Attesi dal suo amore
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    Quaresima di fraternità: un impegno per il Terzo Mondo



    Movimento Sviluppo e Pace

    (NPG 1971-03-59)

    Motivazioni

    – È una iniziativa che può aiutarci a vivere la Quaresima con più intensa spiritualità, ad aprirci al mistero pasquale di Cristo che muore e risorge, a riscoprire che Quaresima significa conversione.
    – È un modo concreto per scoprire o approfondire i veri significati cristiani di carità (amore, non elemosina del superfluo) e di giustizia (giustificazione, davanti a Dio...).
    – È una risposta della nostra comunità cristiana ai pressanti appelli della Chiesa, dopo l'Enciclica «Populorum Progressio», ultimo, in ordine di tempo, il voto del Sinodo dei Vescovi (ottobre 1969).
    La Chiesa deve svolgere un ruolo profetico...
    – È l'adesione di ogni comunità alla comunità internazionale (ONU) impegnata per lo sviluppo dell'uomo.
    La lotta contro la fame e la lotta contro l'analfabetismo appaiono sempre più chiaramente come due espressioni di un unico impegno in favore della dignità dell'uomo.
    – Il problema del Terzo Mondo è il tema cruciale in cui si gioca la credibilità della nostra fede e la capacità di servizio della nostra civiltà.

    Proposte

    Non vi può essere un unico schema tipo. Ogni comunità (parrocchia, chiesa, istituto, associazione, gruppo...) aiuta i singoli a riflettere sul tempo liturgico, sui testi liturgici della settimana, sulle idee-forza, e aiuta i singoli a convertirsi ed a operare.

    La Quaresima di Fraternità

    Non è una iniziativa che si sovrappone ad altre: è uno stile per animare la spiritualità e l'azione durante la Quaresima. Si consiglia di dare forma unitaria alle iniziative che verranno prese e di inserire l'aspetto penitenziale assieme agli altri aspetti della pastorale quaresimale: comunitario, catechistico, liturgico, missionario.
    – Si susciti l'impegno dei laici in clima veramente fraterno e generoso, a scoprire la forma più opportuna di adesione.
    – Si elabori un programma di iniziative quaresimali: la settimana di preghiere, i mercoledì quaresimali, la riflessione sul tema liturgico della domenica, l'offerta delle sofferenze dei malati, una messa durante ed al posto della cena, una serata-dibattito, una piccola mostra, la proiezione di documentari, la raccolta dei fondi, la realizzazione di un intero piccolo piano di sviluppo, ecc.
    – Si presenta con questi limiti, una serie di indicazioni e un repertorio di materiale. Da questo, a livello locale, si potrà attingere, per costruirsi un piano di azione preciso e dettagliato.

    Sussidi

    Schemi su problemi specifici, omelie per bambini, schemi di celebrazione della Parola.
    Documentari filmati e diapositive.
    Documentazione sui problemi della fame e del sottosviluppo e sulle realizzazioni. Aiuti per iniziative culturali e di sensibilizzazione.
    Piccoli salvadanai di cartoncino.
    Manifesti diversi da esporre alle porte delle Chiese, nelle scuole, nelle sale di riunione... Devono servire come richiamo visivo.
    (Questi sussidi vanno richiesti direttamente al Movimento Sviluppo e Pace - Via Magenta 12 bis - 10128 TORINO - tel. 011 - 53 14 41).

    LE MOTIVAZIONI DELLA FEDE, IL SIGNIFICATO DELLA CARITÀ, L'ANIMAZIONE DELLA GIUSTIZIA

    (Schemi per una riflessione sulle idee-forza della Quaresima di Fraternità)

    Domanderò conto della vita dell'uomo alla mano di ogni suo simile, estraneo o parente che sia (Gen. 9,5)

    I - L'unità e la solidarietà del genere umano sono oggi tra gli ideali più sentiti ed affermati anche se le contraddizioni del nostro tempo ne mettono in luce, ogni giorno, il tradimento.
    Forse è necessario cercare i principi ai quali ancorare queste esigenze tanto sentite dagli uomini di oggi.
    Nella ricerca, a volte affannosa, di valori umani comuni, l'uomo scopre alla fine la «dimensione religiosa» della sua esistenza: si accorge cioè che quando egli ripone in Dio l'origine comune di tutti gli uomini e di tutte le cose, riesce a trovare una garanzia efficace contro l'egoismo e le contrapposizioni dettate dall'orgoglio dagli interessi o solo dai pregiudizi (razziali, di classe, ecc.).
    Per il cristiano, la «dimensione religiosa» nel concepire il mondo e gli uomini è alla base della sua fede e diventa norma del suo comportamento.
    «... Domanderò conto della vita dell'uomo alla mano di ogni suo simile, estraneo o parente che sia» (Gen. 9,5).
    «La rivelazione cristiana guida ad un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale, scritte dal Creatore nella natura spirituale e morale dell'uomo» (Gaudium et Spes, n. 23).

    Il - L'appartenenza ad una grande famiglia che ha Dio come Padre impone a tutti, sul piano personale e su quello comunitario, la ricerca e la realizzazione di una comunità umana in cui ognuno possa veramente essere uomo tra gli uomini. Finché nell'umanità c'è qualcuno che non è completamente uomo (per l'ignoranza, la miseria, l'ingiustizia, ecc.) nessuno può considerarsi fuori questione.
    Per il cristiano questo è l'unico concetto di «prossimo», come dice la parabola del buon samaritano (Lc. 10,30-37).
    «Il concilio inculca il rispetto verso l'uomo così che i singoli debbono considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro «se stesso» tenendo conto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente» (Gaudíum et Spes n. 27 e segg.).

    III - Perché fosse possibile questo grande disegno di salvezza per tutti gli uomini, il Padre ci ha mandato il Suo Figlio, Gesù Cristo.
    «... Padre Santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio come salvatore. Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria: ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Ai poveri annunciò il vangelo di salvezza, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. Per attuare il tuo disegno di amore si consegnò volontariamente alla morte, e con la sua risurrezione distrusse la morte e rinnovò la vita» (Preghiera Eucaristica IV).

    IV - Cristo è diventato così per noi modello del nostro incontro con Dio Padre e del nostro rapporto con i fratelli. Egli ci ha dato un comandamento nuovo:
    a) Amare Dio. Cioè fare la volontà del Padre: sin dal primo istante della sua incarnazione (ecco vengo a fare la tua volontà) fino al supremo sì della sua immolazione (non la mia ma la tua volontà sia fatta) è questo il modo con cui Cristo si è posto in comunione con Dio.
    b) Amare i fratelli, cioè avere con essi un rapporto di carità: Cristo ci ha insegnato non solo ad agire «per amore di Dio», cioè facendo la sua volontà, ma anche a manifestare l'amore di Dio nelle nostre azioni.
    «Ora questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da Cristo: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello» (1 Giov. 4,21).
    «Se uno dicesse di amare Dio mentre odia il suo fratello, è menzognero. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Giov. 4,20).

    V - Il Popolo di Dio, in cammino nella storia, deve essere in Cristo segno e strumento di salvezza. Il Popolo di Dio siamo noi: io, tu, tutti quelli che crediamo in Lui... A noi spetta il compito di offrire oggi al mondo il segno visibile e concreto del quale gli uomini hanno profondamente bisogno per realizzare la loro unità.
    Spetta dunque a noi testimoniare:
    – l'unione con Dio, dalla quale l'unità del genere umano ha origine. «Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è l'universale sacramento della salvezza che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo» (Gaudium et Spes n. 45);
    – l'amore tra gli uomini, che è la sola forma possibile dell'unità, poiché ogni altro mezzo da solo ha già rivelato la sua insufficienza od il suo fallimento. «Gesù comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore» (Gaudium et Spes numero 32).
    Se il nostro compito dovesse fallire, non solo resteremmo gli ultimi, noi cristiani – come spesso purtroppo è stato –, ma quel che è peggio rischieremmo di coinvolgere di fronte ai nostri fratelli anche il messaggio del cui annuncio Cristo ci ha affidata la tremenda responsabilità.

