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    Una teologia del terzo mondo: il primato degli ultimi


     

    Giancarlo Negri

    (NPG 1972-10-34)

    Se da una vera Eucaristia proviene un vero impegno politico; se per questo motivo una vera chiesa locale è autocritica della comunità locale, viene ora il momento di decidere il contenuto dell'autocritica promossa dalla chiesa locale nella comunità locale.
    Il contenuto dell'autocritica ha questi aspetti pratici:
    * la novità cristiana che rivelo ai concittadini nelle riunioni (comitati di quartiere o sindacati o assemblee studentesche), con quale cosa importante comincia?
    * la critica significa confronto con un metro di misura, un punto di riferimento, un criterio valido. Ora quale punto di riferimento, quale criterio valido si deve prendere dal Vangelo per adoperarlo nell'autocritica?
    * chi interviene a promuovere un'autocritica deve cominciare da un punto comprensibile agli ascoltatori e nuovo nel senso di un accento nuovo su cose ancora familiari. Ora qual è questo metro di misura iniziale, comprensibile a tutti ed insieme rappresentante subito, sostanzialmente, il genuino pensiero di Dio?
    * autocritica significa in sostanza un vaglio dei motivi di un progetto rispetto ai motivi di un altro, davanti all'immediata urgenza di un bene comune. E qui emerge il bisogno di un «primum», cioè di un valore primario rispetto a tutti gli altri. Le ideologie si distinguono a livello di vertice, poiché tutte danno spazio più o meno agli stessi valori (economia, caro-vita, famiglia, scuola, religione, tempo libero, sistema di governo, ecc.), ma ciascuna si distingue dall'altra per il valore che mette al centro come determinante, come valore primario, come criterio principale: il liberale mette la legge del profitto, il commerciante la legge del consumo, il marxista la lotta di classe, ecc.
    Qual è il valore centrale, determinante, primario, per quanti vengono dall'Eucaristia all'impegno politico, sospinti da Cristo a promuovere l'autocritica dei propri concittadini e non il controprogetto cattolico ai loro progetti?
    Il contenuto in quanto comune tra i cattolici impegnati è il secondo aspetto da prendere in considerazione. Si tratta di identificare un punto evangelico che sia punto di incontro, convergenza, coesione, unificazione al centro di tutti i cattolici che dall'Eucaristia sono spinti a impegnarsi nelle locali realtà politiche dei concittadini ed ivi promuovere l'autocritica cristiana.
    Tale ricerca ha queste giustificazioni:
    * la testimonianza ecclesiale, cioè «concorde» tra quanti frequentano insieme la mensa eucaristica, richiede che sia un «noi» e non alcuni io eccentrici a rivelare come Dio sia presente ed impegnato in questo luogo umano, altrimenti «Cristo è diviso», e proprio tale divisione scandalizza e delude i lontani;
    * la comunione ecclesiale tra quanti si siedono alla stessa mensa richiede che tutti abbiano una stessa fede in concreto e localmente, sempre quanto alla piattaforma comune e centrale, per fare davvero la chiesa nel realismo del luogo umano;
    * la concordia al centro e al vertice, nella diversità di classi sociali in cui per l'appartenenza alla città umana i cristiani impegnati vengono ad agire, è necessaria affinché risulti chiaro che le componenti socio-economiche determinano ma non subordinano il Vangelo. Se i cristiani, posti in diverse classi sociali, espongono un diverso vangelo, un diverso criterio principale per l'autocritica che promuovono, i concittadini verranno spinti all'ateismo pratico che dice con Durkheim: le forze socio-economiche dominano la religione;
    * l'intergruppo, cioè la comunione tra diversi gruppi cristiani della stessa zona umana, richiede per dare origine alla chiesa locale, che tutti convergano proprio nei criteri per l'autocritica cristiana, promossa tra i concittadini, poiché altrimenti la comunione resterebbe sul piano delle buone intenzioni o dei verbalismi che non producono in concreto luce e spinta convergente per le forze vitali, che sono invece mosse e impegnate dai concreti problemi della vita locale.
    Da queste varie urgenze nasce quindi con nuova chiarezza il problema: quale è il nostro criterio primario, metro di misura, punto di riferimento per ridimensionare i progetti, cioè per promuovere l'autocritica cristiana tra i propri concittadini, come siamo spinti a fare dall'Eucaristia?

