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    Chiesa locale come autocritica della comunità locale



    Giancarlo Negri

    (NPG 1972-04-11)

    Questo articolo, che continua lo studio apparso in 1972 /1, è diretto a quanti sono animatori di gruppi ecclesiali giovanili, e riguarda i più svariati tipi di gruppo giovanile, sia come denominazione (Azione Cattolica, gruppi spontanei, gruppi di categoria) e sia come livello di impegno (gruppi a livello di cosciente collaborazione all'opera di Dio, gruppi d'impegno politico, gruppi d'impegno sociale, gruppi culturali e ricreativi).
    Un denominatore comune per questi gruppi, se vogliono essere ecclesiali, è l'incarnazione nella vita locale nel senso di farne propri i problemi e gli avvenimenti e di maturare un intervento salvifico in essa. Tale caratteristica, anche se in gradi diversi d'intensità e consapevolezza, è distintiva di un gruppo ecclesiale.
    In questo intento d'incarnazione, passiva ed attiva, torna utile questa ricerca, che chiarisce e precisa le forme, i modi, le linee di una incarnazione nella vita locale, quale è attesa da Gesù Cristo. Per innestarci in una problematica molto vissuta, gli animatori di gruppo fanno bene a ricordare questi momenti difficoltosi e mai ben realizzati della vita di un gruppo:
    * il momento dei propositi pratici. Non si sa mai quali dare e si finisce con i propositi più stereotipati e ammuffiti, per mancanza di inventiva e di prospettive;
    * il momento morale nelle discussioni e letture bibliche, il quale prende la forma stantia del buon proponimento, di un «mettere in pratica» generico, buono per tutte le situazioni, oppure evasivo in impegni distraenti dalle realtà locali (esempio: si pensi, in giorni come questi, di grande turbolenza nelle scuole, ad un gruppo giovanile che dalla sua «lettura biblica» ricava il proposito di trattare con gentilezza i mendicanti per la strada);
    * l'inefficacia di questi propositi, che dovrebbero «far prendere carne alla Parola» e invece traducono la Parola in parole, cioè in nuovi studi e discussioni senza ingranare nel vivo delle lotte locali tra bene e male, nelle quali e pur impegnato invisibilmente Gesù Cristo;
    * le programmazioni delle attività del gruppo, che sono cercate o in uno spontaneismo superficiale o in un ripiegare sulle attività di moda senza quel vivo partecipare alla vita locale che trova subito le attività «rispondenti ai problemi» (CEI, Teologia e Magistero, 16 gennaio 1968), attese dalle persone in situazione;
    * gli impegni per le grandi ricorrenze: Natale, Quaresima, Pasqua, ecc. Uno studio di questi impegni dà l'impressione di una disincarnazione dalla realtà locale, in cui si è pur piantati dalla «misteriosa trama», intessuta dalla Provvidenza;
    * gli interventi nelle iniziative degli altri nell'ambito della vita locale: estremisti di sinistra o di destra occupano scuole, prendono in mano la leadership della gioventù; gruppi extraparlamentari sommuovono la città con grandi manifestazioni antifasciste; i missini reagiscono... ma in ciascuno di questi momenti i gruppi cattolici esitano, non hanno idee chiare, quindi neppure iniziative chiare, tempestive e sovente si rifugiano in attività di Terzo Mondo non a ragion veduta, ma per non saper che altro fare.
    Da tutti questi momenti di vita, se mal riusciti, nascono gli inizi di crisi, declini e svogliatezze del gruppo.
    Gli animatori allora si arrabbiano oppure si rimettono alla volontà di Dio. A questo punto s'innesta lo studio presente, come quello precedente («Mai Eucaristia senza politica e mai politica senza Eucaristia», 1972/1) per servire a trovare idee più chiare, inserimenti più approfonditi e tempestivi, in modo che venga più chiara e sentita quella sintonia con lo Spirito, da cui riceviamo la spinta e la forma giusta per l'incarnazione cristiana locale.

    IL DESERTO DI CARRETTO E L'IMPEGNO NEL TERZO MONDO

    Prima di aprire il cofano per revisionare il nostro motore, bisogna superare gli ostacoli rappresentati da due obiezioni correnti: quella di una Eucaristia senza politica, riscontrabile nella spiritualità, ultimamente espressa dal libro di C. Carretto: «Il Dio che viene», e quella di un impegno sociale senza incarnazione locale (gruppi del Terzo Mondo).

    Vi può essere una eucaristia senza politica?

