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    Sesso e amore



    Giorgio Gozzelino

    (NPG 1972-01-19)

    Annotando, a livello redazionale, l'articolo di Antonini apparso sul numero precedente della rivista, ci ripromettevamo di tornare sull'argomento della sessualità, da un punto di vista strettamente teologico.
    Questo studio mantiene la promessa.
    L'autore che sta curando un'opera, di prossima pubblicazione, sullo stesso tema, ha anticipato per i lettori di Note di Pastorale Giovanile questi «appunti per una teologia della sessualità».
    D'altra parte, il progetto editoriale 1972 prevede una rassegna di articoli sulla educazione affettiva, in prospettiva di preparazione alla famiglia. Lo studio di Gozzelino ne è una indispensabile introduzione.
    Una parola va aggiunta per comprendere il taglio con cui e stato trattato l'argomento.
    La prospettiva in cui l'autore intende collocarsi nello sviluppare queste riflessioni sul significato della sessualità umana è strettamente teologica. Il tema della sessualità, per essere svolto con una certa completezza, dovrebbe essere considerato da diversi punti di vista: dal punto di vista biologico, in quanto il sesso, pur non limitandosi affatto al corporeo, ha la corporeità come sua base e fondamento; dal punto di vista psicologico, perché esso include un aspetto corrispondente di importanza almeno pari; dal punto di vista socio-culturale, perché se è vero che il sesso non si riduce ad una diversità determinata interamente dall'ambiente socio-culturale, è altrettanto vero che subisce profondamente i suoi influssi; dal punto di vista metafisico, in quanto il sesso costituisce una dimensione umana fondamentale; ed infine dal punto di vista teologico, per una ragione affine: la salvezza cristiana è realizzazione dell'uomo concreto, quale è di fatto, e si struttura sui lineamenti che egli concretamente possiede; dunque il fatto che l'uomo sia così, sia maschio o femmina, non può non contare per la salvezza, influendo sui suoi caratteri e sulle sue modalità. Orbene, lasciando da parte tutti gli altri punti di vista, ed in parte supponendoli, l'autore si propone di riflettere sul significato della sessualità precisamente da questa ultima angolazione, lasciandosi guidare da due domande che si reggono e si completano a vicenda, ossia:
    * Che cosa dice la fede a riguardo della sessualità? Quale interpretazione ne dà? Come spiega il suo esserci, ed in che cosa fa consistere la sua giustificazione e la sua finalità?
    * Entra la sessualità nella realizzazione della salvezza? Se si, come lo fa? E che cosa deve impegnarsi a realizzare il credente, per dare a questa fondamentale dimensione umana il posto che corrisponde alla sua logica ed al suo valore autentico?
    Le conclusioni a cui sarà possibile giungere contribuiranno ad una chiarificazione delle idee su di un punto della fede che la mutazione dei tempi ha reso molto problematico e molto sentito; e potranno suggerire orientamenti di soluzione per qualcuno degli interrogativi pratici che il sesso solleva con frequenza ormai crescente.

    È necessario premettere che la ricerca teologica sul senso della sessualità deve fare i conti con due difficoltà assai gravi.
    La prima è la mancanza di un buon retroterra dottrinale. Per diverse ragioni il sesso è stato visto dalla coscienza cristiana, per secoli, più come pericolo che non come valore. Questo giudizio non va esagerato, ma corrisponde sostanzialmente ai fatti. Sul sesso non si è parlato e riflettuto molto, né volentieri. Mancando un robusto antecedente storico, le cose che la teologia può dire su questi temi sono, allora, ancora assai povere e, non di rado, piuttosto incerte. Anche quel che verrà detto qui sarà più un insieme di indicazioni e di orientamenti che non un tutto sistematico rifinito.
    Una seconda difficoltà nasce invece dall'oggetto stesso della ricerca cioè precisamente dalla complessità della sessualità. È riconosciuto da tutti che il sesso ha un carattere, potremmo dire, sopraregionale: che tocca il tutto della realtà umana. Allora, se è possibile dire con immediatezza che il sesso consiste rispettivamente nell'essere uomo e nell'essere donna, diventa molto arduo poter precisare, almeno oltre i dati biologici più evidenti, che cosa sia questo essere uomo od essere donna in concreto. Nessuna delle classificazioni correnti delle differenze uomo-donna può dirsi priva di lati che si prestino a critiche. Come parlare, dunque, del senso teologico della sessualità e dire che cosa la sessualità sia per la fede, se non si giunge neppure a stabilire in modo riflesso che cosa essa sia propriamente in sé?
    La difficoltà è grave, ma non va esagerata. Il dato primo e più evidente della esperienza, secondo cui la sessualità è la duplicità, maschio e femmina, della realtà umana, ossia precisamente l'essere uomo e donna, è già una vera indicazione e dunque già una base sufficiente. Resta il fatto però che l'indeterminatezza di questa identificazione avrà un peso negativo anche su ciò che potrà dire a suo proposito la fede.

    I RACCONTI DEL GENESI

    Ogni buona ricerca teologica colloca al cuore delle sue analisi il riferimento alle Scritture. Cominceremo da esse.
    Nel caso della teologia della sessualità, le tradizioni bibliche a cui occorrerebbe rifarsi sono numerose e varie. Ma ne esistono alcune che in qualche modo raccolgono il meglio di ciò che nelle altre si trova disseminato in contesti più dispersi. Tali sono, in particolare, le due tradizioni sulla creazione, e cioè la tradizione detta «sacerdotale» di Genesi 1-2,4 e la tradizione detta «jahvista» di Genesi 2,4-25. E poi la tradizione (ancora «jahvista») sulla caduta originale, di Genesi 3. Le loro pagine sono annoverate tra le più difficili di tutta la Bibbia. Al di là dell'accordo sulla interpretazione dei singoli testi o dei dettagli del racconto, esiste però un messaggio di fondo su cui si ammette un consenso di massima. Noi ci preoccuperemo precisamente di questo messaggio, lasciando il resto ad altra sede.