    URGENZE DI BENE COMUNE E TRASCENDENZA

    Calarsi nella pratica

    Alcune chiarificazioni pratiche portano avanti il discorso con due vantaggi: 1. evitare la leggerezza di chi crede di aver già capito tutto e perciò risponde a queste urgenze con impostazioni inopportune e disincarnate; 2. evitare l'incarnazionismo, cioè l'esagerazione che riduce Gesù Cristo a solo-uomo, mentre è vero-uomo e vero-Dio. (Questo è un punto delicatissimo in quanto le urgenze del bene comune appaiono per se stesse etiche, cioè assolute, non bisognose di chiamar dentro Dio, Gesù Cristo, il Vangelo, per venire giustificate; per cui c'è il pericolo di ridurre ad esse la religione. Tali chiarificazioni vanno compiute nel realismo dei tre momenti di vita politica locale, nei quali riteniamo che più immediatamente la chiesa locale deve promuovere l'autocritica cristiana dei concittadini: i comitati di quartiere, le assemblee studentesche, i sindacati).[1]
    In queste sedi o momenti le assemblee dei concittadini si muovono su un procedimento così schematizzabile:
    * ordine del giorno delle urgenze di bene comune locale (una crisi di disoccupazione, una strada da aprire, una fogna di prima necessità, lo schiamazzo notturno di giovani, un campo sportivo, un aumento di salari, un'azione di forza degli estremisti, un progetto urbanistico, la sospensione di studenti da parte di professori, la costruzione di un ricovero per i vecchi in competizione con la costruzione di un edificio sacro, ecc.). Queste urgenze stimolano interessi ed istinti di sopravvivenza, in altre parole intensificano la vita umana e sociale della comunità locale. La chiesa locale fa proprio questo comune ordine del giorno;[2]
    * il dibattito per decidere le precedenze. Questo è il vero punto, dove è chiamata in gioco la libertà di decidere e la critica o vaglio dei motivi dell'una o dell'altra urgenza. Proprio in questo momento si plasmano le coscienze, si riorganizzano mentalità, si risvegliano interessi profondi, si confermano scelte di fondo, perché il dibattito dei pareri segue necessariamente questo schema: motivare le precedenti scelte e proposte in base ad aspetti profondi della realtà umana, fatti emergere e imposti a tutti;[3]
    * la persuasione reciproca per le decisioni. Il dibattito non è solo esposizione, ma è dialogo comunicativo ed educativo, per «educare» i cuori e le menti degli altri a concentrarsi e capire determinati aspetti della realtà, a sintetizzarli con altri in modo che il primo posto nell'elenco delle urgenze venga dato secondo i criteri riconosciuti validi.
    È per noi il dialogo pastorale, l'intervenire dentro le menti e i cuori attraverso la parola e la forza personale, perché i concittadini guardino gli aspetti della realtà umana che Gesù Cristo ci spinge a guardare per primi e li prepongano ad altri, fino a stabilire una giusta scala di valori per scegliere;
    * nel dibattito la visione d'insieme. Si tratta di mostrare come la scelta proposta armonizza i valori essenziali e meno essenziali, anche se si tratta di una scelta riguardante aspetti marginali. Tale armonia con il tutto rende morale la scelta nelle concrete urgenze vitali delle situazioni storiche, non in una morale della situazione, ma in una situazione della morale, cioè nel non promuovere i valori primari sacrificando, ignorando gli altri valori più immediati e situati. Ciò sarebbe immorale e come una eresia che mette al vertice valori assoluti, distaccati dal resto, invece di mettere al vertice quella sintesi tra valori assoluti e secondari che è il vero uomo, corpo e spirito in unità;
    * il dibattito sui mezzi e modi per realizzare il progetto prescelto. Questa frase è non meno essenziale delle altre, poiché l'uso dei mezzi può essere vitale oppure mortale per l'uomo, quale ordinata sintesi di valori assoluti e temporali. E il primo modo di uso «mortale» dei mezzi è quello di far da soli, per conto proprio, e non come figli nella casa del Padre, e non come fratelli di tutti, nella casa del Padre comune, ma soltanto come fratelli dei propri compagni di classe o di categoria.
    In queste fasi il criterio centrale, metro di misura, punto di riferimento, viene usato continuamente, sia per decidere il progetto primario e sia per decidere il modo di realizzarlo. Questo è come dire che la vocazione della Chiesa ad essere presente come lievito della pasta è continua, è precisa, proprio come per le autorità civili, responsabili della vita comune locale, anche se ad un altro livello: queste a livello superficiale-tecnico e solo avviato al profondo, mentre la Chiesa al livello profondo-personalistico-divino.

    Una trascendenza «pro mundi vita»

