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    Maturazione della persona e educazione alla preghiera



    Bartolino Bartolini

    (NPG 1972-12-16)

    PREMESSA

    Ogni educatore cristiano è un educatore della fede dei suoi giovani. Questo è vero in modo particolare per il sacerdote. Il fine di tutta la sua missione è condurre i giovani all'incontro «esplicito» e personale con Dio in Cristo. Questo è il vertice della sua azione. Se non si impegna seriamente in questo rischia di perdere la propria identità.
    In questi ultimi anni gli educatori cristiani hanno sentito particolarmente vivo il problema del rapporto fede-vita: tutti hanno paura di una religione-evasione, di una religione fatta di riti, di pratiche e di parole, dissociata dalla vita. E se dapprima si cominciò ad insistere sulla fede come anima della propria vita personale e di rapporti intersoggettivi, familiari o di professione, oggi, con la presa di coscienza della dimensione politica dell'esistenza, un tema obbligatorio è: fede e impegno politico.
    Si avverte che educare i giovani a non impegnarsi nel sociale è tradirli. D'altra parte, nel cammino dell'azione concreta, dell'impegno nella storia e nel mondo, è facile perdere la motivazione cristiana di fede. Un pericolo per nulla ipotetico: non pochi giovani di gruppi cattolici impegnati sono passati all'ateismo.
    Per questo quasi dialetticamente oggi, sia nei gruppi che negli animatori, viene sentito e messo a fuoco il problema fede-preghiera.
    L'esigenza di salvare la propria identità cristiana fa prendere coscienza che una persona od un gruppo che si butta a capofitto nell'azione, senza momenti di riflessione e di preghiera formale, si incammina verso la perdita della fede per insignificanza. Il credente è, se prega.
    C'è una circolarità fra preghiera e fede. Se è vero che per pregare bisogna credere, è anche vero che per credere bisogna pregare. Se la fede è un rapporto personale con Dio, è un sì detto a lui, una risposta ad un suo appello, essa è dialogo con Dio. La preghiera perciò è fede «espressa». Non è possibile dunque una educazione alla fede senza educazione alla preghiera. Un gruppo giovanile che cessa di pregare, lentamente cesserà di credere.
    Ma come educare oggi alla preghiera? Un interrogativo serio per ogni educatore della fede. Il presupposto di ogni risposta è l'educatore stesso. È necessario riaffermare la verità più scontata: soltanto se l'educatore sarà uomo di preghiera potrà educare alla preghiera. Nessuno dà quello che non ha.
    Il giovane prega per la partecipazione cosciente e responsabile, mai su comando, poco per spontaneità. Si potrebbe dire che spontaneamente partecipa e attinge alla preghiera dell'animatore.
    Detto questo però, l'interrogativo resta: come educare alla preghiera? Il discorso è fuori dubbio difficile e complesso. Senza la pretesa di essere esaurienti, faremo solo alcune riflessioni e daremo alcune indicazioni di metodo.
    L'affermazione base di una linea di educazione alla preghiera ci sembra possa essere questa: inserire l'educazione alla preghiera nei dinamismi di crescita della personalità del giovane. Essi sono i processi di interiorizzazione, di assolutizzazione, di socializzazione.

    PROCESSO DI INTERIORIZZAZIONE E PREGHIERA

    Il processo di interiorizzazione [1] del rapporto religioso avviene molte volte attraverso un periodo di crisi, in cui tutto viene rimesso in discussione, e non è infrequente il caso dell'abbandono delle pratiche propriamente religiose come la preghiera, la messa, i sacramenti. È il momento della liberazione dalle formule infantili, non mature, un momento forse necessario.
    «La religiosità e la preghiera del bambino sono segnate dalla presenza strutturante delle immagini parentali, ma anche condizionate dall'insegnamento e dalla educazione religiosa impartita dalla famiglia. La preghiera in particolare sarà così caratterizzata oltre che dalla freschezza e spontaneità dovuta alla estrema plasticità di comportamento del bambino, anche da una doppia serie di fattori: una dovuta all'apprendimento delle formule che l'ambiente religioso propone e l'altra, più profonda, condizionata dalla situazione psichica, che colora quelle formule di magismo, anticonformismo, egocentrismo.
    La preghiera dell'adolescente può liberarsi definitivamente, anche se non del tutto, dall'egocentrismo infantile, e orientarsi verso una intenzionalità autentica, oppure può "fissarsi" definitivamente su forme di preghiera proprie dell'infanzia, che appunto perché tali finiscono per risultare inadeguate al bisogno religioso dell'adulto».
    Che cosa può fare l'educatore cristiano per aiutare i giovani ad operare nella interiorizzazione e maturazione della vita di preghiera?