    - Nel primo racconto della creazione i testi significativi per il tema della sessualità sono quattro. Li riportiamo sintetizzando subito il loro contenuto più immediato. Altrettanto faremo con gli altri.
    Gen 1,26: Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, come nostra rassomiglianza, ed egli domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sulle bestie tutte le bestie selvagge; e su tutti gli animali che strisciano sulla terra.
    L'uomo è fatto ad immagine di Dio. E lo è in modo superiore a qualunque altro essere, tanto che tutto ciò che esiste è destinato ad essergli sottomesso. La chiave di interpretazione del mistero dell'uomo si trova, ultimamente, nel mistero stesso di Dio.
    Gen 1,27: Dio creò l'uomo a Sua immagine, ad immagine di Dio. Egli lo creò maschio e femmina li creò.
    Questa immagine di Dio nell'uomo sta precisamente nel fatto che l'uomo sia coppia, maschio e femmina. Sta nella sessualità umana. Quindi, per capire il senso della sessualità bisogna guardare al mistero stesso di Dio.
    Gen 1,28: Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e sottomettetela.
    La realtà umana è immagine di Dio, oltre che per la signoria sul mondo e per il fatto di essere coppia, anche per la fecondità, che ricalca la creatività di Dio e dipende direttamente dalla sessualità.
    Gen 1,31: Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.
    Tutto questo, e quindi pure la sessualità, è «molto buono», ossia è un grande valore.
    È facile rendersi conto dell'importanza grandissima di questo insieme di principii.

    - Il secondo racconto del Genesi, più antico, più vivace, illustra il senso della coppia umana nel modo seguente:
    Gen 2,18: Jahvè Dio disse: non è bene che l'uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che sia simile a lui.
    L'essere umano completo è la coppia. Il «non è bene» di questo uomo isolato, non è che la riasserzione negativa del «molto buono» di Genesi 1,31. L'uomo senza il riferimento alla donna non può dirsi veramente se stesso. E la donna, simile a lui, pure.
    Gen 2,19-20: Allora Jahvè plasmò ancora dal suolo tutte le bestie selvatiche e tutti i volatili del cielo e li condusse all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati:... cosi l'uomo impose il nome a tutto il bestiame, a tutti i volatili del cielo ed a tutte le bestie selvatiche, ma per l'uomo non trovò un aiuto che fosse simile a lui.
    Questo testo va congiunto con
    Gen 2,23: Allora l'uomo disse: questa volta e osso delle mie ossa e carne della mia carne. Costei si chiamerà donna (ishsha) perché dall'uomo (ish) fu tratta.
    I due passi, messi assieme, insegnano che la completezza dell'uomo si trova veramente soltanto nella coppia umana, non in altro. Dunque se Genesi 2 ,1 8 asseriva che tale completezza si ha nella coppia, questi aggiungono che si ha soltanto in essa. Niente può sostituirla.
    Gen 2,21-22: Allora Jahvè Dio fece cadere un sonno profondo sull'uomo, che si addormentò, poi tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. E Jahvè Dio costruì la costola che aveva tolto all'uomo e ne formò una donna. Poi la condusse all'uomo.
    La coppia umana corrisponde a ciò che Dio ha voluto che l'uomo fosse.
    La mutua complementarità che la definisce è veramente opera Sua. E la donna si trova del tutto a livello dell'uomo, realtà umana autentica con lui e come lui che, senza di lei, non è veramente se stesso.
    Gen 2,24: Perciò l'uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna, ed i due diventano una sola carne.
    La coppia umana è una dualità destinata a fondersi nella unità. È un dono ma assieme un impegno. La loro complementarità è data, e però assieme è ancora da farsi.
    Gen 2,25: Ora, ambedue erano nudi, l'uomo e la sua donna, ma non sentivano mutua vergogna.
    La reciprocità (nudità) dell'uomo e della donna è un valore ed un compito sacro. L'ombra caduta su di essa non viene da essa stessa ma dal peccato.
    Quest'ultimo testo, in effetti, va interpretato come una introduzione al capo terzo, in cui si parla appunto della caduta e dei suoi effetti sulla coppia umana. Ecco i testi dal capo terzo che interessano:
    Gen 3,6: Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, che era una delizia per gli occhi, e che quell'albero era attraente per avere intelligenza: perciò prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei ed egli ne mangiò.
    La colpa non viene soltanto da Eva o soltanto da Adamo, ma dalla coppia umana, uomo e donna. La colpa è completa soltanto quando il frutto proibito vien preso pure da Adamo. Tale colpa nasce da un aiuto a porsi contro Dio: la donna, non si dimentichi, è stata qualificata come l'aiuto dell'uomo, quindi l'agiografo attribuisce l'iniziativa a lei precisamente perché ciò si accorda con questa sua qualifica distintiva. La coppia umana senza Dio e contro Dio snatura se stessa (si noti l'ironia velata, ma feroce, del tipo di «aiuto» che la donna dà all'uomo).
    Gen 3,7: Si aprirono allora gli occhi di ambedue, e seppero di essere nudi: cucirono foglie di fico e se ne fecero cinture.
    Questo testo, che rimanda a Genesi 2,25, va congiunto a quell'altro che riferisce la risposta di Adamo a Jahvè:
    Gen 3,12: Rispose l'uomo: la donna che tu hai posto qui con me, lei mi ha dato dell'albero ed io ne ho mangiato.
    Tenendosi presente che l'effetto primo della colpa è la rottura con Dio (Gen 3,8), si comprende agevolmente il significato di tutto l'insieme.
    La colpa è rottura e menzogna: a sentire l'Adamo di Genesi 3,12, il vero colpevole in fondo è Dio stesso, perché gli ha dato la donna da cui è stato spinto al male! Con la spaccatura del suo rapporto con Dio, l'uomo si spacca in sé: si rompe, cioè, la reciprocità della coppia umana. Ormai nessuno dei due è capace di una apertura totale all'altro. I due si «coprono», hanno vergogna. Ed al grido di gioia dell'uomo che trova la donna (Gen 2,23), subentra il dito accusatore di Adamo puntato contro Eva.
    La reciprocità, è vero, rimane; la realtà umana resta se stessa, coppia.
    Pero:
    Gen 3,16: Verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma lui vorrà dominare su di te.
    Gen 3,12: Rispose l'uomo: la donna che tu hai posto qui con me, lei mi ha dato dell'albero ed io ne ho mangiato.
    Tenendosi presente che l'effetto primo della colpa è la rottura con Dio (Gen 3,8), si comprende agevolmente il significato di tutto l'insieme. La colpa è rottura e menzogna: a sentire l'Adamo di Genesi 3,12, il vero colpevole in fondo è Dio stesso, perché gli ha dato la donna da cui è stato spinto al male! Con la spaccatura del suo rapporto con Dio, l'uomo si spacca in sé: si rompe, cioè, la reciprocità della coppia umana. Ormai nessuno dei due è capace di una apertura totale all'altro. I due si «coprono», hanno vergogna. Ed al grido di gioia dell'uomo che trova la donna (Gen 2,23), subentra il dito accusatore di Adamo puntato contro Eva. La reciprocità, è vero, rimane; la realtà umana resta se stessa, coppia. Però:
    Gen 3,16: Verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma lui vorrà dominare su di te.
    Il rapporto non è più quello dell'amore ma dell'antiamore, della oppressione, della schiavitù che genera il dolore. La coppia umana, colpita al cuore, ha perso per sempre (Gen 3,21-22) la spontaneità di se stessa.
    Rimane tuttavia una grande speranza, Jahvè stesso, sempre Jahvè, ossia sempre Dio che sta accanto all'uomo. Egli salverà l'uomo mediante il «seme della donna» (Gen 3,15): ciò che non è possibile agli uomini, è possibile a Lui. La coppia umana potrà ritrovare se stessa superando la propria rottura, nella luce e nella forza del Cristo venturo redentore.

