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    Come Dio si fa uomo la parrocchia si fa quartiere



    Giancarlo Negri

    (NPG 1972-11-26)

    Il progetto editoriale che ha guidato lo sviluppo degli articoli su Eucaristia e impegno politico diventa, con questo quarto intervento, concreto ed emblematico.
    Nei primi tre studi GC. Negri ha lentamente costruito la piattaforma su cui muoversi a proprio agio per impostare un impegno politico che affondi le sue radici nell'Eucaristia. Un impegno politico cioè che trovi come principio movente e metodo continuo d'azione quella scelta totalizzante di fede che ha nella celebrazione eucaristica il suo momento di condensazione e di verifica.
    Già lo sviluppo a livello di impostazione è stato denso di esempi concreti e di richiami alle situazioni di vita.
    Ora, però, l'applicazione diventa ricca del sapore quotidiano. In questo articolo l'autore ripercorre a ritroso i suoi studi precedenti, per mostrare come tutte le annotazioni possano riassumersi in un momento specifico dell'impegno politico del cristiano: l'animazione dei comitati di quartiere.
    La lettura di queste pagine è significativa, quindi, a due titoli:
    * Fornisce un paradigma con cui confrontarsi, su un tema che oggi i gruppi giovanili impegnati e i responsabili della pastorale avvertono tra i più caldi. La soluzione non può essere più rimossa: la presenza di «coloro che celebrano l'eucaristia» o è viva, decisa, stimolante, oggi; o domani sarà certamente stanca e quasi inutile: la rincorsa affannosa troverà tutte le porte sbarrate e i «seggi» occupati.
    * Nello stesso tempo delinea un significativo modo di «presenza cristiana» in un fatto umano. Una lettura in filigrana dell'articolo può indicare, per facile estrapolazione, come sia possibile qualificare una partecipazione fedele alla Eucaristia nelle quotidiane situazioni sociali. A quelle cui spesso l'autore ha fatto esplicito cenno (sindacati, assemblee studentesche) e alle molte altre simili.
    Questa chiave di lettura amplia notevolmente l'arco di interesse: fa, come si diceva in apertura, dello studio sui comitati di quartiere una pagina emblematica per comprendere le linee di riflessione teologica apparse con frequenza sulla Rivista e le indicazioni di ordine metodologico, già redatte o in fase di prossima elaborazione.

    AMBIENTAZIONE

    Riscoprire il lavoro dei preti

    Quali sono gli incarichi tradizionali di un vicecurato, di un «sacerdote in cura d'anime», come si dice? Li conosciamo: celebrare messe, preparare i bambini ai sacramenti, fare catechismo a tutte le età, amministrare sacramenti. È utile e pratico fare un consuntivo degli ultimi decenni.
    * Una più seria incarnazione della Chiesa nel mondo ha portato a inserirsi in realtà nuove: cappellano delle carceri, cappellano degli universitari, cappellano degli operai, cappellano dei gruppi familiari, assistente scout, ecc. Si compiono in un contesto nuovo gli incarichi tradizionali: si celebrano matrimoni, si amministrano battesimi, si catechizza, ma nel mondo più ristretto e specifico del gruppo universitario, del gruppo operai, ecc.
    Ne è nato il conflitto tra pastorale dei movimenti e pastorale della massa, lasciata al parroco con qualche aiutante, per quei cristiani marginali che non entrano in nessun movimento organizzato.
    In questo conflitto tra pastorale parrocchiale e pastorale dei movimenti è sorto un periodo critico: se i movimenti non rientrano nella massa, diventano aristocratici, settari, o comunque chiusi in una loro vita separata.
    * Si apre allora il periodo dei movimenti che cercano di fare apostolato nella massa, cioè oltre a celebrare i sacramenti tra di loro (tra focolarini, tra partecipanti alle Domus con il loro proprio cappellano), cercano di dare una mano al parroco per i sacramenti degli altri parrocchiani generici.
    * In questo servizio poteva insinuarsi la deformazione del proselitismo che faceva assumere questo comportamento: volentieri aiuto i genitori che si preparano per un battesimo, ma aiutandoli, proporrò sempre loro di far parte del mio gruppo, unica forma di autentico cristianesimo. Ed ecco i focolarini, l'Azione cattolica, la Gioventù studentesca, gli scouts, le congregazioni mariane, Mani Tese, il Terzo Mondo, in cerca di vocazioni, alle volte più svelatamente, alle volte no («vieni da noi»).
    * Questo proselitismo è apparso un po' sbagliato agli altri gruppi in concorrenza in quanto non si trovava più un cristianesimo senza etichetta, ma vi era solo un cristianesimo specificato: cristiano scout, cristiano Acli, cristiano G.S., cristiano Fuci, cristiano focolarino, ecc. Ciò ha ricordato il paolino: «Io sono di Apollo, io sono di Paolo», che faceva perdere di vista il comune «io sono di Cristo».[1]
    * Nasce allora una quarta fase, in cui i vari movimenti non forzano quel parrocchiano a cui offrono il loro servizio ad allinearsi con il loro modo d'essere cristiani, ma lo aiutano a diventare vero cristiano restando sempre quello che è, cioè appartenente a quelle forme primordiali di vita umana che sono la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro e il tempo libero, mettendo solo come secondario e facoltativo il modo focolarino, scout, aclista o terzomondista d'essere uomo-cristiano. Esattamente come quei primi cristiani di cui parla Paolo sono invitati a mettere l'accento sul loro «essere di Cristo» rispetto al loro «essere di Apollo, di Paolo», di Barnaba, di Ignazio, di Barth, di Balthasar, di Bonhoeffer, di Camara, ecc.
    In pratica si sono configurati a poco a poco nuovi incarichi per sacerdoti e laici impegnati, rispetto a quelli dell'assistente Acli, o Fuci, o Aci, o GS, o Csi, ecc. Nuovi incarichi che mantengono l'uomo nei suoi gruppi primitivi e cittadini: la famiglia, il gruppo di famiglie; la scuola e l'assemblea scolastica; il lavoro e il sindacato; il tempo libero con i gruppi culturali-ricreativi.
    Allora il servire i cristiani a vivere in Cristo la loro avventura di lavoro-sindacato, di scuola-assemblea studentesca, di famiglia-comitato di quartiere è divenuto più logico, più importante ed urgente che il fare da cappellano delle Acli, delle Domus christianae, della Fuci, degli scout, ecc.
    * Finalmente si è giunti al coordinamento delle forze per il quale rimangono, i gruppi scout, Fuci, Acli, GS, Aci, ma tutti raccordati ai gruppi cittadini della comunità locale come servizio, come lievito nella pasta e non lievito di se stesso. Era una questione di ordine e sta maturando: il fedele rimane vitalmente cittadino, cioè inserito nei quattro gruppi naturali (comitato di quartiere - assemblea studentesca - sindacato - gruppi di tempo libero) mentre trova nei gruppi cristiani la forza lievitante e di trasformazione pasquale della sua «pasta», data dalla vita nella comunità locale.
    È questione di «dovere di stato», che ogni morale cristiana poneva sempre al primo posto, indiscutibilmente. Ci si è aggiunta la forma associativa, portata dai tempi, per cui l'antico: «sia un buon padre di famiglia» si completa nel nuovo: «e perciò sia impegnato nel comitato di quartiere» come negli altri gruppi.

