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    Il lavoro di gruppo nel piano scolastico del preadolescente



    Lamberto Valli

    (NPG 1971-05-77)

    Lo studio di Macario ha indicato il gruppo, in generale, come luogo privilegiato per una formazione alla socialità.
    Valli ci presenta, quasi a sviluppo ed applicazione, il gruppo nell'impianto scolastico: un metodo di lavoro per un apprendimento attivo, personale e personalizzante.
    Il tema realizza un punto di unione tra una educazione alla socialità ed una guida all'azione (imparare facendo ed imparare a fare, assieme). Per questo si situa a prototipo di un modo nuovo, congeniale ai preadolescenti di oggi, per la strutturazione anche di un progetto catechistico specifico.
    Nel contesto di questa monografia manca uno studio sull'attivismo nella formazione catechistica, perché sono già apparse ottime indicazioni, cui si rimanda, nel testo «Catechesi ai preadolescenti» (LDC). Si veda, per esempio, il cap. Il e IV della prima parte e tutta la seconda.
    Ed inoltre:
    Weber, «L'insegnamento della religione come annuncio» (LDC), Capitolo IV, n. 4: «Attivismo e catechesi», pp. 68-71; Capitolo II, n. 7: «Innovazioni catechistiche sotto l'influsso della scuola attiva», pp. 36.40;
    Colomb, «Al servizio della fede» (LDC), vol. I, parte II, cap. VI: «Fedeltà ai modo di agire dello Spirito. Il metodo attivo», pp. 236.250; vol. Il, parte 1, cap. VII: «Le attività catechistiche», pp. 101-110; «Attività nella catechesi da 9 a 12 anni»: pp. 304.307, 310-311; «Attività nella catechesi agli adolescenti»: pp. 344.352; «Attività nella catechesi ai giovani»: pp. 391-392.

    La voglia di fare è oggi voglia di fare assieme. L'attività diventa co-attivismo.
    In questa prospettiva ci muoviamo nella relazione.
    Parlare dell'attivismo come puro dato, trattare di questa volontà operativa del ragazzo avulsa dai modi concreti di realizzazione, cadere in una forma di naturalismo dinamico che ha avuto fortuna fino a qualche tempo fa, risulta abbastanza inutile o perlomeno insufficiente ad una verifica della nostra esperienza di educatori. Non si può cioè dire: «Il ragazzo ha voglia di fare: lasciamolo fare. In questo modo questo ragazzo riuscirà ad autocostruirsi». Oppure: «Puntiamo sulla voglia di fare del ragazzo e sviluppando al massimo questa voglia operativa lo educheremo». Perché questo ne fa in genere un piccolo egoista, un D'Annunzio in sedicesimo, un individuo fondamentalmente asociale. L'attivismo sfruttato così è l'attivismo dei «Pierini», che tanto successo ha nella scuola borghese della tradizione occidentale, la quale punta tutto sul momento individuale. D'altro canto – e abbiamo qui la controprova – quando noi parliamo di riforma della scuola in Italia la preoccupazione emergente è: «Ma come? Allora i migliori dovranno soffrire per aspettare che i peggiori vengano su? Ma il Leonardo da Vinci, poverino, come farà?». E nella preoccupazione di tirar su Leonardo da Vinci, lasciamo che 92 muoiano analfabeti. Pensiamo un attimo, nelle nostre parrocchie, al culto del leader: «Quello è tanto bravo, quindi sarà delegato aspiranti...»; mentre gli aspiranti in quanto tali sono considerati dei ragazzini che convivono comunque e vanno tenuti in parrocchia attraverso qualche partita di pallacanestro. L'attivismo così concepito mi pare assai pericoloso, mentre esso diventa un elemento portante del processo autoformativo se inserito nell'ambito del lavoro di gruppo.

