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    XX settimana nazionale di aggiornamento pastorale: conclusioni



    (NPG 1971-02-90)

    Con una partecipazione eccezionale per numero e qualificazione delle diverse componenti il popolo di Dio, si è svolta a Roma nei giorni 21-25 settembre 1970, la XX Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale sul tema «Fede e religione nella comunità parrocchiale, oggi». Il sottotitolo specificava bene il senso della riflessione: problemi e prospettive dell'azione pastorale di fronte al disimpegno religioso del nostro tempo.
    In effetti fede e religione sono state assunte dal convegno come realtà correlate, ma distinte: la fede come accettazione del dono di Dio che culmina nella rivelazione di Gesù; la religione come modo di tradurre le acquisizioni della fede in comportamenti e strutture, visibili e mutevoli secondo le diverse culture e i differenti momenti storici. L naturale quindi il primato della fede che salva; la religione non può che esserne una espressione autentica.
    Riflettendo sul dramma della Chiesa nel fluttuare delle vicende politiche di un secolo, i partecipanti alla XX Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale, hanno costatato come, nella raggiunta pace civile e religiosa in Italia, la Chiesa che vive nel contesto delle situazioni sociali e culturali in cui opera, prenda in quest'ora coscienza delle forze profonde che la rigenerano dall'interno e imprimono nuovo vigore alla sua azione di salvezza.
    Per quattro giorni vescovi, sacerdoti, religiose, seminaristi e laici hanno realizzato una vera esperienza comunitaria di preghiera, studio, dialogo e dibattito, in un clima di grande serenità e impegno. Insieme all'Irades COP quest'anno si sono collegati nella organizzazione della Settimana la Commissione Episcopale Italiana per l'Ecumenismo, il Centro Cattolico delle Comunicazioni Sociali e la Federazione Italiana Settimanali Cattolici.
    Dopo aver ascoltato le relazioni e discusso lungamente sul tema nei molteplici gruppi di lavoro, previsti dal programma o spontaneamente costituitisi, i partecipanti hanno creduto di riconoscere il senso della loro ricerca in questi punti conclusivi.

    A LIVELLO DI COSTATAZIONI

    1. Il nostro tempo attraversa più di altri una crisi che investe tutti i valori. Di conseguenza è facile scorgere anche una crisi religiosa, che nelle sue radici profonde può essere intesa come crisi di fede. Inevitabile la prima per l'accelerazione storica che porta seco un cambiamento continuo delle forme, simboli e del linguaggio religioso e spesso una diminuzione della pratica religiosa rilevabile. Da verificare invece la seconda, che può essere un momento provvidenziale di crescita e di approfondimento.
    Anche molte espressioni dell'ateismo contemporaneo, analizzato in profondità, sembrano essere negazioni di alcune forme religiose più che della fede in se stessa. Si è peraltro osservato che, forse per la prima volta a livelli estesi, la non credenza tende ad assumere anche in Italia giustificazioni ideologiche che non possono non richiamare l'attenzione di tutti i responsabili della pastorale.

    2. La dottrina della secolarizzazione che in molti modi penetra nelle varie espressioni della vita culturale, se talora porta a radicalizzare le posizioni, tuttavia è anche uno stimolo alla ricerca di una nuova presentazione del messaggio di Cristo e del Suo dono di salvezza.
    Perciò mentre questa crisi religiosa sconvolge e turba le coscienze di molti, non si può non vedere in questa congiuntura un segno dei tempi e una chiara voce di Dio che invita a un coraggioso radicale rinnovamento (GS 8). Il mondo infatti interpella oggi le comunità ecclesiali sulla loro credibilità. La Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale ha mostrato come pastori e fedeli prendano sempre più coscienza di questo fatto e della loro responsabilità storica.

    3. D'altronde, secondo l'insegnamento del Vaticano II, «La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (LG 1); ma questo segno è ancora troppo debole per essere vigorosamente percepito. Spesso le comunità ecclesiali, è stato osservato, sono solo nominali, soprattuto per la mancanza di visibile comunione tra vescovi e presbiterio, tra presbiteri, religiosi e laici. Ciò che costituisce per molti una vera crisi di fede.

    4. Sì è notato che anche la parrocchia, costituitasi lungo i secoli come espressione particolare più immediata della chiesa locale, non adempie alla sua funzione di appello e di testimonianza di fede e di unità, per il prevalere di appesantimenti strutturali, per il persistere di sterili competizioni campanilistiche, per la perdita del senso dei marginali e dei disimpegnati che costituiscono spesso la maggioranza dei fedeli che giuridicamente la compongono.