    La carità deve animare la giustizia: un compito che Dio ha affidato all'uomo

    I - Il cristiano non è colui che si ferma troppo a pensare quello che dovrebbe fare in teoria, ma è colui che si pone come modello la vita di Cristo e cerca di imitarlo malgrado le sue debolezze.
    Il Cristianesimo quindi non è basato su concetti astratti ma sulla vita di Cristo e di tutti coloro che si professano suoi seguaci, di conseguenza è la storia della rivelazione che Dio ha fatto di sé all'umanità e della sua volontà di entrare in dialogo con noi. Questo dialogo divino-umano ebbe il suo inizio al momento della creazione e avrà il suo epilogo nella Gerusalemme celeste. In un particolare momento di questa storia la parola di Dio si rivela pienamente, la parola di Dio diventa vita; e in questa vita, la vita di Cristo, ciò che costituisce una assoluta novità rispetto alla precedente rivelazione è la carità. La carità in quanto realizzata e testimoniata dal Cristo è un dono di Dio fatto agli uomini, essa è per gli uomini (e quindi per ciascuno di noi) una meta da realizzare.
    E in questo compito lasciato da Dio all'uomo c'è un aspetto temporale della carità.

    Il - Carità è impegno verso il prossimo e non si può esercitare questo impegno se non si conoscono i problemi degli altri, quindi la carità ha necessariamente un rapporto con la giustizia.
    Tra gli uomini si possono verificare tre tipi di rapporti:
    1) innanzitutto gli uomini sono individui cioè soggetti di diritti e di doveri in rapporto agli altri. Sotto questo aspetto i rapporti che intercorrono sono essenzialmente rapporti di giustizia, dai quali deriva la società civile.
    2) Inoltre gli uomini sono persone cioè possiedono una ricchezza spirituale e affettiva per cui in questo senso i loro rapporti sono rapporti d'amore da cui deriva la comunità.
    3) Infine gli uomini possono anche possedere dei valori soprannaturali e ciò li pone su un piano diverso in quanto i loro rapporti non sono più semplicemente rapporti d'amore ma diventano rapporti di carità; la comunità che si fonda su tale tipo di rapporti è caratterizzata dai doni dello spirito (carismi) di ciascun individuo.
    Ogni uomo riceve dallo Spirito Santo dei doni che lo distinguono e nello sviluppare questi doni egli compie la sua missione specifica nella comunità.

    III - Dopo queste brevi osservazioni si può considerare la carità in due prospettive, da un lato i rapporti della carità con la giustizia della società civile, e dall'altro in rapporto al mistero della carità di Dio.
    Prima prospettiva: Non sempre la giustizia è sufficiente a regolare i rapporti fra gli uomini perché essa da sola non può soddisfare a tutte le esigenze dell'uomo. È necessario quindi che la giustizia sia animata dalla carità, occorre evitare però il rischio di voler risolvere tutti i problemi di giustizia in termini di carità, quindi è necessario che la carità sia ispiratrice della giustizia ma non si sostituisca ad essa.
    La giustizia ha bisogno dell'amore per realizzarsi pienamente; l'uomo che ama è però un peccatore, l'amore si corrompe perché è continuamente minacciato dall'egoismo e come l'amore salva la giustizia è la carità che salva l'amore. La carità ha quindi un compito che riguarda tutte le strutture del mondo, essa deve animare la giustizia e sostenere l'amore affinché le strutture di giustizia non si corrompano.

    IV - Seconda prospettiva: Nell'ambito soprannaturale la carità fornisce all'uomo nuove forme di convivenza e di esperienze comunitarie; gli fa comprendere i propri carismi (doni dello Spirito) e lo pone nella possibilità di realizzare pienamente la sua vocazione personale e insostituibile nella comunità in cui vive.
    È questa la comunità carismatica dei figli di Dio che cerca di realizzare i consigli evangelici alimentandosi alla Grazia.
    Tale comunità trascende le strutture di giustizia e di amore della comunità naturale. Si tratta quindi del perfezionamento della novità portata da Cristo alla vita degli uomini.

    Ciò che hai sul piatto dividilo con il tuo fratello

    Condividere i beni materiali

    1) Il precetto evangelico «ciò che hai sul piatto dividilo col tuo fratello» è indubbiamente un precetto che, se accolto nel suo significato più ovvio e più vero, pone il cristiano che vuole essere tale nella necessità di contestare se stesso ed una comoda mentalità di egoistico moralismo, soprattutto se si pensa che a sostenerlo c'è tutta una mentalità del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto va, vendi tutto quanto possiedi e danne il ricavato ai poveri».
    Queste frasi fanno pensare che nessuno di noi ha capito il Vangelo e tanto meno l'ha applicato.
    Bisogna ricorrere all'episodio di Zaccheo che dona la metà del suo ai poveri e si sente dire «Oggi in casa tua è entrata la Salvezza», per meglio comprendere il valore del messaggio evangelico nella sua portata umana e sociale.

    2) La povertà del figlio dell'uomo che non aveva una pietra ove posare il capo e il precetto di non avere più di un mantello e di un paio di calzari trovò la sua applicazione eroica nella prima comunità gerosolimitana, dove i credenti vivevano insieme e mettevano tutto in comune... e non c'era neppure uno che dicesse suo ciò che gli apparteneva, ma tutto era fra loro comune... e chi possedeva... vendeva... e si distribuiva a ciascuno secondo il suo bisogno. Se questo esperimento comunitario terminò ben presto per l'impossibilità materiale in una comunità sempre crescente di sopperire ai bisogni di tutti con le offerte dei nuovi fratelli, se la giustificazione storica di questo episodio è da ricercarsi nell'attesa della Parusia ritenuta prossima, resta pur sempre significativo il fatto che, fra i cristiani dei primi tempi, il comando della carità sia stato effettuato spontaneamente in una partecipazione dei propri beni a tutti i fratelli, come risposta all'invito di Cristo.

    3) Nella «Didachè» che risale, pare, alla fine del primo secolo, sta scritto: «Se possiedi per aver guadagnato col lavoro delle tue mani darai in espiazione dei tuoi peccati. Di tutte le cose farai parte al fratello: se infatti partecipate insieme dei beni immortali, quanto più dei beni mortali? State però in guardia dagli sfruttatori di Cristo che vogliono vivere tra voi oziosi di essere in Suo nome da voi mantenuti».
    Nel «Pastore» di Erma, del 150 circa, viene ripetuto: «Anziché provvedervi di campi raccogliete i bisognosi, soccorrete vedove e orfani... e sarai salvo. Il ricco si attacchi al povero lo sovvenga nei suoi bisogni ed il povero, ricco della sua preghiera che ha grande potere verso Dio, sovviene il ricco. Questi per la preghiera del povero (la sua ricchezza) aumenterà sia i suoi beni che il suo zelo per il fratello amministrando saggiamente i suoi beni per l'eternità».
    Da questi brani pare che si possa dedurre come fondamentale per un retto uso dei beni il principio della compartecipazione, destinata per sua essenza al servizio dell'amore; e solo in questo modo trova la sua giustificazione e la sua ragione d'essere.