    AFFERMAZIONI GENERALI

    ♦ Ogni uomo nasce sociale come dato non di intelligenza, ma di natura. Non è cioè che siamo sociali per contratto, ma siamo sociali per natura.
    • Questa affermazione può essere verificata anche alla luce del nostro primo istinto: l'istinto di conservazione, che ci porta a concludere che non ci bastiamo. Se c'è un istinto individuale, è quello di conservazione, perché serve a salvaguardare l'individuo. Eppure la conservazione di sé avviene attraverso la presenza degli altri. Da quando, appena nati, abbiamo bisogno dell'affetto di nostra madre, a quando, per morire, abbiamo bisogno di uno che ci metta nella bara. Cioè ogni momento della conservazione, nei momenti più o meno esasperati, è accompagnato dalla presenza degli altri.
    • A questo ci porta soprattutto l'esame dell'istinto di affermazione: non c'è neanche bisogno di dirlo, perché è il tipico istinto sociale. Certo che, al momento puramente istintuale, l'«altro» appare come termine conflittuale, più che collaborativo: basterebbe pensare all'atteggiamento dei preadolescenti i quali, proprio in nome della crisi dell'originalità giovanile di cui parla Padre Gemelli, si pongono di fronte all'altro, quando hanno 11, 12, 13 anni, in termini di conquiste di base.
    • Infine, c'è l'istinto di riproduzione, altrettanto sociale vuoi perché ha bisogno dell'altro per realizzarsi, vuoi perché conserva la specie.

    Quindi, l'esame stesso di quel dato naturale oggettivo che è il momento istintuale, ci dice che l'uomo è per natura sociale.

    ♦ L'essere per natura sociale, che è di tutte le creature viventi, anche delle bestie, non significa essere necessariamente societario, cioè capace di stabilire dei rapporti. Questo, l'uomo lo diventa nella storia. Cioè la storia ci dimostra che l'uomo è capace di capire ed accettare le regole della società costituita, è capace di promuovere la società in cui vive (ecco la dinamica di sviluppo sociale), infine – e mi pare che sia molto importante considerare questo aspetto, che ha così vivi riflessi anche a livello della società ecclesiastica – è capace di «rompere», di rifiutare un certo tipo di società, in vista di un tipo diverso. Tutto questo non è di natura, ma è di acquisizione intellettuale e storica.

    CONSIDERAZIONI SPECIFICHE

    ♦ Se questo è vero per ogni uomo, a livello del preadolescente noi dobbiamo tenere presente il fatto che egli si trova in una particolare situazione di urto sociale, proprio perché rompe con la predominanza assoluta dell'istinto di conservazione che caratterizza i primi anni – il ragazzo si preoccupa solo di vivere: mangiare, bere, dormire, giocare – per
    insistere piuttosto sull'istinto di affermazione, sulla esigenza di affermazione della propria originalità personale nei confronti dell'ambiente e degli altri; e sull'istinto di riproduzione, sia come sessualità – le forme di sessualità individuale come l'autoerotismo sono forme tipiche di dimostrazione per assurdo dell'esigenza sociale del ragazzo – sia anche come scoperta della ragazza o del ragazzo come termine di amore, sostitutivo degli affetti non utilitari di tipo familistico, che sono in crisi.

    ♦ Questo fatto, se è vero per ogni epoca storica, è vero oggi in modo particolare, perché questi due istinti vengono particolarmente sollecitati dalle caratteristiche della società in cui il preadolescente vive. Come tutte le società neocapitaliste, quella di oggi è una società conflittuale, è una società permissiva, è una società che induce nuovi bisogni in vista di nuovi consumi – facendo riferimento evidente ai consumi non indispensabili, come quelli che sono riferibili alle tre «S»: successo, sesso, soldi. È quindi una società del successo, una società che giustifica l'aggressività come elemento di successo.
    Un preadolescente, nel momento in cui gli istinti violenti di affermazione e di riproduzione hanno particolare vigore, e trovano la loro esaltazione nel tipo di società odierna, prova un impatto violento con la società stessa.

    CONSIDERAZIONI SPECIFICHE A LIVELLO SCOLASTICO

    ♦ Tutti i ragazzi di 11-12 anni vanno a scuola: dobbiamo quindi chiederci che tipo di scuola dovrebbero trovare – anche se molte volte la realtà è ben diversa. Evidentemente il preadolescente deve trovare una scuola che non contraddica la sua natura, la sua situazione storica, e anche i contributi della scuola parallela: cioè che non contraddica tutti i portati educativi in senso lato – educativi cioè in senso negativo o positivo – che gli vengono dal mondo circostante.
    Una scuola che per linguaggio e per comportamenti contraddica tutto ciò che il ragazzo impara fuori dalla scuola, attraverso il giornale, la TV, il cinema, l'associazionismo spontaneo, di per sé è alienata e alienante, e quindi rifiutabile: e oggi è effettivamente rifiutata.
    Bisogna trovare una scuola che offra gli strumenti utili perché il preadolescente possa:

    • conoscere e quindi guidare la sua natura. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che non si può dire a un ragazzo: «Fa' così», come è nostra abitudine, prima di dirgli: «Ti dico di fare così per questo e questo motivo». Cioè indurre e non dedurre il termine del nostro insegnamento.
    • conoscere, giudicare e controllare la sua situazione storica. Notiamo l'analogia coi tre momenti «classici» della RdV: vedere, giudicare, agire.
    • conoscere, giudicare, controllare, rifiutare e integrare i contributi della scuola parallela. Non so, ad esempio, che cosa i sacerdoti facciano, a livello di parrocchia, di fronte al contributo sempre più massiccio della scuola parallela, che crea dei comportamenti che sono almeno diversi se non contraddittori rispetto agli insegnamenti parrocchiali e anche di fronte all'integrazione tra la scuola parallela e la scuola tradizionale, quale si avrà entro tempi brevi con la scuola a tempo pieno. Aiutare il giovane a rifiutare o a integrare il contenuto della scuola mi pare di fondamentale importanza; e dovrebbe la scuola stessa pensare a questo, proprio se vuole assumere tutto ciò che le spetta a proposito del compito educativo del ragazzo.

    ♦ Ora, il preadolescente trova nella scuola un simile strumento di auto-formazione solo attraverso il lavoro di gruppo. Esso gli consente:
    • di darsi un comportamento sociale e societario – il momento della socializzazione;
    • di autenticare se stesso, di realizzare un processo di identificazione di se medesimo in relazione all'altro – è il momento della individualizzazione nell'ambito del gruppo;
    • di verificare l'interrelazione accrescitiva del lavoro di gruppo; il fatto cioè che lavorare in gruppo accresce ed enfatizza le capacità di ciascuno (socialità creativa).

    MODALITÀ DEL LAVORO DI GRUPPO

    Ovviamente, perché il lavoro di gruppo ottenga questo, deve rispondere ad alcune modalità.

    ♦ Il preadolescente deve essere accompagnato induttivamente ad accettare il lavoro di gruppo, attraverso:

    • L'esempio concreto della maggiore redditività.
    Noi siamo partiti parlando di attivismo. L'attivismo significa senso del concreto; ed è attivismo anche quello del bambino che rompe la bambola per vedere che cosa c'è dentro. Questa tuttavia è mancanza di redditività. Ed è anche per questo che la scuola di oggi è così poco redditizia: perché rompe invece di costruire. Spezzetta Dante a livello di versi inutili, invece che costruirlo a livello di figura storica, per citare un esempio. Essendo una scuola tutta analitica, tutta nozionistica, è una scuola «destruens»: manca la «pars construens». Noi invece, dobbiamo far vedere che il lavoro di gruppo è un lavoro più redditizio, per cui vale la pena di lavorare così, perché si ottiene di più.

    • L'esempio ancora desunto dai comportamenti sociali più evidenti – la famiglia, il lavoro, la società civile.
    Quando si è insieme si ottiene di più; quando una famiglia va d'accordo si va meglio, quando un lavoro si fa in équipe si ottiene un risultato migliore – oggi il lavoro è tutto a livello di équipes –; quando, nella società civile, c'è un gruppo che fa pressione – vedi l'unità sindacale ad esempio – si ottiene di più che non quando c'è divisione.

    • Ultimo dato: la sollecitazione dell'istinto antagonistico-collaborativo, indirizzando il primo atteggiamento verso il secondo.
    Di fatto l'istinto è antagonistico («Io voglio essere più bravo di lui», per l'istinto di affermazione) : dobbiamo guidare questo momento istintuale di tipo aggressivo-conflittuale per portarlo al momento collaborativo. Questo non è andar contro natura, ma far fare un salto di qualità, esaltando il momento antagonistico come possibilità non di lottare contro l'altro, ma di lottare insieme contro l'oggetto che resiste a tutti e due, e che è l'oggetto da conoscere. L'elemento di antagonismo nella scuola non è il compagno o il professore, ma è ciò che io debbo imparare.

