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    Un pensionato alla prova dei fatti



    Comunità educativa salesiana di Bolzano

    (NPG 1971-04-60)

    Una realtà oggi è pacifica, almeno a livello teorico: non si può più procedere a casaccio o sull'onda delle cose che incalzano. È necessario rimboccarsi le maniche e studiare a fondo le linee di marcia, se si vuole che esse siano di vero servizio alle persone dei giovani che «ci» sono affidati.
    L'esperienza che presentiamo è su questa prospettiva.
    La sottoponiamo alla riflessione dei lettori, non solo per il suo carattere di novità e di emblematicità (programmazione-verifica), ma soprattutto perché ci pare abbia condensato in sé una indicazione pastorale che la rivista da tempo persegue: il gruppo come spazio di un processo educativo, anche in una convivenza numerosa e disorganica come è un pensionato per studenti.
    Tempo fa, si scriveva: «la porta d'ingresso a tutto il sistema (la circolazione dei valori in una comunità educativa), oggi, sembra essere l'esperienza cristiana-comunitaria vissuta nel gruppo, con relazioni di comunione». La comunità educativa salesiana di Bolzano sotto la guida del suo direttore, don Guido Pojer, ha tentato questa strada.
    Lo studio si articola in due momenti.
    1° momento: una linea di programmazione con relative ipotesi.
    Dopo alcuni anni di tentativi e di riflessioni a livello comunitario, qualche mese prima dell'inizio dell'attività scolastica, tutta la comunità si è ritrovata per studiare assieme, scientificamente, le varie possibilità e per redigere un progetto di massima, come giustificazione della nuova svolta e come ipotesi di lavoro per una programmazione valida. Ne è nato un fascicolo articolato in quattro parti (la trascrizione dell'indice offre una riprova dell'organicità del lavoro):
    – le prime due sono a carattere teorico e affrontano il problema degli istituti educativi e della funzione che in essi hanno i gruppi;
    – nella terza parte è contenuta un'analisi della situazione del pensionato in esame, visto nelle varie componenti (gruppi etnici, ambiente familiare e sociale degli allievi, interessi, disponibilità del pensionato);
    – la quarta parte affronta il tema della programmazione. Per evitare ripetizioni, riportiamo solo questa parte, la più significativa, pensiamo, per i nostri lettori.
    2° momento: le realizzazioni. Dopo le prime incertezze, il pensionato ormai ha un volto. Siamo stati sul posto, per parlare direttamente con i protagonisti (giovani ed educatori). Ne è nata una verifica sperimentale delle attuazioni, più che una cronaca di quanto è stato fatto.

    IPOTESI DI PROGRAMMAZIONE

    Che cosa si intende per «fusione»

    Per «fusione» intendiamo una unione di spirito tra i membri di una comunità o di un gruppo, proveniente dall'attrazione esercitata su di essi dal gruppo stesso. È cioè la forza che unisce i membri fra di loro e assicura stabilità e mordente al gruppo: essa lo fa agire come essere unico. L'inverso di dissociazione.

    Fusione vuol dire creare mentalità comunitaria

    Comunità, vita comunitaria: con questi due vocaboli si intende indicare un gruppo di persone che realizzano tra loro, in forme e gradi diversi di intensità, rapporti di comunione.
    Si ha questa comunità ove un gruppo di giovani, per esempio, stringono tra loro relazioni di fraternità e di concordia, vivono ed agiscono «insieme» seguendo comuni modelli di condotta, ispirandosi a comuni criteri di valutazione, in vista del raggiungimento di comuni ideali e strutturandosi in forma organica.
    All'interno di un complesso come l'ambiente di Istituto in oggetto, occorre necessariamente creare delle comunità più ridotte che diano vita, a loro volta, a gruppi ristretti di giovani capaci di maturare autentiche personalità.
    Non basta, infatti, unire persone per interessi immediati e per circostanze contingenti, per avere un gruppo.
    Non è il far parte della stessa scolaresca, il ritrovarsi tre volte al giorno insieme a mensa, il giocare in un medesimo cortile o il dormine nella stessa camerata, che di per sé crea coscienza comunitaria.
    Che anzi, talora queste forme di convivenza dettate e programmate dall'esterno sono principio di massificazione e cameratismo.
    Il mettere insieme d'improvviso giovani di differente formazione, estrazione sociale e geografica, complica la formazione di una comunità e quindi di una mentalità comunitaria nei singoli.
    Occorrerà anzitutto incontrarsi in alcune riunioni con giovani ed educatori e trattare insieme il significato ed il valore della vita comunitaria, ponendo alcune premesse, come:

