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    Preadolescenza, età da evangelizzare?



    Roberto Giannatelli

    (NPG 1971-04-86)

    Parte quarta
    LE LINEE DI METODO

    Premessa

    Se obiettivo della nostra catechesi è portare il preadolescente a una «mentalità di fede» proporzionata alla maturazione psicologica del soggetto e capace di interpretargli la matrice socioculturale in cui è inserito (cfr. RdC, cap. III), il metodo per raggiungere questo obiettivo sarà rappresentato dall'insieme degli interventi educativi (proposta di valori, promozione di esperienze educative, guida dell'educatore e di gruppo, ecc.) che si rendono necessari o utili per il suo conseguimento. Una prima riflessione che viene ora da fare è la seguente: un obiettivo così impegnativo come è appunto la mentalità di fede, non può essere il risultato di tecniche semplicistiche o peggio di «formule magiche». L'obiettivo posto dal RdC supera la semplice sequenza di lezioni di catechismo, per farci sconfinare nel campo più vasto dell'educazione e della pastorale. Tuttavia, noi ora cercheremo di limitare il discorso al settore strettamente catechistico per individuare il contributo specifico che occorre dare a livello metodologico in vista della formazione di una mentalità di fede nel preadolescente.
    Ci ispiriamo, nel tracciare queste linee di metodo, alla definizione di catechesi data dal «documento di base» francese per la catechesi dei ragazzi della sesta e quinta classe (11-12 anni), già riportata in un nostro precedente articolo [1].
    «Per catechesi intendiamo un'azione nella quale degli esseri concreti assumendo la loro esistenza umana secondo le proprie capacità, ascoltano nella Chiesa la Parola di Dio, riconoscono il senso cristiano della loro vita, ed esprimono la loro fede al Dio di Gesù Cristo».
    Ci baseremo dunque su questa definizione di catechesi che porta la firma dell'episcopato francese per indicare alcune opzioni metodologiche per la catechesi dei preadolescenti:
    • il metodo antropologico dell'interpretazione della vita
    («assumendo la loro esistenza umana... riconoscono il senso cristiano della loro vita»);
    • il metodo biblico della proposta («ascoltano nella Chiesa la Parola di Dio»);
    • il metodo dell'attivismo cristiano («esprimono la loro fede»);
    • il gruppo come luogo e soggetto di catechesi («degli esseri concreti ... ascoltano nella Chiesa...»).

    Il metodo antropologico

    Può destare sorpresa il costatare quanto rapidamente l'asse della catechesi si sia spostato dal metodo biblico-liturgico a quello antropologico. Non più di vent'anni fa, il metodo biblico era considerato come la grande conquista dei tempi nuovi: veniva dato l'addio al nozionismo e all'astrattismo dei vecchi formulari catechistici, per impossessarsi in maniera definitiva della ricchezza, della vitalità, della concretezza del messaggio biblico. Ovunque si è posto mano a creare un catechismo, si è tentato di offrire una nuova sintesi secondo le grandi linee della storia della salvezza, di formulare un linguaggio più concreto ad imitazione di quello stesso impiegato nella Bibbia, di introdurre nell'insegnamento della religione le categorie personalistiche su cui è impostata tutta la trama della S. Scrittura: alleanza, regno, comunione, salvezza, ecc. I frutti del rinnovamento della catechesi in senso biblico sono noti a tutti i cultori di catechetica: il celebre catechismo tedesco (per i 10-13 anni) del 1955, il catechismo austriaco del 1960, quello canadese del 1963, ecc. Ma proprio in Germania, dove il metodo biblico era stato approfondito e si era affermato più che non in altri paesi, si è avvertita, all'indomani del Concilio Vaticano II, la necessità di superarlo: «la realtà di vita dell'uomo è il principio didattico del nuovo catechismo» [2].
    Non solo in Germania. L'interesse della catechesi, almeno nei paesi di cultura occidentale, è ormai rivolto al metodo antropologico. Basti ricordare il Congresso catechistico internazionale di Medellin (1968), il direttorio catechistico olandese del 1964 e il catechismo degli adulti del 1966, il «fondo obbligatorio» francese del 1967 (per le classi 8a e 7a) e il «documento di base» del 1970 (per le classi 6a e 5a), i recenti catechismi sud-americani come quello brasiliano per i ragazzi delle «favelas», ecc.. Anche il «documento di base» per il nuovo catechismo italiano, si muove decisamente in questa direzione [3].
    Ma che cosa propriamente significa metodo antropologico? Cerchiamo di dirlo brevemente, rinviando per altre considerazioni alle riflessioni già fatte nell'articolo precedente (cfr. «Note di Pastorale Giovanile», 1971, n. 1) e agli studi più approfonditi [4].