    ♦ Se il lavoro di gruppo è così concepito, esso dovrà favorire:

    • Il contributo guidato di ciascun ragazzo, secondo le sue possibilità, valutate con prove di livello dall'insegnante: è il momento della individualizzazione.
    Il contributo deve essere guidato: non è che l'insegnante se ne possa disinteressare, perché evidentemente nel gruppo c'è il ragazzino che non fa niente se non è sollecitato e opportunamente indirizzato, anche attraverso la stimolazione degli interessi.
    (Il gruppo non deve essere mai composto da più di 5-6 elementi. Non meno, altrimenti non è gruppo; e mai di più, se no c'è sempre l'assente. L'ideale è di 5-6 individui, con un leader interscambiabile). Il contributo guidato, quindi, di ciascun ragazzo, secondo le sue possibilità, valutate con prove di livello: questo significa che non è possibile iniziare il primo giorno di scuola col lavoro di gruppo. Si inizia con un lungo lavoro di individuazione, da parte dell'insegnante, dei livelli di ciascuno, così che il gruppo si formi, attraverso l'accorta guida dell'insegnante, in modo da contemperare i livelli: ci sia chi ha livelli più alti, chi meno alti, perché ci possa essere una interrelazione di rapporti.

    • Il risultato deve essere frutto del contributo di ciascuno, ma espresso in unità. Ciascuno contribuisce a dar vita a un prodotto unitario: ecco il momento socializzante. Ognuno ha portato la sua tessera a dar vita al mosaico, che è un'opera completa, compatta.

    • A questo punto, è molto importante un confronto dialettico con le possibilità individuali. «Da solo avresti fatto questo? No: mentre, parlandone insieme, avete visto che vi siete aiutati vicendevolmente a trovare soluzioni nuove». Dice la Gaudium et Spes al n. 43: «Daranno volentieri la loro collaborazione... escogitino senza tregua nuove iniziative»: e si rivolge alla comunità cristiana, non al «pensatore cattolico» singolo, il quale al termine dell'elaborazione del suo pensiero, generalmente si accorge di essere rimasto indietro di 10 anni rispetto alla storia. È la comunità che vale: ecco la socialità creativa.

    FATTORI INTERFERENTI

    Certamente, in questo quadro che, così presentato, assume una tinta deontologica, vi sono dei fattori interferenti.

    Il gruppo, oggi

    Il preadolescente oggi vive già una sua esperienza di gruppo.

    • A livello di amici-compagni: cioè della banda, del fare insieme certe cose. Sono gruppi behavioristici, cioè che si riferiscono eminentemente al comportamento, che generano dei comportamenti: ci si comporta come si comporta il gruppo o la gang.

    • A livello di associazioni autonomamente organizzate. Oggi i giovani e anche i ragazzi, tendono facilmente ad autoorganizzarsi, in vista dei fini più disparati: dalla raccolta dei coleotteri all'andare a rubare le arance.

    • A livello di relazione sociale urbana. È un argomento vasto, quello dell'urbanesimo come conglomerato sociale necessario. Per il fatto stesso che un gruppo di ragazzi vive nello stesso caseggiato, essi si trovano insieme. È un elemento da tenere in considerazione, perché il passaggio da una società rurale ad una società urbana genera situazioni completamente diverse. In una società rurale è evidente che il gruppo è difficilissimo da costruire, perché i confini sociali sono quelli del proprio podere; ma una società urbana, come è quella che abbiamo oggi nelle grandi città genera necessariamente dei gruppi sociali fra i ragazzi. Gli adulti possono anche ignorarsi – ciascuno va al lavoro al mattino e rientra in casa alla sera –, mentre i ragazzi si trovano insieme. Nasce quindi un gruppo che ha delle fortissime spinte comportamentali.

    • Mentre succede questo, cioè il formarsi di questi gruppi spontanei, c'è parallelamente il rifiuto, da parte del preadolescente di oggi, della vita di gruppo tradizionale. Le motivazioni sono esplicite: non più come ieri, quando il rifiuto era implicito, legato a crisi di tipo bio-tipologico, che attingono alla psicologia, alla neurologia, all'endocrinologia. Oggi invece il preadolescente porta motivazioni esplicite, colte da tutta un'ampia letteratura sociale e dal comportamento dei ragazzi che hanno un po' più di età. Ne ho fatto un'esperienza poco tempo fa, in un'inchiesta compiuta in una scuola media inferiore: ho trovato dei preadolescenti che rifiutano il professore, la famiglia, il tessuto organizzato. «Noi non vogliamo essere strumentalizzati»: è un'espressione udita in bocca a ragazzi delle scuole medie. Rifiutano cioè la vita di gruppo sia a livello familiare, sia a livello ideologico – ad esempio, la parrocchia. Si avverte una difficoltà enorme ad avere in parrocchia i ragazzi. Si salva ancora un po' lo scoutismo, ma per motivazioni pratiche, perché alza delle tende, va a fare delle uscite..., non certo perché si colga a fondo l'ideologia scout.

