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    Gruppi giovanili e attività di quartiere



    (NPG 1973-11-46)

    Continuiamo la presentazione di esperienze sull'attività di gruppi giovanili nel quartiere.
    Le tre esperienze che offriamo hanno un denominatore comune che morde uno dei problemi più scottanti per i gruppi ecclesiali (e i giovani) impegnati nel sociale: l'impatto tra fede e politica.
    È evidente, anche da una lettura sommaria, che i «documenti» sono più ampi del taglio con cui li presentiamo. Danno il resoconto di una attività tipicamente politica. Che quindi tocca solo di striscio il tema «fede e impegno». D'altra parte, però, il problema è tutt'altro che marginale nell'economia di un impegno politico di cristiani. Per questo lo evidenziamo, lasciando gli altri aspetti all'analisi del lettore.
    II quartiere, per ì mille motivi che è facile supporre, «provoca» l'identità cristiana. II contatto con l'urgenza dei problemi e il necessario confronto collaborativo con giovani di ideologie diverse, costringono ad una chiara scelta di campo sul «dove» situare la fede.
    I discorsi, tante volte affrontati a livello teorico, qui si fanno davvero caldi. Una fede senza presa sul sociale viene presto emarginata. Si passa dalla insignificanza teorica ad una irrilevanza pratica (fino a giungere alle affermazioni – davvero preoccupanti – dell'esperienza di «Milano dieci»). Chi intende, invece, giocare in unità fede e impegno politico... non ha vita facile. All'interno della sua persona esplodono grossi conflitti di coscienza. A livello sociale, poi, il rimbalzo provoca irrigidimenti e grippaggi.
    Quale soluzione?
    La separazione dei ruoli, come hanno deciso i giovani di Varignano, o la fatica di inventare quotidianamente un punto di equilibrio, nella ricerca di uno spazio di intervento congeniale al cristiano, come hanno fatto i giovani di Bolzaneto? Una cosa appare comunque chiara, anche a prima vista. I giovani che rifiutano la mediazione delle istituzioni ecclesiali o mettono in crisi la fede, hanno sempre alle spalle una concezione di «parrocchia» o di oratorio o di fede davvero molto povera...
    Non vogliamo offrire risposte (anche se sono abbastanza evidenti, nel lungo cammino della rivista), perché ci riserviamo un ampio dibattito conclusivo, in uno dei prossimi numeri.
    Tentiamo, invece, di indicare una «quarta» via.
    Un gruppo di giovani ha riflettuto a lungo sulle problematiche relative a fede-chiesa-liberazione. Ed ha redatto un «documento», stimolante per molti versi. Non riguarda, in prima persona, il quartiere, ma il conflitto di fede che pone ogni impegno politico e quindi anche l'attività di quartiere.
    Lo offriamo non come punto-fermo, ma come confronto, come «storia», per la ulteriore ricerca.
    È assente, qui come nella redazione delle altre esperienze, ogni nostro giudizio. Presentare non significa avallare a scatola chiusa. Anche perché è in programma quella valutazione globale citata sopra.

    (Redazione di F. Garelli e R. Tonelli, su materiale originale).

    IL QUARTIERE COME «SPAZIO POLITICO»
    DELLA PARROCCHIA

    quartiere VARIGNANO

    LA STORIA DEL QUARTIERE

    Ogni città ha un suo ghetto.
    Ogni città ha il suo «neo», la sua zona «difficile», dove non si portano mai i turisti per salvare reputazione e paesaggio.
    Ogni città ha il suo «ghetto» dovuto forse alla crescita troppo in fretta e troppo egoista di un certo «benessere di fronte al quale gli amministratori, come sempre, sembrano impotenti o compromessi.
    Anche Viareggio non sfugge a questa legge. Per i turisti sarà la città delle ferie festose, con tanto di carnevale e di atmosfera giovanile; per noi che risiediamo qui è anche la città del «Varignano».
    Da alcuni anni Viareggio è al centro di una notevole espansione caratterizzata da una forte immigrazione dal sud: molta gente è in cerca di lavoro in una zona che si distingue nel campo turistico-balneare.
    In questa situazione la città diventa un forzato punto di incontro di mentalità, cultura ed usanze completamente diverse. Il dialogo non nasce. Al suo posto prende forza la diffidenza, il controllo reciproco, l'incomprensione.
    Il Varignano è il quartiere che ha il più alto tasso di immigrati della città, la zona più popolare di Viareggio che si porta sulle spalle il carico dei problemi comuni alle zone di espansione.
    Questa serie di circostanze contrarie ha fatto sì che il quartiere del Varignano diventasse un punto di riferimento di vari gruppi impegnati a livello sociale, decisi a misurare con questa realtà le loro convinzioni ed idee.
    Un gruppo di giovani ed un prete: questo fu il primo nucleo di persone che si interessarono del quartiere Varignano. La loro azione partiva dalla parrocchia. Ma non fu limitata ad una presenza religiosa. Cercò di prendere in esame tutti i problemi della zona e di avviare a soluzione i più urgenti. Soprattutto ci fu uno sforzo notevole per sensibilizzare le persone, per preparare la popolazione ad una gestione diretta dei problemi della zona.
    Fu un lavoro in profondità, non propagandato sui muri o con altosonanti proclami: ma condotto nel silenzio, nella costanza di un quotidiano sgranato in un servizio che aveva come centro le persone e i loro problemi concreti. La venuta di un nuovo parroco nella parrocchia del Varignano fece dirottare sulla zona un gruppo di giovani del movimento «studenti cattolici», legati da profonda amicizia al sacerdote.
    Sembrava loro possibile, con questo appoggio, iniziare in un terreno così problematico come il Varignano, un'azione sociale e politica che concretizzasse i valori del gruppo.
    Erano giovani molto decisi. La loro sensibilità politica era maturata a contatto con esperienze di gruppi extra-parlamentari: così avevano acquisito la necessità di avere alle spalle un'analisi politica della situazione su cui fondare la propria azione mediante una strategia adeguata.
    Naturalmente questo nuovo gruppo «impattò» con i giovani che già operavano nella zona. Non fu un incontro piano. La sensibilità molto diversa, le divergenze a livello di analisi sociale e di prospettive di intervento, provocarono momenti di disagio, forse anche di incomprensione.
    Alla fine rimase in piedi il gruppo più «corazzato»: il gruppo di studenti cattolici, deciso a intraprendere un'azione a livello più propriamente politico. E se questa azione è stata possibile perché ha incontrato un ambiente capace di recepirla, il merito va al gruppo precedente che con il proprio lavoro nascosto e continuo aveva «dissodato» questo terreno e l'aveva preparato in modo tale da poter essere animato.