    • acquisizione e sviluppo a tutti i livelli di profondi legami spirituali e affettivi ( = amicizia vera);
    • questi legami di amicizia e di solidarietà collegano l'istituto nella sua più vasta unità di comunità educativa, prolungandosi e vivendo in comunità minori ove dialogano e crescono gruppi di autentica maturazione secondo i desideri e la libera espressione degli alunni;
    • le mete e gli obiettivi prossimi sono definiti in termini di perfezionamento e di soddisfazione delle persone, e gli esiti sono conseguiti con il contributo generoso di tutti;
    • domina il principio della solidarietà e della cooperazione prima che l'interesse, tenendo in primo piano di offrire ad ognuno la migliore e più larga sfera di attiva corresponsabilità per valorizzare la personalità, le capacità, le competenze;
    • si fa largo posto alla espressione, alla spontaneità, promuovendo la formazione di gruppi secondo gli interessi e le forme che meglio corrispondano alle attese dei soggetti.
    Già la semplice discussione di questi principi porterà i giovani, di per sé aperti, a rendersi conto di essere non oggetti, ma soggetti e protagonisti compartecipi e corresponsabili della propria formazione, singolarmente e in gruppo, e li aiuterà nell'acquisizione di una retta coscienza comunitaria.

    Fusione è consentire dialogo

    «Procurino gli adulti di instaurare con i giovani un dialogo amichevole che permetta ad ambe le parti, passando sopra le distanze di età, di comunicarsi reciprocamente le proprie interiori ricchezze» (AA 12). Il dialogo è l'atmosfera in cui vive e si sviluppa il gruppo: una rete che lega i singoli tra di loro consentendo la libera circolazione delle idee. Si alimenta con la conversazione, una volta creata l'atmosfera di intesa, collaborazione, di rispetto reciproco delle doti particolari e delle manifestazioni del temperamento.
    Crea i rapporti strutturali su cui si regge tutto il «morale» del gruppo e della comunità ed è opera soprattutto del leader. Comprendere gli interessi, fare le domande esatte, impostare le conversazioni giuste, creare un ambiente in cui le domande diventino spontanee e le risposte di valore siano liberamente e vitalmente accettate.
    Tenere presenti gli obiettivi e sintetizzare in maniera da dare ad ognuno l'impressione che il suo parere, la sua proposta, la sua realizzazione, il suo apporto sono serviti a qualche cosa, sono stati valorizzati da tutti quanti per favorire quel «noi» di cui si parlerà.
    Di qui l'assoluta impossibilità di ogni forzatura organizzativa, di ogni pressione personale da parte del leader, della disposizione verso gli altri e soprattutto verso i componenti del gruppo.
    Dialogo inteso quindi come:
    • incontro di persone
    • scambio di vita, non di opinioni
    • arricchimento reciproco
    • saper stare insieme
    • presa di coscienza che bisogna continuamente approfondire.