    C. Carretto parte da un fatto reale e grave: si prega poco, cioè si fa una politica senza Eucaristia. Ma il rimedio deve essere cristianamente vero e non proporre di trovare Dio in un disincarnato deserto.
    Una precisa espressione, in certo senso riassuntiva dell'ultimo libro di Carretto, è che noi troviamo Dio «Al di là della storia degli uomini». Questa tendenza è riscontrabile in molti movimenti di spiritualità, che preoccupati di ritrovare la preghiera, si avviano inconsapevolmente in una preghiera di tipo orientale, veramente al di là della Palestina, cioè di un preciso luogo e popolo storico, dentro e attraverso il quale si è rivelato Dio e ci ha chiamati all'Alleanza.
    Se prendiamo come metro di misura la Bibbia e l'incarnazione, vediamo che Dio viene «dentro e attraverso la storia degli uomini» e non al di là di essa. Inoltre l'inizio della Gaudium et Spes attualizza con una felice espressione, che ripete spesso e volentieri, questo incontrare Dio nel realismo della sua incarnazione, che sarà poi da noi imitata e vissuta con Lui: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi... sono le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Quel verbo «sono» esprime una intensa incarnazione, come si dice che Gesù «è» veramente uomo.
    Allora la soluzione ci sembra essere cristiana, quando va in cerca di un Dio non al di là della storia degli uomini, perché sarebbe cercare Dio al di là della Bibbia, della Rivelazione, ma invece al di dentro, nel profondo della storia umana.
    * Dicendo «al di dentro», si esprime l'impegno, l'incarnazione, il far nostri i peccati dei fratelli, come gli aneliti e le aspirazioni.
    * Dicendo «nel profondo», ritroviamo quella dimensione di preghiera, meditazione, contemplazione, lettura della Bibbia, che giustissimamente preoccupa C. Carretto e noi tutti e senza della quale non c'è incarnazione del Figlio di Dio attraverso di noi, ma c'è solo l'agitarsi umano, c'è politica senza Eucaristia.
    * Dicendo poi «mai politica senza Eucaristia» si intende dire che l'Eucaristia non è solo quella dimensione di profondità, di contemplazione, di preghiera, sopra indicata (= «nel profondo»), ma è anche, trattandosi di amore, l'altra dimensione, quella dell'«al di dentro», cioè l'impegnarsi, il morire con tutte le morti umane e il risorgere con tutti i germi di cose buone; questo fa ogni giorno, in ogni luogo Gesù nell'azione eucaristica, per mezzo di noi, suo corpo mistico.
    Davanti dunque alla constatazione «si prega poco», non rispondiamo dicendo: andiamo dunque nel deserto, al di là della storia degli uomini (le meditazioni di fratel Carlo provengono da lunghi ritiri compiuti nell'esperienza del deserto), ma andiamo dove si è rivelato Gesù, cioè «dentro i fatti umani, ma fino in fondo», in quel profondo che risulta essere disertato da coloro stessi che lo hanno dentro. Quindi l'istanza è la stessa: ritrovare l'Eucaristia, ma la modalità è biblica e non orientaleggiante, in quanto predomina l'incarnazione nella polis, nella storia degli uomini, nella cui profondità si incontra il vero Dio.

    Vi può essere una chiesa non locale?

    L'altra obiezione proviene dagli ammirevoli gruppi di Terzo Mondo. Includiamo qui anche le attività di Terzo Mondo, dominanti alle volte la vita di molti gruppi, quando si decide di raccogliere carta, di partecipare ad un campo di lavoro, ecc.
    Tutto questo è indispensabile e guai se riduciamo anche noi i nostri gruppi a quelle false forme di impegno politico che consistono nella baldoria o nel brivido della occupazione di una scuola o di una fabbrica: se qualche volta a livello operaio si sente che sono cose serie, troppo spesso nei giovanissimi che inscenano tumulti in piazza c'è tutto ma non coscienza politica. Quindi il nostro lievitare la contestazione sta nel proporre tra l'altro il Terzo Mondo come parametro, come forma autentica di lavoro, di «portare la croce», di promuovere la risurrezione. Ma vi è una spinta eucaristica a localizzare questa lievitazione nel luogo di residenza. Questa spinta di Cristo e del suo Spirito va presa sul serio: essa nasce da tutto il mistero dell'incarnazione. Non si può ridurre la Chiesa ad una società per il Terzo Mondo come è la FAO, che è addirittura «extraterritoriale», là, nel luogo dove geograficamente ha sede. Sembrerà nuovo questo riscoprire il prossimo nei vicini di casa, nella realtà locale, fatta di scuole, traffico, orari di lavoro, localizzazione in officine grandi e piccole, uffici, supermarket, luoghi di ritrovo, chioschi di giornali, costumi ed abitudini locali, fatta di «gioie e speranza, tristezze e angosce» locali. Ma uno spirito missionario che non abbia questo «localizzarsi», non sembra essere in sintonia con il Figlio di Dio incarnato.