    Conseguente impegno «parrocchiale» dei vari movimenti

    Questa ristabilita armonia tra vita cristiana e vita cittadina comanda: programmi dei vari gruppi di vita cristiana (Chiesa in vita ad intra) al servizio pasquale dei gruppi di vita cittadina (Chiesa in vita ad extra), come si è spiegato negli studi precedenti.
    Il trovare un sacerdote, un parroco, un vicecurato, un laico impegnato che dedicano preghiere, tempo e lavoro a curare la lievitazione del locale comitato di quartiere non è più strano o sbagliato, ma ritorna ad essere ortodosso, derivato dalla riscoperta incarnazione della chiesa locale nella comunità locale e dalla riscoperta vita di Grazia come lievito cristiano della pasta cittadina.
    E sta diventando normale che sul tavolo di redazione e di programmazione dei gruppi cristiani dominino «le gioie e le speranze, le tristezze e angosce» dei comitati di quartiere, dei sindacati, delle assemblee studentesche, dei gruppi di tempo libero cittadini, per le quali occorre essere una ben applicata energia di salvezza (via, verità, vita): tutta la tradizionale teologia della «applicazione soggettiva della redenzione» viene a togliere ogni perplessità.
    Allora l'annosa discussione sulla validità della parrocchia, nella comunità locale, e il dissidio tra cristiani dei movimenti (compreso l'attualissimo delle comunità di base) e cristiani della parrocchia trovano chiarezza e soluzione, con questi principi pratici:
    * Se la pasta è il compito del lievito, allora la realtà cittadina locale è il fine comune pratico delle forze di lievitazione (gruppi, movimenti, parrocchia).
    * I cittadini, fine comune delle forze di lievitazione, hanno tante forme di vita: lavoro, famiglia, scuola, tempo libero, ma queste sono ordinate alla forma di vita prevalente, quella della famiglia con le espressioni annesse (condominio, comitato di quartiere, i figlioli con la loro scuola e il loro tempo libero, ecc.). Questa prevalenza dei doveri familiari su quelli di classe (che è invece la tesi marxista) è essenziale, fondamentale per una Chiesa che è «società fondata sull'amore e dall'amore governata».
    * Ma le famiglie sono residenti in un quartiere e lì nascono, crescono, vivono,[2] come gruppi di famiglie. Il quartiere ha il volto delle famiglie e perciò le altre categorie (classe operaia, gruppi politici, ecc.) non possono prevalere, ma devono servire il crescere della vita familiare, legata al buon andamento del quartiere.
    * La chiesa locale come parrocchia è la soprannatura dei gruppi familiari del quartiere e come tale prevale su tutti i movimenti, gruppi cristiani spontanei o organizzati, se la logica dell'amore è presa sul serio nel Regno di Dio. Quindi il buon andamento dei nuclei familiari (le nascite, i matrimoni e le morti, l'educazione dei figli) sono il primum di ogni programmazione cittadina e cristiana e tutti gli altri movimenti della chiesa locale seguono questo ordine dell'amore.
    * La frase «la parrocchia ha fatto il suo tempo» è dunque errata. Ristrutturarla e riscoprirla, certo; ma abolirla significa perdere di vista la famiglia e sostituirvi la lotta di classe, cioè una ideologia, che subordina la famiglia alla classe.[3]
    Nello sforzo di riscoprire e ristrutturare la parrocchia viene in primo piano il discorso dei «comitati di quartiere»: espressione operativa dei gruppi familiari per un miglior compimento dei loro doveri, soprattutto l'educazione dei figli, compito supremo (il primato degli ultimi) dei genitori.[4]

    Un esempio vissuto di pastorale del comitato di quartiere

    Da queste riflessioni teologiche un parroco di Lodi, culturalmente ben formato (dirige il Biennio di pastorale sociale per tutta la Lombardia), comprende che la sua opera di lievitazione nella pasta cittadina include la cura di quella forma di vita familiare associata che è il comitato di quartiere.
    Perciò entra in dialogo con molti concittadini responsabili e fa loro scoprire e attivare questa onte naturale di vita cittadina. Le caratteristiche del comitato di quartiere così sviluppato indicano bene le cose da tener presenti per agire.

    Il comitato di quartiere non ha altre etichette che quella del quartiere (comunità di famiglie)

    La prima cosa precisa da fare è promuovere il comitato in nome delle famiglie, questa realtà universale di genitori e figli, che è tale sotto tutti i colori della pelle, tutte le ideologie politiche, tutti i livelli di cultura, tutte le credenze religiose. Come il cristianesimo comincia «in nome del Padre», il comitato di quartiere comincia «in nome della famiglia». E perciò non è né parrocchiale, né comunista, né fascista, né liberale, ma si raccoglie attorno ai denominatori comuni che sono i valori familiari comuni (lo sviluppo dei figli, l'amore parentale, l'amore coniugale, l'amore del prossimo nelle famiglie vicine). Solo così si ha l'accordo dei capifamiglia sul bene comune familiare, divenuto necessario a causa della vicinanza di abitazione e del comune uso dei mezzi di vita (si pensi all'ecologia, così attuale e urgente).[5]