    Ambiguità morale della ricchezza

    1) Nel «Pedagogo» Clemente Alessandrino sottolinea il rischio del possedere. Questo concetto «Se tutto è lecito e tutto vi è stato donato - non tutto conviene per cui alla carità si addice il dire: «Le ricchezze sono a mia disposizione, perché non distribuirle ai poveri? È strano che fra i fratelli vi sia uno che gavazzi nella ricchezza mentre molti hanno fame. È cosa più gloriosa beneficiare molti che procurarsi una splendida abitazione, è più saggio spendere a beneficio degli uomini che in pietre preziose o d'oro. La ricchezza è simile ad un serpe, che... se non sai prenderlo... si avvolgerà alla mano e ti morderà... perciò non chi possiede è ricco ma chi dà agli altri».

    2) Tuttavia per Clemente non si tratta di fare del classismo pauperista in quanto non solo coloro che sono ridotti sul lastrico sono capaci di possedere la vita eterna; egli appoggiandosi al Vangelo afferma che occorre che nessuno si dia preoccupazioni quanto al possedere e ognuno abbia a disposizione quanto gli occorre, perché se nessuno possedesse quale relazione sociale esisterebbe ancora fra gli uomini? Le ricchezze possono essere ministre di giustizia, come strumenti di ingiustizia, poiché ognuno può farne buono o cattivo uso a suo arbitrio, di modo che non sono le ricchezze da distruggere, ma le passioni dell'anima, cosicché ognuno diventato buono e probo possa fare buon uso delle sue ricchezze. Il «vendere tutto del Vangelo – per Clemente – è da intendere come detto di cose concernenti le passioni dell'anima.
    Tertulliano: solo chi non ha timore di perdere non sente rincrescimento nel donare. Come potremo procurarci amici per mezzo di Mammona se siamo tanto attaccati a Mammona da non sopportarne la perdita?

    La responsabilità morale del ricco

    1) Commentando l'episodio degli Atti, Cipriano dice: I primi cristiani vendevano case e poderi e trasferivano i capitali là dove avrebbero riscosso interessi di vita eterna, e investivano in case nelle quali avrebbero abitato per sempre. La generosità nel beneficiare era allora pari alla concordia nell'amore fraterno, perché nessuno può essere escluso dai benefici e dai doni di Dio concessi ad alcuno in usufrutto e per uso comune. Solo chi divide con i fratelli i beni e le rendite che ha sulla terra è imitatore di Dio Padre. Lattanzio condanna severamente il comunismo platonico affermando che un risultato quale quello auspicato dal grande filosofo greco non poteva essere conseguito, se non con la pietà, che, sola, è fondamento della giustizia. Nessuno è povero davanti a Dio se non chi manca della giustizia.

    2) Specialmente però nel IV secolo, quando, dopo l'editto Costantiniano il messaggio evangelico vede sminuita la sua efficacia rivoluzionaria, in un compromesso temporale, nella bocca di padri e di santi si trovano le più severe condanne delle ricchezze e della mancanza di carità e di giustizia. «I granai dei pochi sono pieni di frumento e la pancia di molti è vuota» ma il dire «che io conservi il mio» era frase dei gentili mentre se un uomo muore di stenti mentre c'è chi ha mezzi per venirgli in soccorso, proprio colui che non gli viene in soccorso è il suo uccisore (San Zenone).
    Basilio il grande afferma: i ricchi si impadroniscono dei beni che sono comuni e li considerano propri solo perché se ne sono impadroniti per primi. Se ognuno prendesse quanto è sufficiente al suo bisogno, abbandonando il resto a chi manca del necessario, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe povero.
    Gregorio Nisseno ammonisce di usare ma non di abusare dei beni concessici in uso dal loro proprietario, DIO, nostro padre comune, e se ci siamo impadroniti della parte maggiore, ci esorta, lasciamo almeno l'altra parte ai fratelli. Gregorio Nazianzeno dopo aver lodato tutte le virtù termina affermando che la parte più importante della legge è l'amore dei poveri e la compassione per il prossimo. Se mi date ascolto, visitiamo, entriamo, vestiamo, ospitiamo, onoriamo Cristo e offriamogli la misericordia nella persona dei poveri affinché ci accolgano nei tabernacoli eterni.
    Ambrogio a sua volta non nega la proprietà privata, ma vede il dono ai poveri come doveroso atto di giustizia: «Il Signore ha voluto che questa terra fosse comune possesso di tutti gli uomini ed elargì a tutti indistintamente i prodotti della terra. Egli condanna le ricchezze dei peccatori (non tutte le ricchezze) che sono quelle che sfuggono al dovere di misericordia, e che rifiutano di consumarsi a vantaggio dei poveri».
    Nel De Nabuthé è feroce contro i ricchi e dice: «La natura ci genera tutti poveri, nessuno viene al mondo con abiti, con oro e argento, né chiuderà le nostre ricchezze con noi nel sepolcro. Il tuo patrimonio si accrescerà di quanto avrai speso per i poveri, e sarà tua salvezza il cibo che avrai loro dato perché si pianta nei poveri e germoglia presso Dio; tu non dai nulla ai poveri del tuo ma restituisci loro quanto loro è dovuto».
    San Giovanni Crisostomo ricorda con Paolo che Fede e Speranza passeranno ma la Carità durerà in eterno; sono utilissimi quelli che ricchi furono fatti da Dio (e non per mezzo di stragi, rapine e mille altri espedienti) perché usano le loro ricchezze come Abramo, per i pellegrini e gli indigenti... Come può essere giusto chi è ricco? sarà buono solo se distribuisce la sua ricchezza agli altri. Se accettiamo e possediamo ricchezze questo non è un bene. E dopo una disamina della situazione afferma: Vi fossero solo 10 uomini (fra i ricchi) disposti a spendere, nessuno sarebbe povero (nella sua città).

    Orientamento di riflessione

    1) Alla luce di questa dottrina è ancora lecito dire che esiste solo il dovere di «fare elemosina «di quanto è superfluo quando abbiamo soddisfatto tutti i nostri desideri legittimi?
    Il concetto di «partecipazione» come dovere di giustizia non implica una revisione totale del nostro modo di pensare l'uso dei nostri beni?
    2) Come è possibile far mutare alla attuale comunità cristiana una mentalità radicata da tanti insegnamenti moralistici frutto di una concezione borghese ed egoistica della vita?
    3) Quali mezzi concreti può la singola comunità cristiana offrire ai suoi partecipanti per non impigrire nella comoda elemosina per le opere assistenziali della parrocchia?

    Conversione vuol dire vittoria sull'uomo vecchio:
    la Quaresima non finisce a Pasqua

    La quaresima richiama alla penitenza intesa come conversione cioè cambiamento di mentalità.
    Convertirsi vuoi dire riconoscere la propria natura di peccatori ed accettare una nuova mentalità che è quella annunciata dalla Buona Novella di Cristo. Non esiste alcuna salvezza all'infuori dell'umile riconoscimento di aver bisogno della Redenzione di Cristo.
    Conversione vuol dire vittoria sull'«uomo vecchio» irretito nel peccato per giungere ad una nuova forma di vita creata e governato dallo spirito di Dio. Conversione è orientarsi alla nuova legge dell'Amore con lo spirito, con il cuore e con la volontà.
    La conversione esige una trasformazione completa del modo di pensare ed infine anche spirito di penitenza. Ma la sostanza all'appello della conversione è puro annuncio di Buona Novella: «Tornate alla casa del Padre; il Regno dei Cieli è arrivato fino a voi».
    Conversione vera significa «cercare prima di tutto il Regno di Dio» (Mt. 6,33); «entrare nel Regno di Dio, accettare il Regno di Dio» con semplicità e umiltà (Mt. 18,3 e Mc. 10,15). Dio non chiama alla conversione soltanto in generale, per mezzo della sua lieta novella e dei suoi comandamenti. La conversione è di volta in volta il suo speciale invito, il suo dono personale al singolo uomo.
    In questo senso si comprende come la «conversione» per un cristiano, non possa essere delimitata da un periodo liturgico, ma è uno sforzo quotidiano, una conquista quotidiana. È un continuo mettersi in confronto della persona con il modello, Cristo. Perciò la quaresima continua, anzi deve continuare anche dopo Pasqua. Semmai la quaresima è il periodo dell'anno liturgico durante il quale la Chiesa ci invita con maggiore insistenza a riflettere sulla nostra vita cristiana.