    Altra cosa è precisare il modo concreto con cui si vive questo fare «chiesa locale», fare «mente locale», senza diminuire lo slancio verso la miseria dei nostri fratelli dell'India, dell'America Latina o dei baraccati di Torino, Milano, Roma.
    Che cosa si può dire di preciso e concreto a questo proposito?
    * L'azione occasionale e l'azione sistematica sono innanzitutto cose da chiarire bene: se un padre di famiglia è tutto zelo in associazione cattolica (azione sistematica) ed è spento, assente in famiglia (azione occasionale), non lo riteniamo vero imitatore di Cristo. Ugualmente possiamo distinguere per i gruppi di Terzo Mondo una azione sistematica, quella programmata nel gruppo, ed una azione occasionale, quella provocata, programmata, dal semplice fatto di essere anche noi in quella scuola, in quella fabbrica, in quella contrada, in quella popolazione locale.[1] Non si tratta di intervenire nella situazione con le formule degli altri, così come sono, senza trasformazioni; si tratta di lievitare quella pasta precisa, locale, cioè liberarla dal male, intensificarla in ciò che è buono ed elevarla a nuovi fini e nuove fecondità (mistero della pasqua o trasformazione, passaggio da morte a vita).
    * In questo intervento pasquale nel vivo delle situazioni locali, il gruppo di Terzo Mondo porta un preciso carisma, assai necessario per trovare la giusta via: il Terzo Mondo è misura di tutte le cose umane, in quanto nella legge dell'amore, nella famiglia di Dio, il figlio ammalato viene per primo, si serve per primo, e i soldi si spendono prima di tutto per le medicine del figlio malato e poi per le scarpe nuove dei figli sani. Guai se questa dinamica dell'amore non fosse diffusa: potremmo dire che allora il gruppo per il Terzo Mondo tradirebbe una sua missione, un suo compito, che è quello di creare attorno a sé una nuova mentalità, una mentalità in cui, ripetiamo, si cominciano i conti dalle esigenze del fratello e figlio più malato.
    Nella prassi della lotta di classe, che porta all'odio, che divide, noi innestiamo la pasqua dell'amore, della lotta di famiglia, in cui tutti sono fratelli, ma gli ultimi (cioè i più indigenti, malati) sono i primi ad essere serviti.
    * Risulta allora chiaro che nella vita locale i gruppi di Terzo Mondo hanno una grande parte per la lievitazione cristiana della pasta umana. Essi imprimono nella comunità locale il movimento dell'amore universale-familiare, cioè quello portato dallo Spirito e che ha come Giudizio universale, sempre e dovunque decisivo, quello che comincia: «avevo fame e tu non mi hai dato da mangiare, avevo sete, ero ignudo, ero prigioniero, ero senza casa...». Così il Terzo Mondo è Giudizio universale e si vede bene dal testo di Matteo che il Cristo non si è fatto uomo in senso filosofico, extrastorico, d'una umanità astratta, ma si è fatto Terzo Mondo: «guardatevi attorno - dirà ai discepoli di Giovanni che chiedono se è Lui il vero inviato da Dio - guardate quello che faccio: gli zoppi.... i ciechi..., i sordi..., i poveri... vengono sanati» (Mt 11,5). Ecco perché lo cerchiamo non nel deserto, bensì dentro i fatti umani, ma fino in fondo.
    * Nasce conseguentemente anche un impegno tecnico-operativo: problemi di linguaggio, di dialogo, di inserimento, di tentativi, di amicizie, di interventismo. Problemi che prendono tempo, forse più spinosi che il farsi i calli e spaccarsi la schiena nei campi di lavoro. Ma questa è la politica che viene dalla Eucaristia: locale l'Eucaristia, locale la nostra azione.