    Le chiarificazioni precedenti servono ora per capire come occorre uscire dall'equivoco di chi crede di parlare la lingua di Gesù Cristo, esortando continuamente a Dio, ai valori religiosi, al primato del religioso senza incarnare tutto ciò nel realismo storico delle urgenze locali di bene comune.
    Di solito lo schema dei trascendenti senza incarnazione è il seguente: - «va bene il problema dell'asilo, ma c'è anche da salvarsi l'anima» - «va bene impegnarsi per la scuola nuova, ma se pregassimo un po' di più...»;
    - «non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni Parola di Dio...»
    - «Dio il primo: cercate prima il regno di Dio e tutto il resto verrà da sé...».
    Questo richiamo trascendentale a Dio è sollecitato dall'errore di molti che interpretano la libertà umana come un far da soli, senza allearsi al Padre comune. È un richiamo perciò verissimo, ma fatto male, deformando Dio che si rivela invece incarnato nella storia umana e impegnato a salvare.[4]
    È diverso questo Dio biblico, così dentro i fatti umani, dal Dio filosofico anche sotto vocabolario cristiano, che viene descritto tacendo i brucianti eventi umani da un predicatore che fin dal seminario leggeva i giornali solo «per passatempo», in una aristocratica trascendenza dal popolo della cronaca nera o degli scioperi, eppur così simile a quelli ebrei in Egitto che invece intenerirono il cuore di Dio.
    Leggere le cronache cittadine, i giornali, i fatti della gente d'oggi, come degli ebrei in Egitto, non è allora fedeltà all'uomo prima di tutto, ma fedeltà al Dio della Bibbia. Ivi la trascendenza del «radicalmente Altro» diventa quella di un Padre, autore della vita, rispetto ai figli, solo partecipi della vita. Dire «Padre» è dire una trascendenza ben diversa dall'aristocratico «radicalmente Altro»: è rivelare che Dio è Amore sul serio, in quanto Egli, il radicalmente Altro, si fa nostro Padre, fratello e sposo per la vita, e non nelle «sue» situazioni, ma nelle nostre, storiche, reali, concrete, come l'Egitto e la Terra Promessa, come il corpo glorificante di Cristo in cielo.[5]
    Da ciò deriviamo una legge del linguaggio cristiano per quelle «parole umane» che la Dei Verbum dice essere assunte da Dio nell'esprimerci misteri divini: esprimiamo i misteri non con parole teologiche, comprensibili in un seminario, ma con eventi locali, cioè con le parole più umane, più espressive, e comunicative, da cui appare che i misteri cristiani non sono accanto, una categoria tra le altre, ma sono incarnati, cioè uniti a quell'uomo-persona che è protagonista di tutti i suoi problemi uniti come partecipazione, uniti poi come salvezza (ecco la trascendenza), là dove l'uomo si scopre insufficiente o sbagliato o ingannato.[6]
    Ora se in una discussione circa le urgenze del bene comune cominciamo col dire «prima vengono gli ultimi», siamo già nella rivelazione di Dio, stiamo dicendo in altre parole «quando avete dato da bere all'ultimo di questi piccoli, l'avete dato a Me». La religione risulta essere questione vitale ed umana, poiché assume la carne umana più viva, gli ultimi, e in essa ristabilisce un ordine di amore ben contrario alla legge della giungla, che invece imprigiona in un terribile Egitto i concittadini.
    C'è novità, c'è trascendenza (quando si testimonia speranza di salvezza degli ultimi), e c'è incarnazione, perché non si parla subito di religione, ma di uomini ben concreti e la religione sta nel fatto che coloro che prendono la parte degli ultimi sono conosciuti come gente che va in chiesa, a messa.
    Vediamo dunque questo preciso e centrale metro di misura cristiano, questo «primato degli ultimi» con cui interviene il cattolico in ogni discussione umana e fra uomini e porta novità di prospettive, riordinamento di valori, proposta di vita e critica di progetti.

    TEOLOGIA DEGLI ULTIMI

    È bene chiarire prima tra di noi, credenti, questo punto fermo, centrale e di vertice: «tra di noi prima vengono gli ultimi».
    Questa posizione evangelica, che diventerà pratico criterio di autocritica, ha la sua giustificazione direttamente nel cuore di tutto il mistero rivelato: l'amore, per cui Dio è nostro padre, Gesù è nostro fratello, lo Spirito fa l'unione familiare.