    ♦ Il metodo antropologico esige che la vita, l'esperienza del preadolescente non sia ridotta solo al ruolo di «aggancio psicologico», «punto di partenza», «applicazione morale», ma venga assunta seriamente come contenuto della catechesi. «L'esperienza è già annuncio», si dice in linea con quanto afferma il RdC sui «segni creaturali» come fonte di catechesi ([5]. Certo la pienezza dell'annuncio si ha nell'esperienza religiosa vissuta da Israele, in Gesù Cristo, nella Chiesa presa nella sua totalità. Ma ciò non toglie che l'esperienza del preadolescente venga considerata nella catechesi come realtà da interpretare in primo luogo, ma anche come realtà ricca in se stessa di significato. Ne consegue che non solo il catechista, ma anche il ragazzo, con le sue aspirazioni e il suo mondo culturale, è un valido interlocutore della catechesi.

    ♦ Poiché il senso finale e definitivo dell'esperienza non emerge dall'esperienza stessa, ma dalla «parola di salvezza» (Atti 13,26) che abbiamo conosciuto in Cristo, l'interpretazione dell'esperienza è necessariamente orientata verso la Parola di Dio contenuta nella Bibbia, celebrata dalla Liturgia, formulata nella dottrina della Chiesa. La «catechesi d'interpretazione» è aperta alla «catechesi di proclamazione». A patto tuttavia che quest'ultima rimanga continuamente ancorata al reale (senza cadere perciò in un «biblicismo» e «liturgismo» lontano dalla vita) e che il «più essere» rappresentato dall'incontro con Cristo non appaia come realtà avente nulla a che fare con la vita quotidiana (la concezione del reale a due piani, l'uno naturale e l'altro sopra-naturale, non sembra rappresentare una felice immagine per indicare il carattere gratuito del dono di Dio), ma sia al contrario profondamente «incarnata» in essa. Il punto nodale di una catechesi d'interpretazione sta appunto qui: nel fare emergere un'esperienza, ampliarla e approfondirla fino a renderla significativa per il soggetto e metterla a confronto con il Cristo risorto presente nella Chiesa d'oggi.

    ♦ Secondo il metodo antropologico, la catechesi viene concepita non come «trasmissione di una dottrina», ma in funzione della «formazione di una mentalità»; mentalità intesa come «inclinazione permanente a giudicare e ad agire secondo il pensiero di Cristo, con spontaneità e vigore», come capacità di integrare abitualmente «fede e vita», (RdC, 52 e ss.) .
    «Catechesi è annunciare in modo tale che i giovani giungano alla decisione personale di prendere un atteggiamento cristiano di fronte alla situazione concreta. Finché non giungono a questa decisione, avremo forse trasmesso esemplarmente un corredo di conoscenze religiose, ma non abbiamo fatto catechesi, cioè educazione della fede» [6] .
    L'obiettivo che pone il metodo antropologico, comporta uno spostamento anche della scelta dei mezzi e dei procedimenti.
    La «catechesi-trasmissione di un messaggio» era prevalentemente rivolta all'acquisizione di conoscenze impiegando tutte le tecniche di cui dispone la didattica moderna: ricerche, schede di lavoro, prove oggettive, ecc. La «catechesi-formazione di una mentalità di fede», senza dimenticare la dimensione intellettuale della fede, fa leva su altri mezzi come: il gruppo, la testimonianza dell'adulto, il far esperienze in comune (visite caritative, impegno sociale, ecc.), la celebrazione liturgica, la documentazione e la discussione, ecc.