    Curare gli atteggiamenti umani «propedeutici» della preghiera

    Mutua implicanza tra dialogo con Dio e dialogo con gli uomini

    La interiorizzazione della preghiera non è un fatto puramente intellettuale o di motivazioni autentiche e consapevoli, ma è un fatto vitale.
    La preghiera come dialogo con Dio deve maturare insieme alla capacità di dialogo con gli altri. Infatti c'è una linea di continuità fra la capacità di dialogo con gli uomini e la capacità di dialogo con Dio. Se analizziamo in profondità il rapporto intersoggettivo, vediamo che è un rapporto di preghiera.
    Il rapporto umano maturo è la capacità di ascolto dell'altro, proprio perché solamente ascoltandosi le persone entrano in comunione fra loro, uno «entra» nell'altro.
    Parlare è «esprimere se stessi» ad un altro. Ascoltare è «accogliere» l'altro in sé.
    Rispondere è «accettare» l'altro.
    Ora, se la preghiera «divina», il dialogo con Dio ha strutture analoghe al dialogo interpersonale umano, educando a questo facciamo opera di educazione anche per l'altro.
    Non va però dimenticata la «discontinuità» fra l'uno e l'altro. L'interlocutore-Dio resta invisibile e perciò attingibile solo mediante la fede. D'altra parte anche la fede prima di essere virtù che definisce il rapporto autentico con Dio, è la categoria fondamentale che definisce i rapporti fra persone.
    Ogni incontro umano autentico, ogni rapporto personale profondo e non superficiale ed epidermico esige la fede.
    L'interiorità dell'uomo è una interiorità nascosta, inaccessibile, è mistero intimo e personale su cui non è possibile stendere violentemente la mano dal di fuori. La nostra corporeità rivela e nello stesso tempo nasconde il mistero intimo della persona. Il vero incontro umano ha luogo solo quando la persona apre spontaneamente nella libertà la propria interiorità all'altro e questi accetta nella fede quella libera autorivelazione e risponde. «Nella fede», abbiamo detto, perché ad una persona è possibile solo «credere» o «non credere», in quanto la sua interiorità ci resta sempre nascosta ed inafferrabile. È vero che abbiamo i segni, la parola, il gesto con cui l'interiorità ci è comunicata, ma i segni non sono la realtà. Tra il segno e la realtà c'è sempre un salto, il salto della fede, che resta sempre un atto di libertà.
    Se è vero che c'è una mutua implicanza tra dialogo con gli uomini e dialogo con Dio, siccome il rapporto interpersonale trova il punto cruciale nel rapporto uomo-donna, è da affermare una stretta connessione tra il modo di realizzazione di questo rapporto e il rapporto con Dio nella preghiera.
    Quando l'uomo e la donna sono l'uno per l'altro «oggetto», preda da conquistare, e questo a livello di mentalità prima che di comportamento, questo loro rapporto è un ostacolo all'incontro con Dio. È perciò necessario operare una purificazione del cuore per «vedere» Dio. Questo per tutti e sempre, ma forse in modo particolare per i giovani.
    Possiamo dunque concludere che aiutando il giovane a maturare il rapporto autentico dell'altro in una vera capacità di ascolto, di fede reciproca, di rispetto profondo, lo aiuteremo ad incontrare l'Altro.
    «In questo tempo di solitudine sentita e sofferta, toccata in sorte a tanti uomini, in questo tempo di incomunicabilità in cui l'uomo prova un forte senso di estraneità verso i suoi simili, pur nella socializzazione crescente, come fare a pregare?
    Oso parafrasare S. Giovanni: Se uno non dialoga (prega) con il fratello che vede, come potrebbe dialogare (pregare) con Dio che non vede?» (Enzo Bianchi, Il corvo di Elia, Gribaudi 1972).