    IL LUOGO DOVE PRENDERE CARNE

    Superate le difficoltà, nate dalle due obiezioni, si viene al pratico. Le cose da chiarire sono ora le seguenti:
    * la forma di intervento locale per lievitare del fermento pasquale la pasta umana. Per questo uso la parola, molto corrente: «autocritica», che è nel titolo e che occorre descrivere sia nei suoi contenuti, sia nel linguaggio e dialogo perché si compia;
    * i posti, i luoghi non tanto fisici, ma personali, in cui prendere carne, in cui, come a Betlemme, la potenza di Dio pervade e permea l'umanità.
    Dove sono le nostre grotte di Betlemme, in cui la nostra fede prende carne locale?
    Cominciamo da questo punto.

    Il significato operativo del «prendere umana carne»

    È utile avere chiaro in mente il significato pratico del nostro «incarnarsi». Noi siamo già umanità, quindi il parallelo con il Figlio di Dio va chiarito.
    In realtà il discorso corre, perché nel profondo mistero che vive in noi, continua ad essere Lui, il Figlio di Dio che prende carne, che si incarna, come fece visibilmente a Betlemme, qui a Roma, a Torino, a New York, a Pechino e dovunque un gruppo di persone si mette a sua disposizione e così realizza la Chiesa.
    Ma per noi, in concreto, cioè sul piano operativo, che significa? Evidenziamo alcuni aspetti pratici.
    * L'identificarsi, il com-patire di Gesù Cristo, che è esposto dal c. 11 della lettera agli Ebrei, dal c. 53 di Isaia, significa già operazioni ben precise per noi: partecipare; leggere i giornali non per passatempo, ma dentro l'evento eucaristico, come indicazione del luogo personale della Eucaristia; innamorarsi della gente qualunque, tentando di imitare la infinita passione di Cristo verso tutta la gente; ribellarsi ad ogni tentazione aristocratica di chi non si fonde, che non va nei bar, non è preso dentro, non si lascia travolgere dalla folla, come Gesù; criticare fortemente ogni chiusura aristocratica dei gruppi, del clero, delle forme di pietà, di ritiro, di vita cristiana che non sono incarnate quando per il linguaggio, per gli orari sono possibili solo a privilegiate categorie di cittadini.
    * L'unire il divino all'umano e non perdersi nell'umano. Questo è il punto più difficile. Gesù diventa vero uomo, restando vero Dio. Incarnarsi allora non significa perdere l'abitudine del pregare, ma significa unire a vere e reali situazioni locali il nostro pregare, santificarci. In altre parole il discepolo di Cristo si identifica con i fratelli in modo attivo e non solo passivo, cioè promuove una conversione, un passaggio da morte a vita, da non-salvi a salvi, da non-amato ad amato, da non-popolo a popolo, da senza speranza a con speranza, ecc. Occorre riconoscere che l'istanza di C. Carretto ha precise giustificazioni nei gruppi che invece di incarnare il divino nell'umano, hanno sostituito l'umano al divino.
    * Ma nel salvare, nel far fare pasqua, si corre il rischio di tornare a stati disincarnati ed alienati, se il fine a cui giungere dopo l'incarnazione (la salvezza, la vita divina), è qualcosa di angelico, di disincarnato, alienato dai fini e progetti vissuti nella comunità locale. Questo avviene quando si è cordiali e dialogici per agganciare la gente e poi, una volta agganciata la si porta via dal luogo, la si fa emigrare verso le nostre idee, la nostra Eucaristia senza più leggere giornali e assumere i valori e gli sforzi umani locali. È perciò necessario verificare due volti dell'incarnazione:
    - un incarnarsi come mezzo e strumento (identificazione, amicizia e dialogo, un «entrare dalla loro per uscire dalla nostra»);
    - un incarnarsi anche nei fini, nel punto di arrivo, nel termine, nei cieli nuovi e mondi nuovi, nella nuova vita cristiana: chi dimentica che anche Cristo glorioso è incarnato, con un corpo pienamente sviluppato e glorificato, si immagina il fine dell'impegno cristiano, cioè il vivere da cristiano, in una forte disincarnazione: una Eucarestia senza politica, una fede senza integrazione con la vita, una chiesa non più locale, se non per il luogo geografico.
    Questa disincarnazione nel punto di arrivo è contro l'ortodossia, sia nel mistero del corpo glorioso di Cristo e sia nel concetto classico di Grazia e di Gloria (cf anche solo B. Bartmann, Manuale di Teologia dogmatica, vol. II, p. 326): Grazia e Gloria sono qualità nuove della permanente sostanza umana. Quindi il pensare la chiesa, la santità, la preghiera, la vita divina come un'altra sostanza che sta per conto suo, è andar fuori strada. Per Gesù Cristo esiste l'uomo, il mondo, la vita locale, cioè la pasta, la sostanza da elevare, e dentro questa pasta si innesta il lievito che la fa diventare pasta lievitata.
    Le conclusioni operative sono queste per i nostri gruppi, per gli impegni cristiani:
    - esiste la pasta che è la comunità locale, la Chiesa ne è il lievito e non è autentica, non è se stessa, se non lievita quella pasta;