    E per i preadolescenti?

    Le cose finora dette rappresentano un discorso di fondo. Ma dovremo ora rapportarlo al mondo del preadolescente.
    Quali sono le sue esperienze significative che attendono di essere illuminate dalla Parola di Dio? Alcune sembrano evidenti per chi vive a contatto con i ragazzi: la famiglia (che a questa età conserva ancora un posto molto importante), la scuola, l'amicizia, i divertimenti, ecc. Ma si dovrebbe scavare più a fondo per ritrovare nella vita dei preadolescenti le esperienze fondamentali che si riconducono più facilmente alla problematica religiosa. Ad es.: l'esperienza del «dono» verso gli 11-12 anni (il ragazzo è ancora principalmente un essere che riceve: a casa, a scuola, nella chiesa. Perché avviene questo? La vita non è forse nella sua totalità espressione del grande mistero di un «dare e ricevere» che ha il suo principio in Dio stesso?); l'esperienza della scoperta di sé e dei propri problemi verso i 13-14 anni; l'esperienza della scoperta dell'altro, della dimensione sociale della vita un poco più tardi. Una catechesi di interpretazione esige dunque che si mettano a fuoco le esperienze significative dei preadolescenti. In secondo luogo si dovrebbe progettare uno schema di incontro, un itinerario di catechesi che aiuti l'educatore ad attuare efficacemente i principi di questo metodo. Qui riferiremo quanto abbiamo studiato e realizzato nello «stage» degli studenti dell'Istituto di Catechetica di Roma. Ma, evidentemente, non è questo l'unico procedimento possibile.

    Un itinerario di catechesi d'interpretazione dell'esperienza

    1. La tua esperienza: si prende coscienza di un fenomeno o di un problema del mondo preadolescenziale (tecniche che favoriscono l'approccio: fotografie, raccolta di documenti, questionario di «analisi di mentalità», interviste, ecc.).

    2. Allargamento e approfondimento dell'esperienza: la cernita dei primi documenti aiuterà a precisare i punti su cui si deve continuare e approfondire la ricerca (i preadolescenti hanno bisogno della guida dell'educatore per allargare la loro esperienza).
    Si faranno poi notare le aspirazioni profonde comuni a tutti gli uomini, riconducendo ogni esperienza alle sue matrici universali. Questo lavoro può essere svolto almeno in parte fuori dell'ora di religione.

    3. Discussione della documentazione (nella 2a ora di religione). I gruppi riferiscono sulla documentazione raccolta, sulle ricerche fatte, ecc. Il catechista dà i risultati del questionario di «analisi di mentalità» (se è stato applicato), guiderà il gruppo a precisare i problemi, a selezionare la documentazione, a porsi domande essenziali, a mettersi già a confronto con la Parola di Dio («Avete sentito dire... Ma io vi dico...»).

    4. Interpretazione cristiana dell'esperienza (3a ora)
    Suscitato l'interesse per la Parola di Dio, considerata come una realtà viva nella Chiesa d'oggi, il catechista impegna almeno un gruppo a continuare la ricerca in questo senso.
    Ad es.:
    – Che cosa dice la Bibbia su questo argomento? (si può limitare la ricerca a un Vangelo o a una lettera di S. Paolo).
    – Come vive oggi la Chiesa questa verità? (si può esaminare un brano del Concilio, una lettera del Papa o dei Vescovi, la testimonianza di una comunità cristiana, ecc.).
    Alla fine della ricerca, il catechista fisserà con i ragazzi la sintesi finale (i «punti fermi») di questa catechesi. La sintesi sarà dettata e trascritta sul quaderno personale o di gruppo.
    Si ricordi che l'interpretazione cristiana dell'esperienza non è solo il metodo della catechesi, ma soprattutto l'obiettivo a cui essa deve tendere.

