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    Perché la droga?



    Fausto Antonini

    (NPG 1971-12-31)

    Un ragazzo di 18 anni si è suicidato per la disperazione di sapersi un drogato irricuperabile o di ritenersi così. Si è sparato un colpo di pistola ad una tempia rimanendo cadavere all'istante, mentre i suoi genitori erano usciti perché invitati a pranzo fuori da amici. Erano sette mesi che il giovane prendeva la droga.
    Drammatici particolari sono riferiti da Alvin Orton dell'«Associated Press».
    Il giovane, Percy Patrick Pilon, prima di compiere il suo gesto disperato ha lasciato una lettera che costituisce un documento agghiacciante della sua tragedia e un atto d'accusa implacabile contro tutti coloro che per sete di guadagno alimentano il vizio della droga, specialmente tra i giovani.
    «Se qualcuno vi dovesse offrire della droga – ha lasciato scritto in una lettera destinata ai suoi amici e a tutti i giovani americani – dimostratevi più uomini di quanto non mi sia dimostrato io e rispondete con un «no». Imparate dai miei errori. Mi auguro che nessuno tra voi debba conoscere l'inferno che io ho conosciuto e che conosco anche ora.
    «Incontrerete degli amici che vi offriranno gratis un po' di roba, e, successivamente cominceranno a farvela pagare. Dopo di che ve ne venderanno di un tipo più forte in un primo tempo a prezzo ridotto e poi alzeranno il prezzo non appena si accorgeranno che ormai siete divenuto un drogato.
    «Non dimenticate mai che la stessa persona o amico che ha della marijuana vi potrà in seguito vendere anche dell'eroina e a quale scopo? per ricavare denaro mentre vi distrugge. Gli spacciatori di droga vogliono distruggervi, ricordatelo, e se gliene date l'occasione lo faranno». Ma il passo della lettera che impressiona di più è là dove Percy si rivolge ai suoi genitori, per spiegar loro il motivo del gesto disperato che si accinge a compiere.
    La droga, dice «ha come obnubilato i miei pensieri di amore, ha distrutto le mie ambizioni e ha rovinato la mia vita nel seno della mia famiglia, una vita che prima di conoscere la droga mi stava tanto a cuore. Mi auguro solo di aver fatto qualcosa di buono durante il mio passaggio sulla terra.
    «Anche se la droga dà brevi momenti di felicità, a ciascuno di questi momenti corrispondono secoli dí una infelicità che non potrà mai essere cancellata». Dopo avere testimoniato con accenti di una sincerità e di una disperazione infinite la sua tragica esperienza in un chiaro slancio di altruismo, nella speranza che serva a qualcuno, Percy, come abbiamo detto, ha ceduto alla disperazione senza tentare di reagire e così ancora di salvarsi e si è ucciso.
    Una pagina di «cronaca»: dalla cronaca di un giornale, un giorno qualunque. Non ci sono statistiche per descrivere il numero dei drogati. Gli esperti dicono che sono «tanti», anche in Italia, i giovani che almeno una volta hanno «provato» la droga.
    Molti operatori pastorali hanno esperienza diretta di un contatto, magari sfugge. vole, con qualcuno di questi giovani.
    Un intervento di Note di Pastorale Giovanile, a questo riguardo, si imponeva. Ci era stato lungamente richiesto.
    La redazione desiderava parlare del rapporto giovani-droga, all'interno del quadro di riferimento entro cui si muove la rivista.
    Questo studio di Antoniní ci pare adeguato e stimolante: l'autore tenta di guidarci a quella lettura dei fatti in chiave di profondità che dovrebbe caratterizzare l'impatto di ogni educatore con la realtà.
    Da questa presa di coscienza nascono le proposte operative. E sarà il discorso che riprenderemo.
    Ma già fin d'ora appare evidente un dato. La «predisposizione alla droga» affonda le sue radici nei gravi disagi della nostra società. Arginare la droga significa cambiare il contesto culturale entro cui i giovani sono costretti a vivere, creare spazi di speranza, curare all'origine conflitti e angosce. E tutto questo non è il progetto pastorale che dovrebbe «qualificare» ogni operatore?
    Suggeriamo tre testi, tra i tanti in commercio, particolarmente utili per completare la panoramica offerta da questo studio, dando i «termini» della questione:
    • I paradisi della droga, SEI, L. 1000;
    • Dossier sulla droga, Cittanuova editrice, L. 1800;
    • Gli adolescenti e la droga, tav. rot. promossa dall'Amministrazione provinciale di Milano, in «Provincia di Milano», supplemento al n. 2/1971.