    Gratuità e gratitudine umana, grazia ed Eucarestia divina

    Se l'aspetto dell'educazione alla comunicazione umana è importante, per l'educazione alla preghiera non lo è meno quello della educazione al senso della gratitudine. I giovani sono alla ricerca di una fede personale, e le difficoltà della preghiera sono legate molte volte alle difficoltà della fede. Per chi è alla ricerca della fede semplicemente, oppure per chi è in una fase di approfondimento o di interiorizzazione «si dà anche un'altra via... verso la preghiera in questo senso più ampio: una forma di meditazione, cioè, che riflette ed esplora la ricchezza della vita.
    Si può confidare che a lungo andare tale meditazione porti molti ad incontrarsi personalmente con Dio trascendente ed immanente e ad esprimergli la gratitudine, i desideri, le necessità...
    Oggi è più saggio iniziare dalla riflessione sulle esperienze di meraviglia, di gioia, di gratitudine e di piacere, che da quelle di bisogno e di debolezza; come dice Bonhoeffer, molti oggi pensano che la religione sia un "andare annusando i peccati degli uomini per tirarli fuori"; è importante mettere subito in chiaro che riconosciamo francamente che il mondo e l'uomo sono diventati maturi e che non si vuole disprezzare l'uomo e la sua mondanità, ma lo si vuole considerare nella sua condizione migliore, e così metterlo a confronto con Dio» (M. Gibbard, La preghiera in un tempo di dubbio, in Concilium, 1970/2, pagg. 29-30).
    L'uomo è libertà, non è un oggetto manipolabile. Chi ha il senso dell'uomo gli si avvicina sempre con rispetto. Ogni azione dell'uomo è fondamentalmente gratuita, non è mai ovvia, scontata. Ci si deve accostare ad una persona chiedendo sempre «per favore». Anche il linguaggio comune ha «codificato» questo atteggiamento. Quando i rapporti tra le persone diventano rapporti di «necessità» sono morti come rapporti umani. E se ogni azione e parola che riceviamo dal prossimo sono un dono, l'atteggiamento fondamentale di una persona verso l'altro è il «grazie».
    È necessario perciò aiutare i giovani a superare la superficialità e a leggere in profondità la propria esperienza immediata, vincere la grossolanità dello sguardo e acquistare un senso di finezza.
    La gratitudine è una dimensione fondamentale di ogni rapporto umano autentico. Questo sguardo di gratitudine non è una cosa per lo più spontanea, ma lo si acquista con l'educazione.
    In ogni istante della nostra vita abbiamo una infinità di persone a nostro servizio, riceviamo un'infinità di doni.
    «Guardare» con gratitudine il conducente dell'autobus che ci porta a scuola o al lavoro; infilarsi le scarpe al mattino pensando che sono un dono di tante persone... non è immediato. Si tratta di acquistare uno sguardo nuovo sulla realtà e sulle cose.
    Nell'educare a questa sensibilità di riconoscenza, Gibbard nota l'importanza della espressione. «Le parole di gratitudine non soltanto esprimono. ma anche approfondiscono il nostro senso di interdipendenza reciproca; e possono anche condurre ad un maggior senso di dipendenza da quella grande realtà nascosta che chiamiamo Dio.
    Il senso di dipendenza è essenziale sia alla maturità umana che alla fede religiosa: le due cose si sostengono reciprocamente. La dipendenza è infatti un elemento del tutto essenziale della natura umana: l'intero sviluppo dell'amore e dell'affetto nasce dal bisogno che abbiamo gli uni degli altri.
    Da questo punto di vista, la religione tocca gli elementi basilari delle relazioni personali e il bisogno che ha l'uomo di risolvere radicalmente i problemi che gli pone la sua natura dipendente» (o. c., pag. 31).
    Se la preghiera cristiana è fondamentalmente «ringraziare», appare evidente quanto l'educazione alla gratitudine spontanea e riflessa sia una vera «preparazione» alla preghiera.