    5. Impegno personale e di gruppo
    Si invitano i ragazzi a precisare gli obiettivi che hanno raggiunto durante la catechesi e a tradurli in impegni personali e di gruppo.

    Il metodo biblico

    L'induzione dalla vita non è l'unico procedimento per una catechesi dei preadolescenti. È possibile partire anche dalla Bibbia. Anzi, vi sono momenti della catechesi (nella stessa catechesi di interpretazione o come alternativa ad essa) e periodi della vita del soggetto (all'inizio della scuola media, ad es.) in cui il metodo biblico può rivelarsi maggiormente adatto.
    Il metodo biblico è stato il più conosciuto e diffuso nella catechesi degli ultimi decenni. Ad esso si ricollega il famoso «Metodo di Monaco» formulato agli inizi del secolo e i successivi adattamenti come quello proposto recentemente da G. Weber [7].

    Itinerario della lezione di catechismo secondo il Metodo di Monaco e di G. Weber
    NPG 1971-04-91

    Non pochi testi di religione anche italiani (quando erano ispirati da un metodo di catechesi e non si abbandonavano all'improvvisazione!) hanno adottato sostanzialmente il «Metodo di Monaco». Si pensi al l° volume de «La scoperta del Regno di Dio» (Ed. L.D.C.).
    Oggi però si preferisce impiegare l'induzione biblica in chiave di interpretazione esistenziale: a partire cioè dai sentimenti, atteggiamenti ed esperienze religiose vissute dai personaggi biblici, si ridestano o si approfondiscono esperienze analoghe presenti nella vita dei ragazzi di oggi. Il catechismo canadese ha scelto, per es., questa strada. Ma ci sono ormai numerose catechesi, soprattutto d'origine tedesca, che battono la medesima pista [8].

    Itinerario di catechesi biblica secondo il catechismo canadese
    NPG 1971-04-92


    Gli Autori del catechismo offrono una spiegazione di questo itinerario. La loro catechesi per i preadolescenti non vuole essere in primo luogo una catechesi degli avvenimenti biblici, ma una catechesi degli avvenimenti della vita attuale. Alla luce degli avvenimenti e dei personaggi della Bibbia, gli alunni saranno invitati a gettare uno «sguardo nuovo» sulla loro vita attuale e su quella del mondo moderno.
    L'avvenimento biblico rende l'uomo capace di interpretare i fatti attuali, di ricavarne un significato nuovo come non saprebbe fare la ragione abbandonata a se stessa. La Bibbia offre i «principi di intelligenza» per l'«oggi di Dio».
    «C'è la vita, la mia vita, quella degli altri, la nostra vita per gli altri, con i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue gioie, le sue sconfitte, le sue speranze, le sue ricerche, ecc.
    C'è un dato rivelato che dà un senso nuovo a tutte le realtà e a tutti i valori della vita, che "rivela" e proietta una luce totalmente differente su questi elementi umani della vita.
    I fatti del passato (partenza di Abramo, racconto biblico della creazione, invettive dei profeti, ecc.) non devono dunque essere presentati in se stessi e per se stessi, ma nel loro significato attuale, cioè nella misura in cui essi si illuminano e trasformano le situazioni e i fatti attuali della vita dei giovani» [9].
    Un recente tentativo italiano per presentare in questa prospettiva la storia della salvezza sono i due volumi di G. Gianolio, Storia divina. Catechesi biblica per i preadolescenti, L.D.C. [10].