    Il comitato di quartiere ha diversi livelli di impegno e non di potere

    Come in ogni realtà sociale, ben presto gli individui si distribuiscono diversi livelli di impegno, sensibilità, responsabilità, capacità di realizzazione. È l'eterna legge della leadership nella dinamica di gruppo. L'esperienza di Lodi ha visto il comitato disporsi spontaneo in tre livelli attraverso i procedimenti dell'accordo fraterno e amicale più che della democrazia:
    - l'insieme dei rappresentanti delle famiglie un più ristretto consiglio d'azione
    - un più ristretto gruppo-guida.
    Ma tutti sappiamo che a questa distribuzione di compiti, di servizi al bene comune, si associa la tentazione del potere, che in buona o cattiva fede, cerca di manovrare e strumentalizzare. La tentazione del potere è pari a quella del disimpegno e sono frutto della nostra universale condizione di peccato. Ora la chiesa è il modo attuale e locale con cui Gesù Cristo combatte il peccato per liberare gli uomini, perciò si viene a scoprire un compito di lievitazione cristiana del mondo da parte delle forze di lievitazione, che lo Spirito Santo nutre con il cibo eucaristico per la pasqua della vita quotidiana.

    Il comitato di quartiere fa prevalere la persona sulle strutture

    Un episodio della esperienza di Lodi è illuminante. Nel quartiere vi era urgente il problema della scuola elementare. Aree disponibili erano in vendita. La curia diocesana, pressata da sue necessità economiche, cercò di indurre il comune a comperare per questa scuola un certo suo terreno. Le due strutture stavano per accordarsi in questo senso, quando il comitato di quartiere, esaminato il terreno con l'occhio dei genitori (ed ecco la dimensione personalistica), scoprì come quella zona era la meno indicata a questo scopo educativo e perciò provocò con i mezzi e modi che poteva un'opinione pubblica contraria.
    Questo esempio chiarifica la funzione del comitato di quartiere nel groviglio di interessi, di strutture e poteri operante dentro la comunità locale. Poteri e strutture, analoghe a quello che Gesù Cristo chiamava «il sabato», hanno radici talmente lontane dalla realtà locale (interessi di partito, interessi nazionali e internazionali dei vari enti civili ed ecclesiastici, oppure il carrierismo individuale), che, quando operano nella comunità locale, rischiano sempre di procedere secondo un diritto romano: quello che vede la gloria di Roma come benessere anche delle Gallie e perciò ne impone la guerra e la pace. La storia di sfruttamento dei «prefetti» romani nelle varie provincie tende a perpetuarsi nei fatti come nel nome.
    Ora tutta la rivoluzione di Cristo porta alla libertà dei figli di Dio, cioè a porre dentro la coscienza personale il principio dell'agire in quello stesso mondo di relazioni con gli altri e con il cosmo che è curato con altri principi dalle strutture e dai poteri. «Non è l'uomo per il sabato, ma il sabato per l'uomo»:[6] la Gaudium et Spes al par. 26 riprende con forza questo principio di Cristo, dicendo: «nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario».
    Ma la persona come tale è indefinibile, sul piano del bene comune, finché non si giunge a quell'ordine che è naturalmente e per tutti «ordine di persone» e cioè la famiglia con i suoi rapporti personalissimi: sposo-sposa, genitori-figli, fratelli. E dato che per il fenomeno dell'urbanesimo questo «ordine delle persone» familiare si articola in quartieri e comitati di quartieri, ne risulta una potente convergenza tra tutto lo scopo evangelico della Chiesa e la dinamica dei comitati di quartiere: «non l'uomo per il sabato ma il sabato per l'uomo».

    Il comitato di quartiere fa prevalere le persone sulle ideologie

    Il pluralismo di idee gioca molto quando si parla di «persona», dandone tante definizioni quanti sono i partiti, le chiese, le filosofie, le religioni. Anche qui la famiglia con i suoi punti fermi, universali e condivisi da tutti, diventa nucleo di unione fraterna tra molti, uniti in quanto padri, i cui figli hanno necessità primarie, comuni per ogni ideologia. E di nuovo appare importante promuovere quei comitati di quartiere che sviluppano un senso del comune destino, delle comuni necessità, dei comuni doveri verso i figli con parole vissute e non solo proclamate, con interessi viscerali e non solo intellettuali.
    Il caso del dibattito sul divorzio aiuta a capire come si muove un comitato di quartiere rispetto alle ideologie. La legge sul divorzio è precisamente una questione di diritto nazionale, se ne discute in termini di civiltà o non civiltà ma in ogni modo si punta su una struttura, una legge generale, quando nel proprio quartiere forse nessuno ne avrebbe bisogno. Su questo livello generale si scontrano le ideologie fino a coinvolgere tutto il proprio e altrui sistema. Invece a livello di quartiere urgono i problemi più vicini, più reali, i problemi di quelle persone in costruzione che sono i figli. La loro realtà concreta, indipendente da ogni ideologia, bisognosa di affetto, di speranza, di equilibrio, di armonia interiore si impone con una immediatezza unica ed unitaria ai divorzisti come ai non divorzisti e li fa incontrare sul piano delle persone e impedisce il loro astrarsi dalla realtà nell'agitare grandi problemi ideologici o grandi leggi di civiltà nazionale Questo diverso modo di vedere, suggerisce a tutti i pastori di affannarsi di meno per le campagne antidivorziste ed impegnarsi di più per realizzare nell'ambito del quartiere un comune lavoro di promozione della vita personale a livello di famiglia e di gruppi familiari.

