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    La chiesa locale è responsabile dell'animazione cristiana



    (NPG 1971-06/07-47)

    «Animare cristianamente» vuol dire catechizzare in maniera tale che il messaggio e il mistero di Cristo siano accolti e vissuti in una integrazione progressiva tra fede e vita, pur attraverso manchevolezze. Poiché la «vita cristiana» è una vita «comunitaria-ecclesiale», spetta alla Chiesa proclamare il messaggio e iniziare al mistero; essa nasce da quel messaggio ed è quel mistero diffuso e comunicato nel mondo. Perché questo messaggio e mistero si incarnino nella vita delle persone alle quali vengono comunicati, bisogna che la Chiesa sia loro vicina, sia loro «prossimo», «per diventare segno e strumento efficace della pace di Cristo» (RdC, 8); tale è la chiesa locale: diocesi e parrocchia. In questa chiesa locale, tutti sono corresponsabili della proclamazione del messaggio e della comunicazione del mistero di Cristo; lo sono in modo coordinato e gerarchico, per una collaborazione omogenea, profonda, vitale, che sia segno dell'interesse di Cristo e della chiesa per tutti e per ciascuno (RdC, 131).
    Per farci una convinzione che poggi su basi salde e dia motivazioni valide al nostro impegno, cerchiamo le ragioni profonde di tutto questo.

    GESÙ HA INVENTATO
    LA FORMA COMUNITARIA DELL'ANNUNCIO

    Al momento di lasciare visibilmente il mondo, Cristo ha affidato agli Apostoli l'ufficio e il potere di continuare fra gli uomini la sua missione per estenderla a tutti in tutte le età.
    «Andate nel mondo intero: proclamate il buon annuncio a ogni creatura. Fate miei discepoli tutti i popoli... insegnate loro a praticare tutto ciò che io vi ho comandato.
    Nel nome di Cristo si deve proclamare la penitenza per la remissione dei peccati a tutte le nazioni...
    Ora, voi siete testimoni dei fatti.
    Io sono con voi in ogni tempo, sino alla fine del mondo» (Mc 16,15; Mt 28,19ss.; Lc 24,47ss.).
    Tutta la storia iniziale della Chiesa, che ci narrano gli Atti degli Apostoli, testifica che essi hanno capito che l'annuncio di Cristo doveva essere un'azione comunitaria, che cioè era la comunità-chiesa che annunciava Cristo, anche quando uno solo prendeva la parola, perché lo faceva a nome di tutti, inserito nella comunità, come voce della Chiesa.
    Ora ci chiediamo: le cose stanno così semplicemente perché Gesù lo ha voluto, oppure egli lo ha voluto per una ragione profonda? Se questa ragione c'è, essa dovrà motivare i nostri atteggiamenti e comportamenti.
    Per rispondere, mettiamo in evidenza ciò che dicono i testi citati:
    • gli annunciatori di Cristo sono «gruppo»; è una «comunità» che è inviata a tutti: popoli, nazioni, individui;
    • essi devono fare «discepoli» di Cristo popoli e individui; devono amalgamare in «comunità» coloro che accolgono il messaggio;
    • il messaggio va integrato nella vita; non è solo questione di sapere e di credere, ma di «fare, praticare» ciò che Cristo ha insegnato;
    • accogliere il messaggio comporta il «pentimento», il «cambiamento di mentalità» nel nome di Cristo, in piena adesione a lui;
    • l'annuncio deve essere «testimonianza» di vita, «presentazione di fatti» convalidati questi e quella dalla ininterrotta operativa «presenza» di Cristo.
    Ora la risposta è chiara: Gesù vuole che ad annunciare il suo messaggio di salvezza siano coloro che lo attuano già nella loro vita. La «salvezza» portataci e offertaci da Cristo è formata di due elementi correlativi: è liberazione dall'egoismo che è fonte di peccato, ed è educazione all'amore, apertura e dono di sé agli altri e a Dio.
    La ragione profonda del mandato di Cristo è che non ci vuole meno di una autentica «comunità», fusa insieme da conoscenza e amore reciproci, per proclamare il messaggio e comunicare il mistero della «comunione» degli uomini fra loro, perché in comunione col Padre per mezzo di Cristo. Per svolgere la missione dell'annuncio in forma «comunitaria», dobbiamo perciò avere atteggiamenti e comportamenti dinamici di comunione con tutti gli altri nella Chiesa e con Dio.