    - Riassumendo queste pagine decisive del Genesi, diremo dunque che l'essere coppia è la verità stessa dell'essere umano, una verità che consiste nella riproduzione del volto di Dio e costituisce un valore umano grandissimo. Tale valore non è già completo ma è, piuttosto, una realtà germinale destinata a diventare frutto. Esso inoltre si trova ormai sotto l'ombra del peccato. Perciò non è più solamente un compito da assumere, ma anche una piaga da guarire; una piaga per sé insanabile, ma redimibile dalla forza del Cristo.
    In questa visione complessa e ricchissima, in cui trovano il loro posto ed il loro giusto dosaggio sia l'ottimismo cristiano del sesso come valore, sia il pessimismo del sesso segnato dal peccato (e però sempre avvolto dalla forza vivificante di Dio), sono presenti i principii essenziali della interpretazione teologica che ci siamo proposti. Tutto ciò che seguirà si fonderà ultimamente su di essi.

    IL SESSO COME IMMAGINE DI DIO

    La lettura del Genesi ha portato alla conclusione che il principio più importante per l'interpretazione del significato della coppia umana, e quindi della sessualità, si trova nella dottrina dell'uomo come immagine di Dio. Per capire come e perché l'uomo sia fatto così, bisogna riflettere sul come e sul perché Dio sia quel che è.
    Supponendo allora tutta la teologia del mistero di Dio, e sempre nella piena consapevolezza della sua insondabilità, richiamiamo in poche parole i tratti più significativi del volto di Dio quale appare oggi alla coscienza della Chiesa.
    Il mistero di Dio è il mistero di una comunità che è Amore Infinito. Il cuore di questa comunità trascendente sta, secondo la rivelazione, in una dualità, nella diade di due Persone che sono interamente diverse ed interamente paritarie, e che si definiscono ultimamente come un Dare ed un Ricevere, sì da essere giustamente chiamate Padre e Figlio, Prima e Seconda Persona, Originante ed Originato, Principio e Principiato. Questi due Soggetti sono, nella loro complementarità, la realtà dell'Amore: giacché l'amore è precisamente la sintesi di un dare e di un ricevere che realizza una comunione. L'Amore di cui esse sono realtà è però un Amore Totale, Il Padre cioè non è soltanto Dare, ma Dare Totale. Ed il Figlio non è soltanto Ricevere, ma Ricevere Totale. Allora la totalità del Dare e del Ricevere fa sì che la comunione sia totale e che venga dato e ricevuto anche il Dare. Il Padre dà al Figlio tutto, dunque anche la fecondità. Il Figlio riceve dal Padre tutto, dunque anche la fecondità. E così il Figlio è comunione totale col Padre (unità di natura), ed assieme è principio di una Terza Persona, grazie precisamente ad una fecondità che riceve dal Padre. La Diade, cioè, sbocca così, pur nel monoteismo più rigoroso, in una Triade, l'incontro sbocca in una fecondità che costituisce la Diade divina stessa ed assieme va oltre essa per approdare in un Terzo Termine, lo Spirito di Verità, colui che testifica vitalmente e perennemente, col Suo stesso esserci, la totalità dell'incontro della Diade. Perciò il Padre è il Dare Puro, il Figlio è il Ricevere Dare, e lo Spirito è il Ricevere Puro, ossia è il testimone della verità dell'amore Padre e Figlio Se l'Amore spiega la dualità Padre e Figlio, la Totalità dell'Amore spiega che questa dualità concluda in una Trinità.