    5. Perfino i sacramenti, che fondano e alimentano la vita cristiana, sono spesso ancora richiesti e amministrati con criteri ritualistici, così da non essere sempre percepiti come «segni di fede «e fonte di grazia.

    6. D'altro lato, la religione, che voglia realizzare la fede, non può esaurirsi in una espressione culturale, ma deve dare il senso a tutta la vita. È proprio questo limite delle comunità parrocchiali che spesso allontana dalla pratica religiosa e perfino dalla fede. Secondo il più genuino insegnamento biblico, ripreso dal Vaticano II, la comunità cristiana deve appunto recuperare il senso dell'impegno personale e collettivo nella vita, l'attiva presenza nelle strutture civili e sociali nonchè l'attenzione ai grandi temi della giustizia, del progresso e della pace.

    SUL PIANO DEI PROBLEMI SI È POI RIMARCATO:

    7. Un primo grave problema è quello di comporre l'attenzione pastorale verso tutti i battezzati, siano o no credenti e praticanti, con l'approfondimento della vita cristiana di quelli più sensibili. Esiste di fatto una cristianità che non si può sottovalutare senza correre il rischio di lasciare indietro una parte del popolo di Dio, coloro cioè che non sono giunti ancora alla piena maturità cristiana e che probabilmente non giungeranno mai, ma che pur sempre sono dei prediletti di Dio.
    Si può perciò e si deve parlare di una duplice attenzione, pastorale, ai gruppi e cioè a tutto il popolo di Dio. I gruppi ai quali ormai si deve con fiducia guardare come a una speranza della Chiesa di domani, meritano certamente una cura particolare quali nuclei di testimonianza e di animazione ecclesiale, a servizio della evangelizzazione e della santificazione della intera comunità cristiana.

    8. Poiché la via alla fede si trova nell'accettazione del dono di Dio che culmina nel Cristo, è sembrato fondamentale avere una positiva fiducia e maggiore attenzione ai valori essenziali della vita (come la nascita, l'amore, l'amicizia...) vista come manifestazione dell'amore creativo di Dio. Questo atteggiamento, se facilita l'incontro con ogni buona volontà, deve essere aperto all'evangelizzazione, ossia all'annuncio esplicito del mistero di Cristo, Uomo e Dio, che solo dà pienezza a ogni esperienza dell'esistenza umana.

    9. Una difficoltà di fondo nell'evangelizzazione è il «linguaggio» della fede, che la gente d'oggi non capisce più o non è più disposta a capire. Questo «segno», che ci presenta in forme percepibili la Parola del Padre, ha nel suo linguaggio teologico un suono, un simbolo e un senso, che sono permeati dallo Spirito, ma che non riescono, molte volte, in tutte le forme di catechesi, a rendere quella concreta attualità e quella chiara evidenza, esigite dall'uomo d'oggi. La crisi nei riguardi dell'azione pastorale missionaria che ne consegue, si è notato che è particolarmente sensibile nei confronti del mondo intellettuale e del mondo operaio.
    È indubbio che questa realtà non può che stimolare a far sì che il linguaggio religioso, più che dalle formulazioni astratte derivi dalle espressioni semplici e concrete usate nelle relazioni umane, e corrispondenti alle più comuni espressioni della Bibbia.
    Si può giungere così a un autentico sentire Cristo, che tocca nell'intimo e illumina il credente avviandolo a un ulteriore approfondimento del mistero.

    10. Una volta di più, nelle riflessioni e dibattiti della Settimana, si è notata la difficoltà di intendere ed accettare lealmente una visione pluralistica della pastorale.
    Fanno pastorale i teologi come gli operatori, i sacerdoti come laici e i religiosi, chi è nel ministero parrocchiale come chi svolge un ministero non parrocchiale. Invece spesso i teologi sembrano ignorare gli operatori che a loro volta diffidano di loro.
    I laici sentono ancora il peso di una tradizione che li teneva in uno stato di passività, alle volte infantile. Il posto dei religiosi nell'azione pastorale è spesso sollecitato senza una sufficiente convinzione del loro ruolo. Analogamente è difficile far accettare una prospettiva pastorale ampia che, pur riconoscendo il rilievo ancora prevalente del tradizionale ministero parrocchiale, non ignori che settori sempre più larghi della popolazione possono essere raggiunti solo dai mezzi di comunicazione sociale o da forme di presenza pastorale.