    IL TERZO MONDO, LA FAME, LA CHIESA

    Il terzo mondo e la fame sono diventati temi «di moda». Ma c'è da temere che il terzo mondo sia usato come strumento delle proprie polemiche politiche o ideologiche: ci si serve del terzo mondo anziché servirlo. I popoli del terzo mondo devono essere amati per se stessi e va cercato veramente quanto conviene loro.
    Noi proponiamo alcuni spunti di riflessione: occorre guardare senza pregiudizi a questa realtà in perpetuo movimento. Mettendoci in ascolto delle realtà mondiali diventeremo più maturi e testimonieremo meglio il Cristo. Ciascuno può informarsi e documentarsi: il problema è così esplosivo che basta scorrere l'annata di una qualsiasi rivista. A titolo di esempio, riportiamo stralci di alcuni articoli comparsi nel 1969 sulla rivista «Mondo e Missione» e due documenti preparati dal Movimento Sviluppo e Pace.

    Sinodo dei Vescovi - Roma, ottobre 1969

    Non ha fatto notizia, la gente non se n'è accorta. Ma bisogna evitare il pessimismo. II tema del Sinodo era la collegialità, cioè il potere comunitario che Papa e Vescovi dovrebbero esercitare insieme su tutta la Chiesa. I 146 cardinali e vescovi convenuti a Roma, da ogni nazione del mondo, dovevano dapprima discutere i principi teologici di questa collegialità, poi passare alla sua applicazione...
    Ma è intervenuto un fatto nuovo, assolutamente inatteso: l'apparizione sulla scena della Chiesa delle giovani cristianità del Terzo Mondo che hanno richiamato le Chiese sorelle dell'Occidente ad una maggiore concretezza, invitandole ad applicare la «collegialità», cioè l'amore fraterno tra le varie Chiese, in un impegno comune per le nazioni povere.
    Un campo d'applicazione immediata della collegialità è stato ravvisato nella cooperazione per lo sviluppo delle nazioni povere. Anche a tale riguardo è stato emesso un voto che ha riscosso l'approvazione piena di 134 padri e quella condizionata di altri 4, mentre nessuno si è dichiarato contrario. Esso afferma testualmente:
    «Per il progresso dei popoli tutti i vescovi e tutte le conferenze episcopali illuminino diligentemente e orientino la mentalità del clero e del laicato a favorire con generosità, secondo lo spirito del Concilio, ogni iniziativa, rivolta a promuovere la giustizia in favore dei popoli poveri.
    «Le Conferenze episcopali sostengano in maniera più concreta le iniziative del Sommo Pontefice per costituire un fondo per il progresso delle nazioni povere. La Pontificia Commissione Giustizia e Pace suggerisca i modi per illustrare meglio questo problema e provare per esso pratica soluzione».
    È stato soprattutto il card. Marty di Parigi, tra i padri europei, a richiamare l'attenzione su questo problema, facendosi eco autorevole delle richieste della stragrande maggioranza dei vescovi del Terzo Mondo. Durante il Sinodo egli ha affermato: «La Chiesa è per gli uomini. Di conseguenza lasciamo da parte le dispute inutili e prendiamo in considerazione la realtà umana così come si presenta a noi oggi». E, nel suo intervento finale, mentre proponeva che al prossimo Sinodo siano presi in considerazione tre problemi urgenti (crisi dei preti, pastorale sacramentale, Terzo Mondo), lanciava questo interrogativo ai suoi colleghi: «Come le nostre Chiese particolari si sono impegnate sulla via tracciata dalla Populorum Progressio? Come deve avvenire questo impegno non solo da parte del cristiano ma di tutta la Chiesa particolare? Stiamo attenti: ne va di mezzo la credibilità della Chiesa agli occhi dei nostri contemporanei».

    Costruire tutto l'uomo

    Stralci della conferenza del 9 marzo 1969 a Milano del sacerdote francese Michel Quoist, segretario del Comitato episcopale francese per l'America Latina e famoso scrittore.

    Non intendo fare una conferenza tecnica sul sottosviluppo: intendo parlare da prete, perché sono prete, e non da sociologo. Mi rivolgo soprattutto ai giovani, molti dei quali oggi si chiedono: «Perché vivere?». Ho viaggiato in parecchi paesi, ho conosciuto molti giovani e mi sono reso conto che sono sempre di più quelli che si pongono questa domanda. E se la pongono con ragione, perché è in essa che sta il valore dell'uomo, la sua superiorità.

    La creazione del mondo non è ancora finita 

    Oggi gli uomini vogliono sapere, vogliono avere una ragione per vivere, e io sono convinto che non si debba dire ai giovani il modo secondo cui devono vivere, ma prima di tutto il perché della vita.
    Dinanzi a noi sta il mondo, e noi ne facciamo parte; siamo nella storia umana e ne siamo trasportati. Qual è dunque il senso di questa storia, quale il nostro compito, il ruolo che dobbiamo svolgere?
    Ecco: noi dobbiamo costruire il mondo. La creazione non è compiuta, noi non crediamo a un Dio che all'inizio dei tempi ha creato e compiuto la sua opera, ma a un Dio che ha dato all'uomo la responsabilità di compierla. L'uomo, l'umanità, l'universo intero non hanno ancora raggiunto la compiutezza del loro essere. Dio però non ha imposto all'uomo un modo determinato per continuare la sua opera creatrice, l'ha lasciato libero di escogitare i mezzi più adatti e di agire responsabilmente. Non è l'uomo, non sono gli studenti di oggi che hanno inventato il concetto di partecipazione al mondo, è stato Dio. Fin dall'inizio del mondo. Egli ha chiamato l'uomo a partecipare alla costruzione del mondo; in questo sta la vera dignità umana.
    Questa collaborazione deve portare allo sviluppo integrale dell'uomo; ma, purtroppo, milioni di uomini non hanno ancora la possibilità di raggiungere un tale sviluppo. Bisogna allora prendere coscienza del fatto che Dio non può sopportare questo, che Dio non l'ha voluto: un solo uomo che sia in condizioni di inferiorità, incompiuto, è un peccato. Non dobbiamo ritenerci in pace e soddisfatti finché sulla terra esisterà anche un sol uomo che non abbia raggiunto il suo completo sviluppo.