    Fusione è volontà di comunione

    Per dialogare veramente occorre vivere in spirito di comunione. Da ambo le parti. Da parte dei giovani, che talvolta partono dal presupposto che non hanno nulla da imparare dagli anziani, i quali, se ascoltano, cercano solo il momento buono per controbattere. Da parte degli anziani, dei sacerdoti, che possono vivere nella convinzione che i giovani sono soltanto dei rivoluzionari da cui ci si deve tutt'al più difendere.
    Con il termine «comunione» s'intende generalmente indicare l'espressione più alta della socialità umana, quale si attua in concreto nella amicizia e nell'amore, intesi non semplicemente come esperienza momentanea
    di intimità, ma come radicale donazione di sé agli altri e partecipazione alla realtà degli altri, nella conservazione e nel rispetto della persona dei singoli.
    Ecco quindi che la fusione a cui bisogna mirare diventerà ricerca di servizio e perfezionamento umano; e creerà quella premessa indispensabile per la comprensione del messaggio cristiano.
    La persona umana da un lato è comunicativa di se stessa, è capace cioè di comunicare ad altri i propri valori personali, di donarsi: d'altro lato tende a far propria la pienezza dei valori presenti in altre persone. Con altre parole, in forza della sua stessa costituzione di essere dotato di intelligenza e libera volontà, l'uomo è capacità di esigenza e di comunione con tutti.
    Essere uomo significa «essere persona con altre persone» e non semplicemente «persona accanto ad altre persone».
    Ogni uomo nasce in una comunità, la famiglia, che è appunto la prima forma di comunione di persone. Sviluppa le sue doti e costruisce la sua personalità attraverso un ricco scambio di valori e beni con altre persone, e un costruttivo dialogo con esse.
    Questa volontà di comunicare, d'altronde, non potrà mai essere realizzata in modo perfetto, ma dovrà restare al centro di una autentica ricerca da parte di tutti, cercando di togliere tutte quelle forme disgregatrici che ne minano la sua stessa natura, come:
    • molteplici forme di individualismo (chiusura di sé, diffidenza, sfiducia, insofferenza, disinteresse, capacità di dialogo);
    • diverse espressioni di egoismo (ricerca dei propri interessi, mancanza di comprensione, intolleranza, contrasti, invidie);
    • numerose forme di disimpegno e di evasione.

    Ipotesi di lavoro

    Per raggiungere l'obiettivo «fusione» poniamo alcune ipotesi di lavoro che siano di guida alla soluzione del problema.

    Prima ipotesi

    Costituiamo, nell'ambito della comunità-pensionato, dei piccoli gruppi. Nel nostro ambiente abbiamo notato difficoltà e manchevolezze, non tutte eliminabili. Fattori sociali ed economici incidono sul numero e sulla qualità degli alunni. Necessariamente, anche per il prossimo anno scolastico 1970-71 i ragazzi ospitati in convitto, pur ridotti di numero, supereranno le 150 unità. Il riunire tanti ragazzi insieme darà origine ai soliti conflitti e alle difficoltà ordinarie poste dalla massa.
    Pensiamo che, con il prossimo ottobre, un tentativo per «spezzare» questo blocco in gruppi, vada senz'altro realizzato.
    Dal punto di vista organizzativo-logistico ci sembra sussistano tutti gli elementi: gli educatori sensibili al problema, i ragazzi che troveranno congeniale questa strutturazione, gli ambienti della casa accoglienti e numerosi, la tradizione stessa dell'opera. Il pensionato ha già sperimentato, nel decorso anno, la suddivisione in tre gruppi: il biennio superiore, le classi terze-quarte superiori, le quinte: quest'ultimo gruppo più fortunato degli altri perché ristretto di numero, con possibilità di usufruire di camere singole o a due letti per i suoi componenti.
    Abbiamo visto però che questo non basta.
    Il biennio ed il triennio devono essere articolati in modo diverso, altrimenti non si risolverà mai il problema fusione e quindi la maturazione dei ragazzi.
    Occorrerà favorire la costituzione e poi garantire vita libera e serena ai gruppi più piccoli che fin dai primi giorni andranno creandosi attorno a dei leaders spontanei.
    È in questa delicata fase di partenza che gli educatori dovranno essere presenti con tutta la loro sensibilità e con degli atteggiamenti di,gran lunga più faticosi di quelli dell'educando con:
    • atteggiamento di amore, considerando sé uguale agli altri, quindi improntando l'azione alla pazienza, alla perseveranza, alla comprensione empatica;
    • conoscenza della persona, del problema concreto che essa offre e competenza nel campo educativo;
    • adattabilità alle esigenze del singolo e del gruppo, senza dimenticare che proprio il singolo nella comunità ha sempre diritti di precedenza
    • va rispettato in qualsiasi occasione;
    • assunzione di un vero ruolo di animazione propulsiva, con largo spazio di libertà di lavoro, di riunione, di scelta nell'ambito educativo, culturale, sociale, ricreativo, religioso;
    • esemplarità di valori assimilati e realizzati nella propria vita.
    Troveremo nell'ambiente giovanile dei fatti e degli apporti spontanei e preziosi per la costituzione di questi gruppi: questi sono la amicizia, la simpatia, l'affinità, il bisogno psicologico di sicurezza...
    Lasciando anzitutto agire questi valori, i ragazzi, senza pressione alcuna, spontaneamente, si troveranno nella condizione più favorevole per suddividersi in gruppi di interesse mediante l'apertura ai principi ed alle tecniche dell'attivismo autentico, operativo e mentale; troveranno cioè libertà di discussione e di ricerca, lavoro in piccoli gruppi, iniziativa corresponsabile con gli educatori per l'adattamento degli ambienti, per l'elaborazione dei programmi e piani di gruppo e personali; dei metodi, compiutezza del quadro degli interessi riconosciuti e coltivati, assunzione organica dei problemi giovanili d'età, di personalità, di adattamento e di orientamento, dei problemi sociali, con le relazioni e gli strumenti che comportano, in clima di convivenza e dialogo costante, attivizzando ognuno in proporzione dei talenti.
    Questi piccoli gruppi, a nostro giudizio, dovranno anzitutto soddisfare i bisogni dei singoli membri e poi anche rispondere alle richieste ambientali. I punti di caratterizzazione saranno dati dal fatto che tali gruppi inoltre dovranno essere:
    • autonomi: ossia indipendenti nell'azione
    • liberi: ogni giovane sarà libero di aderire al gruppo che gli sarà di maggior gradimento
    • integrati nell'ambiente più vasto: al quale faranno riferimento per alleggerirne la pesantezza
    • intercambiabili: ogni giovane potrà essere parte viva di più gruppi, e in qualsiasi momento dell'anno spostarsi liberamente dall'uno all'altro, senza bloccaggi o esclusivismi.