    Gli ultimi nell'amore familiare

    Per analogia con l'amore più autentico e totale nella creazione, cioè l'amore familiare (paterno, materno, coniugale, fraterno, filiale), possiamo capire come vive nella famiglia di Dio questo infinito amore che ha voluto concentrarsi tra noi appunto in forma di famiglia (Padre, figli, fratelli nella Chiesa).
    Entriamo in una famiglia numerosa che abbia un figlio malato con febbre alta. Vediamo che spontaneamente questo «ultimo», come salute e vitalità, viene «primo», come attenzione e urgenza:
    * la preoccupazione dei genitori va al figlio malato prima di tutto, e se un altro figlio si lamenta viene richiamato alla gerarchia di valori: «Non ti vergogni? Tonino ha la febbre»;
    * il tono e lo stile della famiglia pone come prima regola quella di non dar fastidio al piccolo malato: si parla piano, si evitano disturbi, si abbassa il tono della radio; e i disagi conseguenti vengono accettati senza discussioni: è pacifico che sia così;
    * i programmi familiari, i bilanci, mettono per prima cosa le spese e le cure del figlio malato: un altro figlio rinuncerà ad un vestito nuovo senza lamentarsi, se è necessario; un altro rimanderà una festa che voleva fare il tempo libero sarà occupato dalle cure (assistenza, acquisti di medicine, ecc.), anche se ciò sacrifica una partita;
    * le feste familiari hanno il loro primato nella festa per la guarigione del figlio malato: «era come morto, ed è ritornato a vita».
    Tutte queste cose sono spiegabili solo in una famiglia, cioè in una comunità dove i rapporti di amore hanno il primato.
    Ma precisamente questa è la Chiesa: «società fondata sull'amore e dall'amore governata»... «ancora e soprattutto amore; amore agli uomini d'oggi, quali sono, dove sono, a tutti».
    E si noti la immediata applicazione alle riunioni di quartiere di queste altre parole: «mentre altre correnti di pensiero e di azione proclamano ben diversi principi per costruire la civiltà degli uomini, la potenza, la ricchezza, la scienza, la lotta, l'interesse, o altro, la Chiesa proclama l'amore».[7]
    In effetti tra gli uomini, oggi, domina la legge di Darwin, della selezione, della «mors tua vita mea», dove vi è di sano l'impulso alla perfezione, rovinato però dal mostruoso accumulare nell'io le perfezioni, che invece sono fatte per essere partecipate come il sole ai buoni e ai cattivi. Alla legge del «si salvi chi può», egoistica e brutale, viene opposta la legge cristiana che è profondamente umana: «prima i vecchi ed i bambini», cioè quanti sono fisicamente gli ultimi: prima vengono gli ultimi.