    Applichiamo questa rapida analisi del volto di Dio al mistero della coppia umana ed avremo un primo abbozzo di risposta alle nostre domande. L'uomo è così, maschio e femmina, diade di uomo e donna, perché Dio è così, Padre e Figlio, diade di diversità nella paritarietà. L'uomo è così, incontro fecondo di uomo e donna che sbocca in un terzo interlocutore, il diverso dalla coppia originato dalla coppia (nel caso dell'incontro anche fisico, i figli), perché Dio è così, incontro fecondo di Padre e Figlio che sbocca nel terzo Soggetto divino, lo Spirito di verità. L'uomo non è realmente se stesso, veramente Padre e Figlio, se non nella complementarità del Padre e del Figlio testificata dallo Spirito. Poiché Dio non è solitario, ma è una Diade che sbocca in un Altro da sé, anche l'uomo, sua immagine, non è solitario ma è coppia che nella reciprocità si apre sull'altro da sé mediante la fecondità dell'amore. L'uomo, cioè, è la ripetizione, il «doppione» di Dio. E lo è così. L'esistenza di Dio è esistenza «rispettiva» (Existenz im Gegenuber). Così è quella dell'uomo. Dio è un Dio Trino; dunque non potrebbe mai riconoscere Se stesso in un uomo isolato. L'uomo è creato coppia, uomo e donna, perché è creato dall'Amore.
    Anzi, bisogna aggiungere perché è creato per l'Amore. La Diade divina infatti non si giustifica che sull'Amore. Dunque altrettanto la diade umana. Come il Padre ed il Figlio sono comunione totale, così lo deve essere, nei limiti delle sue possibilità, la coppia umana. Come il Padre ed il Figlio estendono tale comunione al frutto della loro fecondità, lo Spirito, così la comunione della coppia umana deve estendersi, oltre se stessa, ai propri frutti.
    Che cosa, allora, sarà veramente l'uomo per la donna e la donna per l'uomo alla luce della fede? Come dovranno saper vedere questa loro differenza reciproca i credenti maturi? Così: l'uno dovrà essere per l'altro un segno efficace di amore e di fecondità. Dovrà essere un segno: anzitutto il segno della vocazione congenita dell'uomo a non bastare a se stesso, ad essere destinato a fare comunione con il diverso paritario (col diverso, cioè, a suo livello, vero suo «aiuto»); e poi il segno che la vera fecondità a qualunque livello, non si ha che nel contesto dell'amore. E dovrà essere un segno efficace: il mezzo concreto, in modi, come vedremo, molto diversi, ma tutti reali, per realizzare sia l'incontro con l'altro da sé sia il contesto vitale della fecondità.

    Il perché del sesso come immagine di Dio

    È facile intendere come questa conclusione collochi la sessualità in una prospettiva di luce e di valorizzazione straordinari, che corrispondono perfettamente al «molto buono» del Genesi proferito a suo riguardo.
    E però è chiaro che essa suscita, congiuntamente, molti problemi e molte domande.
    Anzitutto: se è vero che la coppia umana si spiega sulla Pluralità di amore proprio di Dio, perché mai tale pluralità si è riflessa precisamente in questo modo, nel modo della sessualità, e non diversamente? A che cosa è dovuta la scelta, tra i tanti possibili, di questo particolare modo di essere «copia di Dio»?
    Appellarsi ad un decreto arbitrario di Dio sarebbe un modo elegante di sottrarsi dall'impegno della teologia, che ha l'intento, ambiziosissimo ma insostituibile, di giungere a cogliere qualcosa della logica stessa di Dio. La risposta deve venire da ciò che la sessualità è di fatto. Ora, la sessualità è di fatto un appello all'amore, ed un appello che, pur iscrivendosi in tutto l'uomo, ha la sua base nel corporeo. Dunque la risposta deve venire dalla teologia dell'amore congiunta alla teologia della corporeità.
    Orbene, la teologia dell'amore dice che la reciprocità ha una iscrizione così radicale nell'uomo perché l'amore non è per l'uomo un valore qualunque ma il valore ultimo, il più fondamentale, radicale e decisivo: dice cioè che l'uomo è sessuato fin nel midollo delle sue cellule perché è destinato all'amore fin nel più intimo della sua realtà. E la teologia della corporeità aggiunge che la radicalità dell'appello all'amore giunge fino al corpo perché il corpo non è qualcosa di sopraggiunto all'uomo ma è la visibilità essenziale della realtà totale umana. Congiungiamo i due dati ed otterremo una chiarificazione penetrante e limpida: il sesso è la firma di Dio nella carne, firma che dice, allo stesso tempo, chi veramente sia l'Autore dell'uomo ed a che cosa veramente sia destinata l'esistenza umana.