    Il comitato di quartiere come terapia dei partiti

    Ma occorre guardare i comitati di quartiere anche nella interferenza con i vari comitati civici, con le sedi di partito, le cellule e le altre ramificazioni delle superne strutture, che attraverso le «direttive di partito» guidano le masse secondo l'una o l'altra ideologia.
    La terapia, fornita dal comitato di quartiere, rispetto alle pressioni di partito è temuta dagli stessi partiti, che cercano di finanziare i comitati per strumentalizzarli oppure di impedirne la crescita. Gli aspetti di questo rapporto comitato di quartiere-partito e governo sono molteplici.
    * A livello di elettorato. Innanzitutto vi è il momento delle elezioni, quando i partiti orientano le coscienze. Il rischio che il partito si ammali di strutturalismo è molto elevato ed allora la critica dei comitati di quartiere a tutte le campagne partitiche permette alle coscienze di mantenere primario l'«ordine delle persone» nel decidere l'ordine delle cose. In sostanza per tutta la nazione i comitati di quartiere significano un prevalente dominio del senso della persona e della famiglia nel dibattito pre-elettorale e nel dialogo tra opinione pubblica e governo, dopo le elezioni.
    In distinzione con l'altra forza plasmatrice (i giornali), i comitati, risvegliando continuamente l'attenzione ai propri figli, agli elementari bisogni familiari introducono il metro di misura e la sensibilità che sono universali e comuni nel valutare ideologie, progetti, programmi e candidati.
    * A livello di autorità comunali. I partiti con le loro sedi centrali pongono le autorità comunali come tra incudine e martello: da una parte gli interessi di partito e dall'altra gli interessi locali. Il partito ha una forte solidità per farsi sentire dalle autorità comunali, ma gli interessi locali no, finché rimangono individualizzati. Se invece il comitato di quartiere si forma, allora gli interessi locali acquistano una densità nuova, una forza sostanziale, che si impone alle autorità comunali, quando fossero tentate nell'amministrazione dal «principio superiore» del partito. Per sé questo non dovrebbe avvenire: le strutture sono create dai cittadini, ma tali strutture, in mano a uomini, fatti di buon grano e di zizzania, si deteriorano facilmente e diventano valori distinti, da mezzi diventano fini e il sabato strumentalizza l'uomo.
    * A livello di governo della «cosa pubblica». In un paese del nord Europa vi è un avvocato, stipendiato dallo stato, perché difenda gli interessi di un quartiere contro le esigenze di un bene comune non illuminato. In attesa che un simile strumento di vita civile si precisi anche altrove, l'uomo qualunque è solo di fronte alla immensa macchina della «cosa pubblica». I governanti che pensano in termini di moltitudini rischiano di non configurare più le cose sulla misura delle persone. Il bene comune rischia di essere collettivistico, antipersonale e non personalizzante, come deve essere. I fattori che potenziano questo fenomeno sono soprattutto nel consumismo, per il quale le grandi fabbriche, le grandi vendite, i grandi mercati perdono di vista l'individuo come persona con rapporti primari (famiglia, vicinato, quartiere) e lo vedono come consumatore di prodotti. È chiaro a tutti che l'interesse della singola persona non è contrapposto a quello della massa, come vorrebbero l'individualismo, il liberalesimo, il capitalismo. L'ordine delle persone si applica alle strutture ed ai poteri non come contrapposizione tra persona e massa, poiché la persona è fatta per avere rapporti con tutti, dai vicini ai lontani e non è persona se non ama tutti, senza razzismi o miopie. La voce dei comitati di quartiere perciò guida i governanti, che ragionano in termini statistici di masse, a ricercare progetti e provvedimenti, i quali in tutta la massa umana siano adeguati all'ordine delle persone, cioè promuovano rapporti e comunioni personali: se nel tram si deve passare mezz'ora naso a naso senza salutarsi, sentendosi nevroticamente estranei per la vicinanza fisica, qualcosa nel sistema non funziona: i mezzi di comunicazione sono fatti in modo da sviluppare nella massa abitudini antipersonalistiche; se ai ragazzi e facile comperare motorette che ogni notte rompono il sonno degli operai, il sistema economico di produzione e commercio, promosso dai governanti in chiave di massa, non promuove rapporti personali nella massa, se uno riceve il potere di liberare la sua angoscia a costo dell'imprigionamento di altri in una corrispondente dose di angoscia.
    Ora chi firma l'approvazione di un brevetto di motoretta è lontano dai quartieri dove queste motorette scorrazzano, mentre il comitato di quartiere può misurare con misura umana quello stesso brevetto. In questi termini corre la terapia del comitato di quartiere nei riguardi del governo nazionale.
    Si giungerà allora ad un paradossale «fronte delle famiglie» che acquisti una tale voce da intimidire i governanti, appesi al filo della sorte elettorale? Ma il «fronte delle famiglie» può esso forse ammalarsi di strutturalismo e di potere, se prevale il centramento su poteri centrali, invece del decentramento in tanti comitati di quartiere, ove il fatto di avere rapporti «face to face» (cioè tutti conoscono tutti) allontana il pericolo delle due malattie. Invece è pensabile che la Chiesa, salvezza della persona e nella persona dell'amore, metta al servizio dei comitati di quartiere quelle forze al di sopra del quartiere (regione, nazione, mondo) che permettono a tutti di unirsi nel nome di valori uguali e imperativi dappertutto: i figli, la vita familiare, la condizione di vita familiare.

    Il comitato di quartiere come terapia al verbalismo e alla debolezza

    Quando alcuni genitori denunciarono a Genova i giornali pornografici, con le copertine esposte nei chioschi dei giornali e avidamente guardate da adolescenti, è apparso un altro aspetto dei comitati di quartiere, cioè l'efficienza.
    Bisogna qui immedesimarsi nella disperazione del singolo, torturato dalla aggressione della società, e incapace da solo di porvi rimedio. Le vie abituali per tentare di cambiare le cose sono inefficaci: scrivere al sindaco o al deputato? la burocrazia insabbia tutto, se si tratta di voci isolate; ricorrere al ricatto del clientelismo (tu fai un favore a me e io ti procuro voti), è decisamente immorale; scrivere a «specchio dei tempi»?... rivolgersi al sacerdote della parrocchia? egli o è preso dentro il gioco partitico, per cui è potente a Roma grazie al deputato a cui procura voti, oppure è assente, parla di cose, indubbiamente belle, ma che restano irraggiungibili se la vita quotidiana rimane al di sotto del minimo di condizione umana iscriversi al «fronte della famiglia»? ma appare bloccato anche esso nelle misteriose trame burocratiche. Allora la via d'uscita di fronte a questa immensa aggressione (un cantiere di lavoro che fa tremare la casa giorno e notte, un bar con il juke box a pieno volume fino ad ore piccole, l'indisciplina stradale, i corruttori di minorenni, le gite scolastiche divenute innominabili per la leggerezza degli insegnanti, ecc.) o è un amaro fatalismo senza più speranza o è il rifugio, armi e bagagli nell'arca di Noè, d'un gruppo di spiritualità d'una scuola privata e costosa mentre tutti gli altri affogano.
    In queste condizioni, che da ogni parte appaiono disoneste, il comitato di quartiere con la sua autorità rappresentativa, con il potere di imporsi in modo pulito a deputati e governanti, costituisce un fatto nuovo, un punto d'appoggio alla speranza e quindi uno stimolo all'impegno, mentre nello scambio di vedute e nella esperienza di unione in cose fondamentali permette di sperimentare un modello di vita associata personalizzante prossima all'amicizia. Senza dover essere degli imboscati nei gruppi indubbiamente santi e sereni ma dimentichi delle responsabilità d'amor fraterno e d'amor paterno verso i figli dei vicini, a cui procurare il minimo di condizione umana per nascere come persone dato che sono nati come composto umano.