    Gli ultimi nella logica dell'amore cristiano

    Il punto controverso tra i cristiani non sta nel primato dell'amore ma nel primato degli ultimi. Non è raro sentir dire: ma bisogna far apostolato anche tra i ricchi. Come non è raro incontrare chi confonde le carte della limpida logica dell'amore con il giochetto (geometrico-filosofico) del verticalismo ed orizzontalismo.
    È chiaro che prima viene Dio, l'assoluto come essere, ma siccome Egli è amore, il primato di Dio crea in pratica il primato degli ultimi: questa è la logica dell'amore autentico. L'analogia con la famiglia lo spiega benis-simo: è chiaro che viene prima il Padre, ma siccome è proprio padre e non soltanto il primum ontologicum, Egli decide che vengano prima, prima di tutto, anche della lode a Lui stesso, quanti in casa sono gli ultimi: i malati. Così la logica del primato di Dio-amore diventa sul piano esistenziale la logica del primato degli ultimi.
    Per capire meglio, si immagini ad esempio nella famiglia sopra descritta che mentre il figlio malato delira per la febbre, il resto della famiglia faccia baldoria per un onomastico e i genitori si uniscano pur sentendo i deliri del figlio. Tutti avvertiamo che ciò sarebbe mostruoso. Ma questo non avviene ogni volta che, dimentichi di tantissimi fratelli in delirio, ci diamo alle nostre feste o intratteniamo sulle nostre piccole pene o gioie quel nostro Padre, che è Padre anche dei nostri fratelli in delirio? La reazione di Dio che grida al suo popolo: «non voglio i vostri digiuni: curate le vedove e gli orfani, questo è il digiuno che voglio»,[8] questa reazione è comprensibile nel quadro di un vero amore familiare. Il comportamento dei «figli maggiori», che addirittura accusano il Padre di trascurarli per andar dietro a quello sciagurato che dilapida i beni paterni con le meretrici, è spiegabile perché il figlio prodigo è lontano dai loro occhi, ma egli non è mai lontano dagli occhi del Padre. Il Padre è vicino a tutti i figli contemporaneamente, sente il delirio dei malati mentre altri figli stanno facendo l'omelia della festa di un santo, ed è chiaro che bada di più a quei deliri che a quell'omelia. Chi non farebbe lo stesso?
    Il male grave dei «figli maggiori» è di non imitare il Padre, cioè di non avere come Lui «prossimi primi» (ecco la lettura dei giornali) i fratelli in delirio (il delirio dei baraccati, dei denutriti, degli sradicati, della gioventù abbandonata), ed invece di avere prossimi solo i libri di filosofia teologia e se vogliamo di sociologia, da cui traggono involontariamente un'idea libresca e non vivente di Dio Padre, che è invece angosciosamente chino, nel Figlio suo incarnato, sugli affamati, gli assetati, gli ignudi, i carcerati, i malati, in una parola gli ultimi quanto a condizioni di vita.
    Due notazioni importanti in questa logica:
    * solo assieme a Dio si resiste in questa terribile logica dell'amore, poiché «i poveri li avete sempre con voi» in una continuità e immensità di delirii che portano o ad attaccarsi a Cristo, speranza di salvezza per tutti o alla disperazione di un Camus di fronte alla sofferenza degli innocenti, di un Che Guevara e di chiunque sente nelle sue viscere la disperazione dei suoi fratelli «ultimi»;
    * alla espressione «ma non bisogna salvare anche i ricchi?» il Padre risponde con la logica dell'amore: i primi siano per gli ultimi, i primi si salvano dedicandosi agli ultimi, i primi sono con Me se con Me si dedicano agli assetati, agli affamati, agli ignudi, ai prigionieri, ai malati, cioè amano col realismo dell'amore familiare, quale è nella Chiesa.
    Rimane da chiarire l'alternativa che fu orrendamente ridotta a termini astratti: orizzontalismo e verticalismo (si noti l'ironia crudele di quell'«orizzontale»: è un modo di dire italiano che i morti sono in posizione orizzontale) Ma si può ridurre all'astratto carattere di «orizzontale» un bambino che non sta più in piedi per la fame?
    Ora basta tornare alla logica dell'amore per ritrovare il primato dell'orizzontale per decreto divino: Dio Padre guarda per primi gli ultimi, quelli messi dal dolore in posizione orizzontale. Ed ogni culto a Dio, se non ha il primato degli ultimi, non è culto al vero Dio, che è Padre, e come Padre distoglie lo sguardo dal figlio maggiore e guarda all'ultimo, al perduto, guarda al lontano. Quale altra liturgia è possibile in una famiglia divina? È possibile far festa per un capretto mentre sentiamo i deliri di chi è prostrato dalla fame?.[9]
    Si osservi come diventa mostruosa una liturgia se pretendesse che Dio stesso si distolga dal figlio prodigo e ultimo e si occupi del figlio maggiore e delle sue lodi: è probabile che Dio parli a costoro come a Pietro, quando lo volle distogliere dall'andare a sacrificarsi in croce per gli ultimi: «Va' via, satana, che mi sei di scandalo!».[10]
    La brevità di un articolo costringe a rimandare a studi più analitici la ulteriore analisi di testi biblici, evangelici, ecclesiastici, dimostranti, nella logica dell'Amore incarnato, questo primato degli ultimi sia quanto all'amare Dio, imitandolo nel suo slancio preferenziale verso il figlio perduto, sia quanto all amare il prossimo secondo Dio.
    Una argomentazione biblica però può essere concessa, dato che riguarda la Eucaristia, dalla quale traiamo la radice di un preciso impegno politico, ora apparso nella sua caratteristica cristiana, che è il primato degli ultimi per quanto riguarda impegni di tempo, denaro, investimenti, piani di sviluppo, organizzazione del vivere.
    L'argomentazione riguarda la prima lettera ai Corinti,[11] quando Paolo dice «non è quello il modo di consumare la Cena del Signore, (quando cioè) ognuno nel mangiare consuma la propria cena, per cui uno ha fame mentre un altro è addirittura ubriaco»[12].... «Pertanto ognuno sottoponga a prova se stesso e in tal maniera mangi quel pane e beva di quel sangue, poiché... mangia e beve la propria condanna, se non discerne il Corpo».[13]
    In questo testo c'è un accostamento tra il fatto del consumare la cena materiale e il fatto di ricevere degnamente l'Eucaristia. Il primo fatto riguarda la comunione dei beni, riguarda il rapporto con gli affamati, i poveri, riguarda in sostanza il primato degli ultimi che devono essere tenuti presenti prima di cominciare a mangiare le proprie provviste.
    L'altro fatto riguarda il ricevere il Corpo eucaristico in modo degno, fruttuoso e non invece in modo sacrilego.
    Ora recenti esegeti hanno messo in luce il collegamento dei due fatti: si riceve indegnamente l'Eucaristia, che diviene la propria condanna. se non si dividono con gli affamati le proprie cibarie. Dall'Eucaristia proviene dunque un preciso e tassativo ordine: non c'è vera comunione eucaristica, se non si condivide con i poveri il proprio cibo.
    L'emergere dell'impegno politico dall'Eucaristia è molto chiaro: condividere prima con i più poveri i propri beni nella comunità locale.[14]
    Con queste e altre riflessioni si è giunti alla convinzione che «mai Eucaristia senza politica» e d'altra parte «mai politica senza Eucaristia» cioè senza quel primato degli ultimi e del mondo degli ultimi (Terzo Mondo; che l'Eucaristia ci comanda fino a impedirci in caso contrario la comunione eucaristica.

