    Si è scelto la strada del piccolo gruppo, nonostante le difficoltà che prospetta, per dare veramente a tutti i membri la possibilità di sentirsi responsabili, di poter parlare, di poter seriamente interagire. Il punto di perno per creare vero gruppo cristiano: continui confronti con la parola di Dio, momenti di preghiera, apertura verso gli altri.
    Ad un certo punto, abbiamo scoperto la dinamica di gruppo. E questo ci ha dato una mano a ripensare a tutta l'esperienza, cercandone una strutturazione «passabile».
    L'impegno cristiano è diventato l'anima di una struttura che si reggeva su basi di una certa scientificità.
    Certo la struttura non basta: è come un corpo senz'anima.
    Quando manca un esplicito senso di Chiesa, le crisi si moltiplicano. Gli «alti e bassi» non ci fanno paura: sono normali. Abbiamo invece paura dei gruppi in cui gli interessi prendono il sopravvento sui momenti formativi: si lascia lentamente da parte la parola di Dio perché mette in crisi e ci si butta nelle attività...

    D. Il momento formativo è centrale, indispensabile. Ma senza qualche attività i gruppi muoiono. E poi, anche le attività sono parte dell'impegno formativo. Come di fatto vi muovete?

    R. È verissimo. Si deve però cercare un preciso e continuo raccordo: perché le attività nascano veramente da un'anima interiore.
    I nostri gruppi hanno due momenti significativi. Fanno attività: musicale, liturgica, d'impegno sociale, di animazione culturale...
    Ma tutti hanno incontri almeno quindicinali di contenuto esplicitamente formativo. Generalmente sono centrati sulla revisione di vita. In questi incontri, con la guida di animatori, si cerca di mettere in stato di revisione tutta la propria esperienza.
    La stragrande maggioranza di questi giovani studia. E quindi l'oggetto della revisione di vita è spesso quello che essi vivono e fanno nel loro ambiente di scuola. Spesso ci si ritrova in gruppi distinti per tipi d'istituto, proprio per permettere una concretezza maggiore allo sforzo formativo.

    Giovani e adulti

    D. Tra i gruppi giovanili e quelli degli adulti, esistono dei momenti di contatto? E a quale livello?

    R. Di contatti ce ne sono e molti.
    È interessante avvertire come sono nati questi rapporti.
    Nella nostra parrocchia l'idea dei gruppi è venuta prima di tutto agli adulti: sono stati loro i primi ad accorgersi che la Chiesa ha bisogno di diventare esperienza vissuta proprio a livello di gruppo. Hanno cercato una Chiesa a dimensione umana. Oggi il discorso è pacifico; ma proviamo a pensare ad affermazioni del genere sei o sette anni fa...
    Gli adulti si sono poi protesi verso i giovani. Si sono inseriti nello spontaneo fare gruppo giovanile, per dare a questo fatto una precisa dimensione di Chiesa.
    Ma è capitata anche la cosa opposta.
    Molti ragazzi hanno aiutato i genitori a scoprire la Chiesa attraverso il gruppo: li hanno coinvolti nella loro esperienza. In un incontro, tanto per citare un esempio, tra genitori e ragazzi, una bambina di seconda media ha lanciato la proposta: «Stiamo scoprendo come è bello vivere così... perché non provate anche voi?».
    Un lungo silenzio e poi le prime avvisaglie di una realtà nuova. Molti genitori si sono impegnati a fondo, come gruppo, per i loro figli. Sull'interesse educativo è presto spuntato il desiderio formativo, nella verifica con la parola di Dio.
    Di fatto, oggi, ci sono molti momenti di contatto tra adulti e giovani. La messa domenicale è un po' il vertice: sia dentro Chiesa che fuori. Abbiamo poi giornate d'incontro, per pregare e per riflettere. Si impiantano gruppi di studio, per esempio, composti di ragazzi e di adulti, genitori e figli. Magari a casa non si parlano molto... ma nel gruppo la conversazione fiorisce.
    Oggi sono i giovani che cercano gli adulti. Nei primi momenti, i giovani li rifiutavano: forse non li stimavano o ne avevano paura. Oggi li cercano: sentono di averne bisogno. È un momento importane, di vera maturità: il gruppo si apre. E così, con i fatti, diventa vera esperienza di Chiesa.

    Il problema dello sbocco

    D. Per molti gruppi giovanili la crisi incomincia quando ci si pone il problema dello sbocco. La vita consumata tutta all'interno non ha più senso. C'è bisogno di rompere il piccolo cerchio del gruppo per proiettarsi verso esperienze nuove, più ampie.
    Voi avvertite questo interrogativo? Come lo risolvete?

    R. La crisi del «che cosa fare» l'abbiamo, eccome! Ce lo chiediamo spesso, con i giovani. Ma forse è una crisi di crescita e quindi, tutto sommato, positiva, se si ha il coraggio di non addormentarla.
    Proprio l'esperienza della nostra comunità parrocchiale ci offre elementi interessanti di soluzione per questo problema di sbocco.
    Nelle vecchie tradizionali associazioni il flusso tra i gruppi giovanili e i rami adulti era praticamente nullo... per ovvi motivi.
    L'unità di fondo che cerchiamo di instaurare tra giovani e adulti ci permette invece un riflusso normale: gli interessi sono comuni, la definizione di Chiesa è comune. Praticamente è una stessa grande comunità, la parrocchia, che porta tutti: una comunità che ha un discorso unico, anche se articolato.
    Man mano i giovani crescono, entrano tranquillamente nelle prospettive che caratterizzano i gruppi degli adulti, i gruppi familiari.
    Di fatto, non abbiamo trovato nessuna crisi di passaggio.
    Tutto questo è possibile se, veramente, ogni gruppo cerca di partecipare allo stesso grande progetto di fondo della parrocchia: se si isola, se fa un «suo discorso», addio filtraggio spontaneo. Ogni gruppo vive le sue attività in modo autonomo, per rispettarne la caratteristica. Ma tutti partecipano alla stessa comunità parrocchiale, ne assimilano la vita.
    In una parola, si cresce assieme.
    La crescita comporta solo un cambio di modalità di partecipazione. Il nocciolo rimane, intatto. Nella comunità parrocchiale che è il «gran letto del fiume» che tutti ci porta.


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