    La scoperta di ingenti partite di droga e di diversi luoghi di ritrovo ove si fa uso della droga dimostrano quanto sia diffuso, in Italia come in molte altre nazioni, il fenomeno di ricorrere a questo tipo di stimolazione artificiale. La ricerca delle motivazioni profonde che sono alla base del problema della droga va affrontato allargando l'indagine in modo da analizzare il comportamento esistenziale di quanti ricorrono agli stupefacenti. Infatti, se rimaniamo entro limiti settoriali non riusciamo ad andare molto in là nella chiarificazione. Possiamo affermare, semplicisticamente, che la questione della droga è un fatto di domanda e di offerta: ci sono alcuni che vendono la droga agli studenti, come qualche anno addietro vendevano caramelle e mostaccioli. Oppure possiamo costatare che la droga è un mezzo adottato dai giovani per tentare di risolvere la loro problematica. Nell'un caso e nell'altro, tuttavia, rimaniamo alla superficie e, soprattutto, impostiamo in maniera erronea ed insoddisfacente il discorso, poiché scambiamo l'osservazione con l'analisi, la descrizione del fenomeno con il reperimento delle cause.

    GERMI E PREDISPOSIZIONI NELLA «MALATTIA DA DROGA»

    Per la droga è consentito impostare un discorso analogo a quello relativo alle malattie infettive. Germe e predisposizione sono gli elementi indispensabili in assenza dei quali, dell'uno o dell'altro, non insorge la malattia. Se ci spostiamo sul terreno che qui ci interessa, possiamo dire che il germe è la droga, gli spacciatori e tutto ciò che ruota intorno alla droga. Il discorso sulla predisposizione, invece, si presenta alquanto complesso. A questo proposito c'è il rischio di commettere un altro errore: quello di distinguere e separare nettamente – quasi fossero due motivi senza punti in comune – la problematica giovanile dal contesto sociale ove nasce, si articola e prende corpo. Infatti, è incontestabilmente vero che i giovani non hanno fede, né ideali, sicché consumano droga sperando inconsciamente di colmare dei vuoti interiori. Ma va aggiunto che la problematica giovanile è intimamente correlata – come effetto a causa – alla società nel suo complesso, alla struttura sociale quale s'è venuta determinando nel corso del tempo. Insomma, è errato ed ingiustificato distaccare artificiosamente la gioventù dall'ambiente socioculturale che l'accoglie, quasi che codesta gioventù non sia sollecitata e contagiata da quello, non ne respiri la stessa aria, non ne recepisca le componenti positive e negative.

    La nostra società

    È necessario, perciò, per poter continuare il nostro ragionamento, soffermarci un momento ad analizzare la struttura della società. Allora, salta subito agli occhi, senza possibilità di dubbio, il carattere patologico della nostra area di civiltà. Viviamo – è il caso di ammetterlo senza reticenze o ambiguità terminologiche – in una società malata. In una società fortemente malata. Per giustificare questo pesante, quanto reale ed obiettivo giudizio, indichiamo di seguito, sebbene succintamente, i criteri in funzione dei quali una società è malata; con l'avvertenza che, come sarà facile capire, alcuni caratteri si riferiscono al mondo cosiddetto civile nel suo complesso, altri sono specificamente riferibili alla società italiana, significativo esempio di malattia nella malattia.

    ♦ Vi è un indice eminentemente statistico ed è costituito dal crescente numero (proporzionalmente crescente) di suicidi, omicidi, nevrosi, psicosi; e dal rapporto di questi, inversamente proporzionale alla gravità e frequenza di pubbliche calamità.