    Lo stile di chiesa secondo la teologia degli ultimi

    Regno di Dio è il mondo quando gli ultimi vengono prima ed i primi mettono all'ultimo posto.
    logico che prima di portare il primato degli ultimi nella autocritica promossa dentro i comitati di quartiere, i sindacati, le assemblee studentesche, occorre rendere familiare questo stile tra i cristiani, affinché siano uniti nel nome di Cristo e per conseguenza pratica uniti nel nome degli ultimi.
    Una circolazione interna del primato degli ultimi vede queste costanti:
    * dominanza e circolazione del Giudizio universale, dove Dio si rivela identificato con gli ultimi e ci giudica sul primato degli ultimi;
    * dominanza e circolazione della lettera di S. Giacomo, più di quelle di S. Giovanni, perché è facile equivocare sull'amore, ma non è facile equivocare sugli ultimi. Se non si traduce l'amore ai fratelli in primato degli ultimi, è l'amore stesso che diventa falso, poiché la logica dell'amore è solo il primato degli ultimi, come si è visto dall'esempio della famiglia;
    * lo stile dei rapporti tra cristiani sarà ispirato alla logica del primato degli ultimi, così, ad esempio, espresso da Cristo: «Quando offri un pranzo o una cena non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti (categoria dei primi)... invita poveri, storpi, zoppi, ciechi, e sarai beato (da Dio) perché non hanno da contraccambiarti (categoria degli ultimi)»;[15]
    * la liturgia di Dio includerà, prima delle letture bibliche, la lettura dei giornali, cioè dello stato clinico degli ultimi,[16] affinché tutti diventiamo uniti nella stessa concentrazione nella quale si pongono le Tre Persone divine e cioè la concentrazione sugli ultimi;
    * la penitenza, l'Eucaristia, la predicazione seguiranno fedelmente il Padre nel guardare lontano, verso i figli prodighi (gioventù abbandonata, ultimi), lasciando anche spegnere la festa per l'ansia verso il suo figlio ,perduto e nostro fratello ultimo;
    * la santità dei primi sarà nell'inchinarsi sugli ultimi fino a rimetterli in verticale, cioè in piedi, sani, liberi, capaci di riconoscere il loro Padre (vi sono malati che «non riconoscono neppure la loro madre», tanto sono gravi). Quindi rimane il valore del verticale, ma nel senso che tentiamo di riportare i prostrati dalla vita alla posizione verticale nella quale riescono a riconoscere il loro Padre. «Chi sta in piedi aiuti chi è caduto».

    Il primato degli ultimi nell'autocritica cittadina: la misura del terzo mondo

    Veniamo ora, ormai familiarizzati con il primato degli ultimi, alle riunioni cittadine, pasta dove si porta il lievito cristiano. L'autocritica che si promuoverà in queste riunioni avrà nel primato degli ultimi il criterio principale, dominante, rivelatore di un Dio-amore, proprio perché quelli che lo frequentano sono qui a sostenere e quasi imporre questo primato trascendente ogni interesse.
    Sono pratiche queste attenzioni:
    - La massa tende a porre il bene comune con un indirizzo borghese consumistico (egoismo di categoria), tesa al buon salario al benessere, in una escalation che a poco a poco rende borghese l'individuo di massa; egli ci prende gusto a star meglio e si distacca rapidamente dai precedenti compagni di sventura con cui condivideva la sorte di ultimo nella scala sociale. Quindi il cattolico sarà minoranza, opposizione osteggiata, perché ridimensiona la massa in rapporto a questa minoranza in basso, simmetrica all'élite in alto:

    élite d'alta borghesia
    massa
    (gli ultimi)

    E le lotte saranno durissime, perché l'istintiva legge di Darwin agisce sui cuori non permeati dall'Amore divino. Ciò è evidente nei sindacati di categoria, dove l'interesse della categoria può staccarsi dalle urgenti necessità degli ultimi.
    - A questo punto però si scopre il Terzo Mondo che non è più minoranza, ma maggioranza, per cui il quadro si profila così:

    élite del benessere (alta e media)
    massa degli ultimi

    Questo capovolge il concetto di bene comune: comune a chi e tra quanti?
    * il bene comune sindacale (vedi anche il Manifesto, Potere Operaio, meno invece Lotta Continua) è di categoria, di classe;
    * il bene comune cristiano è a partire dagli ultimi, quindi non interclassista (poveri e ricchi, operai e padroni), ma di amore familiare, per cui in famiglia soldi, programmi, scadenze hanno come primo criterio di urgenza gli ultimi o Terzo Mondo (applicazioni circa i programmi scientifici per la Luna, i programmi d'armamento, i programmi di industrializzazione, i salari, gli investimenti, il benessere pianificato; l'Italia verso il primato per le autostrade, ecc.).
    - Occorre intervenire bene nei punti della discussione descritti precedentemente: affinché il primato degli ultimi o del Terzo Mondo che si porta a criterio per l'autocritica, non sia verbalistico, superficiale, e non inserito nel concreto.
    Ora il concreto è delimitato dal bene comune locale (un asilo, un contratto, un giardino pubblico), ma proprio questo può essere un limite che toglie dagli occhi gli ultimi e riduce il bene comune a tutti in bene comune tra pochi. D'altra parte anche nel luogo vi sono frange del Terzo Mondo da cui si può partire per l'autocritica, per la quale il Terzo Mondo (il mondo degli ultimi) è la misura di ogni mondo.
    Ma per essere pratici occorre distinguere due punti della discussione:
    * quando si decide il primato delle urgenze da scegliere i cattolici portano il primato degli ultimi come misura della opportunità di un progetto con la proposta di alcune «urgenze» degli ultimi (tra un monumento ai caduti da decretare e il gemellaggio anche economico con una città povera del Terzo Mondo, è chiaro che cosa è più urgente), e come portavoce del Terzo Mondo locale che può essere marginalizzato (tra uno stadio e una serie di costruzioni per sostituire le baracche dei baraccati...);
    * quando si passa a discutere il modo di realizzare un progetto scelto il primato degli ultimi entrerà ancora come criterio di stanziamenti, di proporzioni, di occupazione, con una conseguente austerità che è il segno più reale d'aver preso sul serio il primato degli ultimi.
    - Occorre un senso statistico per non ridurre gli ultimi a casi isolati che, uno per uno, non possono imporsi al bene comune. Il primato degli ultimi, tradotto in primato del Terzo Mondo, non contrappone casi individuali a bene comune, ma bene comune allargato a bene comune ristretto ed egoistico (categoria, sindacati, classi).
    * Occorre un senso educativo perché mentre altri intervengono come in un contraddittorio, il cattolico ha un senso personalistico che promuove conversione dei cuori, per cui il primato degli ultimi è proposto come più vero bene comune, in quanto tutti, se amano un po' di più, sono migliori e più felici in tutti i sensi: l'amore rende migliore la famiglia, ma anche lo sport, il traffico, l'industria e il benessere, e l'amore proviene da un robusto occuparsi degli ultimi, quelli «che nulla possono dare in contraccambio». Insomma il primato degli ultimi va anche presentato come un ottimo investimento per migliorare il vero bene comune, quello della pace dei cuori, che si ha nel vero amore e che, se manca, rende inutile la pace politica o economica (tema della Populorum Progressio).
    - Occorrerà infine un senso eroico, perché i paladini degli ultimi alle volte verranno crocifissi, come gli ultimi. In altre parole i cattolici non arriveranno mai al potere, per questa via, ma saranno sempre un lievito una forza di liberazione dall'egoismo, di direzione delle menti e dei cuori alla realtà fraterna degli ultimi in una rivoluzione culturale più che strutturale. E ciò riconduce all'Eucaristia, nutrimento «pro mundi vita», che dirige, nutre, rafforza questo stile nella vita mondana.
    - Ma ciò riconduce anche alle catechesi, alle omelie, alle riunioni dei cattolici (Chiesa in vita ad intra), che vanno considerate come il momento in cui l'Amore infinito, diffuso nei nostri cuori, ci concentra tutti sul nostro fratello ultimo e ci fa cercare le parole giuste ed i progetti giusti per suscitare l'autocritica dell'amore cristiano nelle riunioni cittadine in cui siamo dispersi (Chiesa in vita ad extra). In altre parole le liturgie, le letture bibliche, le riflessioni avranno come primo interesse il primato degli ultimi nella realtà locale con tutte le urgenze, ricerche, programmazioni che ne emergono. Così le varie riunioni di fedeli avranno l'unità in Cristo concretamente espressa dall'unità nel primato degli ultimi, locali e mondiali.
    Allora si uscirà dalle messe, dalle riunioni con qualcosa da dire e da portare, qualcosa di vivo, pratico, immediato, umano-divino, quel badare prima di tutto agli ultimi in cui germoglia la pace dei cuori, culmine per tutti della civiltà e del benessere (non per nulla nelle grandi calamità quando tutti si dedicano ai casi disperati, c'è una calda unità tra tutti una nuova anima, un nuovo sentimento di vita che è prova di quanto c'è di divino e di amore nel dare il primato agli ultimi).