    LE SEPARAZIONE DEI RUOLI

    Prima di impegnarsi a capofitto in un'azione di quartiere il gruppo doveva ancora superare uno scoglio importante. I leaders avvertirono il dilemma di essere da una parte dei cattolici legati alla parrocchia e dall'altra di voler portare avanti un discorso politico chiaro, senza alcun condizionamento di strutture. Era giusto rimanere in parrocchia a fare un discorso di carattere politico che in ultima analisi impegnava a fare delle scelte ideologiche e di conseguenza ad escludere altre concezioni?
    Si trattava in fin dei conti di scegliere tra il rimanere in parrocchia rinunciando a portare fino in fondo l'azione politica, giovandosi però di una struttura su cui appoggiarsi, oppure tra l'essere liberi totalmente da ogni condizionamento e portare alle estreme conseguenze l'impegno.
    Anche il sacerdote intervenne per una chiarificazione: è possibile fare certe iniziative come comunità cristiana; ma non si può come tale fare un discorso ideologico che innalzi come assolute alcune posizioni; come comunità dobbiamo essere coerenti a quello in cui crediamo e che ci qualifica come cristiani.
    Il discorso si trascinò a lungo e divenne sofferto.
    Alla fine il gruppo fece la scelta precisa di separare i ruoli: da una parte la comunità ecclesiale, a cui anch'essi appartenevano, chiamata a fare l'annuncio del vangelo e di conseguenza a denunciare l'ingiustizia di certe situazioni contrarie all'uomo; dall'altra i giovani che costituiscono il gruppo politico.
    La comunità parrocchiale agisce quindi come momento di sensibilizzazione dei cristiani e di quanti recepiscono il suo discorso, e come tale può lanciare iniziative che sono poi condotte avanti dal gruppo politico che, forte della sua indipendenza da qualsiasi condizionamento, studia e cerca di attuare i mezzi più adatti per concretizzare l'azione sociale e politica.
    Questa soluzione non si è rivelata liberante soltanto per il gruppo stesso; e anche la parrocchia ne ha guadagnato allontanando il pericolo di una frattura incombente in tutte le situazioni in cui le possibili soluzioni creano divergenze e conflitti.

    IL MODO PER COINVOLGERE LA POPOLAZIONE

    Tra le tante azioni del gruppo citiamo quella più importante che illustra il modo con cui si tenta di coinvolgere la popolazione nella responsabilità della vita di quartiere.
    Alla fine dell'anno scolastico vari genitori si sentirono indicare dai professori la parrocchia come centro in cui avrebbero potuto trovare il modo per fare dare ripetizioni ai loro ragazzi. Questa infatti era un'iniziativa che il gruppo precedente, con il sacerdote che li seguiva, conduceva avanti da tempo. Anche questa volta i genitori si riversarono fiduciosi in parrocchia. In un'assemblea la discussione fu accesa ed i giovani accettarono di impegnarsi per le ripetizioni a patto che la gente appoggiasse il gruppo in una serie di iniziative e rivendicazioni che riguardavano la zona. E così vi furono ripetizioni per tutta l'estate in locali ottenuti dal comune dietro precisa richiesta del gruppo e della popolazione.
    E a questa iniziativa ne seguirono molte altre per favorire una coscientizzazione dei problemi da parte della popolazione. Si fecero assemblee di frazioni di quartiere: ogni sera i giovani, in zone diverse, portarono avanti questo impegno di sensibilizzazione.
    Alla ripresa dell'anno scolastico, nonostante tutte le assicurazione del comune, emerse nuovamente il problema della insufficienza delle aule scolastiche. L'assemblea dei genitori ebbe una risonanza vivace, e si riuscì, con il loro apporto, a far pressioni in modo tale che il problema fosse avviato a soluzione.

    IL GRUPPO E IL CONSIGLIO DI QUARTIERE

    All'inizio il gruppo di giovani contestava apertamente la struttura istituzionalizzata del consiglio di quartiere definendolo organo fantasma della partecipazione dei cittadini alla vita della zona.
    Decise quindi apertamente di operare aldilà di questo momento ufficiale.
    A mano a mano però che l'azione dei giovani prendeva consistenza, il consiglio ha ritenuto opportuno fare alcuni passi verso questo gruppo che, con le azioni fatte, aveva guadagnato la credibilità della popolazione.
    Così il gruppo è stato invitato a partecipare alle riunioni del consiglio e a ricercare una forma di collaborazione.
    I giovani hanno accettato questo invito. La loro presenza nel consiglio ha un preciso significato: essere una forza che cerca di organizzare una presa di coscienza della popolazione ai problemi del quartiere in modo da poter giungere nel più breve tempo possibile a quelle elezioni dei rappresentanti del quartiere che dovrebbero rappresentare la raggiunta maturità dei cittadini nella partecipazione civica.

    VALIDITÀ DELL'ESPERIENZA

    L'esperienza che questo gruppo sta portando avanti in campo sociale e politico e la scelta fatta dei giovani di dividere i ruoli, di vivere quindi un momento ecclesiale ed un momento politico, ha dato adito ad alcuni risultati significativi.

    • Anzitutto è valsa ad attenuare l'accusa che viene largamente distribuita ai sacerdoti che annunciano un cristianesimo che impegni le persone a livello sociale: di essere cioè dei preti rivoluzionari...
    Un gruppo di giovani che vive anche un momento parrocchiale, è libero di fare le sue scelte a livello politico senza che queste responsabilizzino il sacerdote. Questa separazione serve pertanto al sacerdote in quanto non lo responsabilizza immediatamente delle scelte che i giovani fanno sul campo politico.

    • Chi studia il modello di questi giovani non può più dire che il cattolico è quello che se ne vive tranquillo: allo stato attuale, qui al Varignano tutti cercano di mettersi a fianco di questi giovani. Nessuno contesta che loro siano i leaders che portano avanti il discorso e le iniziative.

    • Hanno acquisito inoltre una notevole credibilità presso le persone del quartiere. Quando si presentano nelle famiglie, da alcune vengono apprezzati perché religiosi»; tutte comunque li apprezzano perché sono giovani che pagano di persona. Per cui quando bussano alla porta e parlano anche di religione nessuno si permette di fare risolini o assume di fronte a loro atteggiamenti di sufficienza: si accorgono di avere davanti degli uomini.
    Questi giovani rappresentano di fatto la possibilità di incontro anche a livello religioso delle persone più lontane dalla chiesa, quelle che non sarebbe assolutamente possibile avvicinare in maniera diversa.