     È ormai largamente riconosciuta l'esistenza di impulsi «naturali» nell'uomo. Ebbene, questi impulsi intrinsecamente vitali sono sistematicamente e per principio inibiti e frustrati.

     Generalmente la capacità di conseguire soddisfazione da parte di alcuni componenti la società è saldamente connessa alla sofferenza ed alla insoddisfazione di altri.

     Esistono profonde contraddizioni, che si ripetono in modi e con caratteristiche diverse, tra il giudizio di valore ed il riconoscimento pratico (economico e morale) di molteplici mestieri ed attività. Per esempio, la prostituzione è ritenuta un servizio molto utile alla società, ma viene sistematicamente condannata sul piano morale.

     Altrettanto generalmente, quanto più si sale nella scala sociale, quanto più si possiede, tanto meno si lavora e viceversa.

     Si verifica spesso la selezione al rovescio. Cioè, per farsi rapidamente strada bisogna: adulare (direttamente o indirettamente) i potenti e/o le masse; mostrarsi evirati, ma non esserlo del tutto; essere maligni, avidi, «dritti», avere in partenza molti soldi; essere figli o parenti o amici di personaggi influenti; essere capaci di brigare a destra e a sinistra, essere sistematicamente ipocriti, untuosi, demagoghi, servili; dire e/o scrivere cose incomprensibili, che sembrino dotte o scientifiche e che non urtino la suscettibilità di nessuno.

    ♦ Le contraddizioni si incontrano di continuo. Sicché, per esempio, la donna non accetta, a livello inconscio profondo, la propria femminilità perché essa le è stata necessariamente, di fatto, presentata, fin dall'infanzia, come turpe passività, come volgare e spregevole sensualità, come pericoloso abbandono, come peccaminosa voluttà. Pur tuttavia, la società esige che sia veramente donna e femmina.

     Vi è una macroscopica inadeguatezza tra le strutture reali e quelle giuridico formali. Fioriscono, così, una quantità di leggi utili a colpire i cittadini anticonformisti.

     Gli uomini tendono ad essere autistici, privi di ogni capacità di reale comunicazione, per cui il rapporto tra cittadino e regime diventa personale e dà luogo al clientelismo paternalistico.

     Il conflitto sociale è elevato a sistema di vita ed a regola di condotta, con conseguente dogmatizzazione delle ideologie, per cui ciascuno ritiene di possedere in proprio la verità. Il singolo non ha che tre vie di scelta: o accetta l'uno contro tutti gli altri; o rifiuta tutto; o accetta tutto. Nel primo caso entra nel giuoco e vive della comune nevrosi, giacché il conflitto con gli altri (esclusi) è, in primo luogo, conflitto con se stesso; nel secondo caso diviene vuoto, depresso, al limite, catatonico, perché deve continuamente ispessire la corazza, per non ricevere i messaggi; nel terzo caso diviene dissociato e schizofrenico, perché vive, avendolo internalizzato come tale, senza scelta e senza volontà, il conflitto sociale.

     Vi sono tre specie di aggressività: un'aggressività «naturale», al servizio della vita; un'aggressività primaria, originale e fine a se stessa (è dubbio se essa esista: io sono più propenso a credere che non esista); un'aggressività conseguente all'inibizione, alla frustrazione ed all'aggressione. Una società malata ingigantisce l'aggressività da frustrazione e inibizione fino a quella che appare soltanto fine a se stessa, diretta contro gli altri e contro il portatore.

     Infine la società malata mette in conflitto il bisogno di libertà, di autonomia e quello di protezione, di sicurezza, di affetto.