    NOTE

    [1] Svilupperemo in un altro articolo questa scelta pratica, questa localizzazione dell'impegno politico, proveniente dall'Eucaristia e costituente la chiesa locale in un suo aspetto dinamico e realistico.
    [2] Proprio a questo punto vi sono le grandi scelte: disincarnazione o incarnazione di cui si è parlato nei precedenti articoli.
    Se la Chiesa porta avanti il suo ordine del giorno, allora la religione appare per tutti un settore tra gli altri, un problema tra i problemi e non il lievito della pasta, la soluzione profonda al centro di tutti i problemi umani.
    Se invece la chiesa locale «prende umana carne», cioè fa proprio l'ordine del giorno locale, allora viene rivelato che la religione cristiana è salvezza dell'uomo, è lievito della sua pasta, è nutrimento eucaristico della sua vita mondana. «Pro mundi vita» (Gv 6,51).
    Naturalmente ciò avviene solo a una condizione e cioè che l'uomo prenda coscienza delle due facce di ogni suo problema: quella superficiale-tecnica, segno efficace di quella profonda-personalistica includente al centro i rapporti con la persona del Padre comune. (Per questo punto cf VERGOTE, Psicologia religiosa, Torino, 1970, c. III).
    Perciò ogni intervento della Chiesa ha due momenti: 1) far prendere coscienza dell'altra faccia, profonda, personalistica e divina dell'uomo in ogni suo problema; 2) rivelare l'intervenire di Dio a salvare questa nostra parte profonda sempre in alleanza e collaborazione con noi.
    L'autocritica promossa dalla chiesa locale inizia con questi compiti.
    [3] Il parlare di Gesù segue questa impostazione. Maria ha scelto la parte migliore,... la tua vita vale più di cinque passeri,... qui c'è uno più di Salomone...
    Si può trovare qui l'esercizio della grazia penitenziale (sacramento della conversione) e l'esercizio della grazia cresimale (confermazione, rafforzamento, ribadimento di scelte). È bello scoprire come i nostri concittadini sono dalla vita urgentemente costretti ad attività analoghe a quelle del sacramento della Conversione e della Confermazione. Dunque la religione ha corrispondenza nella vita e si tratta solo di far sì che i movimenti imposti dalla vita siano cristoformi, cioè con Cristo, in Cristo e per mezzo di Cristo.
    [4] L'errore è sempre quello di dare il Dio dei filosofi, anche chiamandolo Gesù Cristo, invece del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. E l'errore sta precisamente in questo:
    - errore di accostare soltanto la realtà divina a quella umana, la salvezza dell'anima agli altri affari umani (va bene... ma c'è anche...). Gesù non si è accostato all'umano, ma si è fatto uomo;
    - errore di contrapporre valori assoluti a valori secondari e materiali, invece di congiungere come sono congiunte le foglie alle radici. Gesù non salva e glorifica l'anima dell'uomo, ma tutto l'uomo, glorificandone anche il corpo;
    - errore di dualismo tra il servizio di Dio e il servizio dell'uomo, dimenticando che il Dio da servire, proprio Lui, per primo, si è messo a lavare i piedi all'uomo (Gv c. 13);
    - errore di rifiuto a prendere umana carne nelle situazioni storiche, per cui Dio è presentato non come si è rivelato, cioè preoccupato della situazione di schiavitù in Egitto, tanto da mandare a suo nome Mosè dal Faraone e impegnarsi nella trama reale di eventi dell'Egitto...
    [5] Gesù Cristo infatti rivela di essere Dio incarnato ripetendo espressioni non filosofiche (farsi uomo, prendere umana carne) ma esistenziali, dove l'incarnazione è in atto, è operante protagonista di eventi umani: «quando avete dato da bere all'ultimo di questi piccoli, l'avete dato a Me».
    [6] Per questo rapporto tra misteri divini e parole umane storiche sono utili due studi miei in Orientamenti Pedagogici: Nuove prospettive metodologiche per la Catechesi, 1961, 739-751; L'utilizzazione del linguaggio umano nella presentazione dei misteri divini, 1958, 987-1002.
    [7] Paolo VI, 14 sett. 1965, discorso d'apertura dell'ultima sessione del Vaticano II.
    [8] Is 58,5 ss.
    [9] E qui si spiega il carattere pacato e limitato di ogni gioia cristiana. Di solito si spiega che ciò è nell'attesa della gioia che verrà completa, ma perché non si precisa come mai la gioia completa è rimandata? Non è forse perché ora abbiamo tanti «ultimi» da guarire e rimettere in piedi e sarebbe mostruoso far festa mentre essi sono ridotti dal male alla posizione orizzontale? Naturalmente questa attesa sarebbe insostenibile se questi «ultimi» fossero degli estranei e non i nostri fratelli, anzi i «primi» nostri fratelli, i più identificati con il Cristo.
    [10] Per questa parte vedi: L. ZENETTI, I giovani rinnovano la liturgia, Torino, 1971, pp. 41-43; 48-50.
    [11] 1 Cor 11,17-19.
    [12] 1 Cor 11,22.
    [13] 1 Cor 11,29.
    [14] È impressionante notare come certa prassi pastorale preferiva leggere quell'indegnità a ricevere l'Eucaristia in riferimento ai peccati in generale o ai peccati de sexto, senza accentuare quanto è invece il messaggio di quel passo paolino: mangi indegnamente il Corpo di Cristo se quando mangi i cibi materiali tu ti sazi, mentre altri hanno fame: «non è questo il modo di consumare la Cena del Signore» (1 Cor 11,22). Si veda B. MAGGIONI, Sintesi dell'aspetto biblico (ciclostilato per il Biennio di pedagogia catechistica), Milano, 1972, p. 5.
    Vedi anche il testo di Matteo 5,23-24 e tutta la Populorum Progressio.
    [15] Lc 14,12-14.
    [16] Si vedano le norme prudenti e precise in Giornali a scuola e giornali in chiesa, Catechesi, 1970-B-10; e si veda anche il citato L. Zenetti.


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