    - esiste l'umanità, di cui il cristianesimo è lievito;
    - esiste la vita locale, di cui la nostra vita cristiana è lievito;
    - esiste la politica, di cui l'Eucaristia è lievito;
    - esiste la storia umana, di cui la storia sacra è lievito.
    Quindi o prendiamo come sostanza della Grazia e della Chiesa la pasta umana, l'umanità, la vita locale, o non abbiamo sostanza, siamo un lievito senza pasta, e Gesù ci dirà: «Non vi conosco».

    Le «grotte» dove prendere carne

    Ora è più chiaro il fatto che i cristiani leggono attentamente i giornali, si appassionano di politica, si incarnano nelle vicende locali: essi sanno che sono quelle le grotte e le culle dove prendere carne, secondo il piano di Dio.
    Per non restare nel generico, ho precisato alcuni momenti della vita locale, in cui più forte e determinante e insieme meno oppressa dallo strutturalismo si realizza la vita della comunità locale. Questi momenti sono:
    - i comitati di quartiere
    - le assemblee scolastiche
    - i sindacati.
    Perché questi e non altri sono messi in evidenza? Perché non i circoli ricreativi, le piscine, i circoli culturali, oppure la piazza, i bar, le osterie, i cinema, gli stadi, gli uffici, i reparti di fabbrica?
    Distinguiamo bene:
    * Per quanto riguarda l'identificarsi, tutti i momenti sono buoni, a cominciare da quelli in cui si lavora insieme, si viaggia insieme, si corre per le strade insieme; in quei momenti la vita cristiana manifesta il Cristo che si fa fratello, che si affiata con tutti, che è simile a tutti con in più un grande amore verso tutti a cominciare dai sofferenti.
    * Per quanto riguarda l'intervenire per lievitare, allora distinguiamo tre momenti:
    - i momenti che ricevono il frutto della lievitazione e sono i momenti più strutturati: le ore in cui si lavora, si studia, quando incomincia la partita o il film: se si interviene in questi momenti senza preavviso e preparazione, si è solo intempestivi e indisponenti;
    - i momenti di revisione occasionale e individuale dei momenti precedenti (commento alla partita, alla lezione, al ritmo della catena di montaggio, al traffico, formazione di opinione pubblica), i momenti di passaggio da un posto all'altro, molti momenti di tempo libero. Questo è un terreno privilegiato della lievitazione cristiana, dell'intervento pasquale che lievita giudizi, prospettive e progetti;
    - i momenti di revisione e programmazione comunitaria e sistematica quando dai discorsi di corridoio si passa a revisioni e critiche, organizzate in sede decisionale e si varano progetti e riforme. Questi sono i momenti decisivi per fare mondi nuovi nel lavoro, nella scuola, nel costume locale e questi momenti locali sono per la chiesa locale:
    - comitati di quartiere
    - assemblee studentesche
    - sindacati (riunioni sindacali).
    È qui che il lievito interviene con grande impegno affinché il progetto d'uomo che viene varato, sia sempre più secondo Cristo, in Cristo e per mezzo di Cristo.
    * È chiaro che come ci sono le riunioni di partito per mettere a punto quanto si dirà e si voterà in parlamento, così vi sono le riunioni eucaristiche, ecclesiali (vita ad intra), in cui il lievito mette a punto se stesso per meglio operare nella vita locale, sia nei momenti di revisione occasionale e sia nei momenti di revisione e progettazione comunitaria (vita ad extra).
    Qui anzi emerge il punto che si voleva illustrare: in questa fedeltà a Cristo incarnato, le nostre riunioni eucaristiche ecclesiali sono il momento ad intra, in cui noi (= lievito di una sostanza comune e non sostanza a parte), ci mettiamo a disposizione di Cristo per meglio funzionare dopo, cioè nel momento di agire veramente da lievito nella pasta. Dato che Gesù è il più incarnato, è il più appassionato nella politica locale, il più attento lettore di tutti i giornali, il più deciso a imprimere il passaggio pasquale nella comunità locale, noi, suoi discepoli, ci appassioniamo con Lui delle vicende locali, facciamo nostra la sostanza di tutti (gioie, speranze, tristezze ed angosce...) e ci sforziamo con Lui di progettare, mettere a punto il migliore servizio di lievitazione che poi attueremo nel concreto impatto con la pasta umana, nostra e dei nostri fratelli.[2]
    In conclusione i fatti dei giornali, le urgenze ed imminenze politiche, culturali, comuni e personali della vita cittadina «sono» la sostanza per le nostre Eucaristie, i nostri programmi di santificazione, perché siamo sostanzialmente cittadini anche dopo il Battesimo. La novità sta che in queste culle o grotte nasce il Figlio di Dio, cioè si compie la fermentazione divina di questa sostanza umana. Dopo averla vissuta, noi la portiamo agli altri, anzi fin dal principio noi, nello spirito dell'«abneget semetipsum», non cerchiamo la fermentazione cristiana per noi, ma per gli altri, soprattutto i più sofferenti, gli ultimi che sono i primi per noi, i prima di noi.