    i problemi dei giovani

    Vediamo ora quali sono, più specificamente, i problemi dei giovani. I giovani rifiutano la famiglia, l'autorità in genere, sia essa religiosa, scolastica, politica. D'altra parte, sentono il bisogno di poter contare su qualcuno o qualcosa di stabile, di sicuro. Si riuniscono allora in gruppo, poiché nel gruppo trovano forza, coraggio, ispirazione. Il gruppo, così, diventa un elemento fondamentale dell'esistenza giovanile in quanto sostituto della famiglia, della patria, della religione; alimenta il sentimento della fratellanza; consente di comportarsi come gli altri; assume un valore permissivo e protettivo. Una forza mistica unisce i partecipanti al gruppo. Quella forza, cioè, che si rinnova di continuo nel fare insieme qualcosa di proibito. Una volta i giovani soddisfacevano la ricerca del proibito nel fumare la prima sigaretta o nello sperimentare il primo rapporto sessuale. Ciò equivaleva ad avere una prova di virilità. Certamente era una prova alquanto banale, pur tuttavia essa aveva una sua funzione. Oggi tutto ciò non è più sufficiente. La stessa esperienza sessuale non è poi così proibita. Per questo la scelta cade su qualcosa che simbolizzi meglio il proibito: la droga, appunto. Fare questa esperienza ha il valore di confermare l'autonomia e l'indipendenza dalla famiglia e dalla società. E un andare contro corrente, un protestare contro quei valori che si vorrebbero imporre ai giovani quand'essi non li accettano, ed insieme è un sostituire quei valori stessi: cioè le emozioni religiose, patriottiche, in certa misura anche sessuali, spogliate, ormai, dell'intensità gratificante. A proposito del discorso sulla sessualità, va fatto cenno al significato bivalente della droga. Per un verso, prendere la droga equivale ad un tentativo di attingere ad emozioni profonde, perciò anche sessuali, nel senso di liberarsi, di scaltrirsi, di diventare furbi. Con il rischio, però, che, a lungo andare, la droga si sostituisca interamente alla sessualità, e conduca alla tossicomania. Accanto a queste considerazioni generiche, più sociologiche, ve ne sono altre più profonde, psicologiche, psicanalitiche, più soggettive ed individuali. Se con la droga si atttfa il tentativo inconscio di ritrovare la grande madre, allora essa ha un valore orale, di cibo, pur se viene iniettata e non mangiata. Un cibo capace di allentare la tensione interna sentita come noia – giacché la noia è una forma di tensione. Codesto atteggiamento si caratterizza come passività orale, attesa di essere nutrito. Ma con la droga si evade anche dall'autorità paterna. Infatti, usando un linguaggio tipico, i giovani spesso alludono alla droga con l'espressione «stai viaggiando», oppure «sei in viaggio». Con la droga, cioè, si parte simbolicamente, ovvero ci si distacca e libera dalla situazione presente, anche se solo illusoriamente.

    PERCHÉ ALLORA LA DROGA?

    Non è mio compito esaminare le singole droghe, anche perché il problema si sposta sul piano della tossicologia, non di mia pertinenza. Ma, in sintesi, si può dire che esistono due tipi di droga: le droghe calmanti danno uno stato di quiete; quelle eccitanti sollecitano emozioni. Sebbene opposti, questi due tipi di droga vengono ricercati, sul piano psicologico, per lo stesso motivo: cioè per attingere a quelle emozioni profonde disconosciute e dimenticate, in buona parte, dall'uomo moderno. L'uomo di oggi è corticalizzato, cioè materializzato, ciberneticizzato, meccanizzato: una macchina pensante, in senso cartesiano. Il suo Io diviene lucidissimo, ma piccolissimo, tende a respingere i contenuti profondi della psiche.

    Caduta degli ideali

    Codesti contenuti – che erano raccolti nella storia della stirpe in grandi archetipi e modelli religiosi, erotici, culturali – spumeggiano come mare in tempesta intorno ad una piccola isola. Rischiano di invadere l'Io, e, quando vi riescono, lo spaccano prepotentemente, penetrano dentro, sicché l'Io diventa schizofrenico e delirante. In altri termini, codesti contenuti irrelati, scomposti e disordinati, sconvolgono l'Io, lo distruggono, gli tolgono la possibilità di controllo e di coordinazione logica, di rapporto con la realtà. In sostanza, il rifiuto della religione, della patria e delle grandi componenti ideali cariche di emotività rende l'uomo vuoto e spoglio, aumenta le sue difficoltà e, al limite, si risolve in rifiuto del sesso.
    Molti sociologi, psicologi, psicanalisti, antropologi – soprattutto degli USA e dell'Inghilterra – si trovano d’accordo su un punto che vado sottolineando da venti anni a questa parte: il sesso si è disemotivizzato. La libertà sessuale si è convertita in meccanismo sessuale, in reazione meccanica assolutamente inadatta a raccogliere le grandi emozioni e le esperienze profonde.