    LIEVITAZIONE CRISTIANA DEI COMITATI DI QUARTIERE

    Tre aspetti diventano ora necessari:
    - quello teologico: la promozione dei comitati di quartiere è compito della Chiesa?
    - quello pastorale: quale lievito cristiano si porta nella pasta di un comitato di quartiere?
    - quello metodologico: come un gruppo giovanile cristiano lievita il locale comitato di quartiere?

    Aspetto teologico: è compito della chiesa promuovere comitati di quartiere?

    Tutto sta capire a fondo l'incarnarsi del divino nell'umano, sull'esempio di Cristo.
    Ritroviamo la legge d'incarnazione per cui la chiesa locale è autocritica della comunità locale.[7]
    L'aspetto specifico dei comitati di quartiere rientra in questo discorso generale e ne sottolinea alcuni aspetti di più reale «applicazione soggettiva», per usare il modo di dire tradizionale, della redenzione.
    * Il comitato di quartiere è realisticamente l'«umana carne» da assumere, come ha fatto il Figlio di Dio. La sua importanza nella vita cittadina e familiare del luogo, ove sorge la chiesa, è sufficiente a togliere ogni dubbio: se bisogna incarnarsi, quello è il modo realistico.
    * Nel comitato di quartiere si inizia quell'amore altruistico, quel dare e ricevere in comunione fraterna, mettendo insieme «gioie e speranze, tristezze ed angosce» comuni, che è nei massimi compiti della Chiesa. Basta ricollegarsi a quella cura dei poveri e degli ammalati, che la tradizione mostra come volto di una vera parrocchia, solo che questa volta ciò è compiuto con modalità nuove, più comunitarie, incarnate e personalistiche: tutta la comunità di famiglie residenti è coinvolta e diventa una famiglia più grande, in via di diventare famiglia di Dio (GS 41), e preti e religiosi non appaiono più come cavalieri della bontà e santità, rispetto ai quali i cittadini sono misere pecorelle, ma appaiono animatori, promotori di un movimento di cuori e di coscienze, di braccia e di portafogli, che è comune e comunitario.
    * Nel comitato di quartiere ci si incontra sul piano di valori trascendenti ogni categoria e settore: valori di genitori e figli, cioè di persone in concreto e non in astratto. Ora questa etica dei doveri di stato, delle coscienze confrontate con i primordiali impegni dei figli, dei vicini genitori poveri (superando la triste classificazione di poveri e ricchi), dei loro figli, equiparati ai propri figli, del noi rispetto ai singoli io, tutto ciò è ai primi posti della legge del popolo di Dio e nel cammino verso il Trascendente.
    * Rimane sempre l'obiezione: noi ci occupiamo come gli apostoli del pregare e spiegare le Scritture. La risposta ha molti aspetti:
    - gli apostoli non erano tutta la comunità: essi si integrano con una comunità che cura tra l'altro la distribuzione comunitaria dei beni attraverso i diaconi; l'errore è interpretare quel passo in modo che la spiegazione delle Scritture e la preghiera non ha niente in comune, anzi ignora la diaconia dei diaconi e la koinonia di tutti;
    - che cosa è poi pregare il Padre se non si imita la sua paternità con la forza del Figlio unigenito, il quale lava i piedi agli ultimi, muore per salvare i fratelli e dice: «amatevi come Io vi ho amato»?
    - e che cosa è spiegare le Scritture se non fanno capo a quel Dio che interviene per liberare il suo popolo dall'Egitto e rimanda il fuggitivo Mosè a buttarsi a capofitto in una politica di libertà, affrontando il Faraone? In altre parole: non è l'amore il vincolo della perfezione di Dio quale si è rivelato, cioè Padre? e non è l'amore qualcosa di pratico che comincia a dare a tutti il minimo di condizione umana per «riconoscere il Padre»? (vedi studio sulla teologia degli ultimi).[8] I comitati di quartiere non sono tutto - è chiaro - ma in quanto sottolineano i rapporti tra persone (amore), in quanto promuovono la liberazione dei figli di Dio nel senso universale dell'impegno per educare bene la prole, coincidono fortemente con il piano divino di Salvezza.
    * Rimane però l'equivoco: salvezza materiale o spirituale? liberazione dall'Egitto del peccato o dall'Egitto politico? Una certa esegesi ha esasperato il dualismo, ma come mai in Isaia c. 58 è ancora fortissimo da parte di Dio il discorso: «questo è il digiuno che io voglio: liberate gli oppressi, prendete cura degli orfani»? È cioè secondo Dio la separazione tra materiale e spirituale? Un minimo di condizione materiale, secondo S. Tommaso, non è necessaria per praticare le virtù? E non è allora unita insieme la promozione della liberazione materiale per la possibilità della liberazione spirituale?
    Ma non basta questo per chiarire la difficile questione: occorre rifarsi alla teologia degli ultimi, secondo la quale per chi sta bene la liberazione spirituale sta nell'amore, cioè nel procurare agli ultimi il minimo di liberazione materiale, quale condizione preliminare per liberare lo spirito; occorre inoltre capire il peccato, il cui frutto è la morte nei suoi due aspetti: per gli ultimi la condizione di peccato sta nell'essere impossibilitati a vivere umanamente e quindi a «riconoscere il Padre» e per chi sta bene il peccato sta nel non liberare gli oppressi, cioè nel non amare come il Padre, nel non dare le condizioni perché tutti «riconoscono il Padre».
    * Vi è infine l'ultima seria obiezione: ma nel comitato di quartiere non si prega, cioè non si liberano gli ultimi con Cristo, in Cristo, per mezzo di Cristo. Questo è vero, e inizia il discorso pastorale, cioè il modo di intervenire nei comitati di quartiere che maturi un camminare avanti, un procedere, un progresso spirituale dei partecipanti, finché di luce in luce giungano alla scoperta del Liberatore divino, tra loro liberatori umani, e si mettano coscientemente in comunione con Lui, se lo Spirito dà ora la grazia sufficiente. Ma l'incamminarsi per quella via (l'amore paterno fraternizzato con i padri delle famiglie vicine, soprattutto povere, la preoccupazione dell'educazione dei figli) significa procedere per la via dell'amore, dove si è già messo Dio, in Cristo, e dove è più facile perciò incontrarlo che nella via cosmologica di fratello sole e sorella luna: Gesù ha detto che per lui l'uomo dalla mano secca è molto più importante delle pecore, dei gigli dei campi, del sole e della luna! (cf Mc 3; Lc 6). In altre parole la promozione di veri comitati di quartiere imprime un movimento che va verso la preghiera, è già annuncio del Regno ante litteram per i valori a cui richiama e per la testimonianza della «gente di chiesa» che interviene, per cui gli animi procedono di scoperta in scoperta verso l'incontro con Dio.
    Ad ogni modo questo è già il preciso discorso pastorale.