    COME LA CHIESA LOCALE È AUTOCRITICA DELLA COMUNITÀ LOCALE

    Occorre ora passare dagli atteggiamenti e dalle impostazioni ai comportamenti pratici ed alle realizzazioni. Si tratta cioè di descrivere bene l'atto del lievitare la pasta umana della comunità locale, che costituisce la dimensione del cittadino rispetto alla dimensione del credente, che ne è lievito. Per scendere al pratico si usa la parola-chiave «autocritica», oggi corrente, per cui si ripropone il problema così: in che senso ed in che modo la chiesa locale è autocritica della comunità locale? in che senso ed in che modo il credente in noi è autocritica cristiana del cittadino?

    Tre aspetti pratici vanno esaminati:
    - critica come servizio e funzione
    - critica come lievitazione pasquale
    - autocritica come conversione del cittadino-credente.

    Critica come servizio e funzione

    Se siamo «anima del mondo», come scrive la Lettera a Diogneto, se siamo lievito della pasta, modalità pasquale della sostanza o vita cittadina, occorre prima di tutto prendere sul serio questa funzione ed evitare tutte le tentazioni di autonomia: vita autonoma, argomenti di meditazione, riflessione, Eucaristia autonomi, che sarebbe come non portare il pane e il vino, «frutto del nostro lavoro», quale materia per l'Eucaristia, ma portare invece qualcos'altro, diverso da quello che c'è sulla tavola dei concittadini nella comunità locale.
    Non è facile accettare questo «esser venuto per servire al mondo» e non per noi stessi, non è facile capire che noi non siamo il testo, ma la critica al testo, che è la vita locale dei concittadini.
    Vi è dunque in concreto una «conversione degli affetti» da portare avanti, superando secoli di autarchia ecclesiale, di contrapposizione, di «società perfetta», contrapposta alla società umana, di separazione del cittadino dal fedele (il «non expedit» della fine del secolo scorso). In secondo luogo occorre far circolare e rendere familiari queste convinzioni spicciole conseguenti:
    - la chiesa non è società perfetta, ma anima della società profana;
    - non ha un suo umanesimo, ma lievita quello condiviso con i contemporanei;
    - non ha una sua cultura, ma è funzione critica di quella comune;
    - non ha suoi programmi, ma entra come salvezza nei programmi comuni.
    In terzo luogo, il più pratico, occorre mettere in rilievo il momento in cui si sceglie il programma, la materia per il sacrifico o per le riflessioni, i ritiri, le meditazioni, i corsi teologici, ecc., e come si prende dal fornaio e dal vinaio locale, il pane e il vino per il nostro banchetto, così si prende dai giornali, dagli eventi, dai comportamenti della vita locale, la materia per il nostro pregare, meditare, convertirci, crescere nella «integrazione tra fede e vita».
    Il programma, il corpo, la pasta, la materia per il sacrificio è già reale e si impone a noi: è la nostra vita cittadina, che in quanto discepoli di Cristo dobbiamo lievitare «per la nostra e altrui salvezza».
    In pratica argomenti come i seguenti: la fede, l'Eucaristia, la Grazia, la santità, ecc. sono un equivoco, se sono come mangiare puro lievito, senza pasta o pretendere di far pulsare il cuore fuori del suo corpo o voler dire messa senza pane e vino.
    Quali saranno allora gli argomenti di un ritiro, di esercizi, di una serata di preghiera?
    Distinguiamo nell'«argomento» la pasta e il lievito.
    * La pasta sarà l'evento più significativo e determinante della vita locale, ad esempio, il divorzio o il referendum sul divorzio, la delinquenza minorile in aumento, i baraccati, la moda moderna, la crisi della scuola, la disoccupazione, gli emigrati, il traffico, ecc., in pratica la reale pasta umana.
    * Il lievito sarà di volta in volta vissuto con qualche accentuazione particolare, ad esempio: il prendere sul serio le affermazioni di Cristo (fiducia), l'intervento salvifico di Cristo (storia della salvezza), la nostra chiamata a collaborare (vocazione), l'atto culminante di intervento salvifico (la Messa), il modo concreto della salvezza (evangelizzazione, eucaristia, comunione), ecc.
    La linea delle riflessioni, meditazioni, degli esercizi sarà più o meno la seguente, sempre:[3]
    - dal concreto visibile (cronaca profana cittadina)
    - al Concreto Invisibile (storia sacra cittadina, cioè Gesù Cristo, «evento salvifico presente nelle vicende quotidiane degli uomini»)
    - al concreto vissuto (nostra collaborazione a Cristo nelle vicende quotidiane degli uomini, dentro le quali Egli è evento salvifico).