    11. I molteplici e sempre più rapidi mutamenti spingono l'uomo di oggi a guardare al futuro. Esso si presenta a lui con tutte le sue alternative e quindi con tutte le difficili scelte di oggi, che condizionano il suo domani. Egli è costretto necessariamente a aprirsi, a rendersi disponibile ai mutamenti ed a ciò che essi contengono. Qui si ferma la scienza umana del futuro. Ma nel Cristianesimo il futuro è la possibilità che il dono di Dio entri nella storia attraverso la libertà dell'uomo. L'Annuncio coglie i valori umani, li valorizza e li identifica nella loro pienezza e nella loro novità in Gesù Cristo. Ognuno vede come in concreto diventi problematica e stimolante a un tempo questa attenzione al mondo che cambia e già reca in sé il segno del disegno di salvezza.

    DA QUANTO ESPRESSO
    È SEMBRATO DOVEROSO
    COGLIERE ALCUNI ORIENTAMENTI

    12. La prima conclusione cui tutti i settimanalisti concordemente sono giunti è che bisogna dare senso concreto al primato della evangelizzazione. Questo sembra comportare diversi e precisi impegni. Anzitutto la maggiore attenzione alla vita del nostro popolo, specialmente dei più umili e marginali. Ogni occasione di incontro deve essere vista come un autentico servizio che aiuti a dar senso e speranza alla vita.
    È parso opportuno a questo punto distinguere due momenti in rapporto anche alle indicazioni del Documento sul rinnovamento della Catechesi in Italia: la preevangelizzazione e l'evangelizzazione.
    La preevangelizzazione è un imperativo permanente della pastorale che «precede logicamente la predicazione cristiana e tuttavia ne accompagna in concreto tutto lo sviluppo» (Documento dí base), in vista di ridestare e rinvigorire il senso della fede. Ciò si ha quando si giunge a scoprire costantemente la ragionevolezza e le profonde armonie tra il dono della vita e la pienezza della rivelazione in Cristo.

    13. Alcune forme di preevangelizzazione e di evangelizzazione sono sembrate oggi particolarmente importanti: la presenza discreta ma cordiale ai nuovi fenomeni di massa – turismo, emigrazione ecc. – come momenti cruciali della vita; l'istruzione da adottare sistematicamente nella preparazione ai sacramenti nei riguardi dei piccoli, ma anche degli adulti: genitori e padrini, in occasione del Battesimo e della Cresima; fidanzati in occasione del Matrimonio.

    14. Secondo l'esplicito insegnamento del Concilio, è la comunità tutta intera che deve educare alla fede, anche se con ciò non si confondono le specifiche responsabilità.
    Perché dunque ogni comunità cristiana diventi realmente una «Chiesa Madre», urge che tutti abbiano il senso della propria corresponsabilità nella crescita di tutti.

    15. Questo obbiettivo comunitario va puntualmente verificato nelle strutture che sono oggi a nostra disposizione. Nonostante la sollecitazione di autorevoli documenti e l'impegno di non poche comunità, si è notato un ristagno nella fondazione, nello sviluppo e nel lavoro dei Consigli Pastorali diocesani e parrocchiali; l'assenza o il fallimento di una pastorale organica nelle grandi e piccole città; il perdurare nella stessa azione parrocchiale di rapporti tradizionali di autorità e di subordinazione che impediscono di coinvolgere parroci, vice-parroci, religiosi, religiose e laici nella elaborazione dei programmi, nelle decisioni che interessano tutti, nella verifica delle conseguenze e della validità dell'azione pastorale; la difficoltà delle associazioni a rendersi disponibili, come lievito diffuso fra tutta la comunità.
    Nella linea della XIX Settimana di Aggiornamento Pastorale, si è ribadita la necessità di impegnare le comunità cristiane, ad ogni livello, per realizzare con la corresponsabilità di tutti la comunione ecclesiale.

    16. I partecipanti alla XX Settimana di Aggiornamento Pastorale sono consci che una corresponsabilità non si realizza se non nel rispetto del genio nativo personale e di gruppo, ma anche nell'ordine e nella mutua edificazione. Ancora una volta ci si incontra così col disegno che il COP da venti anni umilmente propone a tutti gli operatori pastorali in Italia, confortato oggi dalla più limpida e sicura dottrina conciliare: la pastorale della partecipazione dinamica e organica.

    17. Da ultimo si sono ricercate chiare priorità delle nostre comunità parrocchiali, in raccordo con tutte le altre iniziative pastorali.
    Si tratta di ridare il primo posto alla costruzione della comunità cristiana come comunione da cui nasce la dimensione missionaria dell'impegno pastorale.
    Si tratta di convincersi che essere comunione in missione significa ricerca, faticosa e spesso fuori da comodi schemi tradizionali; ricerca che esige intelligenza, ascolto, pazienza e conversione personale.
    Tutti sono consci delle tensioni che possono venire nella pratica pastorale aperta a questa nuova dimensione nella quale la dialettica delle tensioni trova modo di ricomporsi in modo armonioso.


    T e r z a
    p a g i n A


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