    Seconda ipotesi

    La strutturazione di questi gruppi si otterrà se essi, nel loro interno, saranno autentici gruppi in maturazione.
    Il problema della maturazione del gruppo è scottante e, pensiamo, non facile da attuare.
    Alcuni leaders propendono per l'ipotesi che i gruppi in sé posseggono tendenze più positive che negative, il che è già qualcosa. Purtroppo, la maggior parte di essi funziona in modo molto lontano da questo ideale, cioè dallo sfruttare al massimo il potenziale positivo a disposizione.
    Far giungere il gruppo a maturazione e studiare un tipo di processo capace di portare il gruppo a progredire in questa direzione, sono problemi non facili da risolvere, soprattutto negli Istituti, dove si ha a disposizione un «materiale umano» in età evolutiva e quindi non ancora formato. Dobbiamo anzitutto esplicitare e precisare gli obiettivi generali della maturazione del gruppo, i quali ci vengono forniti:

    ♦ dal concetto stesso di gruppo, secondo cui:
    • il numero dei partecipanti deve essere ristretto (non superiore alle 20-25 unità);
    • in situazione di interazione: uno influisce sull'altro in comunicazione continua;
    • con mete in comune: da assumersi effettivamente da tutti;
    • i membri sono interdipendenti, cioè sentono di dipendere dall'azione di tutti;
    • il gruppo deve accettare la distribuzione delle funzioni e dei ruoli.

    Dalla dinamica maturativa del gruppo: ossia «quell'insieme di energie e di forze che derivano sia dai singoli individui, sia dalla loro reciproca interazione, come pure la somma e la conversione di queste energie in attività».
    Nel nostro caso dovremo porre cura ed attenzione perché si realizzino questi obiettivi generali, capaci di porre le condizioni base per il raggiungimento di obiettivi parziali e graduali, che prenderemo in esame nella terza ipotesi di lavoro.

    Le più grosse difficoltà ci vengono offerte:

    ♦ dalla dinamica interna del gruppo:
    • l'educatore, per gli impegni troppo pressanti, non può seguire il lavoro del gruppo;
    • facili equivoci dovuti a diversi temperamenti, all'età, alla diversità di lingua... (e qui entrano in gioco il senso di timidezza, la falsità, l'inibizione, la testardaggine proprie dei giovani di alcuni ambienti sociali, soprattutto nel Nord);
    • talora il leader naturale del gruppo è fortemente bloccante per accentuato individualismo e per immaturità delle scelte, unilateralità di giudizio...

