(NPG 1971-02-94)
In questi ultimi anni, si è assistito al nascere di un nuovo tipo di associazionismo: in tutti gli ambienti. Per questo, l'anno scorso si era sentito il bisogno di convocare un incontro nazionale delle A.G.S., cioè dell'«insieme di tutti i gruppi giovanili che sorgono negli ambienti salesiani oratoriani, scolastici e attorno alla persona di un salesiano (NPG 1970-12, pp. 75-76; cfr. anche 1970-4, pp. 77-78).
L'incontro, svoltosi a Roma nei giorni 7-8 dicembre 1969, si era concluso con un arrivederci. Dopo un anno di approfondimento e di sperimentazione, ci si è ritrovati: per verificare, per approfondire temi e problematiche.
La novità più ragguardevole era costituita proprio da due tematiche che erano state scelte dopo un'ampia consultazione: la corresponsabilità nella programmazione e nell'attuazione della catechesi, e nella formazione e qualificazione dei leaders.
Molti gruppi, infatti, si domandano, spesso ansiosamente, se possono ancora dirsi cristiani: che cosa li può «fare cristiani», nella vita e non solo sui registri dell'anagrafe.
È il problema del rapporto – o meglio, dell'incontro – tra la fede e la vita di tutti i giorni, noiosa, arrabbiata, delusa, piena di speranze e di disillusioni, di gioie e di alienazioni. La catechesi è incontro della vita con la Parola: è far giungere ad ogni uomo la risposta di Dio ai suoi problemi e alle sue angosce. Ma la vita di ogni uomo, e quella del cristiano ancora di più, è comunitaria per natura: e comunità vuoi dire corresponsabilità.
Anche «II rinnovamento della catechesi «è su questa linea: «Prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi prima ancora sono le comunità ecclesiali. Come infatti non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell'intera comunità» (n. 200).
Corresponsabilità, quindi, nella comunità: ma le vere comunità di base, quelle in cui è possibile mediare il messaggio cristiano, non sembrano quelle istituzionalizzate, molto spesso svuotate di significato, ma i gruppi, soprattutto quelli spontanei.
Ecco quindi che il «luogo» più adatto per fare insieme catechesi sembra il gruppo: qualsiasi tipo di gruppo. L'essenziale è che i suoi membri siano persone che vogliono essere «più uomini» e «più cristiani».
Sempre sulla linea della dinamica di gruppo, si incontra il problema dei leaders. Tutti i gruppi avvertono la necessità di persone che vivano e facciano circolare i valori per cui il gruppo è nato o verso cui tende: pena la morte del gruppo stesso o il suo ridursi ad un momento di pura evasione.
Questo problema è di tutti: dei membri del gruppo in primo luogo, ma anche della comunità al cui servizio il gruppo opera e di cui dovrebbe costituire la cellula-base.
Va impiegata una particolare cura nel trovare coloro che sono «capi» per natura, nel formarli e qualificarli: senza però ridurli ad una élite aristocratica, staccata dalla base. Anzi: il leader è colui che è più «dentro» al gruppo, ne coglie meglio le istanze, agisce dall'interno, con la vita prima e poi con la parola.
È SERVITO?
È troppo presto per fare un bilancio. I risultati, se ci saranno, si vedranno a lunga scadenza. Però, dalle prime impressioni, se ne può già ricavare qualche elemento di valutazione.
È stato molto apprezzato lo scambio di esperienze tra i partecipanti: un vero arricchimento. Si è avvertita però l'esigenza di un maggiore spazio per questo tipo di comunicazione: l'ampiezza del programma e l'orario pressante sono stati ostacoli notevoli.
Sono state suscitate nuove problematiche, e approfondite alcune già sentite dai partecipanti: in primo luogo la corresponsabilità nell'azione educativa, a proposito della quale si è notata la non-sensibilizzazione della base e, in molti casi, la non-comprensione della autorità. La catechesi è apparsa un po' come la «grande sconosciuta», più che non gli altri argomenti: pochi sanno di che cosa si tratti, il ventaglio delle idee era molto ampio e spesso si aveva l'impressione di correre su binari paralleli, senza riuscire mai a incontrarsi. Il problema cenacoli e leaders si inserisce nel grande filone della dinamica di gruppo, che sembra oggi l'unico mezzo per la maturazione umana e cristiana dei giovani. Si è sentito che là dove i gruppi sono vivi, attivi, avanzati, c'è la necessità di qualcuno che «tiri», che faccia avanzare anche gli altri: ma sono ancora poco note – e forse in gran parte da inventare – le tecniche e i mezzi per la loro formazione. È giunta l'eco di esperienze interessanti e valide che si svolgono qua e là per l'Italia, ma che sono poco conosciute.
Forse però il risultato più notevole è stato il contatto di vita con altre persone, con altri giovani che hanno stessi problemi e impegni analoghi: molti hanno scoperto che non si è soli, e quindi si è verificata la presa di coscienza di essere fondamentalmente sulla strada giusta (anche se non si è perfetti... E chi può esserlo?), che è percorsa insieme non solo dai convenuti a Roma, ma anche dai giovani più sensibili e attenti e impegnati di tutta Italia (non solo: ma questo è il campo che ci interessa più da vicino). Ognuno con specificazioni e caratteristiche proprie, d'accordo: ogni persona ogni gruppo, ogni chiesa locale è diversa da tutti gli altri. Ma il filone di fondo è unico.
UN ANNO DOPO
Quali elementi nuovi ha portato l'incontro del 1970? Oppure è stato solo una ripetizione di quello dell'anno passato?
È necessario premettere che alcuni argomenti e alcune problematiche sono state ripresentate: molti partecipanti non avevano avuto modo di seguire e di partecipare a tutto il lavoro e lo studio già effettuati.
Ma qualcosa di nuovo c'è stato. Innanzitutto, tra gli argomenti: il tema «catechesi» e quello «cenacoli-leaders», nel 1969 avevano avuto solo qualche accenno molto breve.
Ma soprattutto degna di nota è la maturazione dell'atteggiamento dei partecipanti. Si è insistito molto, quest'anno, e da varie fonti, sul fatto che per cambiare in meglio le cose è necessario sopra ogni altra cosa l'impegno personale di chi ha coscienza dei problemi, che deve pagare di persona se vuole fare qualcosa. Si tratta di un impegno di vita, che esige anche la sensibilizzazione della «base», dei compagni, degli amici, e un'azione presso chi detiene l'autorità.
Anche quest'anno si sono sentite opzioni di tipo rivendicazionistico («Noi vogliamo... Noi chiediamo...»): ma meno che non l'anno scorso. Si è rivelato quindi una notevole maturazione: quello che l'anno scorso era stata un po' una scoperta per molti («corresponsabilità non vuol dire solo chiedere responsabilità, vuol anche dire prendersi le responsabilità») lo si è visto tradotto nella vita di molti giovani.
(Umberto Bardella, Roma, 6-8 dicembre 1970)