    LA FORMA COMUNITARIA DELL'ANNUNCIO
    DEVE AVERE IL VOLTO E IL TONO DELL'AMBIENTE

    Perché un popolo, una popolazione, una famiglia, una persona, possano rendersi conto che questa missione è una realtà concreta, che li tocca da vicino e che coloro che la compiono vi credono e vi aderiscono sinceramente, bisogna che possano farne viva esperienza, che sentano veramente «prossimo» chi annuncia ad essi Cristo.
    Per questo, il compito dell'annuncio spetta direttamente alla Chiesa locale, che rappresenta e rende presente in quel luogo tutta la Chiesa di Cristo diffusa nel mondo.
    Anche questa realtà è stata capita e attuata dalla prima generazione cristiana. Ogni chiesa locale era concepita come la chiesa universale che sostava «pellegrina» in quel dato luogo. La stessa parola «paroikìa» (usata prima per la diocesi che per la parrocchia) vuol dire «soggiorno», luogo di temporanea dimora, ma con la sfumatura di «abitare vicino ad altri, vivere in mezzo ad altri». Si usava anche un'immagine che richiama l'idea di «tendopoli»: si diceva che la Chiesa era «attendata» in un luogo.
    La Chiesa è attendata nel mondo in mezzo agli altri perché è fatta per tutti e perché è pellegrina in tensione verso la mèta della sua perfetta realizzazione finale. Non ha raggiunto, ma non ristagna: è in cammino. È in mezzo al mondo per essere essa stessa segno e strumento del proprio messaggio. Il RdC afferma: «La chiesa locale fa catechesi principalmente per quello che essa è, in progressiva, anche se imperfetta, coerenza con quello che dice» (145). L'essere «tutti-uno» come vuole Cristo, esserlo come il Padre e il Figlio, esserlo in loro nel loro comune Spirito (Gv 17,11.21ss), diviene «segno e strumento» di salvezza, «sacramento di amore e di salvezza per tutti gli uomini» (RdC, 48; cfr. 4,47,50,78, 86,112,190).
    Per questo, la missione della Chiesa si incarna nella sua stessa vita; ed è impegno di tutti i membri della chiesa locale svolgere il compito che è di tutti, secondo il posto che essi occupano in lei.

    L'ANNUNCIO COMUNITARIO DELLA CHIESA LOCALE
    DIVIENE ESPERIENZA DI VITA

    Questo si avvera particolarmente nella parrocchia, quando essa realizza veramente la «comunità ecclesiale» (RdC, 149). Difatti nella chiesa locale convergono tutte le energie di salvezza che Cristo le dona perché le metta a disposizione degli uomini (GS, 3). In essa, dice il RdC 142:

    ♦ la salvezza entra nel tessuto della vita umana: dal costituirsi della famiglia (matrimonio) all'inserimento-iniziazione dei figli nella Chiesa (battesimo, eucaristia, cresima), al formarsi di nuove famiglie; dalla riconciliazione gioiosa col Padre e i fratelli (penitenza) alla santificazione della malattia e del dolore (unzione dei malati); dal conforto di accompagnare nel passaggio da questa vita al Padre (viatico) all'affidare alla terra come seme di risurrezione i propri cari (funerale);

     vi si fonda, alimenta, manifesta la vita del popolo di Dio: realizzazione cristiana dell'esistenza nell'integrazione tra fede e vita (RdC, 52-55), attuando la verità nella carità (RdC, 47-48), prospettando la soluzione cristiana dei problemi della situazione storica dei fedeli (RdC, 96-99); procurando che la comunità ecclesiale – famiglie, gruppi, associazioni, strutture (RdC, 148-157) – inventi una vita pienamente «umana» nel Cristo (RdC, 123, 131, 151, 154, 186; 43, 47-48; 38, 52-53, 94-95; 97-99);

     vi si celebra in pienezza il mistero di Cristo: tutta la storia della salvezza diviene storia di progressiva «incarnazione» di Dio nella vita umana, attualizzata nel qui-oggi della comunità ecclesiale che si raduna per diventare più «Chiesa», cioè «comunità, assemblea, convocazione, riunione» nel senso vivo di comunione nel Cristo, per essere meglio «tutti-uno», più Cristo-vivo e operante oggi nel mondo (cfr. RdC, 69-73); per fare continuamente con lui e in lui il «passaggio» dall'egoismo all'amore, dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita e attuare così in se stessi, comunità e individui, il suo mistero pasquale (RdC, 32, 114, 116, 133);

     vi cresce il senso dell'unità della Chiesa per mezzo della Parola, del Sacrificio, della Carità: ogni domenica e festa, dovunque si raduna la Chiesa pellegrina, ivi tutti ascoltano quella stessa Parola di Dio in tutto
    il mondo e sono invitati e sollecitati ad acquistare una comune mentalità cristiana; e vengono chiamati a tradurla in vita vissuta nella carità, in forza di Cristo che nutre tutti di sé. Queste sono «energie» di salvezza per dare all'umanità coesione, unità, comunione nell'amore.
    Questi quattro filoni comprendono tutto ciò che è umano per renderlo progressivamente «cristiano»: devono impegnare tutti i membri della Chiesa locale per venire attuati nel modo più adeguato ai bisogni dell'ambiente, perché entrino davvero nel tessuto vivo dell'esistenza.
    La Chiesa non opera se non per mezzo di coloro che la compongono; se qualcuno viene meno, la sua opera è decurtata; se qualcuno dà contro-testimonianza, questa è una macchia che offusca il suo messaggio, e la rende meno credibile.