    Non tutto, però, nell'esperienza è roseo e pacifico. La separazione dei ruoli (il servizio parrocchiale da una parte e l'impegno politico esplicito, con scelte anche ideologiche, dall'altra) crea tensioni e conflitti.
    A livello personale, dal momento che il «ruolo» non è parte disintegrabile nella persona. E quando è in ballo il problema della coerenza di un atteggiamento nei confronti dell'altro, nascono grosse tensioni interne.
    Soprattutto però i conflitti sono a livello «sociale». Molte persone si meravigliano delle due «imprese» che gli stessi gestiscono.
    Qualcuno non crede all'impegno politico esplicito, non si fida, perché li vede «compromessi» con il servizio ecclesiale (rispunta un vecchio e purtroppo facile anticlericalismo). Altri invece sono preoccupati della validità del servizio parrocchiale, proprio perché li avvertono fortemente politicizzati.
    Un po' di conflitti, ad ogni modo, non guastano.
    Permettono di procedere quasi a tastoni, costretti ad una continua verifica. Lontani da quella sicurezza del «so tutto io» che, alla fine, risulta un pessimo servizio di liberazione.

    IL QUARTIERE È DOVE S'IMPATTA
    FEDE E IMPEGNO POLITICO 

    quartiere BOLZANETO

    IL CONSIGLIO DI DELEGAZIONE

    Il territorio del comune di Genova è diviso in 24 zone di decentramento. In ciascuna di esse oltre al rappresentante del sindaco c'è un consiglio di Delegazione o di Quartiere che costituisce l'organo democratico del decentramento. ll consiglio di Delegazione o di Quartiere è composto da venti consiglieri, nominati dal consiglio comunale su indicazione autonoma dei singoli gruppi consigliari, in proporzione ai numero degli eletti nelle liste presentate alle elezioni comunali. I requisiti per la nomina a consigliere sono: l'iscrizione nelle liste elettorali del comune e la residenza nella zona.
    Il consiglio di Delegazione o di Quartiere è un organo avente compiti consultivi e di proposta per la promozione della più ampia partecipazione democratica dei cittadini alla vita politico-amministrativa della città.
    Fin qui il regolamento comunale. Quando dalla carta si passa alla realtà, le cose sono meno logiche e meno chiare.
    Il guaio più grosso è rappresentato dai partiti. Sia perché sono «tali», cioè ancorati alle loro divisioni e barricate, alle fette di potere a denti stretti, sia perché con questa concezione alle spalle non credono assolutamente in un'azione di quartiere.
    È vero che mandano nel consiglio di delegazione le forze più giovani. Ma ciò è fatto di proposito: anzitutto perché può risultare un campo di intervento problematico e «pepato»; e poi, tutto sommato, il consiglio ha solo valore consultivo. Quando si tratta di concretizzare qualcosa è necessario passare attraverso I'«imprimatur» del partito. Tutti i nodi tornano al pettine!
    È proprio a questo punto che il partito dimostra le sue pecche più marcate: quando non ci si può rifugiare dietro i «programmi» o i «proclami»; quando la realtà cruda del quartiere è troppo vicina per permettere una risposta fumosa e vaga.
    Così da una parte ci si aliena completamente la popolazione che perde fiducia nella soluzione politica dei problemi e si chiude sempre più nel proprio individualismo. Dall'altra ci si aliena quelle forze giovanili che vorrebbero spezzare qualche lancia per la soluzione di alcuni conflitti.

    L'ACCETTAZIONE DELLA STRUTTURA DI QUARTIERE

    In questo quadro «grigio» alcuni giovani ed adulti di matrice cattolica hanno sentito l'esigenza di fare un'azione di quartiere nella zona industriale della Valpolcevera e in particolare nel centro di Bolzaneto.
    Non abbiamo scelto di fare un'azione alternativa al consiglio preposto dal comune a questo compito. Né si è disarmato dinanzi alla necessità di passare attraverso il partito.
    Abbiamo dato la nostra adesione da una corrente di sinistra della DC e siamo entrati nel consiglio di delegazione come rappresentanti di quel partito. Naturalmente il discorso innovativo che intendiamo portare a livello di quartiere cerchiamo di promuoverlo prima di tutto all'interno del partito.
    È una battaglia su due fronti: lacerante e senza sbocchi se non giunge qualcuno a condividere il nostro stesso peso, se non riusciamo a concretizzare le proposte.
    Noi non crediamo molto nel consiglio di Delegazione così come opera attualmente. Di fatto ci rimaniamo perché facciamo un gioco abbastanza libero e riusciamo a portare avanti qualche cosa. Il nostro scopo è comunque quello di creare un nucleo di persone, al di fuori della cerchia ristretta del consiglio, al di fuori dei partiti politici, che si interessi dei reali problemi della Delegazione. È necessario creare una serie di comitati di zona, una serie di consigli di via... E ciò proprio per promuovere una partecipazione attiva e cosciente della base. Se la struttura del quartiere non si concretizza assumendo come propri i problemi reali della zona, se non si decentralizza in gruppi che affrontino i piccoli ma concreti problemi che le persone hanno in comune proprio perché abitano nella stessa via, perdiamo ancora una volta l'occasione per sensibilizzare le persone. È chiaro che poi si tratterà di passare da questa sensibilizzazione su problemi piccoli ad una attenzione a problemi più grandi.
    Ma la via obbligante e necessaria è quella di trovare modi concreti per far partecipare alla vita civica e politica quante più persone è possibile: combattere l'isolamento, l'individualismo, cercando la convergenza su problemi comuni che toccano ogni persona.
    La popolazione ha fame di risultati. Delle parole nessuno sa più che farsene: ci hanno ormai narcotizzati sino a renderci totalmente insensibili.
    C'è inoltre un'altra dimensione che caratterizza l'atteggiamento della popolazione verso la politica: la sfiducia totale, la critica ormai cronica e persino distaccata. L'inconcludenza ha prodotto l'indifferenza.
    A livello concreto questo atteggiamento sta alla base di una nulla partecipazione della popolazione alle attività del consiglio di Delegazione e alle sue riunioni. Si tratta a questo punto di far leva sul malcontento per sottolineare una coscienza rivendicatrice ma soprattutto per invitare alla partecipazione, per non limitare l'intervento politico alla delega generica di alcune persone.