    Critica come lievitazione pasquale

    Questo è il punto più pratico: si tratta di avere in mente un chiaro pro cesso di lievitazione pasquale, operata da Cristo con noi, della realtà cittadina.
    * La realtà cittadina, cioè il pane e vino per l'Eucaristia, va innanzitutto puntualizzata nei suoi aspetti passibili di conversione, cioè è importante distinguere in un terribile fatto (ad esempio a Ostia il 10 dicembre 1971, una madre uccide a revolverate le sue due creature), il fatto in sé dalle reazioni dei concittadini (atteggiamenti, giudizi, progetti). Il fatto in sé non è passibile di conversione, mentre le reazioni dei concittadini costituiscono la pasta viva, passibile di conversione, costituiscono lo pasta reale, cioè lo stato d'animo concreto, il loro «oggi» che diventerà l'oggi di Dio.
    Per assumere veramente (incarnazione) queste reazioni personali (atteggiamenti, giudizi, progetti), si attiva una lettura dei giornali, uno spirito di inchiesta, un ascolto attento e affettuoso, che è parte principale del «partire dal concreto visibile». Queste reazioni saranno ad esempio le reazioni degli ebrei che portarono ai piedi di Gesù l'adultera colta in flagrante (indignazione, desiderio di vendicare, contraccolpo di autogiustificazione); oppure: io almeno non sono come quello laggiù (come dice il fariseo del vangelo); o complesso del capro espiatorio, disimpegno, avvilimento, ecc.
    Rendiamoci conto che esse sono la reale storia in cui Gesù Cristo interviene attraverso di noi, chiesa locale, storia personale e non tecnica e materiale, storia di opzioni, di progettazioni, di costruzione della città, ogni volta modificata da queste reazioni agli accadimenti puri e semplici. In questa pasta umana «deve» intervenire il lievito, altrimenti la chiesa è fuori della storia reale.
    * L'intervento lievitante nella pasta viva delle reazioni dei concittadini va visto come «passaggio da morte a vita», come l'intervento nella pasta umana (le reazioni considerate) per farla passare da morte a vita, per far fare pasqua.
    Non si può trovare altro schema, oltre a quello pasquale: non c'è altra salvezza.
    Per noi è bene distinguere, nel «passaggio» da far fare ai concittadini, tre fasi:
    - liberazione dal male
    - promozione del bene
    - elevazione a nuove possibilità e fecondità.
    - La «liberazione dal male» corrisponde alla Morte di Cristo nel mistero pasquale e sul piano della preghiera, delle meditazioni, degli esercizi, comporta lo sforzo della chiesa locale di isolare la zizzania dal buon grano, cioè le parti mortali e mortificanti nelle reazioni dei concittadini.
    Questa identificazione del male la si compie in Cristo, cioè ricorrendo continuamente a Lui (Bibbia, Tradizione) come «verità» per noi.
    Poi si passa, sempre nelle meditazioni, riflessioni, eucaristie, esercizi (vita ad intra) a identificare i mezzi (dialogo, spiegazioni, critiche, votazioni, persuasioni, ecc.) per comunicare ai concittadini questa precisa, storica, localizzata «liberazione dal male» fino a trasformare le prime reazioni distruttive in nuove reazioni costruttive.
    - La «promozione del bene» corrisponde alla Risurrezione del corpo di Cristo in una nuova vigoria umana. E comporta nei gruppi di chiesa locale lo sforzo prima per identificare il buon grano tra la zizzania cioè gli aspetti delle reazioni locali che sono, sempre secondo Gesù Cristo, positivi, vitali, vivificanti e costruttivi a partire dal fatto che ha stimolato la città. Questa è la parte della risurrezione che corrisponde alla Gratia sanans e costituisce la scoperta dei valori umani, che la cittadinanza, obnubilata dai peccati, ignorava, pur possedendoli per creazione. Anche qui, si passa dopo a studiare come comunicare ai fratelli concittadini l'impulso che intensifica, promuove, spinge avanti i talenti, i valori umani, emersi in occasione del fatto stimolante. Senza di ciò, i concittadini sono pecore senza pastore, ridotte a reagire agli eventi stimolanti con schemi di disperazione, di pigrizia, di cecità.
    - La «elevazione a nuove possibilità e fecondità» corrisponde alle novità assolute portate da Cristo con la sua Pasqua dentro l'umanità: l'essere partecipi della vitalità divina, il fare frutti che durano in eterno, che spuntano in tutta l'umanità e non solo nel cerchio immediato della propria azione.
    Qui è fondamentale distinguere due cose: la prima è il modo globale di salvarsi dalla situazione provocata dal fatto, la seconda è l'«abbondanza di vita» che Gesù aggiunge alla semplice vita nel suo reagire pasquale al peccato.
    La prima cosa (cioè il modo globale di salvarsi, la formula totale di salvezza personale, come direbbe Max Scheler) significa che quando si reagisce ad un fatto singolo, si coinvolge sempre tutta la propria ideologia e il proprio sistema fin nelle opzioni fondamentali: salvarsi senza Cristo o salvarsi con Cristo, è allora il problema. Di conseguenza nell'intervenire dentro le reazioni cittadine agli eventi particolari, la chiesa locale non solo porta la liberazione dal male e la promozione del bene particolare, ma propone che questa salvezza sia fatta in Cristo, con Cristo per mezzo di Cristo. Questo in modo graduale e come proposta, giustificata dal fatto che anche gli altri sistemi di salvezza (quello marxista, quello esistenzialista) non possono non proporre oltre ai dettagli anche l'insieme. E questo proviene dalla natura umana: in ogni punto della superficie sferica (incontro dell'io con un evento particolare) si coinvolge tutto il centro profondo (opzioni fondamentali, ideologia, progetto d'uomo), in questo senso l'intervento della chiesa locale nel punto particolare ed urgente è anche proposta di tutto il sistema di vita, il progetto d'uomo in Cristo, con Cristo e per mezzo di Cristo.
    La seconda cosa è invece il sovrabbondare di vita che Gesù porta oltre alla pura guarigione: Egli non guarisce solo le gambe del paralitico ma lo libera dai peccati. Gesù agisce proprio da Dio, cioè con pienezze straordinarie: gli chiedete un fiammifero e vi dà tutta la scatola e un accendino d'oro. È il mistero dell'amore infinito. Ora questo avere «la vita e in abbondanza» (Gv 10,10) è certamente scoperto e vissuto dalla chiesa locale, ma per i propri concittadini occorre andare con velocità variabile, a seconda delle circostanze. Ad ogni modo è essenziale che mentre liberiamo dall'Egitto delle reazioni storte, mortificanti, mortali risuoni la promessa della Terra dove «scorre latte e miele», cioè siano tempestivamente fatte giungere ai concittadini le grandi promesse messianiche, nell'occasione in cui l'incontro cittadini credenti e cittadini non credenti è molto forte, molto vitale per la carica dell'evento accaduto.
    La cosa più difficile e faticosa qui è il linguaggio, è il tradurre i simboli biblici (terra in cui scorre latte e miele) non in astratte formule, fuoristoria, ma in altri simboli parlanti agli uomini d'oggi delle immense intenzioni di ricchezza che sono nel nostro Padre verso di noi. E così abbiamo accennato anche qui al momento in cui, ancor sempre nei momenti di vita ad intra, i gruppi ecclesiali studiano il modo di proporre ai concittadini la elevazione a nuove possibilità e fecondità. È forse il punto più difficile per le nostre meditazioni: come includere nel particolare evento anche tutto il sistema di salvezza cristiana; come aprire le coscienze alla sovrabbondanza di vita che Gesù oltre alla vita porta nella situazione. Studieremo ben bene, in seguito, questi dettagli nel nostro servizio di lievitazione cristiana della vita cittadina.
    In questa visione globale è importante concludere con il ritorno al termine di «critica» cristiana alla vita cittadina: gli eventi stimolano i cittadini, essi reagiscono in un modo più o meno rovinato dal peccato, la chiesa locale è critica, cioè suscita un conflitto a partire dalle reazioni spontanee e porta ad un passaggio di esse a una nuova organizzazione, più libera dal male, più intensificata nel bene ed orientata sulla linea di Cristo e della sua sovrabbondanza di vita.