    Difendere la dignità dell'uomo

    Ma come lavorare per la crescita integrale di tutti gli uomini?
    Prima di tutto dobbiamo sviluppare noi stessi, nell'ambito in cui ci troviamo; lavorare a fondo. Coloro che possono continuare gli studi, lo facciano con serietà e si sentano più responsabili degli altri di fronte al mondo. Essi infatti hanno ricevuto un dono che non è solo per loro, ma di cui devono dare frutti per tutti gli uomini. Siamo infatti una sola umanità, un solo corpo, e se nel corpo un membro si sviluppa, anche gli altri ne traggono giovamento. Non tutti i campi sono stati coltivati, non tutte le strade tracciate, non tutte le fabbriche sono state erette. È la creazione che continua attraverso il lavoro dell'uomo. Per questo fine noi siamo fatti: per costruire il mondo. Un mondo dove l'uomo possa pienamente vivere da uomo.
    Ma nel mondo non tutti gli uomini hanno un lavoro. Penso al Nord-Est del Brasile, a certe città con il 70% di disoccupati, di individui che non possono guadagnare da vivere, nè per sè nè per la famiglia. Sono uomini che non possono accedere alla loro dignità fondamentale. Non possono partecipare alla costruzione del mondo. Non hanno quindi la possibilità di essere pienamente umani.
    E voi sapete anche che nel mondo vi sono individui che, pur lavorando, non hanno responsabilità. Non si tratta di guadagnarsi semplicemente la vita, di partecipare ai benefici della società dei consumi, ma si tratta di partecipare alla responsabilità: l'uomo non vuole essere schiavo, ma prendere parte, al suo posto, alla costruzione del mondo.
    I giovani, gli studenti, hanno, in un certo senso, mostrato il cammino a molti lavoratori, troppo occupati del solo pane da guadagnare, dimentichi del dovere di difendere questa dignità essenziale. Il diritto alla responsabilità è per tutti gli uomini, di ogni parte della terra, mentre intere masse di uomini sono ancora in condizioni di schiavitù. Ecco ciò contro cui bisogna lottare con tutte le forze. L'uomo deve poter guardare in faccia il suo Dio per chiamarlo veramente Padre. Ma per arrivare a chiamare Dio» Padre», l'uomo dovrà anzitutto essere cosciente del suo valore di uomo, essere cioè veramente uomo.

    Lavorare perché l'amore regni nel mondo

    Ma non basta cooperare alla creazione: bisogna lavorare perché l'amore regni nel mondo, perché Cristo si incarni nel mondo.
    Che cosa serviranno all'uomo il progresso la potenza se con essi non si svilupperanno la sua potenza, la sua capacità di amare?
    E l'amore ha un nome: Gesù Cristo.
    Quando ero giovane dicevo di non credere in Dio, ma nell'amore. Quando incontrai per la prima volta le Scritture, mi colpì una breve frase della lettera di S. Giovanni: «Dio è amore». E, dopo la scoperta che Dio è amore, decisi di consacrarmi al Dio-Amore per dire agli uomini che è necessario incontrare questo Dio.
    Da allora ho viaggiato per il mondo, ho visto gli uomini progredire, e vi dico che bisogna, oggi più di ieri, che nel mondo ci sia amore. Cristo va ancora annunciato. Non una caricatura di Cristo, non una falsa immagine di Dio dobbiamo dare al mondo, ma il vero Dio, che è un uomo venuto fra noi, l'Amore incarnato pienamente in un uomo, in atti, in parole che noi possediamo. Il Vangelo va letto come una lettera d'amore, andando al di là delle semplici parole, direttamente incontro alla persona che l'ha scritto.

    Senza Cristo l'uomo costruisce un mondo inumano 

    L'uomo nel mondo moderno ha bisogno di Gesù Cristo, ha bisogno d'incontrare l'amore in Cristo, di aprirsi totalmente a Lui, per arrivare alla sua piena dimensione di uomo. Se nel mondo si vuol fare a meno di Gesù Cristo, bisognerà trovare qualcosa che lo sostituisca. L'uomo infatti non raggiungerà il suo pieno sviluppo se non sarà «divinizzato», ma per farlo deve incontrare Dio. Nessuno ha visto Dio, ma Cristo ce lo ha comunicato; è in lui solo che lo si può incontrare, e il mondo moderno ha bisogno di lui.
    Senza Cristo l'uomo costruirà un mondo inumano, e la sua forza non gli servirà a nulla: si devono disporre le strutture più giuste, ma se non cambia il cuore dell'uomo le strutture non servono; non bastano i muri lindi e puliti, l'uomo va cambiato, trasformato dall'interno, nella parte più profonda del suo essere. Bisogna dare l'amore all'uomo, e portare l'amore al mondo vuoi dire continuare il mistero della incarnazione.
    Certo, Cristo si è già incarnato in un corpo umano una volta e compiutamente, ma la discesa di Cristo in tutti gli uomini non è ancora compiuta. Cristo deve raggiungere e unire tutta l'umanità per farne un solo corpo; i raggruppamenti umani devono diventare comunità di uomini che si amano.

    Il rischio della nostra libertà

    Come l'incarnazione, anche la redenzione non è compiuta: sulla terra c'è il peccato e c'è la sofferenza.
    li peccato non è violazione di un regolamento, ma è una mancanza di amore, individuale e collettiva. Sono peccati la fame nel mondo, la miseria dei tuguri, l'analfabetismo, la guerra, tutti i flagelli del mondo. Non è Dio che manda le sofferenze nel mondo. Anche se molte sofferenze rimangono un mistero, è certo che l'uomo le ha accresciute e le sofferenze che egli ha apportato sono peggiori delle altre. Non è certo Dio a volere la fame, l'analfabetismo, la guerra! Taluni dicono che dovrebbe impedirlo, io dico di no; non può impedirlo perché ci ama.
    lo non voglio un Dio che mi guidi a distanza, non voglio un Dio che fermi il mio braccio quando sto per dare un pugno al mio nemico, e nemmeno che mi prenda quando sto per cadere. Voglio essere padrone io di dominarmi. II Dio che voglio è un Dio che mi ami e che mi aiuti con il suo amore, ma che non mi tolga la libertà e non mi tracci continuamente il cammino. Voglio rischiare la mia vita, voglio liberamente costruirla, e so che Dio lascia che io la costruisca proprio perché mi ama.
    Dio non ci ha privati della libertà, ha accettato il rischio del peccato, del non amore nel mondo, e la sofferenza che del peccato è conseguenza diretta. Ma è venuto sulla terra per lottare contro il peccato e la sofferenza: questa è la sua redenzione.

    Testimonianze

    Da una intervista concessa nell'estate 1969 al padre Toaldo del P. I. M. E. da dom Helder Càmara, arcivescovo di Recife.

    TOALDO – Si dice che lei attribuisce tutte le colpe del sottosviluppo all'imperialismo dei paesi ricchi e tace le colpe di quelli poveri. È esatto?

    CAMARA – No, non è vero. lo parlo volentieri del neocolonialismo dei paesi ricchi, ma denuncio anche i peccati sociali dei paesi in via di sviluppo.
    Non si può negare che all'origine della nostra miseria ci sono delle responsabilità gravissime del mondo ricco. Esistono palesi ingiustizie su scala mondiale. Due volte il Terzo Mondo ha cercato di ribellarsi, durante le Conferenze internazionali dell'UNCTAD, prima a Ginevra nel 1964 e poi a Nuova Delhi nel 1968, ma senza risultati tangibili. L'ex segretario generale di questo organismo, l'economista argentino Raul Prebisch, ha dimostrato, statistiche alla mano, che il problema fondamentale non è quello degli aiuti ma quello della giustizia nel commercio internazionale. Quando si confrontano i prezzi delle materie prime che noi vendiamo con quelli dei manufatti industriali che comperiamo, e le cifre di denaro che i paesi industriali investono nel Terzo Mondo coi profitti esorbitanti che ne traggono, risulta più che evidente l'ingiustizia. Senza una riforma profonda della politica internazionale del commercio non potremo mai cominciare il nostro sviluppo moderno. Per questo io continuo a ripetere che per cambiare le strutture del Terzo Mondo è necessario cambiare in parte anche quelle del mondo ricco. Dovete dimostrare all'uomo della strada d'America o d'Europa che una buona parte del suo benessere è basata sul sangue dei poveri del Terzo Mondo!
    Ma, ripeto, anche noi abbiamo i nostri peccati, tra i quali ce n'è uno capitale che si chiama colonialismo interno: un nucleo ristretto di ricchi che prospetrano sulla miseria delle masse. È anche su questo fronte che deve essere condotta la lotta contro il sottosviluppo. Bisogna svegliare le masse, renderle culturalmente mature, renderle coscienti dello sfruttamento che subiscono, organizzarle per produrre meglio, di più e più liberamente. A questo proposito lo sforzo deve essere soprattutto su basi regionali, non troppo vaste, perché i problemi non sono uguali dappertutto e non ci sono soluzioni che si confanno ad ogni situazione. Si deve pianificare su base regionale e incaricare appositi organismi di controllare l'attuazione dei programmi.