    LA COMMISSIONE SCUOLA-FAMIGLIA:
    UN ESEMPIO Dl PARTECIPAZIONE DELLA BASE

    Proprio su un problema concreto, quello scolastico, abbiamo ottenuto i maggiori risultati.
    Anzitutto siamo riusciti a far approvare dal consiglio di Delegazione la proposta di istituire un comitato scuola-famiglia come momento di partecipazione da parte delle famiglie alle decisioni più importanti che riguardano la scuola dei figli.
    L'istituzione di questo comitato aveva per fine di trovare nelle esigenze delle famiglie un punto di incontro che accomunasse tutti gli strati sociali presenti in Bolzaneto.
    Il disegno si è rivelato utopico. Di fatto le esigenze di alcune famiglie non sono le esigenze di altre: su questo punto si crea un solco costituito da incomprensione e da atteggiamenti diversi.
    L'impostazione data ad alcuni problemi non incontrava l'approvazione dei genitori appartenenti al ceto-bene. Ad essi la scuola a tempo pieno non interessa perché hanno la possibilità di trovare altri sbocchi per i figli; il problema dei doppi turni non li sgomenta: un rimedio può essere la scuola privata; l'accenno al reperimento di aree adeguate per la costruzione di nuove scuole li mette in atteggiamento difensivo e risentito: quel terreno è privato, è intoccabile, o perché è loro o comunque di qualcuno del loro «giro». Logico quindi che non appoggino l'esproprio di quell'area.
    Significa pertanto che l'impegno nel quartiere sia di fatto un mettersi dalla parte di una certa categoria sociale: quella meno abbiente, più condizionata e più sofferente.
    Non ci soffermiamo sui risultati concreti ottenuti dalla commissione scuola-famiglia. Ci interessa di più il modo adottato a questo livello per favorire la sensibilizzazione dei genitori a questi problemi.
    li metodo migliore è quello «diretto». Alcuni genitori coinvolti nelle esigenze e particolarmente sensibili a questi problemi cercano di condurre avanti un'opera di coscientizzazione presso gli altri genitori. Si tratta di incontrarli all'uscita della scuola, quando accompagnano i figli; si tratta di invitarli a casa propria, di instaurare un clima di amicizia e confidenza per cui sia possibile trasportare il discorso anche a un livello di «politica concreta» senza incontrare muri chiusi o sguardi raggrinziti.

    LA META A CUI TENDERE

    Oltre quanto abbiamo cercato di fare, vorremmo anche soffermarci sui nostri progetti che rappresentano il coagulo della riflessione e dell'esperienza che stiamo vivendo. È l'ideale a cui tendiamo e verso cui unifichiamo i nostri sforzi.

    1. Un gruppo che si impegna nel quartiere deve avere chiara coscienza dei problemi reali della zona. E questa conoscenza non può avvenire a tavolino. Inoltre una azione di quartiere non può prescindere dalla conoscenza delle persone che vivono in questa zona. Il contatto diretto è fondamentale per impostare un nuovo tipo di «politica»: è un modo concreto per avvicinare la popolazione, per coinvolgerli, per rompere la cerchia dell'anonimato che contraddistingue l'impostazione del normale modo di far politica.

    2. Il metodo di intervento deve essere duplice.
    Anzitutto la denuncia.
    Una situazione di quartiere presenta carenze, conflitti, problemi vari, Un modo perché questi non siano «addormentati» con le promesse o con contentini e palliativi è quello di tener desta l'attenzione su questi fenomeni.
    La denuncia si rivela un'arma affilata.
    Chi ha in mano il potere ha interesse che non vi siano scalpori, che la gente viva tranquilla con le anestesie preparate apposta da tutto un sistema. È necessario invece smascherare e denunciare i luoghi di ingiustizia e i momenti di assenza ed omissione dell'amministrazione pubblica. Ciò che può far paura sono i fatti e l'opinione pubblica.
    Purtroppo certe omissioni tranquille riposano sull'ignoranza delle masse.

    3. Ma la denuncia non basta. È necessario dare il senso della globalità e quindi partire dai problemi locali per giungere ad una coscientizzazione che vada al di là dei problemi locali. C'è una matrice comune alla lotta nel quartiere, a quella nella fabbrica, a quella nel terzo mondo. È la rivincita delle masse che cercano di prendere coscienza dei loro diritti e nello stesso tempo dei loro doveri.

    4. Un gruppo alle spalle.
    È una realtà che già stiamo vivendo.
    Le motivazioni che ci spingono ad agire nel quartiere sono personali. Abbiamo creduto individualmente di dare uno sbocco alla nostra fede operando in un campo sociale.
    Ognuno di noi ha scoperto che la propria vocazione passava attraverso questo quartiere. Per essere quindi coerenti ai nostri principi non potevamo disinteressarci della zona dove viviamo.
    Alle nostre spalle però c'è una comunità giovanile: essa rappresenta, per questo nostro impegno, un gruppo di riferimento.
    Lì, a contatto con molti altri giovani, verifichiamo il senso del nostro agire come cristiani. È un discorso di motivazioni profonde, di alimentazione della nostra fede, anche se ognuno cerca di vivere il proprio cristianesimo come la sua vocazione gli indica (chi in un gruppo per il Terzo Mondo, chi nel fare catechismo ai ragazzi, chi nell'impegno di quartiere). E in questa pluralità di sbocchi di impegno riconosciamo la ricchezza del nostro essere gruppo.
    L'importante è che nessuno assolutizzi la propria posizione ergendola come l'unica possibile per tutti. Sarebbe la morte.
    In questa comunità noi che crediamo particolarmente in un impegno di quartiere, cerchiamo di far presente agli altri la possibilità di inserirsi in questa azione e la sensibilità per i problemi che la zona denuncia. È il contributo anche che cerchiamo di dare ai «più piccoli» con la speranza che un domani ci diano una mano o che comunque, nell'ambito di dove decideranno di operare, portino questa sensibilità e questa attenzione.

    L'IDENTITÀ CRISTIANA

    All'interno del quartiere si avverte, come in tanti altri campi, il problema della propria identità cristiana. Anzitutto si nota come ci si trovi in pochi a condividere certi valori e certe impostazioni. E questo perché al di là dei fatti grossi, concreti, quali possono essere i problemi più urgenti del quartiere, si vede che manca un campo e una sensibilità in comune con le persone con cui pure si opera.
    Certe visuali si percepiscono in pochi e non si può non soffrire di questo «isolamento», di questa barriera che si intravvede e che sta sotto a quanto si riesce a realizzare.
    In particolare poi l'identità cristiana si rivela in certe situazioni in cui la persona non è tenuta in sufficiente considerazione. La macchina politica è un buldozer: non guarda in faccia nessuno, non riconosce alcun volto. Si commuove solo quando intravvede «l'osso» del «politico», l'aspetto «politico» di un avvenimento. Allora si ferma, battaglia, si rompe i denti. Ma il fine non è il bene di quella persona o la soluzione di quella situazione: il fine è poter dire: «l'abbiamo fatto noi», «ci siamo arrivati per primi», «il nostro gruppo ha vinto questa battaglia politica».
    Così dove non c'è un guadagno politico, non c'è «movimento».
    Ciò naturalmente comporta una strumentalizzazione di alcuni casi e un'omissione di altri.
    In queste situazioni ci pare come cristiani di dover intervenire.
    E siccome questi casi sono all'ordine del giorno perché su questo punto la «politica» è tinteggiata di un grigio opportunismo, la guerriglia è permanente. La propria identità richiede al cristiano che opera nel quartiere di non limitarsi ad abbracciare la lotta per la casa, gli impianti sportivi, le fogne e la scuola: accanto a questo deve essere costante la preoccupazione di difendere e promuovere la considerazione globale della persona.
    Il quartiere ha molti campi dove si deve vivere questa attenzione: proprio dove la nostra vita si snoda tutti i giorni c'è la possibilità che si perpetuino condizioni di isolamento, di discriminazione, di emarginazione.
    L'impegno del cristiano nel quartiere va oltre l'esigenza di rispondere personalmente e pagando di persona ai problemi che ci fanno sentire al tavolo degli imputati. È una testimonianza che sta al di là di tutti i propri sforzi. È una fede nella possibilità di realizzare una fraternità cristiana, di costruire un mondo di uomini che si riconoscano fratelli, che non siano più schiavi di strutture o di guerre o di egoismi.
    Lavorare per il quartiere, soprattutto per quelle persone che più ne hanno bisogno, è un mettere mattone su mattone per la costruzione del «regno».