    Approfondimento riflesso delle motivazioni

    Curare gli atteggiamenti propedeutici alla preghiera è un elemento essenziale della educazione alla preghiera, ma evidentemente non l'unico. I giovani hanno bisogno di un approfondimento riflesso delle motivazioni della preghiera.
    L'animatore ha il compito di aiutare, col dialogo, i giovani, sia personalmente che in gruppo, a rivelare sé a se stessi, a chiarire a se stessi le motivazioni reali della loro preghiera.
    L'interrogativo «perché prego?», «perché non prego?» deve essere posto chiaramente e trovare una risposta. Per questo l'animatore deve saper proporre delle motivazioni valide oggettive, in modo tale che siano assimilabili. Non è qui il luogo di presentarle per esteso. Però sembra che le motivazioni debbano rispondere a due istanze: da una parte devono essere funzionali al contesto secolarizzato in cui i giovani vivono, e dall'altra devono essere funzionali al momento psicologico.
    In un momento in cui specialmente la preghiera di domanda è in crisi, forse è bene presentare la preghiera piuttosto come «comunione» interpersonale con Dio, basata sul dialogo gratuito. Da questa deriva il primato dell'ascolto sul «parlare».
    Come nei rapporti personali umani ascoltare, con attenzione e partecipazione, una persona che ci parla rivelandoci se stessa è mettersi in comunione con lei, così avviene anche nel rapporto con Dio. «Ascoltare» una pagina della Bibbia, in particolare del Vangelo, è preghiera. «Ascoltare» Dio che parla nella storia degli uomini, ossia la lettura di fede degli avvenimenti, è preghiera. Ascoltare il «silenzio» di Dio, è preghiera. La preghiera non è prima di tutto un domandare per ff avere», ma un rispondere a Dio per «essere».
    «La Bibbia non ci parla di un Dio che ci ascolta, quanto piuttosto di un Dio che ci smentisce... Il Dio pagano è un Dio compiacente che si fa garante dei nostri progetti: l'abbiamo costruito perché puntellasse le nostre costruzioni. Ci ascolta, ci dà ragione, ma proprio per questo ci tradisce, ci lascia prigionieri delle nostre illusioni.
    Il Dio cristiano, non costruito da noi, è più grande di noi, ci giudica, ci disillude, ci costringe a superare i nostri desideri e proprio per questo ci libera e ci salva» (B. Maggioni, Una preghiera al di sopra di ogni sospetto, in Un rischio chiamato preghiera, Cittadella, pag. 194).
    C'è poi tutta una serie di motivazioni antropologiche della preghiera in quanto servizio dell'uomo: la preghiera autentica ha una funzione importante per salvare l'integrità e l'umanità della persona, ed è sorgente d'impegno per la liberazione dell'uomo (cf. la presentazione che fa Enzo Bianchi in Il corvo di Elia).
    Infine se la preghiera è comunione con Dio, siccome la comunione perfetta è Cristo, uomo-Dio, dobbiamo dire che lui è la preghiera e che ogni uomo inserendosi in lui realizza la preghiera.

    La preghiera, un atto di libertà come la fede

    Abbiamo insistito sulla continuità tra alcuni atteggiamenti umani e la preghiera.
    L'educatore non dovrà mai dimenticare però che fra questi e quella c'è sempre un salto. La preghiera è nell'ordine della fede ed è, come la fede, un dono. Un dono alla cui accoglienza ci si dispone, ma sempre un dono dello Spirito. Un dono che esige una risposta sovranamente libera. La preghiera, come la fede, non è la conclusione di un ragionamento, anche se è un invito, un'attività sommamente ragionevole.