    TOALDO – Che tipo di aiuto vi attendete dai movimenti che si propongono come obiettivo generale la cooperazione con il Terzo Mondo?

    CAMARA – Due cose principalmente. Anzitutto aiutare l'opinione pubblica dei paesi ricchi a capire i problemi del Terzo Mondo e soprattutto a prendere coscienza delle ingiustizie internazionali. Questa conoscenza dovrebbe spingere le masse a fare pressione sui governi perché accettino di cambiare le regole del commercio internazionale. Ciò è molto importante per la pace mondiale: senza giustizia non ci sarà pace. Tali movimenti però devono guardarsi dal creare pericolose illusioni e favorire le utopie che attendono rapidi e facili successi. Forse la presente generazione sarà una generazione sacrificata.
    In secondo luogo, questi movimenti devono impegnarsi in un'azione pratica, per aiuti concreti. Sarebbe assurdo incrociare le braccia in attesa che si muovano i governi. Molto si può fare in attesa dell'opera dei governi. Soprattutto io ci terrei a mettere in guardia questi movimenti dalla pretesa di suggerirci soluzioni scoperte da loro. Non amiamo che ci trattino da «sottosviluppati mentali» e ci credano incapaci di pensare e scoprire da noi le soluzioni.
    Sarebbe una forma di neocolonialismo culturale. Capiteci ed aiutateci concretamente: le grandi soluzioni per i nostri problemi tocca a noi scoprirle. E poi metterei in guardia tali movimenti contro un certo • perfezionismo», l'accettare cioè di dare aiuti solo per opere «importanti». Vi porto un esempio concreto. lo a Recife ho fondato due movimenti: l'Operazione Speranza che si propone l'animazione delle masse e lavora per elevare il livello di vita dei favelados, istituendo cooperative, corsi professionali, realizzando microrealizzazioni, ecc.; e la Banca della Provvidenza, che porta aiuti di emergenza ai più «deboli», a quelli incapaci di vera promozione umana perché troppo denutriti e culturalmente sprovveduti. Vi sembrerebbe giusto aiutare solo i «capaci» di sviluppo e abbandonare al loro destino gli «incapaci», i deboli?

    IL PROBLEMA DEL TERZO MONDO

    Le pagine seguenti costituiscono uno schema che può servire di traccia al fine di individuare gli argomenti da approfondire, discutere, studiare per interessarsi a fondo del problema delle nazioni di quasi tutta l'Asia, l'Africa, l'America Latina e cioè, con un'unica espressione, del problema del TERZO MONDO.

    RIASSUNTO DELLO SCHEMA

    1. I principali aspetti del problema sono:
    1. 1 il problema della fame
    1. 2 il problema dello sviluppo economico
    1. 3 il problema dello sviluppo umano integrale
    1. 4 il problema del confronto delle culture

    2. Le principali cause della situazione attuale si possono individuare in:
    2. 1 il colonialismo del passato
    2. 2 il neocolonialismo economico attuale
    2. 3 il neocolonialismo politico attuale
    2. 4 il neocolonialismo ideologico e il razzismo 2. 5 i meccanismi del commercio internazionale
    2. 6 le deficienze dei paesi del T. M.

    3. Ciò che noi, ciascuno di noi, può fare:
    3. 1 conoscere il problema
    3. 2 voler collaborare a risolverlo, anche con sacrificio personale
    3. 3 aiutare col proprio denaro, tempo, cultura, opera manuale
    3. 4 premere per i cambiamenti politici, culturali, economici
    3. 5 collaborare, qui, ad organizzare gruppi e iniziative a favore del Terzo Mondo o – in casi eccezionali e in presenza di qualità umane molto valide – andare là, sul posto, ad aiutare.

    1. I principali aspetti del problema del Terzo Mondo

    1. 1 II problema della fame 

    – Esistono, attualmente, circa 500 milioni di persone che lottano contro la fame vera e propria e milioni di persone muoiono letteralmente di fame.
    – Inoltre un miliardo e mezzo/due miliardi di persone sono sottoalimentate e mal-alimentate (non mangiano, cioè, a sufficienza i cibi di cui avrebbero bisogno) e, perciò, sono soggette a malattie, ecc.
    – Il mondo è molto più piccolo di un tempo e noi tutti conosciamo questa situazione. e nostro dovere intervenire:
    a) subito per dar da mangiare oggi a chi muore di fame e ha diritto di vivere;
    b) subito per collaborare affinché una situazione scandalosa come questa cambi radicalmente, nel più breve tempo possibile. Ciò anche a costo di modificare a fondo abitudini, mentalità, strutture socio-politiche che siano di impedimento al diritto, per ogni uomo, di essere libero dalla fame e anche politicamente, ideologicamente, religiosamente, ecc.
    Non aggiungiamo altri dati che, d'altronde, sono assai facilmente reperibili.

    1. 2 II problema dello sviluppo economico

    – I beni della terra debbono essere a disposizione di tutti, qualunque sia il sistema sociale e politico preferito.
    – Si deve cercare che ogni uomo abbia la possibilità di realizzare la propria personalità e capacità di svolgere il suo compito ad attivo servizio del prossimo.
    – Esistono delle grosse tensioni sociali, anche in Italia, perché quest'obbiettivo possa essere raggiunto (ad es. la possibilità per tutti di andare all'università, l'assistenza sanitaria, la possibilità di lavoro, le pensioni).
    – In moltissimi paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, non sono nemmeno gettate le basi per uno sviluppo di questo tipo.
    Non esistono sufficienti posti di lavoro.
    Non esistono mutue.
    Non esistono pensioni.
    Non esistono scuole.
    Il salario è insufficiente anche solo per vivere e non c'è la possibilità di risparmio per assicurarsi un minimo di serenità.
    Poveri, a confronto dei paesi industrializzati, sono quasi tutti: perché gli ospedali sono pochi; i dottori sovente inesistenti; inoltre le medicine introvabili (anche a essere benestanti); le scuole hanno posti limitatissimi; le case sono antigieniche (quando esistono); ecc.
    – Mentre cerchiamo di risolvere (nelle varie organizzazioni, sindacati, partiti, ecc.) i problemi nostri, dobbiamo premere perché vengano risolti i problemi degli altri (di cui noi, sovente, volendo o no, sfruttiamo la fame, perché beneficiamo del loro lavoro, delle loro materie prime e su queste creiamo il nostro benessere, mentre loro affondano nella miseria).