    ♦ Anche la dinamica esterna al gruppo talora incide in modo determinante:
    • entusiasmo anche fuori del gruppo per le prime esperienze di lavoro e di incontro
    • l'ambiente generale dei ragazzi e degli educatori non è sensibilizzato al problema del gruppo (vedi gruppi caritativi o di particolari attività sportive), causa mancate chiarificazioni comunitarie, e lascia cadere iniziative, scoraggiando così quanti vi si sono dedicati
    • interferenza con l'orario e con l'impostazione generale del pensionato. Come l'esperienza ci ha insegnato, prevediamo che i gruppi, come verranno costituiti, presenteranno inizialmente un certo grado di instabilità come conseguenza del gioco di forze interno.
    L'azione del gruppo e quella dell'educatore dovranno mirare a ridurre quanto più sarà possibile lo squilibrio provocato dai mutamenti del forze interne; e il gruppo – attraverso i propri membri – dovrà acquistare questa capacità di adattamento per raggiungere un grado sufficiente di armonia interna e di produttività. Questo però sarà possibile solo se tutti i membri del gruppo riusciranno ad utilizzare tutte le proprie risorse. Verificandosi queste condizioni, il gruppo avanzerà sempre nella direzione di una maggiore utilizzazione di queste capacità e sarà vero gruppo in maturazione.

    Terza ipotesi

    L'autenticità del gruppo e la sua maturazione si ottengono attraverso obiettivi parziali e graduali.
    In particolare:

    ♦ Chiarezza delle mete da raggiungere ed «effettiva» assunzione da parte di tutti i membri (nel nostro caso anche da parte di tutti i singoli gruppi) del fine comune: la «fusione».
    Con l'accettazione di questa premessa noi ci poniamo immediatamente nel vivo di un problema assai complesso.
    Supponiamo che il mese di ottobre segni la data d'avvio di alcuni gruppi come descritti nell'ipotesi prima.
    I giovani vengono cioè a trovarsi insieme... quasi senza accorgersene; il mattino si incontrano con gli amici di scuola, la sera con quelli del complessino, il pomeriggio escono con i membri di un altro gruppo perché
    richiamati da comune interesse. Pensiamo cioè che innanzitutto sia necessario consentire la libera associazione e permettere che l'ambiente del pensionato sia:
    • organizzato secondo la spontaneità, la fluidità e il tipico pluralismo giovanile, in modo che ne risulti una unità articolata e sia possibile la libertà di espressione verso il maturare di valori più alti;
    • accogliente, ossia cordiale, comprensivo, attento, atto al destarsi e al rafforzarsi di autentiche amicizie;
    • attivo: possa cioè offrire ambienti in cui sia possibile l'organizzazione di attività svariate e geniali: sportive, ricreative, culturali, sociali, religiose;
    • pluralista, rispettoso dei diversi interessi e livelli di cultura dei giovani. Premesso questo, l'educatore, nella funzione che gli è propria, con discrezione e tatto, cercherà di inserirsi nel gruppo o avvicinerà gli elementi più aperti all'interesse specifico di ogni gruppo.
    Il suo compito sarà quello di
    • discutere assieme i problemi
    • ascoltare le esperienze di lavoro
    • invitare ad una sana autocritica
    • correggere eventuali deviazioni
    • collegare i problemi dei vari gruppi
    • rendere sensibili i giovani su problemi di ordine comunitario, specialmente la «fusione» del pensionato e la sua presa di coscienza di essere ambiente apportatore di valori.
    Ecco quindi che le proposte e i valori educativi saranno sempre il risultato di un fraterno incontro di gruppo e mai una imposizione puramente esteriore.
    Il gruppo non diventerà quindi chiesuola, ma fermento della massa. L'educatore si impegnerà ad essere presente nei momenti di maggior significato nella vita del gruppo (discussioni, lavoro...), sapendo che la maturazione è un fatto che si compie assieme, e che i valori vanno scoperti, discussi, vissuti assieme.

