(NPG 1971-05-3)
Chi ha le mani in pasta nel mondo giovanile ha la percezione, chiara, immediata, che oggi un salto di due o tre anni segna il confine di mondi diversi: I' «incomprensione» tra generazioni si vive dentro spazi limitatissimi di età. I motivi sono tanti. Ne indichiamo due, i più macroscopici, interdipendenti nella loro globalità: l'accelerazione violenta che la cultura industriale ha impresso alla storia e il sustrato psicologico che determina i vari stadi dell'età evolutiva. Per questo fatto non si può impostare una pastorale giovanile «generica», funzionante, per imitazione, per preadolescenti e giovani. Un tempo, era facile adattare ai giovani le scelte che qualificavano la pastorale dei ragazzi. Oggi è presente la tentazione contraria: per uno spostamento dell'asse di interessi, adattare ai preadolescenti le scelte ritenute significative per i giovani.
Ogni età esige una «sua pastorale, dove «suo» dice specificità precisa, pure nella continuità e nel rapporto di dipendenza.
È urgente, quindi, ricercare il taglio qualificante la pastorale dei preadolescenti (per preadolescenti intendiamo tutti i ragazzi della scuola media. Ma questo acutizza il problema. Ci sono undicenni che «pendono» psicologicamente verso i fanciulli; e tredicenni che ormai sono di fatto «adolescenti»).
Note di Pastorale Giovanile, ha scelto, come centro di interesse, soprattutto gli adolescenti e i giovani. Più di una volta è stato ricordato che le proposte avanzate non sono adattabili di peso ai preadolescenti.
Per non dimenticare un grosso settore della pastorale giovanile (quello, forse, di fatto più disponibile, e soprattutto «chiave» per la sopravvivenza di una «gioventù cristiana»), molto spesso si è tentato un processo di adattamento. Sono state avanzate indicazioni specifiche, nella rubrica Preadolescenti oggi. Ma era sempre un discorso frammentario.
In questo numero monografico si vuole fare, invece, un discorso di sintesi, il più possibile completo ed organico. Utilizziamo, a questo scopo un incontro di studio promosso dalla redazione della Rivista, in collaborazione con il Centro Salesiano Pastorale Giovanile, tra un gruppo di esperti e di operatori pastorali, immediatamente a contatto con preadolescenti. Si è optato per il confronto sui «principi». Esperienze e sussidi diventano leggibili solo alla luce di alcuni punti chiave, frutto di un missaggio pedagogico delle scienze che descrivono l'uomo: teologia, psicologia, sociologia.
Chi cercasse in queste pagine una praticità immediata (quella della formuletta che risponda subito ad uno dei tanti interrogativi che la vita pone) può trovarsi deluso. La praticità di queste pagine è meno superficiale. Si è preferito una lettura, nel profondo, delle istanze della vita, per delineare, a queste dimensioni di profondità, alcune linee di soluzione. La fatica di riportare alla superficie analisi e risposte, per ingranarle con le oscillazioni dei preadolescenti, è compito degli operatori diretti.
Un'altra cosa va aggiunta subito, per una maggiore comprensibilità. Note di Pastorale Giovanile ha elaborato una serie di costanti, attraverso cui caratterizzare la sua proposta pastorale (di esse si sta parlando con continuità, negli articoli di questa annata, raccolti sotto il titolo «Appunti di pastorale giovanile»). Per comprendere il movimento di questa monografia, è opportuno farne alcuni richiami, perché formano la filigrana degli studi che saranno presentati.
Le linee per costruire un progetto educativo
Il servizio delle persone chiede di evitare il genericismo, nella pastorale. Genericismo può significare due cose: procedere senza un preciso progetto, o elaborare un progetto senza tener conto di dati oggettivi.
Tutta la monografia desidera offrirsi come un «progetto educativo», o meglio come una guida agli educatori per elaborare un proprio progetto educativo. Secondo queste linee:
• la conoscenza del «reale»: della situazione in cui di fatto i nostri preadolescenti vivono (civiltà dei consumi, pressione dei mezzi di comunicazione sociale) e della densità con cui queste manipolazioni esterne sono presenti in «quei» giovani concreti con cui si è a contatto;
• la conoscenza dell' «ideale»: delle mete educative cui tendere per costruire «forti personalità», evidentemente non in rapporto ad un preadolescente «eterno» (inesistente, da «media»), ma in relazione ai preadolescenti di oggi;
• la sintesi educativa, attraverso annotazioni di carattere metodologico e quella «inventiva»pastorale, che sa porre «il gesto giusto nel momento giusto».