    Aspetto pastorale: la lievitazione cristiana del comitato di quartiere

    Sappiamo che si collabora con Dio nel far fare pasqua a tutti gli uomini in due dimensioni: quella della gratia sanans, che libera dal male, e quella della gratia elevans che rinnova e sviluppa il bene fino ai pieni frutti di vita eterna.

    Liberare dal male i comitati di quartiere

    Dalla prima dimensione si è portati a considerare le possibili deviazioni del comitato di quartiere: l'egoismo individuale può assommarsi in un egoismo di gruppo, che cura i propri interessi in una spirale di benessere dimenticando gli altri quartieri: quelli della propria città, quelli dei sobborghi delle grandi città (Terzo Mondo). Lo stesso amore parentale può chiudersi a dare ai figli un benessere oltre il minimo di condizione umana, trascurando di dare invece il minimo necessario ad altre persone in crescita.
    A questo pericolo grave rimedia il concittadino, venuto dall'Eucaristia, in quanto porta nel discorso dell'educazione dei figli, a cui tutti dopo un poco arrivano, la teologia degli ultimi, il primato degli ultimi: già nel minimo di condizione umana dei figli è contenuta l'apertura agli ultimi, altrimenti il loro mangiare e bere è disumano e schiavizzante lo spirito. Tutta la nostra politica è qui: è la «politica del Padre nostro», cioè dei Padre di tutti, per cui tutti siamo fratelli e non ha senso dare il superfluo ai propri figli, lasciando senza il necessario gli altri figli, non meno nostri nella politica del Padre nostro.
    Le applicazioni pratiche di questo intervento lievitante sono da ritrovarsi caso per caso, ma non è difficile preparare il proprio intervento, quando tocca noi a parlare, indirizzato a queste aperture d'orizzonte, ben innestate da una parte nel vero «bene» dei propri figli, iniziati al senso della fraternità universale, e dall'altra al mistero del Padre comune, di cui ante litteram è portato il messaggio.
    Sarà poi la forza persuasiva della testimonianza che muoverà i cuori, assieme allo Spirito Santo. Certo è che se la chiesa-struttura non è nella politica del Padre nostro, la sua credibilità e persuasività è bloccata.
    L'altro male principale è la divisione tra fratelli, cioè l'incapacità di trovare i punti comuni, a piattaforma di fraterna unione, trascendendo i propri punti di vista particolari, fossero pure i più veri. Giovanni XXIII ci ha dato una norma pastorale pratica e precisa: «cercate prima ciò che vi unisce e poi ciò che vi divide». È pensabile che chi frequenta il fraterno banchetto eucaristico sia «esperto nel fare gruppo», cioè capace di lievitare la dinamica del dialogo, delle proposte e controproposte come «costruttore di pace», non a costo delle verità, ma in nome di verità comuni, dalle quali traspare quella profonda verità che è l'essere tutti fratelli. La croce per liberare da questo male e per la risurrezione di una esperienza di unione fraterna è una croce dura, fino a tremendi mali di testa, fino a logoranti interventi nel dialogo, fino a dolorose pazienze e comprensioni, ma l'Eucaristia ci nutre di Uno esperto della croce, mentre la vita di chiesa-ab-intra ci matura all'arte di promuovere l'intesa comune senza abdicazione delle coscienze, ma attraverso un ampliamento della coscienza individuale, nel quale il sintonizzarsi con gli altri in quanto Si crede vero insieme non è rinuncia a quanto si crede vero in particolare.

    Far risorgere a vita nuova i comitati di quartiere

    Dal punto di vista della gratia elevans si tratta di immettere nel cammino dei partecipanti al comitato di quartiere una direzione convergente verso quei misteri di Cristo che sono incarnati, cioè sono coincidenti con il misterioso profondo di ogni cuore umano.[9]
    Nei dibattiti per la promozione del bene comune del quartiere i pareri sono vari, e dopo aver vissuto l'esperienza dell'unione nelle cose comuni con tutti, si giunge alle divergenze. Ora il concittadino che viene dall'Eucaristia sa che la sua verità non è contro nessuna cultura o ideologia, ma e il prolungamento, l'avanzamento di ogni cultura come raggio verso il suo centro, che è centro di tutti. La catechesi (vita ab intra della Chiesa) avrà abilitato al dialogo di lievitazione di ogni posizione, da quella marxista di un professore marxista a quella liberale, a quella missina, a quella consumistica. È una abilità logorante, difficile, per cui si e tentati di cadere nella struttura e contrapporre il «noi la pensiamo così» al dialogo di innesto nelle posizioni altrui per prolungarle, inverarle, farle crescere secondo profondità umana e così trovare l'alleato divino.
    Alcune precise novità globali, che circoleranno in ogni dibattito sia per decidere i fini, sia per decidere i mezzi, sono le seguenti:
    - il primato dei figli, degli ultimi, rispetto ai primi (i genitori);
    - la profondità umana delle situazioni (cercare che cosa c'è sotto, far luce sulle aspirazioni profonde, che spingono quelle più appariscenti);
    - la liberazione della persona, identificata non come interesse di categoria, di maggiore salario, di giustizia distributiva, per cui si distribuisce ai più poveri un po' della mentalità egoista e materialista dei benestanti, ma come essere più se stesso, fino al centro, là dove si è più uomini se si amano di più le persone a cominciare da quelle persone che non avendo altro (il Terzo Mondo della miseria) hanno solo il valore d'essere persone;
    - la totalità, cioè l'altra faccia della luna, gli altri aspetti di ogni problema che si inizia di solito con gli aspetti materiali o superficiali, perdendo di vista quelli meno immediati, ma più importanti: un edificio scolastico, ad esempio, che «faccia onore al nostro quartiere», dimenticando che fa più onore un edificio con un'ottima attrezzatura educativa che non un edificio architettonicamente prezioso.