    PER FAR QUARTIERE ABBANDONIAMO
    LA PARROCCHIA
     

    quartiere MILANO 10

    DA UN'AZIONE INCOLORE NELL'ORATORIO
    AD UN IMPEGNO NEL QUARTIERE

    Noi non siamo partiti come movimento politico, ma da esigenze evangeliche. Eravamo un gruppo giovanile in parrocchia che sentiva tutto il disagio di dover condurre avanti un'esistenza di oratorio, senza la collaborazione delle famiglie, ed entro schemi fissati dall'autorità che non lasciavano alcuno spazio creativo. Vedevamo i giovani allontanarsi proprio perché avevano bisogno di qualcosa di più concreto. Mossi da queste considerazioni abbiamo rivolto la nostra azione nel quartiere, soprattutto verso le situazioni più gravi: case inagibili abitate da famiglie numerose a cui mancava l'essenziale; famiglie disgregate da situazioni allucinanti...
    Confrontati da questi fatti, ci siamo chiesti più volte la validità del nostro sforzo. Non ci interessava tanto che rappresentasse per noi un campo d'azione in cui concretizzare il nostro impegno. Temevamo che fosse uno sgravio di coscienza personale, senza risolvere minimamente i problemi. Di fatto le situazioni misere erano sempre più misere, i nostri sforzi sempre più vani.
    È nata allora una dimensione diversa nell'affrontare questi problemi: la necessità di andare alla radice, alle cause delle situazioni.
    Era necessario organizzare la nostra azione per eliminare, per quanto possibile, il divario culturale e sociale tra la popolazione.
    Di qui è nata la nostra vocazione politica.
    Aiutati da una componente della sinistra DC ci siamo immessi nel comitato di quartiere e qui abbiamo scelto l'edilizia scolastica come campo di intervento, in base alle urgenze che ci sembravano più importanti.
    L'entrare a far parte del comitato di quartiere è significato per noi interessarci dei problemi della zona cercando un collegamento con il consiglio di zona, l'organo preposto dalla città di Milano per realizzare nei vari quartieri il piano di decentramento comunale.
    Il consiglio di zona naturalmente è rappresentativo della distribuzione dei partiti nell'amministrazione comunale e come tale presenta in ogni zona la distribuzione politica esistente al vertice del comune.
    Nonostante questi limiti di cui una struttura «ufficiale e istituzionale è carica, abbiamo creduto opportuno tentare un'azione di quartiere affiancando il consiglio di zona e partecipando alle varie commissioni incaricate dei settori più importanti.
    In seguito la stasi burocratica e l'intoppo costituito da certi partiti «moderati», ci hanno fatto perdere completamente la fiducia verso il consiglio di zona. Così ne siamo usciti per tentare un'azione di quartiere, liberi da strutture.

    LE TAPPE DELLA NOSTRA MATURAZIONE

    Dialogo tra cattolici e marxisti

    All'inizio il nostro gruppo era formato di cattolici che volevano dare uno sbocco sociale e politico alle loro convinzioni.
    Le persone di questo nucleo che sono rimaste nel gruppo hanno subito un cambiamento notevole. Per essi il vangelo non è più la motivazione del loro agire e dell'impegno sociale. E questo, ci pare, è un fatto positivo. Se così non fosse il vangelo avrebbe ancora una volta la funzione di tappabuchi, di molla che spinge artificialmente in una certa direzione, di urgenza non genuina. Adesso invece ciò che ci spinge a questo dovere sociale sono gli stessi problemi che la realtà presenta. Le motivazioni nascono da stati di ingiustizia che riempiono il quotidiano e non da un'adesione ad una fede da tavolino. La fede è un qualcosa che si vive senza tanti proclami, che non sostiene direttamente le motivazioni del proprio agire in campo politico e sociale.
    In alcuni invece non c'è stata questa maturazione. Costoro hanno continuato a essere motivati nella loro azione da istanze di fede e ad un certo punto non sono riusciti a continuare in un tipo di servizio. Hanno dovuto ripiegare su un impegno nell'ambito della parrocchia e quindi hanno lasciato il gruppo. La fede per loro è diventata una resistenza a darsi completamente oppure a darsi con una certa convinzione, con un certo impegno a livello di azione di quartiere. Sembra che la fede li abbia condizionati, costituendo un ostacolo serio per la loro adesione totale e senza misure a un movimento di liberazione e promozione umana.
    Ai cattolici che hanno continuato a far parte di questo gruppo di impegno sociale si sono uniti alcuni marxisti per tentare una collaborazione che portasse un maggior peso nelle iniziative concrete a livello sociale.
    La compresenza di diverse ideologie ha favorito una proficua maturazione.
    I cattolici sono stati sensibilizzati alla globalità dei problemi sociali e politici e alla necessità di un'analisi precisa della situazione come base di ogni strategia di azione.
    Gli elementi di estrazione marxista, a loro volta, a contatto con la formazione dei cattolici, hanno scoperto il valore della persona nella sua singolarità, e il fatto che una società umana non possa essere condotta avanti solamente con la politica.
    Su questa analisi della maturazione del gruppo riportiamo il parere di un componente di estrazione marxista. Ci pare significativa la lettura dei processi di sviluppo ideologico e motivazionale dell'impegno dei componenti il gruppo che egli ha tracciato partendo logicamente dalle sue categorie. È un'analisi in cui noi, in generale, ci riconosciamo.