    1. 3 Il problema dello sviluppo umano integrale

    – In Italia si lotta perché i lavoratori partecipino alle decisioni e non siano solo delle macchine, più o meno ben pagate.
    – Si condanna la guerra nell'Irlanda del Nord perché non c'è effettiva libertà sociale e religiosa.
    – In Italia si chiede più tempo libero, per vivere più da uomini e meno da bestie al lavoro; per potersi divertire, ma anche per poter studiare, partecipare alla vita sociale, capire il perché si vive.
    – Si condannano i paesi che impediscono alla collettività la libertà politica e religiosa, che negano alle persone la libertà personale indispensabile per sentirsi uomini.
    – Tutte queste giuste richieste fanno parte dello sviluppo integrale dell'uomo, sviluppo che, come quello economico, rischia di essere completamente impossibile nel Terzo Mondo.
    – Bisogna che aiutiamo tutti:
    a) a poter essere uomini;
    b) a non essere usati come carne da cannone o come oggetti da lavoro o come macchine che devono consumare, o come massa di manovra di un partito; cioè dobbiamo operare per poter essere tutti corresponsabili delle cose che ci riguardano;
    c) a poter avere delle idee, una fede, a poterle dire, a poterle confrontare pacificamente con gli altri.
    Il Terzo Mondo corre il rischio di essere soffocato e di dover sottostare in tutto agli altri due mondi (occidentale e comunista).
    Nella corsa a superarsi, nella gara alla luna o nello sviluppo tecnologico e sociale, i ricchi si dimenticano delle necessità dei popoli poveri: intanto questi popoli possono sempre servire come produttori di materie prime o come massa politica.
    E se non servono a quello, non servono a nulla.
    Dobbiamo opporci a questo modo di pensare.
    Dobbiamo impedire che per avere una casa decente o solo per sfamarsi i popoli del Terzo Mondo siano obbligati a non pensare con la loro testa e debbano solo ubbidire; siano costretti a lavorare tanto da non poter più essere indipendenti ideologicamente e politicamente.

    1. 4 Il problema del confronto delle culture

    – La civiltà europea ha molti meriti e ha avuto anche dei difetti.
    – Esistono altre civiltà nel mondo che hanno meriti e difetti.
    – In Piemonte c'è stato – e c'è ancora – il problema dei meridionali: è sbagliato credere che la ragione o il torto sia, in ogni cosa, in ogni idea, tutto da una parte o dall'altra.
    – Dobbiamo accettare il confronto, il dialogo, con gli altri; dobbiamo cercare di capire indiani, cinesi, africani, sud-americani e fare in modo che ciascuno possa vivere, nel rispetto degli altri, la propria cultura: che ciascuno possa fare liberamente le proprie scelte e non sia costretto a scegliere da imposizioni politiche, economiche, culturali.
    – L'origine del razzismo è nel credere che tutti gli altri siano esseri inferiori: e razzisti siamo un po' tutti, non solo i sud-africani. Proviamo a pensare se lasceremmo sposare un figlio con una donna di colore o se prenderemmo volentieri ordini da un capofficina marocchino o se vivremmo tranquilli in un quartiere negro.
    – Una delle cause della situazione del Terzo Mondo, è, proprio, il razzismo che non considera col dovuto rispetto la libertà e le caratteristiche di ogni cultura.

    2. Le principali cause della situazione attuale

    2. 1 II colonialismo - Le cause del passato

    – Lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dei conquistatori.
    – Lo schiavismo e i massacri che hanno ridotto in Africa ed in America del Sud le capacità lavorative delle popolazioni.
    – L'imposizione a nazioni intere di coltivare un solo prodotto e di basare tutta l'economia su questo prodotto. Ciò ha portato alla impossibilità di essere parzialmente autosufficienti e a far dipendere la vita di tutta una nazione dai venti favorevoli o dalle piogge o dalla voglia degli europei di bere caffè o mangiar cioccolato o banane.
    – La dominazione politica e militare.
    – L'arresto della evoluzione sociale, appoggiando le oligarchie esistenti.
    – I benefici apportati dal colonialismo – che, obiettivamente, ci sono stati –sono stati quasi completamente sommersi dai danni.
    – La cosa più grave è che ciascuno di noi, borghese o operaio o padrone, sta, adesso, sfruttando i benefici apportati a noi dal colonialismo.

    2. 2 II neocolonialismo economico attuale

    – Lo sfruttamento delle materie prime senza che i benefici rimangano alle popolazioni di quei paesi.
    – L'alleanza con le oligarchie locali, pur di aver vantaggi economici. – Il non creare industrie di trasformazione e manifatturiere in loco, la produzione di tutti i manufatti finiti fuori delle nazioni interessate, facendo poi pagare assai cari i prodotti quando vengono rivenduti alle nazioni che avevano la materia prima.
    – L'introdurre beni di consumo inutili (auto lussuose, liquori, sigarette, panfili, ecc.) o dannosi che diseducano la gente e fanno sprecare le risorse che dovrebbero essere impiegate per scopi sociali.
    – Il tenere in mano le decisioni economiche generali delle nazioni del Terzo Mondo e manovrarle senza tener conto, in primo luogo, degli interessi locali,
    – Lo sfruttare le bustarelle, la corruzione personale, ecc. considerandole come normale e accettabile attività economica di bilancio.

    2. 3 Il neocolonialismo politico attuale

    – Il dare aiuti solo ai propri amici politici.
    – Il toglierli a chi non è più amico politico.
    – Il mantenere al potere gli amici – voluti o no dalle popolazioni – fornendo armi a tutto spiano.
    – Il considerarsi liberi di fare come si vuole nei paesi che cadono nella propria area d'influenza politica.
    – L'imperialismo moderno, fatto di sfere d'influenza, di protezione degli interessi delle grandi potenze, di soggezione dei piccoli e di schiacciamento di chi vuole ribellarsi.
    – Il mettere tutto in funzione della vittoria della propria ideologia, quale essa sia, e il non mettere innanzi la risoluzione del problema dello sviluppo.
    – Il disinteressarsi, o l'interessarsi solo a parole, di quello che capita nell'altra sfera d'influenza, a meno che si veda la concreta possibilità di un vantaggio politico.

    2. 4 II neocolonialismo ideologico e il razzismo

    – L'imporre le proprie idee politiche sulla punta delle baionette, delle rivoluzioni, delle industrie, senza badare a cosa pensano gli interessati.
    – Il credere che la propria ideologia politica sia l'unica che risolva tutti i casi del mondo e il disinteressarsi per lo meno di adattarla caso per caso.
    – L'esportare, insieme ai prodotti, alle armi, alle tecniche, le idee politiche –di ogni tendenza – facendo credere che le possibilità di sviluppo tecnico, economico, culturale passino unicamente attraverso certe idee politiche ben precise, quando le possibilità sarebbero invece molte e diverse.
    – Il non credere che nella cultura degli altri ci siano dei valori utili per lo sviluppo (e per noi) anche se diversi dalle nostre idee correnti.
    – L'imporre, come valore unico cui tendere, il successo economico, quando questo è solo uno strumento per lo sviluppo integrale dell'uomo.
    – Il razzismo che colpisce ancora duramente in molte parti di tutto il mondo e che fra l'altro nega i diritti delle minoranze sacrificandole – e sacrificando esse sole – al bene comune.

    2. 5 1 meccanismi del commercio internazionale

    – L'accettare (da tutte le nazioni) che il commercio internazionale si svolga secondo il meccanismo della pura domanda e offerta.
    – Con la sola eccezione per i paesi amici politicamente.
    – Con la creazione di mercati comuni interni (C.E.E., Comecon, Efta, ecc.) che proteggono i paesi firmatari e danneggiano i paesi del Terzo Mondo.
    – Il distruggere le proprie eccedenze alimentari (l'Italia nel 1969 ha distrutto arance, mele, ecc.).
    – Il non favorire la stabilizzazione dei prezzi internazionali delle materie prima (nel 1954 una jeep valeva 14 sacchi di caffè; nel 1962 ne valeva 39).
    – Il non favorire la emunerazione proporzionale al lavoro svolto – e alle necessità familiari – tenendo conto del potere d'acquisto della moneta – in qualunque paese questo lavoro venga svolto.
    (Il potere d'acquisto corrispondente ad una giornata di lavoro di un operaio o contadino brasiliano o indiano è enormemente minore di quello di un operaio americano o italiano).
    – I prestiti, che da aiuto diventano un nuovo carico economico e politico, perché aumentano – coi loro tassi di interesse – il debito del paese, che finisce di lavorare solo per pagare interessi. (Gli aiuti all'Africa servono quasi solo per coprire il valore degli interessi che l'Africa paga per i prestiti che le sono stati fatti).