La persona prima di ogni struttura
Fondamentale, per un impianto educativo, è il concetto di «relatività» pastorale insistito da RdC 75: «La misura e il modo dell'annuncio sono variabili e relativi alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e al contesto di cultura e di vita in cui si trovano». Questa affermazione comporta la necessità di fondare il punto di concentrazione (il coordinamento tra occasione e sistema dottrinale) non nella sistematicità oggettiva e scientifica (astratta e fuori dalla persona), ma in una sistematicità personale.
Un rilievo del genere porta a coraggiosi ridimensionamenti, nelle attuali strutture, troppo spesso «oggettive», pur nella ricerca di punti di sostegno, tanto duttili e mobili, da non opprimere la persona, anche se precisi, per permettere il sorgere di atteggiamenti.
Una educazione alla fede innestata in un permanente processo di umanizzazione
È uno dei temi più ricorrenti, sulla nostra Rivista. Perché ci pare una scelta precisa, da condurre avanti con coraggio ed equilibrio, per «salvare»una delle nervature del documento di base per il rinnovamento della catechesi italiana (per una comprensione più approfondita si rimanda allo studio apparso nel numero precedente della Rivista).
Il richiamo serve come chiave di lettura di tutti gli studi contenuti in questa monografia: se la prima attenzione è sul volto umano dei problemi che movimentano la vita dei nostri preadolescenti, questo è per ritrovare, nel profondo
di essi, la ricerca di una fede-speranza-carità trascendente, unica capace di salvare l'autenticità di se stessi. Qui si innesta «la proposta di fede», l'annuncio, se è vero che esso deve apparire a ciascuno «come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori, ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni» (RdC, 52).
Una pastorale a tre dimensioni
Un'altra scelta che qualifica la proposta pastorale della Rivista è l'insistenza sulla urgenza di programmare ogni servizio pastorale secondo le dimensioni di catechesi (settore della parola: dalla mentalità alla mentalità di fede), liturgia (settore della azione: dalle spontanee trasformazioni al mistero pasquale, la grande trasformazione radicale), comunione (settore della comunità: dallo spontaneo associarsi giovanile alla Chiesa), con reciproca integrazione.
Le proposte di metodologia educativa di questa monografia sono condensate in queste tre linee: anche se, per necessità di cose, il discorso non sarà esaustivo, l'attenzione è centrata su due fatti, correlativi: l'urgenza di integrare ogni gesto pastorale con questi tre settori e la necessità di passare, all'interno di ogni settore, dal lato naturale a quello soprannaturale, salvando la continuità e l'innesto.
Le introduzioni ai singoli articoli hanno il compito di richiamare la collocazione dello studio all'interno del quadro pastorale, sottolineando gli aspetti trattati e quelli invece sottaciuti (qualche nota bibliografica favorisce il rimando ad altre fonti).
Se da una parte non è possibile oggi improvvisare un progetto pastorale o lasciarsi guidare solo da un istinto educativo (c'è il pericolo grave di lasciare punti scoperti), dall'altra però, un piano, anche il meglio dettagliato, non sopprime la presenza «inventiva» dell'educatore.
Ce lo ricorda anche RdC (è facile sostituire la parola «catechesi» con la voce più ampia di «pastorale»): «In questi ultimi decenni, la scienza della metodologia catechistica si è ampiamente sviluppata ed ora offre leggi ed orientamenti che meritano un attento studio. All'interno di questa scienza, come del resto della stessa esperienza pastorale, si trova un sapiente principio: quello della responsabilità e della competenza ultima dell'educatore, della sua intelligente capacità inventiva.
L'educazione catechistica si svolge in contesti concreti nei quali il catechista, alla fine, è l'ultimo responsabile. Tutto gli può essere utile, ma nulla può sostituire la sua competenza a dare un giudizio ultimo e a fare le scelte pratiche» (RdC, 181).