    L'attivismo per un'assimilazione ed espressione della fede

    L'attivismo, accanto al principio induttivo, è indubbiamente una delle grandi opzioni metodologiche della nuova scuola media. La catechesi stessa non ne può fare a meno, poiché anche in questa sede i ragazzi «imparano facendo». Assimilano meglio il contenuto della fede fino al punto che desti un atteggiamento corrispondente, se sono chiamati ad essere protagonisti della catechesi, e non solo quieti ascoltatori. Il ragazzo impara per quello che fa, che vede, che «tocca con mano», ed esprime nel gesto, nella discussione, nella celebrazione liturgica, nella vita.
    Anche qui ci sono delle sfumature da tenere presenti: in I media prevalgono le attività scolastiche come le ricerche, la documentazione, la drammatizzazione, ecc.; in III media ha un ruolo più grande il gruppo, la comunità scolastica che decide, discute, si costruisce la sua catechesi con l'aiuto insostituibile dell'animatore; a scuola prevale un'attività che è più in ordine all'apprendimento, nella parrocchia o nella comunità di base l'attivismo s'incarna profondamente nella vita stessa del gruppo. In ogni caso, resta confermato un capovolgimento di prospettiva rispetto a certe catechesi tradizionali: soggetto di catechesi non è più il catechista isolato dalla comunità, ma la comunità stessa con la presenza e la testimonianza del catechista.
    Si potrebbe ora esemplificare sulle attività catechistiche da proporre ai preadolescenti. Ad es., il catechismo tedesco del 1969 ne offre 6 o 7 per lezione, per un totale di 1008 attività in tutto il volume di religione per la scuola media. Alcune, le più numerose, sono di carattere biblico e suggeriscono ricerche sul testo della S. Scrittura, approfondimenti mediante paragoni e confronti con l'esperienza e la vita di ogni giorno. Altre attività si rivolgono al mondo della liturgia: guidano la ricerca sui testi del Messale o del rituale oppure quella sul linguaggio riferendo intere famiglie di parole affini all'esperienza del preadolescente; invitano alla composizione di preghiere in un «libretto personale». Altre attività richiedono ai ragazzi di scrivere lettere per informarsi del lavoro compiuto dai missionari, dalle organizzazioni cattoliche; di mettersi in contatto con compagni di confessione evangelica o ebrea. Soprattutto l'esperienza del preadolescente viene raggiunta in più modi dalle attività: attraverso appelli alla memoria del ragazzo, a situazioni di vita in cui si è trovato in famiglia, a scuola, nella società che è attorno a lui; altre volte l'alunno viene invitato a interrogare persone, a cercare informazioni, immagini o statistiche sui libri, riviste, giornali, ecc. Si dà molta importanza a questo momento di presa di contatto e di ampliamento dell'esperienza del preadolescente.
    Un altro punto che si potrebbe trattare, sono le tecniche utili per realizzare le attività: l'intervista, il questionario, la scheda di lavoro, ecc. Di queste se ne è interessata recentemente la rivista «Catechesi» e ad essa rinviamo quanti sono particolarmente interessati all'argomento [11].