    Il sesso segno salvifico tra molti segni salvifici

    Si consideri ora l'asserzione teologica a cui siamo approdati: il sesso è la iscrizione nel corporeo della vocazione all'amore propria dell'uomo. Che cosa se ne deve dedurre? Se ne deve dedurre anzitutto che esso non è l'unica forma di iscrizione di tale vocazione. E poi che la sua iscrizione, pur fondandosi sul corporeo, non può limitarsi a tale aspetto.
    La prima cosa che consegue da quel principio è che il sesso non può dirsi l'unica forma di iscrizione umana della vocazione all'amore: infatti, chi oserebbe dire che il corporeo esaurisca la ricchezza umana? Il primo a smentirlo sarebbe il sesso stesso, il quale, in effetti, pur avendo come elemento base il corporeo, è molto più esteso di esso. Quella iscrizione in realtà, la si ritrova, per così dire, in tutti gli angoli dell'uomo: nella sua spiritualità, nella sua libertà, nella sua socialità, e così via. L'uomo, perciò, è immagine di Dio grazie al sesso ma non soltanto in forza del sesso. Allora, se la sacramentalità del sesso (nel senso spiegato, di significazione efficace dell'amore) deve essere interamente riconosciuta, non deve neppure essere esagerata od eclusivizzata. Il sesso è, sì, un segno salvifico, ma tra molti segni salvifici. Anzi, come non è solo, così neppure può reggersi da solo. Gli occorre l'appoggio di altri sacramenti, quali ad esempio la Eucaristia e la Penitenza, giacché da solo è fuori contesto e corre il rischio di distruggere anziché costruire, come succede precisamente alle forze tirate fuori dal loro contesto. Ciò è talmente vero che anche alla realizzazione più completa del suo senso, il matrimonio, occorre l'integrazione, come vedremo, di una situazione complementare (la quale, nel caso, è la vita religiosa) che metta in luce e completi la sua relatività.

    I tre piani della significazione teologica della sessualità

    La seconda cosa che si deduce dalla identificazione teologica del sesso, è che la sessualità, pur fondando l'iscrizione dell'appello all'amore nel corporeo, non la circoscrive affatto ad esso. La ragione è ancora quella di prima: la corporeità è la base del sesso ma non è tutto il sesso. Allora
    è chiaro che questa coppia umana, costituita da diversità paritarie complementari, pur comprendendo anzitutto (perché il dato corporeo è la base) l'incontro uomo e donna, non può ridurvisi, ma deve estendersi ad incontri tra diversità paritarie complementari molto più vaste. Cosa che viene confermata dalla logica del suo dinamismo, il quale, portando la coppia alla fecondità, la proietta per ciò stesso oltre se stessa in qualcosa che in fondo è ancora coppia, ma che è sempre più grande di se stessa. I piani in cui si attua la pienezza del significato della sessualità, cioè, sono almeno tre, uno più vasto dell'altro, e in circolarità vicendevole:
    * il piano della dualità uomo e donna, e quindi dell'incontro specificamente sessuato; il più immediato ma, in sé, il meno profondo, quello a cui il messaggio delle Scritture si applica più direttamente ma non esclusivamente né più intensamente;
    * il piano della dualità uomo e uomini, e quindi dell'amore del prossimo, chiunque, o comunque sia, ove si realizza l'essere umano per e nella comunità;
    * ed infine il piano della dualità uomo e Dio, e quindi dell'amore di Dio, il punto più profondo, che regge gli altri ed è la meta finale degli altri.
    Tutti e tre i piani sono autentici, e perciò, in qualche modo, necessari. Senza l'incontro uomo e donna non c'è realizzazione della sessualità come tale: dunque un certo incontro uomo e donna è necessario in ogni caso per tutti. Però il diverso da sé, paritario e complementare, non può essere per l'uomo soltanto la donna, o viceversa, perché tali sono anche tutti gli altri, precisamente come e perché altri: e quindi il sesso è parimenti l'iscrizione nella carne del comandamento dell'amore per il prossimo. Anzi, l'Altro da sé Complementare Paritario (nel senso di perfettamente idoneo a soddisfare l'esigenza umana di amore) per eccellenza è Dio stesso: ed allora il sesso è parimenti ed ultimamente l'iscrizione nella carne del comandamento dell'amore per Dio. Ripensiamo alle pagine del Genesi e comprenderemo come in quella prima coppia umana sia significata, in realtà, la prima comunità umana completa, comprendente la coppia come tale ma più vasta di essa, perché feconda ed in armonia con Dio.
    Queste precisazioni fondano sia l'autenticità del valore salvifico del matrimonio sia il riconoscimento che il sesso invera il suo significato anche in chi non vive nel matrimonio. Esse, come vedremo, hanno una importanza grandissima per la soluzione di molti problemi pratici.