    ♦ Promuovere e facilitare la partecipazione dei singoli gruppi di interesse e di vita, resi autenticamente liberi ed autonomi, responsabili, ciascuno con finalità proprie.
    Dobbiamo confessarlo: nonostante tutto il nostro impegno di far vivere
    la vita collegiale in una atmosfera di familiarità e libertà, molti dei nostri ragazzi hanno l'impressione di essere in gabbia, di aver perso la libertà. I gruppi sono uno dei mezzi che noi abbiamo per ridare ai giovani il senso della libera iniziativa e quindi del rispetto, da parte nostra, della loro personalità. Questo esige, nella pratica, che l'adesione al gruppo sia libera e spontanea, che l'attività sia concertata dai membri, che il gruppo abbia libera iniziativa nel suo lavoro...
    Pensiamo tuttavia che la vera difficoltà non consista nel promuovere la partecipazione dei giovani ai singoli gruppi, quanto piuttosto nello stimolare all'azione i giovani. Essi infatti, soprattutto oggi, ci appaiono freddi, apatici: e aderiscono a iniziative finché non costano sacrificio. Lasciando però la piena autonomia ai gruppi, compreso l'aspetto finanziario, sarà più facile accrescere la tensione, l'interesse e quindi la vera partecipazione.
    Da questa libera sfera di azione ci si ripromette anche una educazione alla responsabilità del gruppo e delle persone, intesa non come rivendicazione di diritti, quanto piuttosto assunzione responsabile di essi. Un'educazione alla responsabilità postula che la persona debba, durante il processo educativo e al termine di esso, scoprirsi libera, autonoma e responsabile. Il rischio c'è: è possibile non far crescere delle persone, ma ancora una volta farle diventare oggetto di tecniche pedagogiche. Per evitare questo rischio dobbiamo interrogare noi stessi intorno a due problemi: difficoltà del dare la responsabilità e difficoltà del ricevere la responsabilità.
    Dare responsabilità è duro perché vuol dire rinunciare a fare della propria esperienza il criterio delle esperienze altrui. Di fatto, è molto difficile non influenzare in qualche modo l'altro con i nostri criteri di giudizio, con quello che noi siamo in quel momento. Però anche ricevere responsabilità è duro: cioè, ricevere l'invito ad essere autonomi e responsabili della propria esistenza, vuol dire imparare a pagare di persona e imparare che il progresso delle persone si realizza sempre poco per volta, che a volte si realizza a costo di un apparente tornare indietro.
    I valori su cui dovremo fondare la crescita di questa corresponsabilità sono lo spirito di fiducia, l'ottimismo, la disponibilità all'ascolto e al dialogo, la chiarezza di impostazione, la capacità di coordinare.

    ♦ Soddisfare il bisogno di espansione dei singoli membri: sicurezza, sviluppo, esperienze nuove.
    «È necessario giungere a far sì che lo scopo materiale del gruppo e lo
    scopo di favorire l'espansione dei singoli membri siano indissolubilmente uniti in modo che tutte le attività, le discussioni, i metodi usati siano anche dei contributi per la promozione della persona» [1]. Innanzitutto:

    • Il gruppo risponde alla tendenza inconscia a «scaricare» l'energia affettiva, che si rivolge spontaneamente verso i coetanei: è nel gruppo che il ragazzo trova l'atmosfera e i rapporti più adatti a quella espansione affettiva di cui sente bisogno.

    • I gruppi rispondono, su un piano più o meno cosciente, a bisogni che gli adulti non sanno soddisfare. Sono «uno sforzo spontaneo dei ragazzi di crearsi una propria società, perché trovano quella degli adulti non adatta ai loro bisogni» (Trasher). Il gruppo diventa allora un «riduttore di tensione». Si può così parlare di una funzione psicoterapica del gruppo.

    • Il gruppo è sentito e vissuto dal ragazzo come una piacevole e feconda esperienza di vita sociale.
    I valori sociali, le virtù sociali dell'obbedienza, della lealtà, della responsabilità di gruppo, il senso della collaborazione... sono assimilati «vitalmente», nell'esperienza del fare sociale: ed è proprio in questa azione socializzante che sta il massimo valore formativo della personalità, poiché dissolve l'egocentrismo e apre all'amore per gli altri come valore dominante e unificante. Per la formazione integra e integrata della personalità, questo è proprio l'essenziale.
    chiaro che non sarà solo il gruppo giovanile a portare tutti questi vantaggi: però ne è uno strumento efficacissimo.
    Nella vita di gruppo il giovane troverà quindi la possibilità di soddisfare il proprio bisogno di espansione.