    PROCESSO DI ASSOLUTIZZAZIONE E PREGHIERA

    L'unità della persona esige la integrazione tra fede e vita. Giustamente oggi, specie tra i giovani, si rifiuta ogni dissociazione tra fede e vita [2]. «Ci opponiamo decisamente alla concezione che esista un settore a parte della realtà religiosa, fuori del quale non è possibile un incontro con Dio, e nel quale bisogna entrare per arrivare a Dio» (D'Hoog).
    L'incontro con Dio nella preghiera è autentico solo se si realizza anche nella vita. Ora ci sembra che la preghiera formale, autentica, compia una funzione essenziale in questo processo di unificazione tra fede e vita attorno al valore assoluto che è Dio.
    La preghiera sta alla fede vissuta come la riflessione sta alla vita. La riflessione sulla vita ha una duplice funzione: coscientizzazione dei fatti e critica. Così la preghiera per il credente ha il ruolo di coscientizzare, di esprimere il «vissuto» ed insieme di «criticarlo». Perciò sintetizziamo ciò che vogliamo dire in tre affermazioni:
    * La vita come luogo dell'incontro con Dio, come preghiera implicita.
    * La preghiera formale come esplicitazione dell'incontro con Dio vissuto nella vita.
    * La preghiera formale come momento di liberazione dai falsi assoluti.

    La vita come luogo dell'incontro con Dio e perciò come preghiera «implicita»

    Il rifiuto di una «religione degli intervalli», della spiritualità dell'intenzione, della spiritualità consacratoria, è ormai parte della sensibilità comune specie nel mondo giovanile.
    O Dio è presente nel cuore della vita e dove si fa la storia e lì lo si incontra, oppure non lo si incontra neppure nell'intervallo della preghiera. «Siamo convinti che tutta la vita umana possieda un valore ed un significato religioso, quale collaborazione con il Creatore sempre operante e con il Primogenito sempre rinnovatore di tutta la creazione. In questa collaborazione con Dio e con Cristo glorificato, assunto presso Dio e quindi nel cuore di tutta la realtà, si vive realmente l'incontro con Dio. Tale collaborazione ed incontro, vissuto in modo non tematico, giustamente sono considerati dal credente come culto a Dio» (F. D'Hoog, Pregare in un mondo secolarizzato, in Concilium 1969/9, pag. 62).
    La vita concreta come luogo dell'incontro con Dio è una conseguenza del fatto dell'incarnazione. Ciò è profondamente evidente nella famiglia di Nazaret. Per Maria parlare col figlio era letteralmente parlare con Dio, servire il figlio era servire Dio. Il suo rapporto con Dio, Maria lo viveva nell'interno del suo rapporto naturale col figlio. Quello che è vero per Maria è vero analogamente per ogni cristiano. Da quando Dio si è incarnato, è diventato uno di noi, ogni rapporto umano può diventare un rapporto religioso.