    Il sesso immagine di Dio in modo filiale

    Un altro problema, più sottile ma anch'esso assai ricco di conseguenze, sollevato dalla identificazione del sesso come riproduzione di Dio, riguarda l'indicazione precisa del ruolo di ciascuno dei due membri della diade umana in relazione al loro essere copia di Dio. Se la loro dualità rispecchia la Diade primordiale Padre e Figlio testificata dallo Spirito, dovremo forse dedurne che l'uomo è immagine del Padre e la donna immagine del Figlio, per concludere infine che i figli sono l'immagine dello Spirito?
    La risposta in questo caso è netta: certamente no. Infatti, se l'uomo è immagine di Dio, lo è soltanto nel modo in cui può esserlo una creatura, la quale, costituzionalmente, è anzitutto un ricevere. Nessuna creatura dunque potrà mai essere immagine di un Dare Puro. L'unico modo di essere immagine di Dio, connaturale alla struttura intima di una creatura libera come l'uomo, è quello filiale, proprio perché è il modo di un ricevere che ha pure, derivativamente, il carattere del dare. Dunque non diremo che l'uomo è dalla parte del Padre e la donna dalla parte del Figlio, ma che entrambi sono dalla parte del Figlio. E riproducono tale situazione in due perché essa è definita precisamente dalla reciprocità. Tutto ciò può apparire speculazione vana, senza impatto nella realtà. Ed invece, come accade ogni volta che si dice qualcosa di valido su Dio, ha una notevole portata pratica.
    * Fa capire infatti, confermando per altro verso la triplicità dei piani del sesso or ora presentata, che la coppia umana non potrà mai trovare vita ed espansione senza Dio. Siccome il dare della creatura dipende dal ricevere, ove non vi sia Dio alla radice, non si fa che assommare fame a fame, ed il grido di amore diventa, come insegna il Genesi, un grido di accusa e di violenza.
    * Fa capire, inoltre, che l'atmosfera propria dell'amore non è la compiacenza di sé (come succederebbe se esso fosse soltanto un dare) ma è invece la gratitudine e l'umiltà (come si confà a chi riceve: si pensi alla parabola del fariseo e del pubblicano): giacché l'amore umano, anche quando dona, prima di essere un dare è sempre un ricevere, prima di essere una offerta è sempre un assenso.
    * Fa percepire, in terzo luogo, che il vero amore reca nel cuore i segni della morte: della morte di una supposta autosufficienza umana chiusa in sé; ed anche della morte alla propria aggressività, e cioè all'Eros, poiché l'amore autentico deve essere anzitutto assenso, e cioè non violenza.
    * Fa capire infine che la differenza dei due sessi non può essere semplicemente schematizzata in una dualità dare e ricevere che qualifichi l'uomo come preminenza dell'attivo e la donna come preminenza del passivo. Se questo schema può essere caro ad una mentalità fondamentalmente maschile abituata da secoli a teorizzare la condizione di inferiorità della donna allo scopo inconfessato di mantenere il più possibile la preminenza dell'uomo, non corrisponde affatto alla verità. La differenza uomo e donna è reale, e però, sostanzialmente imponderabile, perché diversa, a parte i condizionamenti massificanti socio-culturali, in ogni soggetto. E questa imponderabilità potrebbe essere la rivelazione che la coppia umana vera non è soltanto, né ultimamente, la coppia uomo e donna, ma invece la comunità umana, unita in sé e con Dio.

    IL VALORE ED I PERICOLI DEL SESSO

    Dall'insieme delle conclusioni finora raggiunte si deduce che il sesso non va visto primariamente come un pericolo bensì come un valore. Perciò fa parte della maturità della fede l'accettare dal profondo del cuore, con la massima spontaneità e naturalezza possibili, ed anzi con gioia, sia il proprio sesso specifico sia quello degli altri. È difficile sopravvalutare l'importanza di un simile principio, in cui psicologia e teologia si incontrano pienamente. La non accettazione del sesso, in qualunque forma avvenga, è una fonte fecondissima di squilibrio psichico. Ed è pure un tradimento, magari incolpevole, ma reale, della fede cristiana. Chi pensa così, si rende inabile ad una vita matrimoniale autentica. E quando sia chiamato alla vita apostolica religiosa o sacerdotale, sviluppa un discorso pseudo-educativo che tenta di ridurre ogni cosa alla somiglianza col proprio stato, concepito come l'unico veramente sano, con conseguenze disastrose per sé e per gli altri.
    però anche profondamente vero che il sesso va trattato con molta cautela. Esso, infatti, porta ormai, e con una intensità rara, i segni del peccato, e perciò il suo senso salvifico è velato, e sempre sottoposto al t rischio delle distorsioni più tragiche. In fondo il pericolo del sesso sta tutto nell'essere visto attraverso le lenti deformanti del peccato: poiché allora si assolutizza, ferma a sé, diventa un idolo, nel senso più radicale del termine, si sostituisce a ciò a cui viceversa dovrebbe portare, e così cade nell'assurdo. Perdendo il proprio riferimento all'amore, da appello al dono di sé si tramuta in invito alla rapina. Questo rischio, già in se stesso fin troppo reale, viene ingigantito a dismisura dal «peccato del mondo», ossia dalla mentalità erotico-pornografica corrente nel mondo di oggi. Dunque il credente deve guardare al sesso non solo con gioia e gratitudine, ma anche con acuto senso critico e con la prontezza al sacrificio richiestagli dalla padronanza di sé. Senza di essa, e senza lo spirito di preghiera, le cosiddette assuefazioni al sesso diventano nulla più che mistificazioni della assuefazione al peccato.