    Il gruppo, luogo e soggetto di catechesi

    Su questo tema si è scritto molto negli ultimi anni soprattutto a proposito della catechesi degli adolescenti [12]. Ma l'«opzione di gruppo» incomincia a mostrare la sua validità fin dagli anni della preadolescenza. È questo infatti il momento in cui il ragazzo si «desatellizza» da quel catalizzatore quasi unico che era l'ambiente familiare, per «re-satellizzarsi» attorno al gruppo di coetanei in cui può liberamente esprimersi ed essere se stesso e dal quale riceve quadri di giudizio, valori, modelli di comportamento.
    Il gruppo a questa età è stato studiato soprattutto sotto il profilo didattico, come coefficente indispensabile che apre la vita scolastica alle esperienze sociali e permette di impostare la scuola su una base feconda di socialità «facendo dell'apprendimento un lavoro di cooperazione, non solo col maestro, ma con gli allievi stessi».
    Di meno è stato scritto sul ruolo del gruppo nella catechesi e nella pastorale. Eppure sta proprio qui - a nostro avviso - il punto nodale della nostra azione catechistica. O noi riusciamo a promuovere tra gli adolescenti un'esperienza di comunità che viva attivamente la fede nel Cristo risorto e presente nella Chiesa e nel mondo d'oggi, o noi abbiamo fallito il nostro scopo di catechesi (salvo ciò che riesce ad ottenere la famiglia senza questo apporto specifico della comunità cristiana).
    Con gli studenti del corso di pedagogia catechistica al Passo della Mendola, abbiamo promosso alcune esperienze di catechesi di gruppo tra preadolescenti di terza media (in ambiente parrocchiale). Ora, le acquisizioni ottenute nella sperimentazione realizzata nella diocesi di Treviso, ci sembrano degne di essere qui menzionate:

    • una catechesi decisamente orientata a promuovere una vita di fede nel preadolescente e a inserirlo nella comunità ecclesiale, trova il suo ambiente favorevole nella vita di un gruppo di coetanei. Il gruppo risulta essere adatto per una comune presa di coscienza del messaggio cristiano (il pensare e agire in comune dà sicurezza all'opzione di fede che il preadolescente è chiamato a fare) e favorisce l'esperienza di Chiesa che è uno degli obiettivi della catechesi;

    • il lavoro di gruppo riesce a queste condizioni:
    – che ci sia un clima di vera ricerca e di effettiva collaborazione;
    – che ci sia rispetto per le esperienze personali e vero dialogo;
    – che ci sia il desiderio di tradurre in vita quanto si va gradualmente scoprendo;
    – che, perciò il gruppo abbia già fatto un certo cammino insieme e quindi vi sia un clima di affiatamento e di interessi comuni;

    • sembra che il numero ottimale per un proficuo lavoro sia attorno a sette. Un numero maggiore potrebbe ridurre alquanto le possibilità di un vero dialogo;

    • la mixité sembra facilitare un clima di impegno, favorito dall'apporto soprattutto delle ragazze, che denotano una maggiore sensibilità;

    • per una buona riuscita del lavoro del gruppo, è decisiva la presenza del catechista animatore:
    – che conosca già il gruppo nella sua situazione socio-psicologica e perciò goda fiducia e confidenza;
    – che sappia coprire il suo ruolo a servizio del gruppo;
    – che abbia da una parte attenzione al messaggio cristiano e dall'altra ai ritmi di ricerca e di scoperta dei singoli;
    – che sia lui stesso una proposta cristiana, senza imposizioni autoritarie o eccessiva accondiscendenza;

    • accanto al catechista principale (sacerdote, suora o laico), è risultata di grandissima utilità la presenza di due giovani animatori (un giovane e una giovane nei gruppi misti) che fraternizzano con i ragazzi del gruppo, li aiutano nella ricerca e nelle attività, che offrono soprattutto un modello di vita cristiana giovanile e accettabile (non è questa una traduzione della «pedagogia dell'eroe» in un clima democratico e popolare?);

    • un gruppo di preadolescenti che ha condiviso per un anno intero l'esperienza cristiana, non si dissolve con la fine dell'anno scolastico. Nelle esperienze che abbiamo seguito, si è notato che i gruppi tendono a sopravvivere nell'anno successivo come comunità a sè, oppure a inserirsi nella comunità giovanile parrocchiale.
    A queste condizioni, il gruppo ecclesiale dei preadolescenti si manifesta come «un tentativo di fare la Chiesa nella comunità locale e di essere segno e luogo completo della proposta cristiana nel mondo».

    Conclusione: preadolescenza, età da evangelizzare?