    • A livello ordinativo-disciplinare: ad esempio rifiutano la scuola. Quindi è difficile lavorare in gruppo in un ambiente che viene respinto. Ecco la necessità, come dicevo prima, che la scuola sia diversa: non un fatto
    ordinativo-disciplinare, ma un punto di incontro ordinatore delle diverse esperienze, anche di quelle fatte al di fuori dell'ambiente scolastico.

    Stile di vita

    Di qui sorge la necessità di agire, nell'ambito degli istituti formativi tradizionali (tutti quanti: la scuola, la famiglia, la Chiesa in quanto fatto ordinativo e in tutti gli altri elementi sociali) secondo lo stile:
    • Della libertà.
    È un fatto talmente importante che è un'opzione morale: o lo si accetta o lo si rifiuta. Quando si coniano degli aggettivi per il termine «libertà», è segno che non si crede alla libertà. Lo stile della libertà è lo stile della libertà: nient'altro.
    • Della corresponsabilità.
    Ritengo fondamentale che ci si ponga di fronte al ragazzo di 11-12 anni dicendo: «Tu sei almeno corresponsabile del tuo processo educativo. Io non intendo fare sbocciare il fiore, ma aiutarlo a sbocciare».
    • Della modernità: di linguaggio, di contenuti, di strumenti Questo è un discorso di un'importanza eccezionale, nell'ambito educativo soprattutto del nostro paese.

    – Un linguaggio attuale, esistenziale, di una semantica non contraddittoria rispetto alle esperienze quotidiane: non si può continuare a parlare nella scuola un linguaggio che non è quello quotidiano: sembra di essere in un altro mondo. Non dico che il linguaggio debba essere quello di Carosello, ma non può essere neanche quello di Papini, per non dire addirittura del Manzoni! Chiunque, sia pure per vie mediate, ha conosciuto la grande esperienza di don Lorenzo Milani in questo campo, sa che cosa voglio dire. In un momento in cui non si dice più: «Hoc est enim Corpus meum», ma si dice: «Questo è il mio Corpo», in cui cioè si demitizza persino ciò che era sacro per farlo diventare santo, è assurdo pensare di lasciare «sacro» il linguaggio scolastico.
    Mentre il Signore parlava per parabole per essere più semplice, noi parliamo per figure retoriche per essere più complicati, perché questo ci «sacralizza»

    – Contenuti indotti, accettati dal gruppo come corrispondenti a interessi reali. Non si possono assumere tutti i contenuti, di qualunque tipo. Il contenuto va indotto (ci vuole un disegno nella mente dell'educatore); ma va indotto in modo che corrisponda ad un interesse reale. E se l'ipotesi fosse errata, e l'interesse non diventasse reale, il contenuto va almeno rimandato. Perché la natura non fa salti per nessuno. Non si può dire: «Oggi parliamo della vocazione di Abramo!», se in quel momento questo è l'interesse minore.
    Perché oggi c'è Renato che ha litigato, ha fatto a pugni con l'altro amico, quindi il gruppo parrocchiale o il ragazzo della scuola oggi è tutto preso da questo argomento.
    Si parlerà di Caino e Abele: ma non della vocazione di Abramo. La quale non scade di importanza per il fatto che si rimanda a tempi più propizi. Meno importanza, cioè, al «programma», e più rilievo alla situazione di vita.

    – Gli strumenti vanno collegati alle caratteristiche di una società dei mass-media a tecnologia avanzata. Ricordiamoci che non possiamo fare un lavoro di gruppo di tipo più o meno analfabetico-sapienziale. Dobbiamo servirci di quanto la moderna tecnologia ci offre: perché è l'unico modo per essere in sintonia con le richieste in questo campo.

    CONCLUSIONE

    Ecco quindi la linea logica: noi dobbiamo puntare sul lavoro di gruppo per verificare la voglia di agire del ragazzo. Il gruppo deve essere l'incontro di volontà libere, guidate nel senso della libertà dall'insegnante, che tiene conto delle interferenze e le valuta sia nei momenti negativi sia nei momenti positivi; ma che non le sopravvaluta al punto da non credere che, attraverso il lavoro di gruppo guidato, si possa realizzare quel fine della individualizzazione e della socializzazione, soprattutto della socialità creativa, che diventa stimolante per il ragazzo, e quindi diventa un fatto autenticamente accrescitivo sul piano del suo processo di autoformazione.


    T e r z a
    p a g i n A


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