    L'accettazione del sesso

    Resta vero che il sesso, come valore e come mediazione in qualche modo necessaria per tutti (perché tutti sono sessuati), deve essere, sia pure mediante una continua rettificazione, accettato e sviluppato da tutti. Vediamo allora in che cosa consistano tale accettazione e tale sviluppo. L'accettazione del sesso consiste concretamente nell'assenso reale e leale ai due caratteri suoi propri, e cioè la diversità paritaria e la complementarietà: come vedemmo, i partner del Genesi erano «simili» e chiamati a fare «una carne sola». Orbene, l'assenso alla diversità, propria ed altrui, consiste, per il livello più immediato, quello dell'incontro uomo e donna, nello sviluppare la propria vita secondo le linee della sua originalità, senza massificazioni, e nel vivere con spontaneità e serenità il rapporto con «l'altro sesso»; per il livello uomo e uomini, nel fare la stessa cosa con tutti; e per il livello uomo e Dio, nell'accettare la dipendenza totale dal Padre, vedendo in ciò non la mortificazione della propria consistenza ma invece il segreto della propria espansione. Mentre l'assenso alla complementarità si ha, per i due livelli superiori, nel fare comunione con gli uomini e con Dio. E per il piano dell'incontro uomo e donna, nel realizzare tale incontro secondo la forma confacente alla propria situazione esistenziale ed alla propria vocazione.

    Le forme di incontro uomo e donna

    Torna alla ribalta, così, l'idea che l'incontro uomo e donna possa e debba avere, se non altro perché necessario per tutti, forme diverse. Ma quali sono, di fatto, tali forme?
    È chiaro che la loro individuazione non può essere fatta a tavolino ma a partire dalla esperienza. Ora l'esperienza mostra che c'è l'incontro del fidanzamento e c'è quello del matrimonio; che esiste il rapporto madri e figli, o padri e figlie, e quello tra fratelli e sorelle, o tra parenti più o meno stretti; che c'è l'incontro di amicizia, quello di pura convenienza sociale e quello, ancora, della collaborazione nel lavoro; che si danno incontri casuali e temporanei, ed incontri, invece, intenzionali e prolungati; che esiste un incontro uomo e donna di tipo religioso o di tipo scientifico o di tipo artistico; ed altri ancora. Tutti questi incontri sono diversi e tuttavia tutti sono, o perlomeno possono essere, autentici; giacché in tutti si può realizzare una complementarietà delle diversità paritarie. Basterà che il dinamismo che li anima sia quello del confronto leale e sincero che rifugge dalle sopraffazioni e punta alla integrazione delle diverse mentalità e dei diversi punti di vista. Ove c'è questo, infatti, le dualità diventano coppia, ossia sintesi delle alterità.
    Peraltro, se tutte queste forme sono autentiche, non lo sono con la stessa intensità. Se tutte sono un vero incontro dell'uomo e della donna, soltanto una lo estende a tutta l'ampiezza del sesso, fino al corporeo. Quest'unica, è la vita matrimoniale, la più radicale tra tutte. Dunque la classificazione di queste forme comporta una distinzione e delle conclusioni molto precise: dell'incontro uomo e donna esistono due forme, la forma matrimoniale e la forma non matrimoniale; entrambi sono autentiche; almeno una è necessaria; l'una esclude l'altra.
    Entrambi sono autentiche, perché entrambi realizzano, sia pure in modo diverso, le esigenze dei tre piani del significato teologico della sessualità. Almeno una è necessaria, perché il sesso, pur non essendo la mediazione per eccellenza, è una vera mediazione, e dunque potrà essere assunta (almeno sul piano dell'incontro uomo e donna) magari a livello minimo (anche solo, per fare un esempio, come incontro con la sensibilità maschile o femminile presente in un libro scritto da un uomo o da una donna) ma non potrà essere del tutto scavalcata. L'una, infine, esclude l'altra (rispetto, si intende, allo stesso partner), perché entrambe sono veramente autentiche. Infatti, se si è sposi, non si può vivere semplicemente come colleghi. E se si è colleghi non si può vivere come sposi. La validità di ciascuna delle due forme esige che venga rigettato lo slittamento di una forma nell'altra, che nel primo caso comporterebbe il naufragio del matrimonio, e nel secondo l'instaurazione del libertinaggio o dell'adulterio.

    Il sesso come dono e come compito

    Se le cose stanno così, la sessualità ha veramente i caratteri di fondo di ciò che è autenticamente umano, ossia è veramente la sintesi di un ricevere e di un dare, di un assenso e di un impegno.
    Su che cosa si giustifica, in effetti, la sottolineatura della accettazione del sesso se non sul riconoscimento che esso è anzitutto un dato previo a qualunque decisione umana? E che cosa fonda l'idea di uno sviluppo del sesso se non la verità correlativa che il sesso non è soltanto un punto di partenza ma pure una traiettoria nelle mani della libertà ed un punto di arrivo? Se è inaccettabile il principio di Simone de Beauvoir, secondo cui «non si nasce donna, ma lo si diventa», perché esaspera il compito negando il dono, è altrettanto inaccettabile la concezione di un sesso statico e privo di un futuro, perché esaspera il dono negando il compito. In realtà, l'aspetto del sesso come compito non ha bisogno di molte parole per essere verificato. Chi potrebbe negare che il sesso sia una dimensione veramente umana e quindi dinamica? E poi: chi oserebbe dire che la visione del sesso emersa dalla fede sia immediata per tutti? Che non sia già, in sé, una vera conquista? Che non abbia bisogno di essere continuamente salvaguardata?