    La preghiera formale come incontro esplicito con Dio

    Se la formula «lavoro e preghiera» può essere ambigua in quanto suggerisce almeno nella espressione la separazione fra vita e preghiera, non lo è meno l'altra: «lavoro è preghiera». È una verità, ma non è tutta la verità. Non è giusto considerare il pregare con le mani l'unica forma giustificata di preghiera e il culto della carità verso il prossimo come l'unico culto giustificato.
    Certo la preghiera è vitale prima che verbale, però il momento verbale è un momento antropologicamente necessario. L'esempio che si fa solitamente ha una profonda verità. Le otto ore di lavoro duro ad una catena di montaggio per un operaio sono amore concreto alla moglie e ai figli. Ma se si toglie il momento del dialogo esplicito, dell'amore espresso, si perde una dimensione essenziale della esistenza umana. E l'espressione dell'amore non va unicamente funzionalizzata al lavoro da fare, ma ha valore e significato «in sé», quantunque non sia separabile dal resto della vita.
    Così il nostro amore per Dio: è certamente vissuto nella trama della nostra vita quotidiana, però il momento del dialogo esplicito è momento essenziale della nostra fede in lui e dell'amore per lui. La preghiera formale, il rivolgersi esplicitamente a Dio è un atto di fede in lui come un Tu sempre presente e distinto da ogni altra realtà.
    «L'affermazione che la fede in Dio, e quindi anche la sua espressione nella preghiera, ha senso in sé, è essenzialmente collegata con il riconoscimento di Dio come Persona Trascendente e con l'affermazione di Dio come non-identico con la profondità del nostro impegno terreno» (o. c., pag. 64).
    Perciò la preghiera nella sua verità non sarà mai riducibile a «riflessione», ad un dialogo con se stessi, con la propria coscienza, ma sarà sempre dialogo con un Tu, col Dio vivente. Non sarà mai un monologo.
    Se è vero questo si vede come fede e preghiera formale siano connesse e come l'abbandono della preghiera o la sua semplice riduzione ad uno strumento per fertilizzare il nostro impegno nel mondo porti all'abbandono della fede.
    Certo l'uomo che prega sarà spesso tentato dall'impressione di trovarsi davanti al vuoto. La preghiera rimane una realtà di fede, continuamente minacciata dalla invisibilità del nostro Dio. La preghiera allora diventa: aspettare Dio, sperare nella sua venuta, perseverare nel dirigersi a lui.

    La preghiera formale come liberazione dei falsi assoluti

    Il processo di assolutizzazione è, potremmo dire, un processo formale in quanto dice di per sé unificazione della vita attorno ad un valore assoluto. Però può essere un vero o falso assoluto.
    Ora l'uomo ha un enorme potere di creare falsi assoluti a cui votarsi e per cui vivere, di adorare nella vita idoli morti al posto del Dio vivente. La preghiera autentica compie nella vita una funzione di critica permanente, di verifica continua. L'incontro autentico col Dio vivente nella preghiera fa individuare e rifiutare gli idoli morti: «Non si può servire a Dio e a Mammona».
    Da questo punto di vista la preghiera è particolarmente necessaria nel periodo di maturazione della personalità del giovane perché lo aiuta a realizzare l'unità della sua persona nella verità, attorno al valore veramente assoluto. Roqueplo chiama questa funzione della preghiera «anamnesi» o memoria efficace.
    «Nella preghiera io "faccio memoria" del significato universale della storia degli uomini e della mia propria; e mediante la efficacia di questa anamnesi io assumo un senso ai miei propri occhi, mi costituisco e mi ri-costituisco, divengo e ri-divengo efficacemente e coscientemente quello che non cesso di essere senza pensarci; in una parola: mi faccio esistere. Funzione primordiale della preghiera che versa nel cuore della nostra coscienza la Coscienza - propriamente costituente - del nostro destino e del senso della nostra esistenza.
    Memoria, dunque, del significato universale dell'esistenza umana; ma memoria, anche, del nostro privilegio e della nostra vocazione cristiana. Qui la preghiera esercita un ruolo fondamentale come fonte efficace della nostra fedeltà evangelica: ci fa non solo "esistere", ma "esistere secondo il Vangelo". Quanto a colui che pretendesse vivere del Vangelo senza provare il bisogno di fondare la sua esistenza evangelica sulla Coscienza rinnovata della propria vocazione, sarebbe, mi sembra, votato a dimenticare progressivamente questo Vangelo di cui pretende di vivere, e perfino, a poco a poco, a dimenticare il significato divino dell'esistenza umana: votato ad adottare, infine, la situazione stessa del non credente; e a questo non può acconsentire colui che ha chiara Coscienza della sua fede, dell'inestimabile "tesoro" che la sua fede costituisce per lui» (Ph. Roqueplo, Esperienza del mondo: esperienza di Dio?, LDC, pag. 281). Ma questa salvezza della propria identità di credente è garantita unicamente dal fatto che la preghiera è un «incontro» non con me stesso e col mio proprio mistero, ma misteriosamente con Colui la cui presenza avvolge la mia esistenza.
    «Un incontro saziante ed assoluto con l'eterno sempre presente: una esperienza di solidità fondamentale: partecipazione al potente ritmo di una eternità che unifica e raduna l'atomismo della mia esistenza polverizzata» (o. c., pag. 282).
    La polvere incontra la roccia, per usare il linguaggio biblico. Un incontro con Dio Signore della storia che agisce efficacemente nella vita degli uomini.
    «Un incontro nel silenzio, con quel Dio-che-parla e che, tuttavia, sembra così dolorosamente tacere; con quel Dio che pochi uomini, purtroppo - troppo distratti da troppi rumori - sono pronti ad ascoltare e di cui ben pochi - purtroppo - sono quindi disponibili a ricevere la Rivelazione del mistero della loro esistenza. Preghiera in cui ascolto una Parola non intesa dagli altri (o. c., pag. 282).

    PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE E PREGHIERA

    La preghiera nella pienezza della sua esplicazione è un atto di libertà, una decisione personale. Però, come ogni atto umano, ha un volto sociale. L'uomo prega sempre per «partecipazione», ma soprattutto il ragazzo e il giovane.
    Se la preghiera non è un valore condiviso da un gruppo [3] difficilmente il giovane imparerà a pregare e continuerà a pregare. La preghiera di gruppo forse precede la preghiera strettamente personale. Il luogo della interiorizzazione dei valori è il gruppo. Questo lo dice la riflessione comune.
    Non soltanto l'uomo imperfetto, ma anche la personalità perfetta è sostenuta in buona parte nei suoi valori morali e religiosi dal gruppo. È un sostegno reciproco.
    «Non solo il gruppo non può sviluppare pienamente il suo essere se non conta fra i suoi membri delle forti personalità che ad esso corrispondano ma è vero anche il contrario. Una personalità non potrà pienamente svilupparsi, se non trova o costruisce una comunità il cui spirito corrisponda alle esigenze fondamentali del suo essere».
    Se ciò vale per una personalità evoluta, tanto più varrà per una personalità in costruzione quale quella del giovane. Molte buone azioni del bambino, del giovane e anche dell'adulto non procedono da una presa di coscienza veramente personale e indipendente dai valori morali e religiosi, ma sono piuttosto il frutto delle ricchezze del gruppo. Quando in un gruppo vi è realmente una genuina vita fondata sui valori morali l'operare sociale ha sempre un valore, anche se manca un giudizio personale sui valori. Il compimento comunitario di azioni buone e di atti religiosi è la migliore e più favorevole occasione per un incontro personale dei valori da parte dell'individuo. Il comportamento rispettoso dei valori da parte di una intera comunità fa sorgere naturalmente una giusta concezione di valori, mentre al contrario la imitazione conformista di comportamenti sociali deteriori genera dei cattivi costumi, ma nessuna conoscenza dei valori.
    A questi motivi di ordine antropologico vanno aggiunti quelli di ordine teologico: il luogo della preghiera, come quello della fede è la comunità cristiana.
    - La condizione previa dell'educazione alla preghiera è la creazione di un gruppo primario di appartenenza e di riferimento.
    Le motivazioni precedenti trovano un rafforzamento nel fatto che oggi il giovane vive in un contesto sociale secolarizzato, in cui la religione non è più un valore condiviso dalla massa.
    La conflittualità delle agenzie di educazione, la precoce emancipazione dei giovani dalla famiglia, il fenomeno della sottocultura giovanile, con la conseguente tensione tra gruppo di appartenenza e gruppo di riferimento, la marginalità della Chiesa-istituzione dovuta al processo di secolarizzazione e di desacralizzazione, fanno sì che normalmente solo il gruppo è il luogo in cui il giovane possa fare una autentica esperienza religiosa e di preghiera.
    - La creatività del gruppo.
    Nella vita di preghiera i giovani, date le condizioni nuove in cui si trovano a vivere, hanno bisogno di un notevole spazio di libertà per inventare le forme d'incontro con Dio che siano loro adatte.
    Ma affinché tale creatività non degeneri in capriccio, in novità per la novità, è più che mai necessaria una presenza attiva dell'animatore. Un animatore che sia preparato e che abbia chiare le strutture portanti della preghiera cristiana.
    - Inserimento nella Chiesa.
    Se è necessaria al giovane la creatività, non è meno necessario un vivo senso della Chiesa. Sarebbe tradire il giovane non educarlo alla preghiera della Chiesa, non abituarlo ad inserirsi in essa. Il gruppo giovanile tende a diventare ghetto. Per questo la consuetudine con il linguaggio biblico, con il salterio, con la preghiera delle ore immetterà il giovane nella corrente di preghiera del popolo di Dio.