    «Provengo da una sezione locale del PCI e già da tempo ero impegnato a livello di quartiere anche se non esplicitamente. Quando lavoravo a livello di sezione non esisteva ancora la problematica del quartiere inteso come luogo di democrazia e come luogo in cui si svolgono determinate lotte per mobilitare le masse o per dare ad esse un maggior impegno che poi deve essere portato avanti in tutti i luoghi in cui si vive e dove c'è uno scontro di classe.
    Tutta la problematica politica maturata nella sezione mi ha immediatamente fatto trovare a mio agio in un'azione di quartiere.
    Accetto attualmente di lavorare in un gruppo in cui ci sono anche cattolici perché ho voluto rendermi conto di persona se vi erano effettivamente altre forze o persone con cui fosse possibile collegarsi, dato che il fine del PCI è l'alleanza di classe. Volevo cioè scoprire se queste forze della sinistra cattolica erano in grado di capire i problemi delle masse lavoratrici e quindi se era possibile realizzare con esse un'alleanza di classe. Ho condotto quindi questo tipo di esperienza pur rimanendo vincolato alla mia sezione e portando in questo comitato di quartiere tutta la problematica della sinistra di classe che mi derivava dalle mie esperienze e dalle mie convinzioni. Il mio giudizio sui cattolici con cui collaboro è contraddittorio.
    A mio parere i cattolici annegano la loro fede nella realtà di quartiere, perdono cioè quelle motivazioni che quando erano all'oratorio o nelle associazioni parrocchiali li spingevano ad incontrarsi con le masse, con le persone più disagiate.
    In un lavoro di quartiere queste motivazioni di carattere ecclesiale vengono meno. Anche se alcuni a livello individuale conservano certe motivazioni, la loro analisi non si spinge mai verso l'analisi politica del problema, ma rimane in una situazione intermedia che sa di indecisione tra il lavoro dí oratorio e un impegno individuale a carattere sociale. Sembra che si portino sulle spalle il gravame di un condizionamento che impedisce uno sbocco concreto e il nostalgico desiderio di un impegno che non riesce ad andare aldilà del generico.
    Non si va aldilà di questo desiderio, non ci si spinge a ricercare le cause di un determinato fenomeno politico e non si fa quindi vera analisi politica.
    Se uno pertanto ha il coraggio di lasciare la sua fede (quella che per tanti anni gli hanno insegnato) può fare quindi una scelta di quartiere e può vivere questa scelta in modo coerente e valido.
    Perché il condizionamento del cattolico nel campo sociale è troppo grande.
    L'insegnamento della chiesa in questo settore, attraverso il contenuto delle encicliche che ha emesso e che via via viene poi ripetuto nelle prediche domenicali e in ogni circostanza, prospetta che il cattolico quando è nell'ambito dei problemi sociali deve mantenere inalterata la sua personalità. Ciò vuol dire concretamente che il cattolico davanti ad uno sciopero reagisce uniformando il suo giudizio a quello dell'insegnamento ecclesiale. Quasi sempre questa valutazione lo porta a non aggregarsi alle masse a non diventare lui stesso massa proletaria. Il cattolico sembra quindi avere, nel settore sociale, un potere frenante che lo caratterizza.
    Nonostante queste valutazioni negative sul modo di comportarsi e di pensare di alcuni cattolici debbo ammettere che lo stare a fianco con altri cattolici che hanno meglio maturato il senso del loro impegno, mi ha portato un contributo importante: la necessità di considerare la persona umana.
    lo ero solito considerare il gruppo come unità, come massa da scagliare sugli obiettivi o da incanalare verso le determinate strategie politiche che si diversificavano a seconda delle necessità del momento.
    Le difficoltà che ho trovato all'inizio del mio inserimento in questo gruppo derivano dal fatto che non avevo mai considerato la persona come un insieme di cultura e di valori, inserita anche in una definita situazione economica, appartenente a una determinata classe e situata nell'ambito del quartiere.
    Questo era il mio vizio d'origine».

    Le diversità nella convergenza

    I cattolici che frequentano il nostro gruppo hanno ben presente che ciò che costituisce il loro cristianesimo è l'adesione al vangelo. Ciò non vuol dire essere vincolati a livello politico: qui va bene ed è accettata l'analisi marxista della società.
    È chiaro quindi che tra le due componenti del gruppo (cattolici e marxisti) esiste una certa convergenza.
    Non tutti, in questa analisi della realtà, in questo studio del marxismo, sono allo stesso livello: alcuni sono più preparati, altri meno; alcuni sono condizionati da una cultura prettamente scolastica, altri hanno potuto approfondire meglio con uno studio per proprio conto; certuni poi provengono da gruppi in cui hanno potuto confrontare le loro idee e le convinzioni che a mano a mano acquisivano. Aldilà di queste differenze c'è però una comune tensione allo studio e alla ricerca fatte insieme.
    E questa tensione si rivela anche a livello operativo.
    Ciò non toglie che vi siano di fatto delle diversificazioni a livello teorico e dei momenti caratteristici che alcuni vivono rispetto ad altri. Le diversificazioni riguardano le appartenenze ideologiche delle persone che vanno dall'adesione alla linea del PCI, a quella del Manifesto, a gruppi vari.
    Un momento caratteristico e peculiare viene poi vissuto invece dai cattolici e consiste nella celebrazione dell'eucarestia una volta alla settimana, alla sera. Si tratta di una messa che dura dalle tre alle quattro ore e che costituisce un momento di ripensamento della azione politica dei credenti oppure di aspetti specifici della fede, dei sacramenti e della nostra presenza come cristiani in questo gruppo e nel quartiere.

    IL GIORNALE PER UNA PARTECIPAZIONE REALE

    «Mattone su mattone» ovvero «Milano 10»

    Questi i due titoli che si sono succeduti sulla testata del giornale nei suoi brevi ma intensi tre anni di vita. È una storia che ricalca le tappe di azione e di maturazione del nostro gruppo.
    All'inizio il giornale aveva la funzione di affiancamento delle attività della parrocchia. In seguito ha cercato di fare alcuni passi oltre l'ombra del campanile verso quel quartiere che aveva dinanzi agli occhi e che inquadrava una realtà complessa e problematica. Quando il gruppo scelse questa realtà come suo diretto campo di azione il consiglio di zona ebbe verso il nostro giornale uno sguardo paterno, pieno di comprensione e fiducia.
    Come un tempo la parrocchia, così adesso il consiglio di zona ci considerava una sua creatura. Ma è bastato poco, in tutti e due i casi, perché la creatura da «buona» sia stata ritenuta «degenere». È stato sufficiente tentare di essere adulti, di tagliare i vari cordoni ombelicali, l'esprimere alcuni contenuti ed alcune analisi a riguardo della situazione ecclesiale e della realtà sociale del quartiere. Di qui sono cominciati i contrasti e le contestazioni.
    Non c'è stata per la verità la dichiarazione di guerra.
    La rottura è consistita nell'isolamento. Non ci hanno più riconosciuti come figli prediletti, hanno distaccato le loro responsabilità dal nostro operato, ci hanno isolati. Per loro noi non contavamo più nulla. Pensavano forse in questa maniera di farci morire?
    Tutto sommato questa strategia di isolamento ci ha permesso di fare la nostra strada senza cercare di raddrizzare, dall'interno delle due strutture, una situazione insostenibile. Se il giornale non aveva più niente a che fare con la parrocchia o con il consiglio di zona, era più che mai pronto a essere il sostegno e l'espressione di quella volontà politica che aveva animato il gruppo nelle battaglie ideologiche con queste forze statiche e nella ricerca di una politica alternativa che fosse aderente alle situazioni urgenti e concrete del quartiere. Con l'evoluzione della linea del giornale c'è stato anche un avvicendamento notevole dei lettori. Alcuni costantemente e con pregiudizio non lo considerano: si tratta di cattolici allarmati dal fatto che questo giornale prende talvolta una posizione critica verso la chiesa, oppure di comunisti per i quali non meritano considerazione le iniziative che portano anche la firma di cattolici.
    La tiratura comunque è oltre le 2.000 copie. Di queste 1.200 vengono acquistate nel quartiere; le altre nelle zone viciniori.
    Ci pare che nel complesso, dalle reazioni che riusciamo a percepire e che ci pervengono, il giornale sía abbastanza letto e stimato. Certo questo giudizio non vale per tutti quanti lo acquistano. Una parte forse lo fa per curiosità o comunque lo avvicina con una sensibilità politica diversa dalla nostra.