    ♦ Utilizzazione delle risorse dei singoli membri.
    I giovani sono dei terribili attivisti. Tendono immediatamente a tradurre in vita i loro valori. Il pensionato avrà realizzato una delle sue funzioni se avrà aiutato i giovani a produrre, a sprigionare dalla loro testa e dalle loro mani qualcosa che sia testimone di ciò che sono.
    Ogni persona, e quindi ogni giovane, ha un determinato corpo, un determinato carattere, una determinata volontà, intelligenza, certe doti e certi limiti. Ognuno di loro è inconfondibile, quasi fossero stati fatti con uno stampo immediatamente distrutto. Ogni persona è un mondo. Si usa dire che è un mondo in miniatura, è una storia in cammino: ha un passato, un presente, un futuro.
    Utilizzare queste forze di ogni singolo è uno dei compiti essenziali per chiunque voglia educare.
    La gioventù odia la banalità, il tutto fatto: vuole fare. La attira la novità, il singolare, l'inedito, l'originale, l'eccezionale, lo strano, l'eccentrico. Spera di evadere dal quotidiano comune, noioso, insulso e conforme ed aspira a condurre una vita personale. Ogni persona costituisce un essere unico, un esemplare inedito della umanità.
    L'autenticità del gruppo e la sua maturazione dipendono, in parte, anche dall'utilizzazione delle risorse personali di ogni membro: e il membro del gruppo, d'altra parte, matura e si fa adulto mettendo a frutto le proprie doti e qualità personali.
    L'intervento e l'intuito dell'educatore nel conoscere i giovani e nel mettere in rilievo le loro buone qualità, avranno un effetto stimolante verso i singoli e tutto il pensionato.
    Il gruppo, il convitto, il mondo, sono materia prima da plasmare, messa nelle mani libere di ogni uomo.

    VERIFICA DELLE REALIZZAZIONI

    Le ipotesi di programmazione erano molteplici. Come è stata impostata praticamente la strutturazione interna dell'istituto?

    Per ovviare al pericolo sempre incombente della massificazione nel processo educativo, si è spezzato l'istituto in una serie di gruppi, il più possibile omogenei (giovani che frequentano la stessa classe), con un sacerdote all'interno, come animatore, responsabile globale di tutta la vita del gruppo. Ogni gruppo si compone di una trentina di elementi. Purtroppo la divisione in gruppi è stata fatta ancora con criteri estrinseci, a partire dalla disponibilità di personale che l'organico offriva.
    È chiaro – e questo ce lo siamo ripetuto con frequenza – è un primo passaggio. La meta è accettare i gruppi che di fatto preesistono o costruire sulla base delle interazioni che corrono tra i vari giovani.
    Lo esige la dinamica di gruppo, che noi abbiamo scelto come condizione previa agli interventi educativi. E lo esige anche un altro fattore di ordine pratico, la cui incidenza abbiamo già sperimentato. Quando i gruppi sono precostituiti, come, per causa di forza maggiore abbiamo fatto noi, si riporta all'interno del piccolo gruppo il fascio di difetti, di prevenzioni, di bloccaggi, che caratterizzano la convivenza più vasta: la scala è ridotta; ma il guaio non è eliminato.

    I singoli gruppi sono totalmente autonomi o vi pare necessario un momento di collegamento?

    Si è cercato di studiare un rapporto che salvi l'indipendenza di ogni singolo gruppo pur nella funzionalità più generale della convivenza. Generalmente però i momenti «comuni» sono ridotti al puro necessario. È chiaro che esiste un sotterraneo legame di fondo, proprio per la prospettiva educativa in cui agiamo. Sotterraneo: non nel senso che il collegamento ha il sapore del mistero, del poliziesco; ma nella presenza di un effettivo collegamento a livello di gruppo degli educatori responsabili-animatori (abbiamo sentito l'urgenza di moltiplicare gli incontri: quasi ogni sera ci ritroviamo a tirare somme e a progettare) e dei giovani più disponibili, i leaders dei vari gruppi.
    A questo proposito, si sta progettando la costituzione di un consiglio di gestione di tutto l'impianto educativo: giovani ed educatori al lavoro, assieme.
    I giovani hanno subito capito che essere corresponsabili vuol dire lavorare quattro volte di più. E qualcuno si è anche tirato indietro.

    I gruppi sono stati precostituiti, con un lavoro di segreteria. Avvertite la necessità di farli passare da gruppi secondari in gruppi di amicizia? Su quali linee praticamente operate?