    La testimonianza e la proposta di Cristo

    Non aspettiamoci di essere molto graditi nei comitati di quartiere: le nostre aperture d'orizzonte, il nostro accento cristiano (l'accento sugli ultimi) disturba, è segno di contraddizione e possono metterci in croce.
    Bisogna evitare alcune deformazioni:
    - la tentazione del martirio, cioè una specie di errato culto a Gesù crocifisso, che porta a contraddire duramente, subito, senza dialogo, senza gradualità, fino a ricevere l'ambita palma del martirio e sentirsi così felici con Cristo. Siamo precisi: l'amore ai peccatori viene prima dell'amore alla croce nell'imitare Gesù, cioè se arriverà la croce, sarà dopo che nel dialogo vi è stata la testimonianza di amore, di incarnazione, di illuminazione dal di dentro, di pazienza progressiva ed allora, se verrà la croce, si sarà più tristi perché i fratelli non vedono la loro salvezza che felici di patire contraddizioni e si dirà «Padre, perdona loro»;
    - l'annuncio gridato sui tetti può essere interpretato in modo partitico da comizio, da contraddittorio, cioè senza incarnazione, senza dialogo senza i momenti della vita privata di Gesù, che vive da figlio del fabbro per 30 anni. L'impazienza pastorale, il pensare che se non citiamo un po' di Scritture, non evangelizziamo; l'interpretazione superficiale del passo paolino: «guai a me, se non evangelizzerò», possono nascondere, invece che rivelare, il volto di Dio, come dice la Gaudium et Spes al par. l9;
    - la maggiore forza testimoniante sta in due cose: il fatto che nel comitato di quartiere i rapporti sono primari, cioè ci si conosce a vista e tutti sanno che siamo gente di preghiera ed eucaristia, per cui il nostro batterci per gli ultimi viene collegato alla nostra eucaristia e diviene messaggio, in secondo luogo il fatto che i nostri interventi convergono sempre verso aspetti del problema che sono profondi, che sono di amore universale che trascendono la superficialità e sono come un dito puntato verso quel Vangelo, che in altra sede, potrà essere esplicitamente sviluppato;
    - ma la grande proposta di Cristo sta nella proposta della fede-fiducia in Lui, (fede in senso globale). Si procede così: ogni posizione di fondo, che emerge, viene messa in «autocritica», con parole come queste: ma è vero? ma su che cosa fondiamo questa affermazione? ma chi ci dice che la vita è così? ma possiamo affermare questo sulla sola nostra convinzione senza fondamento oggettivo? Allora a poco a poco il dubbio dinamico mette molti in una beatitudine evangelica, cioè la «fame e sete di verità», il bisogno di fondare su basi certe e oggettive i propri punti di vista, dubitando delle proprie convinzioni. Così si giunge a cercare «che cos'è la verità?» ed accanto alle vie del dogmatismo, dello scetticismo, si apre come alternativa la possibilità della fede, del fiducioso abbandono, della fiducia in Cristo. Posso affermare che sovente dalle discussioni condotte con questa autocritica, ad esempio sul bene vero dei figli, si giunge alle soglie della fede, del prendere sul serio quanto Dio dice in proposito: si è messi in «situazioni di fede».
    La funzione pastorale s'incarna così nella promozione del bene comune, poiché sul filo dei problemi quotidiani di vita si giunge sovente ad incontrarsi di passaggio, occasionalmente, ma proprio per questo intensamente, con la questione fondamentale della fede, del prendere la rivelazione di Dio come verità assoluta su di noi, le cose, il destino e il senso della vita al di sopra d'ogni altra veduta.

    Aspetto metodologico: in che modo un gruppo giovanile lievita il locale comitato di quartiere

    La prima difficoltà è nel fatto che nei comitati di quartiere entrano soprattutto i problemi familiari, entrano i capifamiglia in cerca di un bene comune per le famiglie residenti nel quartiere, a cominciare dal bene educativo per i figli di tutti.
    I giovani con i loro gruppi ideologici, con i loro sindacati o le loro assemblee studentesche, con i loro gruppi culturali-ricreativi si sentono lanciati in altre direzioni, se la prendono con le strutture e risolvono problemi apparentemente extrafamiliari (lavoro, rapporti ragazzi-ragazze, divertimenti). Sembra che i problemi familiari del quartiere siano lontani, diversi.
    Ma basterà pensare al crescente impegno per i doposcuola o i «contro-scuola» da parte dei gruppi giovanili impegnati, per scoprire che in sostanza la convergenza è molto forte. In pratica la scoperta del Terzo Mondo e della vita politica ha immesso nei giovani impegnati un movimento potentemente convergente con i comitati di quartiere.
    Esemplifichiamo:

    Il comitato di quartiere
    - contrappone alla politica delle strutture l'interesse delle persone;
    - si incentra sulla migliore educazione dei figli, che sono gli ultimi arrivati nella vita;
    - va ai valori dell'amore, a cominciare dall'amore familiare (filiale, parentale).

    I giovani
    - contrappongono alla politica strutturata in poteri i loro gruppi extra-parlamentari;
    - mettono al primo posto il Terzo Mondo o gli oppressi in nome dei quali contestano;
    - oppongono al consumismo e al sistema i valori della libertà e della paternità comune.
    D'altra parte vi sono divergenze nelle quali il comitato di quartiere ed i gruppi giovanili si correggono reciprocamente:

    Il comitato di quartiere
    - tende ai problemi locali, dimenticando i problemi mondiali;
    - vede i propri figli e dimentica altri valori al buon andamento familiare.