    Il significato della sessualità

    In questo senso ho avuto occasione di distinguere quattro livelli dell'Eros:

     Primo livello: si tratta del rapporto puramente fisiologico, dominato dal principio dei riflessi condizionati ed avente valore di pura scarica fisica. E l'amore che si può definire prostitutorio, in quanto posto al servizio di un mero meccanismo fisico o comunque (soprattutto per la donna) strumentalizzato. Esso ha il suo luogo molto spesso nel matrimonio.

     Secondo livello: lo potremmo chiamare sociologico. L'attrazione tra i sessi, molto attenuata e routinizzata a dire il vero, si ha qui per la spinta, la suggestione dei modelli sociali, che, in modo più o meno caricaturale, esprimono o vorrebbero esprimere qualcosa che vagamente assomiglia al femminino ed al mascolino. A questo livello si pongono i matrimoni determinati da elementi estrinseci, sociali, i matrimoni con la ragazza per bene perché è per bene, con l'uomo di buona posizione perché è di buona posizione. Ovviamente questo secondo livello ben si concilia con il primo: nei matrimoni di convenienza il rapporto sessuale è per lo più del tutto fisiologizzato.

     Terzo livello: è il livello individuale, il massimo conosciuto nella nostra società repressiva. A questo livello un determinato uomo ama una determinata donna. Essi appaiono insostituibili l'uno all'altro, indipendentemente da una attrazione sessuale puramente fisiologica (anche se, naturalmente, il sesso è elemento inscindibile dal rapporto individuale profondo). Solo qui comincia ad apparire l'emozione, la sintesi, anzi l'unità (che precede, non segue, lo sdoppiamento tra sesso ed amore). L'emozione è legata, a questo livello, al concetto dell'anima gemella: ògni uomo per una sola donna, ogni donna per un solo uomo.

     Quarto livello: è pressoché sconosciuto nella nostra società occidentale, asettica, punitiva, individualistica, ipocrita, repressiva. E il livello dell'incontro dell'uomo assoluto con la donna assoluta. Nei pochi casi in cui l'esperienza del rapporto tra l'assoluto mascolino e l'assoluto femminino viene realizzata nella nostra società, tale esperienza, nella repressione totale ed asettica che vige, viene scambiata per il primo livello, giacché qui non conta una singola donna o un singolo uomo, ma il femminino ed il mascolino in sé e per sé, metafisicamente, che s'incarnano o si possono incarnare nelle più diverse donne e nei più diversi uomini. E questa apertura metafisica, nella nostra società del vuoto ontologico e della ipocrisia esistenziale, viene interpretata come disponibilità cortigianesca.

    Conclusione

    Riassumendo e concludendo, dunque, possiamo asserire che soltanto quando la separazione drammatica tra Eros estetico ed Eros mistico – sdoppiamento sommamente funesto per la società occidentale – sarà sanato – e se sarà sanato – cadranno le premesse di quel ricorso alla droga che abbiamo inquadrato come un tentativo, anch'esso vano quanto fondamentale insieme, di ritrovare la via verso le emozioni più profonde e valide.

    La redazione condivide il quadro generale dell'articolo, anche se avanza qualche perplessità sulla sua conclusione. Soprattutto il «quarto livello» della sessualità è, almeno nella formulazione troppo sintetica, non molto chiaro.
    Per questo la comprensione risulta difficile.
    Ma, d'altra parte, ogni articolo è uno stimolo alla riflessione. E «non può dire tutto».
    Le chiavi di lettura utilizzate dall'autore sono eminentemente psicanalitiche. Quindi, per natura loro, settoriali.
    Altri aspetti (per esempio quello più propriamente morale e il significato teologico della sessualità) andrebbero presi in considerazione, per costruire un quadro completo. Qui, come sempre, la rivista non aprirlo.
    Qui, come sempre, la rivista non intende concludere un discorso, ma aprirlo.



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