    LA CHIESA LOCALE NON OPERA LA SALVEZZA
    SE NON È VERA COMUNITÀ CATECHISTICA

    Bisogna che tutti i membri della chiesa locale, concordi attorno al Vescovo e ai parroci, realizzino una autentica «comunità catechistica». Questo non lo si realizza se tutti – ciascuno per la sua parte e in armonia con gli altri – non fanno convergere le loro forze in una azione comune, comunitaria, ecclesiale. Nessuno deve operare da sé, staccato dagli altri, indipendente dagli altri. Tutti formano la chiesa, tutti operino come chiesa. Per realizzare la comunità catechistica, bisogna:

     tendere concordemente a realizzare le finalità e i compiti della catechesi (RdC cap. III) : averli presenti e perseguirli ciascuno per la propria parte affinché non si realizzino disarmonie, scompensi, squilibri, carenze, contraddizioni ecc. (RdC, 144), ma si metta il pluralismo di vedute e di azioni a servizio dell'unità della persona e della comunità (RdC, 158159; 144);
     creare un «corpo» dei catechisti, che abbia a base una formazione comune e un interscambio continuo in frequenti incontri di aggiornamento, animazione, qualificazione (RdC, 184, 189, 200; 187, 194, 185-188), alimentando un vivo spirito di «collaborazione» che sia proposito e impegno di «lavorare insieme», svolgendo ciascuno il proprio compito, come membro dell'unico corpo (RdC, 148, 153 159, 184, 193);
     studiare, pianificare, organizzare un globale «coordinamento» delle iniziative e delle opere della comunità profetico-catechistica (RdC, 12, 112, 182) a tutti i livelli (RdC, cap. VIII); «entrare nel gioco» e «stare al gioco», perché i «faccio-tutto-io» sono controproducenti come i «non-tocca-a-me». Una comunità catechistica non è né i preti da soli, né i giovani da soli, né le famiglie da sole, né abbinamento di questi così come viene: è l'integrazione di tutti, la collaborazione di tutti, così da svolgere un'azione ben puntualizzata e finalizzata, organizzata e coordinata.
    Gli atteggiamenti e i comportamenti di collaborazione sono ben motivati dall'interno da tutto ciò che si è considerato sopra.

    LA CHIESA LOCALE OPERA PER MEZZO
    DI CIASCUNO DEI SUOI MEMBRI

    Ciascuno opera nella chiesa in forza della «consacrazione» di Cristo e dei «carismi» del suo Spirito. L'azione che Cristo continua a svolgere nel mondo (RdC IV,V), la compie con lo stile della «incarnazione», che è un profondo incontro-dialogo di Dio con l'uomo, delle Persone divine con le persone umane, della comunità trinitaria con la comunità umana-ecclesiale.
    Mettiamo in evidenza queste realtà che toccano ciascuno in ciò che ha di più profondamente umano come persona in relazione con altre persone:

     ciascuno è personalmente consacrato e inviato a continuare l'opera di Cristo, per mezzo del battesimo, della cresima, del matrimonio, dell'ordine, in una progressiva e differenziata accentuazione della missione di Cristo e della Chiesa (RdC, 183, 151, 196, 198);
     ciascuno diviene in Cristo e per Cristo un testimone, un insegnante, un educatore, secondo il grado di partecipazione ai poteri e agli uffici salvifici di Cristo nella Chiesa (RdC, 186-188);
    poiché è «inviato» come Cristo dal Padre, e come gli Apostoli da Cristo, riceve pure un «mandato» che gli specifica il compito della missione della Chiesa di cui partecipa e che gli viene particolarmente affidata in modo speciale o ufficiale (RdC, 197; 13, 158, 182-183, 190-193); viene così messa in maggior luce la compagine strutturale-gerarchica che è di tutta la Chiesa;
     di tutti e ciascuno però è sempre il compito di una comunicazione vitale del messaggio e del mistero di Cristo nelle più usuali o più speciali situazioni della vita, in ogni occasione in cui come figlio di Dio egli fa sentire agli altri l'amore che il Padre ci porta nel Cristo e ci comunica mediante il dono del loro comune Spirito (RdC, 198, 23, 24, 156, 183).

    (Giacomo Maria Medica)


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