    Autocritica come conversione del cittadino-credente

    In questo lavoro di riorganizzazione delle reazioni agli eventi è bene impostare la divisione tra chiesa locale e comunità locale in un altro modo: cittadini credenti (pasta lievitata, si diceva) e cittadini non credenti.
    In tal modo c'è una identità sostanziale: tutti sono cittadini, e quando i cittadini credenti fanno la critica descritta, ben si può dire che è autocritica della cittadinanza, perché i cittadini (nella parte credente) fanno la loro autocritica.
    Questo discorso è verbale e astratto, naturalmente, se non avviene un fatto affettivo e cosciente, cioè se la cittadinanza non sente i cristiani come cittadini in modo almeno forte come il modo con cui i concittadini di Gesù «sentivano» Gesù come loro concittadino: «ma non è il figlio del fabbro Giuseppe?». Questa sostanziale esperienza di chiesa ha due
    lati: esperienza della cittadinanza che esperimenta la chiesa locale come una parte dei cittadini e dice: «ma non sono questi gli operai della Fiat? gli impiegati del comune? i figli del fabbro Giuseppe, del commerciante Antonio?»; ed esperienza dei cittadini credenti, che sentono il loro vivere cristiano identificato nel loro vivere cittadino.
    Se le due esperienze si compiono, se cioè i concittadini sentono che i credenti rimangono cittadini sul serio e se i credenti vivono la propria fede «dentro e attraverso la professione» (Pio XII), allora ogni parola dei cittadini credenti è sentita come autocritica dai cittadini non credenti, la identità della pasta comune facilita la identificazione nel momento dinamico di critica e di assestamento.
    In tal modo viene salvata l'incarnazione e la cosa pratica che si consiglia è qui semplicissima: non dire mai «noi-voi», oppure «noi-loro» ma sempre e solo «noi», in piena identificazione con i concittadini come Gesù diceva di sé: «il figlio dell'uomo». Questa tecnica la studieremo nei dettagli. In tal modo viene aumentata l'efficacia, in quanto l'identificazione come cittadini, vissuta con vera imitazione di Cristo incarnato, rende più ascoltati, più persuasivi, più credibili, più incisivi i cittadini credenti: «civis romanus sum», dirà Paolo nel dialogo con i romani, come dirà: «sono ebreo, che ha studiato ai piedi di Gamaliele», parlando con gli ebrei. L'identificazione pastoralmente permette che per la bocca di Paolo siano i romani, siano gli ebrei a fare autocritica e cioè sentire che non sono invitati ad emigrare dalla comunità locale, ma anzi ad intensificare fino in fondo l'appartenenza alla storia profana, in quel profondo dove, per volere del Padre e per incarnazione del Figlio, si è attivata la storia sacra: «dentro i fatti, ma fino in fondo». La nuova proposta dei cittadini credenti è realmente pertinente, è la vita cittadina di prima, ma liberata dal male, intensificata fino a sovrabbondanza di vita. Qui si considera l'autocritica nel suo punto di arrivo quando si arriva alle proposte. Allora non viene proposta una massa di attività alienanti dalla appartenenza alla città (il savonaroliano bruciare le opere pagane), ma una massa di attività che liberano, intensificano la stessa vita della cittadinanza in situazione:
    dentro lo sport, ma fino in fondo dove è ricerca di perfezione e di dono dentro la politica, ma fino in fondo dove è amore familiare a cominciare dall'ultimo;
    dentro la moda, ma fino in fondo dove è promozione di buon gusto dentro la cultura, ma fino in fondo dove è scoperta dell'uomo totale e profondo;
    dentro la tecnica, ma fino in fondo dove è organizzazione d'un mondo per l'uomo;
    dentro il piacere, ma fino in fondo dove è felicità condivisa ed eterna dentro il turismo, ma fino in fondo dove è ricerca di nuovi volti della vita.
    Tutti comprendono che così il cristianesimo è autocritica della vita locale: la comunità locale si converte al proprio profondo in tutto, e là troverà l'incontro con Dio, mentre fin dall'inizio trova l'aiuto di Dio nella chiesa per realizzare questa autocritica, questa conversione al proprio profondo.

    NOTE

    [1] Si evidenziano qui i famosi «doveri di stato», che per primi si impongono. Ciò nasce tra l'altro dal carattere di «segno» che è la chiesa: poiché se mentre tutti i miei compagni tumultuano per la riforma della scuola, io li ignoro, io faccio i compiti, io mi separo, è tutta la chiesa che perde la faccia, che diviene scandalo, alienazione, non profezia.
    [2] Diciamo «nostra», perché è anche errato dire che noi siamo il lievito ed essi la pasta: neppure Gesù è puro lievito, cioè non-pasta, poiché se si è incarnato è anche Lui pasta, solo che per Lui la sostanza umana è assunta dalla sostanza divina, mentre in noi la sostanza umana è fatta partecipe della sostanza divina. Siamo allora «pasta lievitata», cioè realissimi cittadini, con le stesse gioie, speranze, tristezze, angosce dei concittadini, con in più l'aver fatto pasqua con Cristo ed essere in Cristo pasta lievitata, che comunica questo nuovo modo di vivere ai vicini.
    [3] Due cose da tener presenti per familiarizzarci con questo modo di programmare meditazioni, eucaristie ed esercizi: 1) non si può far a meno di questa «pasta», il concreto visibile della storia profana cittadina, come non si può far a meno del pane-vino per fare l'Eucaristia; 2) noi con Cristo siamo «per», siamo funzione, siamo servizio, siamo organo di salvezza nell'organismo e non siamo un organismo per conto nostro. In ogni Eucaristia riceviamo un «Sangue versato per...» e pure noi versiamo tempo, denaro, cervello, discussioni «per», cioè sempre mantenendo come essenziale la funzione salvifica rispetto alla pasta umana senza astrarvi mai, sotto pena di astrarci dall'umanità, assunta da Cristo (cf RdC, 55 e 73).


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