    2. 6 Le deficienze dei paesi del Terzo Mondo

    La mancanza di una classe dirigente adeguata e tecnicamente preparata.
    – La larga corruzione esistente.
    – La fragilità delle organizzazioni statali di nazioni sovente divise da confini assurdi.
    – Le conseguenti lotte razziali all'interno di una nazione.
    – Le lotte religiose.
    – L'esasperazione nazionalistica, dopo decenni di colonialismo.
    – La difficoltà di far maturare i valori della propria cultura e a confrontarli serenamente con quelli di altre culture.
    – L'incapacità di resistere a ideologie e modi di fare importati dall'estero e che, se anche in altri casi hanno avuto successo, nella situazione locale possono essere dannosi.
    – Il potere sia economico che politico accentrato nelle mani di pochissimi.
    – L'indifferenza, a volte, verso i poveri e la persona singola.
    – Tradizioni a volte controproducenti, date le mutate condizioni generali.

    3. Ciò che noi, ciascuno di noi, può fare

    3. 1 Conoscere il problema

    – cercare di conoscere i dati;
    – cercare di capire le condizioni e le culture locali;
    – valutare le situazioni e cercare di capire come ci sia una rete di rapporti fra economia, cultura, politica, Terzo Mondo, Europa, ed anche ciascuno di noi;
    – criticare le notizie fornite e già manipolate dai normali mezzi d'informazione;
    – far conoscere il problema agli altri.

    3. 2 Voler collaborare a risolverlo anche con sacrificio personale

    – essere in grado di modificare le proprie idee;
    – considerare il problema come un problema nostro;
    – capire le nostre corresponsabilità;
    – capire che facciamo poco o niente per risolverlo, oltre – al massimo – ad una gran quantità di parole, più o meno grosse.
    – Voler fare qualcosa anche con:
    a) sacrificio economico personale;
    b) sacrificio economico collettivo (categoria, nazione) cioè accettare e volere che l'Italia si interessi, come nazione, alla risoluzione del problema; c) sacrificio di tempo (dedicandone un po' a questi problemi).

    3. 3 L'aiuto finanziario

    – per far conoscere il problema;
    – per aiutare chi oggi muore di fame;
    – per proporre realizzazioni esemplari per lo sviluppo;
    – per cominciare processi di cambiamenti a livello regionale, nazionale, internazionale.

    3. 4 Premere per i cambiamenti politici, culturali, economici

    Associarsi o promuovere azioni, ad esempio:
    a) il servizio volontario;
    b) l’1 o il 2% del reddito a favore dei paesi del Terzo Mondo;
    c) la gestione internazionale dei fondi di aiuto, in modo che essi siano controllati e usati più da chi li riceve che da chi li dà:
    d) la conversione delle spese militari in spese per lo sviluppo;
    e) la modifica del commercio internazionale e delle sue norme che aumentano la povertà dei popoli poveri;
    f) adeguare gran parte degli utili ricavati dagli investimenti del Terzo Mondo, per opere sociali a beneficio delle popolazioni locali;
    g) la diminuzione dei tassi di interesse dei prestiti alle nazioni del Terzo Mondo;
    h) lo sganciamento dalle oligarchie e il passaggio degli aiuti attraverso organismi che assicurino il loro impiego direttamente a favore degli interessati;
    i) l'eliminazione dei due blocchi politici contrapposti, dello strapotere delle grandi nazioni e della corsa alla bomba atomica;
    I) l'aumento del peso politico, nelle decisioni internazionali, dei paesi del Terzo Mondo;
    m) l'accettazione di contrazioni dei redditi nazionali (che devono essere meglio distribuiti anche all'interno dell'Italia) a favore del Terzo Mondo;
    n) l'eliminazione del razzismo;
    o) l'integrazione delle culture; eccetera.

    3. 5 Collaborare qui a gruppi e iniziative per il Terzo Mondo o andar là a lavorare

    È possibile:
    – la partecipazione attiva a movimenti specializzati per collaborare od affrontare il problema del T. M.;
    – smussare le proprie idee per poter collaborare con gli altri e per poter fare effettivamente qualcosa, anche se non è proprio tutto quello che vorremmo o esattamente come lo vorremmo;
    – non pretendere tutto dalle strutture o dagli altri, ma darsi da fare, accettando anche la presenza di altri;
    – fare anche i modesti lavori organizzativi e manuali;
    – qualora se ne avessero le capacità (cosa estremamente difficile) e le possibilità (cosa altrettanto difficile) andare nel T. M. per aiutare a promuovere lo sviluppo (cosa ancor più difficile dati i problemi psicologici, politici, culturali, umani, ecc.).

    BIBLIOGRAFIA

    Nelle pagine precedenti abbiamo proposto appunti per riflessioni.
    Segnaliamo ora alcuni libri particolarmente utili per la QUARESIMA DI FRATERNITÀ

    Camara H. - TERZO MONDO DEFRAUDATO - pagg. 170, L. 700.
    I discorsi del più celebre vescovo sud-americano.

    Abbé Pierre - INCONTRO ALL'UOMO - pagg. 148, L. 800.
    Discorsi e conversazioni sui problemi sociali del «terzo mondo» di un grande profeta del nostro tempo.

    Gheddo P. - LA FAME NEL MONDO - pagg. 150, L. 800.
    Analisi approfondita ma chiara e facilmente leggibile del massimo problema di oggi.

    Drogat N. - I PAESI DELLA FAME - pagg. 188, L. 1000.
    Volume di documentazione sulle difficoltà interne che i paesi in via di sviluppo incontrano per progredire.

    Kiefer - Risse - MISEREOR, UN'AVVENTURA DELL'AMORE CRISTIANO - pagg. 226, L. 1000.
    La meravigliosa esperienza della «Misereor» in tutto il mondo sottosviluppato.

    Gheddo P. - DOCUMENTI PONTIFICI SUL PROBLEMA DELLA FAME - pagg. 172, L. 900.
    Raccolta di documenti degli ultimi pontefici sui problemi sociali del «terzo mondo» e sulla giustizia sociale internazionale.

    Abbé Guillaume - DIGIUNO E CARITÀ - pagg. 56, L. 300.
    Guida pratica alla Quaresima vissuta per i fratelli affamati.

    Abbé Pierre - FAME E IMPEGNO CRISTIANO pagg. 48, L. 300.
    Riflessioni spirituali partendo da esperienze concrete.

    Farine P. - CONTRO LA FAME - pagg. 56, L. 300.
    Direttive per un'azione concreta.

    Lacoste Y. - GEOGRAFIA DEL SOTTOSVILUPPO - Ed. Saggiatore.

    Houtard F. - Pin E. - IL DRAMMA DELL'AMERICA LATINA - Ed. Cittadella, Assisi 1968, pagg. 248, L. 1800.
    63 milioni di abitanti nel 1900; circa 163 milioni nel 1960; circa 600 milioni nel 2000. Queste statistiche allarmanti costituiscono uno degli aspetti del «dramma «dell'America Latina.

    Rigotard J. - VINCERÀ IL TERZO MONDO? - Ed. Casini, Bologna 1968, pagg. 272, L. 1200.
    Agli interrogativi che il terzo mondo pone con drammatica urgenza, l'Autore vuole dare qui una risposta, avvalendosi della conoscenza diretta.

    Nota – Il Movimento Sviluppo e Pace è a disposizione per indicazioni bibliografiche, informazioni, scambi culturali, indicazione di esperienze operative, ecc.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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