    È avvertita fortemente l'esigenza di maturare i singoli gruppi in gruppi sociologicamente definibili come primari, proprio per superare lo schematismo iniziale e costruire il clima che favorisca la circolazione dei valori e la maturazione dei singoli giovani. Abbiamo la consapevolezza che, senza questa attenzione successiva, la divisione in gruppi può essere solo un nuovo espediente a carattere disciplinare e funzionale al «sistema» dell'istituto. Come facciamo jer operare questo passaggio?
    Il problema è di difficile soluzione: nonostante tutto, l'istituto rimane sempre un fatto «obbligato».
    Sentiamo l'urgenza di studiare a fondo la dinamica di gruppo, per ritrovarvi gli strumenti di questa maturazione.
    Sono programmati frequenti incontri a livello di gruppo, per una revisione delle attività, per confrontarci con gli impegni assunti, per agire con vera e continua corresponsabilità pratica. Questi «mezzi» portano già i loro frutti.
    Di grande efficacia ci pare anche il contatto personale, a tu per tu, con i singoli ragazzi, favorito dai rapporti nuovi che all'interno dei gruppi si sono instaurati con l'educatore e dal ridotto numero di giovani: dalla confidenza che una cosa e l'altra favorisce.
    Un altro fattore di coesione è offerto dalla possibilità, sempre aperta nei limiti del ragionevole, di interscambi tra i gruppi.
    I gruppi sono nati di fatto con un processo di segreteria: quindi sono poco omogenei. Dopo un certo periodo di rodaggio è offerta la possibilità di «spostamenti», proprio per creare i presupposti di una maggior omogeneità.
    Ci sono progetti a più lunga scadenza: arrivare – ce lo auguriamo per il prossimo anno scolastico – ad una divisione in gruppi fatta a partire da criteri interni (non più esterni o funzionali): attraverso l'amicizia, la convergenza di interessi; in poche parole: arrivare a gruppi in partenza già omogenei.
    L'esperienza di quest'anno gioca un ruolo importante nella progettazione futura.

    Tra le righe delle cose affermate finora era presente un certo atteggiamento di sfiducia oggettiva sulla possibilità di un lavoro ottimale Mi sbaglio? In che cosa vedete questo ostacolo quasi insormontabile?

    C'è una grossa difficoltà che, tutto sommato, ci pare insolubile, proprio per la realtà dell'istituto: un momento «fittizio» nell'arco normale della vita.
    Questi giovani hanno una radicale distonia tra gruppo di appartenenza e gruppo di riferimento.
    L'istituto, il gruppo all'interno dell'istituto, è il loro gruppo di appartenenza. Gruppo di riferimento, gruppo cioè in cui coltivano la loro mentalità, è un altro: quello del paese, quello degli amici extra-istituto. Questo costruisce la loro «mentalità»: questo sognano; tutti i momenti «liberi» li riportano là, dove essi avvertono la verità della loro vita.
    Sarà molto difficile rompere questo cerchio.
    Forse, dopo la nostra esperienza avvertiamo che qualcosa di diverso sta facendosi lentamente strada: il passaggio da un istituto-massa ad una convivenza di amicizia comporta una certa flessione della rottura denunciata. Ma è sempre molto parziale e molto limitata.
    Anche perché – ed è un bene... ma certo non un vantaggio nei confronti del tono di riferimento dell'istituto – al sabato e alla domenica «vanno a casa»: il tempo più libero, più spontaneo, più personale... è trascorso altrove.

    Dopo 4 o 5 mesi di lavoro... qual è l'impressione degli educatori?

    Tutta questa nostra esperienza comporta un notevole surplus di lavoro per gli educatori.
    Il principio di autorità è sostituito dal calore dell'affetto; la funzione di educatore-maestro è diventata animatore-guida. Il lavoro di collegamento esige una frequenza di incontri.
    L'animazione dei gruppi comporta uno studio serio delle tecniche proporzionate. Anche la nostra pastorale ha subito trasformazioni: ogni proposta nasce all'interno dell'esperienza dei singoli gruppi. È quindi tutta da inventare, giorno per giorno.
    Veramente non è possibile fare proposte di fede se non in linea di continuità con i loro interessi, entrando nel profondo di essi. I risultati... a prima vista sono molto scarsi. Ma la scarsità era stata preventivata: si tratta di passare da un metodo abbastanza deterministico ad uno sforzo di costruire motivazioni. E il cammino è lungo.
    Ma questo ci fa sentire davvero sacerdoti ed educatori: i giovani ci hanno fatto riscoprire il senso e la gioia della nostra vocazione.

    NOTE

    [1] C. Macciò, Animation des groupes, Lyon 1966, p. 41.


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