    Un giornale di quartiere per il quartiere

    Il nostro giornale è anzitutto un giornale di quartiere. Come tale quindi il suo peso è costituito da quanto avviene all'interno della nostra zona. Si parte dai fatti reali, di cui la gente ha coscienza, per far prendere coscienza di certe situazioni e di certi conflitti.
    Per non essere però un organo di stampa totalmente «localistico», di volta in volta, quando avvenimenti nazionali e internazionali richiamano l'attenzione delle masse, noi portiamo a conoscenza attraverso il giornale la nostra visione dei fatti. Così nascono articoli vari che riguardano problemi nazionali e internazionali.
    C'è inoltre un'altra motivazione che ci spinge a considerare i fatti nazionali. Molte volte quanto accade a livello economico e politico in campo nazionale ha una ripercussione sulla vita locale.
    Il modo di intervento di un determinato governo, la politica che gestisce, hanno inevitabilmente una conseguenza sul modo di governare del comune locale che a sua volta si riflette sui consigli di zona della città. È un'onda che si propaga dal centro alla periferia e che investe tutti i settori. In questa ripercussione gli interessi concreti del quartiere e della popolazione sono totalmente emarginati e vengono considerati nella scala dei valori e delle preferenze all'ultimo posto. È un posto platonico, accademico...
    Una delle preoccupazioni del nostro gruppo è di sentire la base, è di essere formato da persone che costituiscono la massa operaia, proletaria.
    Il nostro gruppo è costantemente attento a non chiudersi in un'élite a sé stante. Per questo cerca in tutti i modi di dialogare con le masse, di incontrarle sul terreno dei comuni problemi e di quelli più urgenti.
    Il giornale è un tentativo di ripensare una realtà con gli occhi della base, con la sensibilità di chi è in una situazione precaria a causa di determinati fatti sociali, di chi paga sulla propria pelle certe contraddizioni della società. Con questa impostazione il giornale è un invito esteso a tutti a collaborare; sono fogli bianchi che attendono di essere riempiti dalla sensibilità dell'uomo operaio che prende coscienza di quanto gli accade intorno.
    Per questo motivo la nostra redazione è aperta a tutti quanti desiderano intervenire e il modo di fare redazione è un tentativo di studio e di ricerca su problemi per i quali nessuno ha la verità in tasca.
    Il progetto è ambizioso, la realtà distante. Però tendiamo a far davvero una redazione che sia incontro e discussione di idee, completamento reciproco, arricchimento di apporti... Naturalmente con una analisi di fondo comune, con una linea su cui ci riconosciamo.

    FEDE - CHIESA - LIBERAZIONE 
    campo-scuola PEVERAGNO

    Premesse

    1. I giovani partecipanti alla tre-giorni esprimono alcune riflessioni a carattere operativo sulla realtà della chiesa e sull'impegno nella chiesa per un progetto di liberazione dell'uomo.
    Queste note indicano il punto d'arrivo della sensibilità acquisita. Nello stesso tempo segnano un quadro di continua verifica per la pratica quotidiana. Proprio perché elaborate con il senso di ricerca, di provvisorietà in cui ci riconosciamo, escludono ogni carattere di «documento ufficiale» e quindi di fissità e di normatività.
    Segnano una strada dentro la quale i gruppi che si riconoscono possono camminare verso una piena realizzazione del proprio essere chiesa oggi per il mondo.

    2. La data fissata per il campo ha discriminato la partecipazione favorendo soprattutto gli studenti. La mancanza di immediata concretezza che gli amici operai portano generalmente nei nostri incontri, può aver fatto sentire il suo peso nel modo con cui sono stati affrontati i problemi e nelle soluzioni prospettate. Anche il linguaggio può risentire di un certo intellettualismo.

    3. Le affermazioni sono generalmente a carattere indicativo.
    Ci sentiamo tutti coinvolti e chiamati direttamente in causa nell'enunciare il «dover essere» della chiesa. Che se anche esso non risponde sempre e in pieno all'«essere» attuale, rimane per noi una meta a cui tendere e verso cui far tendere la chiesa tutta.

    4. II presente testo è stato elaborato e confrontato nell'assemblea di tutti i partecipanti, con l'attenzione di una convergenza globale sui valori e contenuti più che sulle formulazioni delle singole proposizioni.

    Qualche chiodo da ribattere, come conclusione:

    1. Che cosa è la chiesa
    Abbiamo riflettuto sulla definizione di chiesa. Ci pare necessario affermare che ci riconosciamo in quella riportata nel cap. Il della Lumen Gentium: un popolo, gerarchicamente costituito, che cammina nella storia verso la realizzazione di quella sicura speranza che è la liberazione globale, dono di Cristo Risorto, di cui esso popolo è nel tempo «sacramento» visibile.
    Per il contesto della nostra ricerca, desideriamo sottolineare soprattutto l'urgenza di sentirci tutti noi, assieme, con le nostre speranze e le nostre debolezze, «la chiesa»; e la necessità di compromettere la chiesa nella storia, secondo le diverse modalità proporzionate ai doni diversi che abbiamo ricevuto. Non vogliamo rifugiarci dietro il paravento del passato, come scusa per non assumere le nostre responsabilità di «fare chiesa oggi».

    2. Cristo, il Liberatore
    II giovane cristiano è stato «sedotto» da Cristo, colui che ha dato la sua vita per la liberazione dell'uomo. Quindi, rifiutando proposte altrimenti affascinanti, crede che il progetto più vero di sé sta nell'audacia di dare la propria vita per la liberazione.

    3. L'impegno politico importante ma insufficiente per la liberazione
    Nel progetto di Cristo, liberare l'uomo significa lottare perché l'uomo sia più uomo, in un mondo più giusto, nell'attesa trepida e laboriosa che la liberazione sia un felice possesso nei «cieli nuovi e terre nuove». Ciascuno sa che il bisogno di liberazione attraversa prima di tutto il proprio cuore ed è a livello dell'essere e non dell'avere.