    Lo sviluppo del sesso

    Il sesso deve svilupparsi come e perché deve svilupparsi l'uomo. E questo suo sviluppo consiste precisamente nel seguire le indicazioni del suo significato teologico.
    Consiste, poiché il sesso è un segno, nell'abituarsi a non scambiarlo mai col significato, facendone un idolo. Poi, siccome esso possiede non uno ma tre piani distinti, nel portare avanti le esigenze di tutti e tre, circolarmente, e secondo la vocazione propria di ciascuna, ossia secondo che si vive nella forma matrimoniale o in quella non matrimoniale. Infine. nell'abilitarsi a vivere sempre più e meglio nello schema della diversità e della complementarità; e cioè nell'abilitarsi ad essere sempre meglio in accordo con il proprio sesso, a vivere con spontaneità crescente il rapporto con l'altro sesso, a fare comunione sempre più profonda con tutti gli uomini e con Dio ed a rettificare costantemente le deviazioni del sesso segnato dal peccato. Sviluppare il sesso significa, in una parola, sviluppare la propria capacità di amore retto ed integrale.

    SESSUALITÀ E VITA RELIGIOSA

    Un ultimo aspetto del problema che stiamo considerando riguarda il rapporto della castità consacrata con la sessualità. Se è vero che l'incontro uomo e donna è indispensabile, e che la sua forma di realizzazione più aderente alla totalità del sesso è quella matrimoniale, come si giustifica il valore della vita consacrata? A quale titolo si può dire che essa non misconosce affatto la realtà ed il significato del sesso?
    Si potrebbe rispondere, immediatamente e semplicisticamente, che la castità consacrata ha la funzione di denunciare in modo palese a tutti la relatività e l'ambiguità del sesso, rifiutandolo. Ma ciò sarebbe una risposta sbagliata almeno all'ottanta per cento. Giacché la vita religiosa non consiste affatto in una abdicazione del sesso, ma invece in una forma particolare di inveramento dei suoi valori, distinta da quella matrimoniale ma altrettanto autentica. Come si è detto, il sesso implica pure il piano dell'amore del prossimo e dell'amore di Dio, che nella vita religiosa sono centrali; ed il piano dell'incontro uomo e donna non include solo la forma matrimoniale ma anche quella non matrimoniale, quale è precisamente la castità consacrata.
    La forma matrimoniale, però, è pur sempre una risposta più profonda al significato salvifico del sesso di quanto non lo siano quelle non matrimoniali. Allora, se la realizzazione della sessualità è indispensabile, e la vita matrimoniale ne è la forma piena, che senso ha rinunciarvi? Come si può dire che la castità consacrata abbia motivi razionali validi, ossia si iscriva nel quadro di una sessualità perfettamente normale perché perfettamente razionale? Non si dovrebbe concludere, almeno, che essa è inferiore al matrimonio, contrariamente all'insegnamento della Chiesa, che viceversa la dichiara superiore?
    La soluzione di questo problema si trova nella costatazione, già appurata, che il sesso è un vero segno salvifico, un segno primario, perché iscritto nella carne di tutti, ma non l'unico; anzi, non tale se non assieme agli altri segni salvifici, secondo la logica della sua appartenenza ad un regime di segni. Tale costatazione, infatti:
    * Fa capire che non è possibile che il significato teologico del sesso sia , vissuto da tutti allo stesso modo, ossia a pieno regime. Giacché i singoli non hanno mille vite, ma solo una, e quindi non possono concentrarsi su tutto. Siccome accanto al segno del sesso esistono pure il segno dei consigli evangelici e quello della vita comune, gli sposati vivranno in totalità il primo e più limitatamente i secondi; i religiosi faranno l'inverso; e tutti i segni saranno vissuti al massimo nella totalità della comunità dei credenti. In altri termini, le due situazioni si completano a vicenda: dunque sono entrambi perfettamente legittime.
    * Fa capire, inoltre, che la castità consacrata colma due lacune tipiche della significazione salvifica del sesso, e cioè la fragilità del suo riferimento e la parzialità del suo contenuto. La prima consiste nella tendenza continua del sesso ad assolutizzarsi, cessando di essere segno. Mentre la seconda consiste nella incapacità del sesso, che infatti è soltanto un appello, a significare l'amore totale, e quindi il Regno escatologico, non solo come cosa da farsi ma anche come realtà parzialmente già fatta, già presente. Ora, la castità consacrata, essendo una forma di amore più gratuita e più universale (si pensi al fatto che le comunità religiose sono tenute assieme non dalla carne e dal sangue ma dalla fede), essendo cioè forma più vicina a quella definitiva, ha un rapporto, con essa, meno indiretto. Come tale, rinforza il rapporto del sesso e testifica che quel suo significato, che ultimamente è il Regno, è già presente. Mentre il sesso e la vita matrimoniali rimandano al religioso l'esigenza che la sua castità sia del tutto un sacramento di amore, senza esaurirsi in astensioni e rinunce che senza l'amore sarebbero inutili e vacue come un segno che ha smarrito il proprio significato. Anche da questo secondo punto di vista le due situazioni si completano: dunque risultano entrambe, ancora una volta, perfettamente legittime.
    Quanto alla asserzione della superiorità della vita religiosa su quella matrimoniale, basterà ricordare che essa non deve affatto essere intesa come un deprezzamento del sesso, bensì come il riconoscimento della maggiore vicinanza della forma di amore praticata dalla comunità religiosa a quella definitiva.
    Così, per tutti ed in qualunque situazione, la sessualità ha un compito vero ed indispensabile di pedagogia della carità in vista del Regno futuro. Anche in essa sta scritto il segreto dell'uomo e del suo destino rivelato dalla preghiera di Gesù (Gv 17,20-21): che egli sia una cosa sola con i fratelli per essere una cosa sola, nel Cristo, col Padre.


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