    I giovani
    - tendono alle ideologie mondiali perdendo di vista la concretezza realistica e localizzata;
    - vedono i grandi valori (libertà, amore, rinnovamento) e non li maturano sulla concreta misura della condizione familiare dell'uomo in generale.
    Allora la pastorale di coloro che coordinano le forze vive della comunità locale porterà i giovani ed i comitati di quartiere a vivere in pieno le loro convergenze assommando le forze, e ad accogliere il dialogo delle divergenze, correggendo le unilateralità.
    Ne viene di conseguenza questo quadro di azione:
    * unità di problemi più urgenti nell'ordine del giorno: problemi destati dagli ultimi (i figli in sviluppo fino alla maggiore età), a cui dare il minimo di condizione umana per nascere come persone; allora i gruppi giovanili, cristiani o meno, i gruppi che preparano i comitati di quartiere, hanno sul tavolo una pasta comune, la stessa problematica, con guadagno di tempo e mezzi nelle indagini preliminari (inchieste, questionari, analisi sociologiche, ecc.);
    * il carisma giovanile cura la soluzione dei problemi, mettendo l'accento sulla propria prospettiva (apertura al mondo misurato sul Terzo Mondo come parte del minimo di condizione umana per i figli; accento sui valori della libertà, dell'amore sessuale, dell'azione costruttiva, della solidarietà con altri, dell'intervento nelle strutture) e accettando le correzioni che vengono dai capifamiglia (concretezza, realismo, visione totale degli aspetti di un problema, passaggio dalla superficie al profondo, dimensione familiare dell'amore umanitario come dell'amore sessuale, ecc.);
    * il carisma dei capifamiglia lavora ugualmente sugli stessi problemi con gli accenti e le correzioni ricevute dai giovani;
    * Io scambio, l'incontro complementare di vedute e progetti avviene su piani diversi: quello spicciolo delle conversazioni con i propri genitori, quello tra gruppi cristiani, quello tra rappresentanti nel comitato di quartiere con vicende diverse, ma con utilità e fecondità certa.
    La cosa importante è per i giovani, portati alle ideologie ed alle rivoluzioni ideologiche, l'accogliere la misura familiare per misurare tutto: l'amore ha da giungere a realizzazioni familiari (sposo-sposa, genitori-figli, fratelli), la libertà, il benessere ha da essere misurato non con la lotta di classe, che cade nell'errore della giustizia distributiva (rendere un po' ricchi anche i poveri) o nella astrattezza delle categorie, mosse da ragionamenti filosofici (Hegel, Marx, Mao) invece che dalle esigenze dell'umanità comune, quella che nella famiglia trova la piattaforma comune ed universale.
    Si tratta in pratica di non assestare il lavoratore, l'operaio agli schemi filosofici di una ideologia sulla rivoluzione continua, sulla dialettica degli opposti ma ricondurlo agli schemi del suo primordiale essere padre di figli, sposo di una sposa con primitive ma comuni e precise esigenze di condizione umana che devono misurare ogni ideologia, persino l'esegesi della Scrittura, se è vero quanto dice il Vaticano I che cioè noi conosciamo i misteri divini «per ea quae naturaliter cognoscuntur» (Cost. Dei Filius).
    Allora i padri forniscono ai giovani i criteri di misura d'ogni cosa, mentre i giovani liberano i padri, forse già coinvolti dalla sistemazione nel sistema dal timore nelle strutture fino al compromesso tra esigenze di padre e sposo e pressioni di partito, di chiesa, di economia, di cultura. I giovani restituiscono alla loro primordiale e genuina autenticità gli adulti: essi sono padri di una generazione, essi hanno come primo dovere il servizio alla generazione nascente perché sia in condizioni di diventare persona in una libertà, autenticità, profondità maggiore. È la legge del benessere personale contro la legge del benessere solo economico.

    L'Eucaristia, che nutre i giovani nei gruppi di Chiesa ab intra, lievita prima in loro questa visione delle cose, affinché diventi sforzo tenace fino alla croce per la sua realizzazione, che si compie per i giovani in tre sbocchi:
    - l'intervento diretto ed indiretto nei comitati di quartiere, perché portino a livello di vita eterna il loro lavoro per le famiglie del quartiere, per la correzione delle strutture, per il conseguente beneficio del mondo più ampio del quartiere (officine, scuole, commercio, consumo, politica
    turismo, ecologia);
    - l'intervento nelle strutture, in forma diretta e forte, come si conviene a giovani («scrivo a voi che siete forti ed avete vinto il male», 1 Gv 2,13), ma avendo la fondamentale misura della condizione umana familiare e non di quella prospettata da ideologie;
    - l'intervento nella rivoluzione culturale a raggio anche mondiale nei movimenti che riguardano tutti gli aspetti della vita (sesso, guadagno convivenza, ecologia, scienza, tecnica, commercio, tempo libero e tempo lavorativo), ancora tutto misurando sulla misura centrale dell'amore quale è definito dalla realtà familiare (paterno, materno, coniugale, filiale fraterno) nel senso che diventa fraternità procurare agli altri le condizioni per vivere l'amore nei modi familiari: paterno-materno, coniugale-amicale, filiale.
    Il vincolo di tutta la legge, che è per il cristiano l'amore, trova quindi convergenti l'impegno politico e l'impegno eucaristico nel cristiano.

    NOTE

    [1] 1 Cor 1,12.
    [2] I gruppi di quartiere ridanno alla indebolita famiglia monocellulare la consistenza educativa della famiglia patriarcale.
    [3] Basti leggere i «Consigli ai genitori» del pedagogista sovietico A.S. Makarenko.
    [4] I figli non significano quelli della «propria famiglia», in senso chiuso, ma tutti i figli: i propri, quelli dei vicini, dei meno vicini, fino ai confini di una unità comunitaria, che è il quartiere.
    [5] Il rischio di arrivare a comitati di quartiere «etichettati» è molto reale: i democristiani, come i comunisti, i liberali, i missini ed il clero cercano di promuovere il «loro» comitato di quartiere, portando anche al livello di convivenza familiare la divisione partitica. Ma appunto qui, come vedremo, sta la prima lievitazione cristiana, in quanto i cattolici, deponendo per primi la loro particolare etichetta, invitano tutti a fare lo stesso, e ad incontrarsi insieme al livello di un bene veramente comune ed universale, sul quale si stabilisce la fraternità.
    [6] Mc 2,27.
    [7] Cf Note di Pastorale Giovanile 1972/4.
    [8] Cf Note di Pastorale Giovanile 1972/10.
    [9] Coincidenti, anzi «consostanziali», dice il Concilio di Calcedonia.


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