    PER NON CONCLUDERE

    La preghiera è problema sempre aperto, oggi più che mai. Sicché non è possibile concludere il discorso. È certo che se vogliamo comunicare ai nostri giovani il valore della preghiera, non dobbiamo mai stancarci di approfondirne il tema e soprattutto l'esperienza.


    NOTE

    [1] Le profonde trasformazioni dell'adolescente al livello intellettuale, le variazioni dell'insieme dei bisogni, degli interessi, dei valori, il diverso equilibrio emotivo affettivo, il mutato rapporto con i gruppi familiare, scolastico, ricreativo si ripercuotono necessariamente sulla sua vita religiosa.
    [2] «Il processo di assolutizzazione può essere concepito come una tendenza a selezionare tra le idee direttive dell'esistenza una di esse intesa come valore supremo che trascende tutte le altre e a porla come tratto cardinale o centrale della personalità che organizza e orienta tutto il comportamento.
    Questo assoluto è prima di tutto un valore cognitivo che unifica la visione che l'individuo ha di sé e del mondo, in prospettiva presente e soprattutto futura.
    È in questo senso che alcune fondamentali visioni religiose della realtà assumono nella valutazione dell'individuo il significato del sacro e partecipano alla eccezionalità funzionale di tale concetto in rapporto alla organizzazione della condotta. Il processo di assolutizzazione così inteso giunge a completa realizzazione solo in determinati casi. Nella eventualità di un mancato inserimento delle motivazioni religiose tra le motivazioni centrali della personalità, si verifica un processo di progressiva marginalità in quanto altri valori necessariamente tendono ad occupare un posto centrale direttivo ed orientativo nella personalità dell'individuo adulto e in via di formazione.
    I valori religiosi giocano un ruolo centrale non tanto in quanto portatori di contenuti soggettivamente assoluti, ma in quanto funzionano come assoluti. È stato infatti notato in alcune ricerche che altri valori giudicati meno validi "oggettivamente" possono svolgere i medesimi compiti della condotta religiosa dell'organizzare e catalizzare i processi psichici dell'individuo. Si parla di valori religiosi di sostituzione» (cf. o. c., pag.. 264-265).
    [3] «La terza caratteristica della religiosità del giovane è la socializzazione. Essa è in stretta connessione con i processi di acculturazione dell'individuo: è a questa età che l'uomo giunge ad essere pienamente "persona sociale", sia perché si ha il suo definitivo inserimento nella società, sia perché vengono condotti a termine i processi di interiorizzazione dei modelli di comportamento della cultura, che formano il sistema delle norme-valori.
    Questi processi sono già in atto anche in età precedenti, ma adesso giungono alla loro piena espressione: è in questa età che appare quanto mai "astratta" la distinzione tra personalità individuale (o psicologica) e personalità sociale (o sociologica); esse interagiscono al livello strutturale e dinamico dando origine ad una personalità unica.
    La religiosità dell'individuo viene coestesa alle dimensioni sociali della personalità del giovane. Anzitutto la condotta religiosa individuale viene a confronto con le modalità strutturali e dinamiche del sistema socio-culturale in cui è inserita: per cui non può sottrarsi al gioco degli influssi vicendevoli che si instaurano con quelle. Sembra che questo processo non avvenga cronologicamente "dopo" quelli della interiorizzazione e della assolutizzazione, ma contemporaneamente: il tipo di religiosità che ne risulta è allo stesso tempo individuale e sociale, interiorizzato e aperto» (cf. o. c., pag.. 267-268).


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