    La risposta è necessariamente affermativa se prendiamo in considerazione alcuni «indici» che obbligano educatori ed operatori di pastorale a riflettere seriamente: la caduta della pratica religiosa, gli scarsi risultati dell'insegnamento della religione nella scuola media, l'assenza di una catechesi parrocchiale per questa età, il crollo delle associazioni tradizionali dei ragazzi, la secolarizzazione progressiva della società, l'influsso di mass media, ecc. (a questo riguardo è impressionante quanto è riportato nel n. 41 di «Catéchèse» dedicato al nuovo catechismo francese per gli 11-12 anni: la linea dello sviluppo religioso sembra andare inesorabilmente verso la non credenza, l'emarginazione e l'irrilevanza del fatto religioso nel mondo attuale. È la «fine del cristianesimo convenzionale»?).
    L'evangelizzazione dei preadolescenti è dunque un compito irrinunciabile: ma a quali condizioni? Nel corso di questi articoli abbiamo cercato di mettere in luce alcuni presupposti che ci sembrano necessari per dare vitalità ed efficacia alla catechesi dei ragazzi. Concludendo, vorremmo ribadire quella che è in definitiva la proposta essenziale del documento dei Vescovi italiani sul rinnovamento della catechesi: «Come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell'intera comunità» (RdC 200).
    Non si rinnova la catechesi e non si «evangelizzano» i preadolescenti, senza inserire questo fatto in un movimento di rinnovamento ecclesiale: senza una Chiesa viva, senza una comunità di adulti che testimoni e trasmetta generosamente la fede alle nuove generazioni.

    NOTE

    [1] «Note di Pastorale Giovanile», 1970, n. 11, p. 71.
    Il DB francese per la catechesi dei preadolescenti viene presentato ampiamente in: «Catéchèse», 1970, n. 41.
    [2] W. LANGER, Die Funktion des Katechetischen Arbeitsbuches «glauben und leben» im gegenwärtigen Religionsunterricht, in «Katechetische Blätter», 94 (1969) 8, pp. 450-59.
    [3] Cfr. RdC 52, 77, 164...
    [4] Jh. GEVAERT, Antropologia e catechesi, Torino-Leumann, 1971 (il cap. VII). Il n. 3 di «Lumen vitae» del 1970 è dedicato quasi interamente a questo problema con interessanti contributi di A. Exeler, P. Schoonenberg, M. Van Caster.
    [5] RdC, cap. VI. Si veda ad es. il n. 122: «la società dell'uomo e il nascente nuovo umanesimo, di cui parla anche il Concilio, sono segni rivelatori di Cristo e della comunione a cui il Padre chiama gli uomini nello Spirito...».
    [6] W. SARIS, School, pastoral en gezin, Nijmegen, 1968, pp. 117-118 (in trad. presso la L.D.C.).
    [7] G. WEBER, L'insegnamento della religione come annuncio, Torino-Leumann, L.D.C., 1964.
    [8] Per il catechismo canadese si consulti il nostro studio: Nuove vie per la catechesi dei preadolescenti, «Orientamenti Pedagogici», 1969, n. 4. Per la «linea tedesca» si veda: A. HÖFER, La linea biblica nella nuova catechesi, Torino-Leumann, L.D.C., 1969; W. LANGER, Esposizione della Bibbia nella catechesi, Paoline, 1970.
    [9] Regard neuf sur un monde neuf. Guide du maitre, Montréal, 1966, p. 5.
    [10] Cfr. G. GIANOLIO, Catechesi biblica per i preadolescenti, «Catechesi», n. 33 (agosto-settembre 1970), pp. 21-32.
    [11] Si confronti il fascicolo C dell'annata 1969 e soprattutto del 1970.
    [12] Cfr. J. LE Du, Catéchèse et dynamique du groupe, Paris, Mame, 1969; Pastorale e dinamica di gruppo, Torino-Leumann, L.D.C., 1970, ecc.


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     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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