    Per questo affermiamo che la liberazione dell'uomo non coincide con l'impegno politico anche se esso è essenziale per raggiungerla.
    L'uomo è salvo e libero nel dono finale della resurrezione; la sua liberazione è però preparata nella storia attraverso l'impegno politico.
    La chiesa, mentre assume l'impegno di lottare con le altre forze disponibili, per liberare l'uomo nel tempo, annuncia che la sua radicale e definitiva liberazione avviene, per dono, fuori del tempo.

    4. La chiesa e la storia
    La chiesa è il sacramento di Cristo morto e risorto per la liberazione dell'uomo. Mentre annuncia una sicura speranza nella liberazione finale, lotta (= dà la propria vita) come Cristo e con Cristo, per la promozione della liberazione qui-ora.
    Una chiesa non coinvolta nella realtà, una chiesa che non faccia del «quartiere» il suo corpo quotidiano, una chiesa assente dalla «mischia dove si fa la storia», impoverisce il suo significato.

    5. Il cristiano non ha una sua «ideologia»
    Il cristiano entra nell'impegno politico con mezzi «poveri». Non ha una sua ideologia con cui confrontarsi con la realtà, né una sua metodologia d'azione alternativa, né tanto meno pensa di progettare sue proprie strutture di intervento. Assume invece quello che esiste. Lavora con chi è disponibile. Utilizza le chiavi di lettura più significative, senza fidarsi del mito degli «occhi buoni». Convinto però che ogni chiave di lettura è già una scelta politica contro o a favore dell'uomo, dal vangelo assume quella sensibilità che gli permetta di essere critico verso ogni ideologia (sia dominante che ricca del fascino del nuovo o del sovversivo).

    6. Unità e comunione sui valori
    La chiesa si costruisce come comunità attraverso una sofferta convergenza sui valori, in cui unità non significa univocità.
    Alcuni dei valori di convergenza desunti dal vangelo, possono essere i seguenti:

    – l'uomo sopra ogni struttura
    – il servizio come modo nuovo di esercitare il potere
    – l'amore come capacità di dare gratuitamente la propria vita
    – rifiuto dell'arrivismo e della competitività
    – la speranza come luce nell'incertezza
    – la fiducia nei confronti degli altri e delle cose
    – la libertà come liberazione, per entrare in rapporti interpersonali onesti e sinceri
    – rifiuto di ogni «idolo»
    – la morte (e quindi il sacrificio e la croce) come strada alla vita.

    7. Chi scappa dal quotidiano tradisce la fede
    I singoli cristiani e i gruppi agiscono nella storia con l'autonomia che caratterizza la dimensione «profana» della politica.
    Scappare dalla fabbrica, dalla scuola, dall'impegno nei partiti e nei sindacati, dai vari movimenti... significa vivere una fede alienante perché il quotidiano è il luogo in cui si gioca la propria adesione a Cristo morto e risorto.

    8. Il contrappeso dei valori per non affogare
    L'impegno per la liberazione, comunque imprescindibile, è rischioso perché è facile perdere la propria identità cristiana, sopraffatti dalla spirale della violenza, dell'odio di classe, della sfiducia, della pretesa di «avere di più» per essere più libero. Per questo, i singoli e i gruppi ecclesiali programmano momenti di esplicita vita di fede (eucaristia, preghiera, silenzio e riflessione...) non come alternativa alla mischia della vita ma per sorreggere e «caricare» l'impegno nella vita.
    Nello stesso tempo affermiamo l'importanza della preghiera, avvertita come incontro gratuito d'amore con il Padre nella chiesa, indipendentemente da ogni progetto di impegno politico.
    A questo livello si avverte la necessità di agire in gruppo e come gruppo: l'isolato e il «libero battitore» è facilmente ingoiato o strumentalizzato. D'altra parte «agire in gruppo» significa con più efficacia che in gioco è un impegno ecclesiale (e quindi comunitario).

    9. Una scelta preferenziale: i poveri
    I gruppi ecclesiali, per fedeltà al progetto di Cristo che ha scelto gli ultimi e i poveri per farli i «più importanti» nel suo regno di libertà, programmano, con scelta preferenziale, alcuni interventi:
    – una attenta opera di sensibilizzazione per coinvolgere tutti gli uomini di buona volontà e, in primo luogo, – attraverso un'azione dall'interno – la chiesa «ufficiale», aiutando le istituzioni (parrocchie, oratori, scuole) e le persone (vescovi, preti e laici) a vivere la propria vocazione in piena fedeltà al vangelo e alla storia;
    – una preparazione personale e di gruppo per una qualificazione quale è richiesta dal progetto condiviso, dal momento che non è possibile «andare a spanne», quando si lavora sulla pelle dei poveri;
    – una disponibile attenzione all'uomo in quanto «persona», mai utilizzabile come «esplosivo» nelle lotte di liberazione;
    – l'intervento verso i più poveri: i «piccoli» (catechesi e doposcuola), gli emarginati, gli anziani, i «meno colti»...

    10. Non facciamo del povero un nuovo ricco!
    Lavorare per liberare il povero significa prima di tutto dargli la coscienza che c'è qualcuno più povero di lui, al cui servizio proiettarsi. Una liberazione tesa solo a dare coscienza dei diritti e ad avere di più, dimenticando i propri doveri e la propria responsabilità verso gli altri a tutti i livelli, è un falsa liberazione.

    11. Oratori e liberazione
    Le strutture ecclesiali (gli oratori, per esempio) si inseriscono in questo progetto di liberazione:

    – impegnandosi politicamente, secondo le indicazioni espresse sopra;
    – educando alla globalità nella visione delle cose;
    – accettando e servendo l'uomo come unità (coltivando lo sport e gli altri interessi «veri» dei giovani, in un piano di animazione cristiana);
    – eliminando competitività e classismo in tutte le attività;
    – togliendo quelle proposte che educano al disimpegno e al consumismo;
    – proiettando verso la vita «vera» (scuola, lavoro, quartiere...) e non chiudendo all'interno per una falsa concezione di chiesa;
    – assumendo un tono ecclesiale non con le etichette ma attraverso una scelta di servizio fatto con modalità «politiche»;
    – offrendo una catechesi che sia tesa alla liberazione totale dell'uomo (nella morte e resurrezione di Cristo come «salvezza» dell'uomo).

    12. La corresponsabilità è un dovere nella chiesa
    Affermiamo che nella comunità ecclesiale, che riconosciamo gerarchica, l'autorità è per un maggior servizio e il potere va gestito in piena corresponsabilità. Avvertiamo nello stesso tempo che la corresponsabilità è un nostro dovere ecclesiale, per cui siamo chiamati a lavorare all'interno della chiesa per portare il nostro contributo, evidentemente anche attraverso una «presenza anche conflittiva»: il tirarci indietro per le difficoltà, le incomprensioni, le rigidezze delle strutture a tutti i livelli, è una scelta di comodo che, in linea di massima, rifiutiamo per coscienza ecclesiale.


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