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    I giovani primi animatori dei preadolescenti



    (NPG 1971-06/07-54)

    I capitoli precedenti hanno condotto a riflettere su due affermazioni:
    • «catechizzare» il preadolescente, a livello di comunità parrocchiale, significa guidarlo a ripensare e a vivere, alla luce della fede, tutte le sue quotidiane esperienze: catechesi = animazione cristiana;
    • responsabile di questa animazione cristiana è la chiesa locale, e quindi tutta la comunità.
    Pur conservandone la diretta responsabilità, la comunità deve «demandare» l'impegno esecutivo ad alcune persone. Non le è possibile un esercizio diretto del compito di animazione, nell'attuale situazione pastorale. Le comunità sono una realtà troppo vasta, troppo sociologicamente impercettibile, troppo poco influente, in confronto soprattutto ad altre pressioni sociali, presenti nel tessuto normale della vita.
    Da qui, il problema cruciale: per i preadolescenti d'oggi, chi può esercitare «in prima linea» questo impegno di animazione cristiana, in forza del proprio carisma battesimale, in nome della comunità, diretta responsabile?
    Storicamente, si offrono parecchie risposte all'interrogativo:
    • in qualche comunità, la responsabilità è tutta sulle spalle dei sacerdoti (o dei religiosi): sono essi che principalmente esercitano questa funzione, nei confronti dei preadolescenti;
    • in altre comunità, un gruppo di adulti (scelti in base alla loro preparazione didattica e di maturità cristiana): il contatto con i preadolescenti è necessariamente limitato ai brevi momenti forti dell'incontro catechistico;
    • in altre comunità, il compito è affidato ad un gruppo di giovani.
    Quale scelta ci pare più di servizio per la maturazione cristiana dei preadolescenti?

    LA NOSTRA PROPOSTA

    Note di Pastorale Giovanile opta per la terza soluzione, pur con una serie di annotazioni all'interno, per una maggior capacità di incidenza formativa.
    I primi animatori dei preadolescenti, i più naturali e quelli dotati di maggior presa educativa, sono, in linea di massima, i giovani: i coetanei di pochissimi anni più anziani. Quindi alla comunità si chiede di affidare ad essi, principalmente, il compito dell'animazione cristiana dei preadolescenti.
    La scelta è impegnativa. E andrà motivata.
    D'altra parte, essa forma il fulcro delle proposte pastorali contenute in questa monografia. L'accettazione pratica della indicazione o il suo rifiuto, non è indifferente al discorso d'insieme del nostro studio.
    Un'obiezione affiora immediatamente: i giovani sono immaturi, sono spesso in stato di crisi o di ricerca nei confronti della fede: come possono diventare educatori dei loro coetanei, con questo bagaglio che si trascinano?
    La difficoltà è reale. È stata soppesata con molta ponderazione, prima di arrivare ad una decisione. Eppure ci siamo orientati per questa scelta.
    Le perplessità hanno evidenziato una serie di attenzioni:
    • non tutti i giovani sono in grado di essere animatori dei preadolescenti;
    • neppure possono esserlo coloro a cui piace, che si sentono «portati»: c'è una esigenza di maturità che è più discriminante della disponibilità;
    • la scelta non coincide con la capacità immediata: c'è tutto un lungo curricolo di formazione da programmare (questa monografia ne traccia l'esigenza e le linee di sviluppo), per rendere i giovani «chiamati», realmente capaci di svolgere la propria missione;
    • la comunità non potrà mai rinunciare alla propria solidale e originale responsabilità: fornirà sempre un confronto integrativo dell'azione dei giovani, a livello soprattutto del momento di impostazione di ogni progetto di animazione cristiana;
    • il gruppo dei giovani animatori sarà integrato da presenze di adulti: un coordinatore (il sacerdote della comunità) ed alcuni adulti (pochi, ma fortemente significativi, di decisa testimonianza cristiana) chiamati ad assolvere con i giovani la funzione di animatori dei preadolescenti, in contatto immediato.

    I MOTIVI DI UNA SCELTA

    È tempo di motivare la scelta operata.
    Invece di una serie di riflessioni organiche, preferiamo, nella linea di tutta la monografia, offrire alcuni spunti.

    ♦ Per essere animatori è necessario far parte, direttamente, del gruppo: è necessario convivere con i suoi membri.
    Abbiamo optato per un passaggio da una concezione di catechesi fatta di nozioni da comunicare (anche se con metodo aggiornatissimo), ad una vera animazione cristiana.
    La realizzazione del progetto comporta la convivenza il più possibile capillare ed ampia dell'animatore con i membri del suo gruppo:
    • nel momento forte dell'incontro di gruppo (incontro strettamente «catechistico»);
    • e nei momenti di routine, nel quadro ordinario della vita (il giocare con i membri del gruppo, i vari contatti sporadici, gite, incontri di preghiera, un contatto con i genitori...: l'elenco è solo funzionale a mettere in effervescenza la capacità inventiva dei vari animatori).
    Per poter realizzare tutto questo, è richiesta una notevole disponibilità di tempo, di mentalità, di vicinanza di gusti.
    D'altra parte, i momenti di routine non sono opzionali. Appellano al momento forte, per essere qualificati, ma il momento forte appella ad essi, per essere «vero», per diventare tempo di riorganizzazione, passaggio al rallentatore, della e nella vita.
    C'è da chiedersi, allora, se gli adulti siano capaci di tutto questo.

     RdC 75 ricorda un grosso fatto pastorale: il preadolescente non ha bisogno che gli si comunichi tutto il messaggio cristiano (non è chiamato a diventare un teologo in 16°); gli va rivelato quel tanto e in quei termini e con quel taglio che sia risposta alla sua vita quotidiana (pur nella
    «novità»). Per questo è sufficiente che il giovane animatore sappia dialogare con la sua vita, alla luce della fede. Non che conosca tutti i contenuti della fede, nei minimi dettagli. D'altra parte, la scelta di quanto va rivelato e quanto va provvisoriamente taciuto, è sempre fatta in gruppo,
    e quindi con il sacerdote.

     Presenza di modelli di comportamento.
    L'autorità, la capacità di incidere e di trascinare, si sposta oggi dal campo giuridico a quello morale. Gode di autorità presso i preadolescenti colui che è visto, anche inconsapevolmente, come «io ideale», colui nel quale essi si proiettano.
    Le inchieste di psicosociologia (classico, a questo proposito, lo studio «Adolescenti d'Europa», SEI) mettono in risalto due aspetti complementari di una stessa tensione ideale. Il preadolescente, che vive in uno stato di insignificanza e di indeterminatezza, tende verso una figura più sicura, più completa, più riuscita. E queste figure sono sempre «figure di adulti». Ma quando passa alla fase operativa, l'ideale lontano è colorato di tinte, di tonalità vicine, raggiungibili, di traguardi intermedi: quindi il preadolescente si ritrova nel giovane, nell'amico che ha pochi anni più di lui, proprio perché gli presenta la possibilità di vivere, a suo livello, quella tensione che ha avvertito, verso una meta affascinante ma lontana. Il giovane è sentito affaticato dagli stessi suoi problemi e contemporaneamente il ragazzo si accorge che è già avanti nelle soluzioni e nel processo di liberazione: è un modello molto vicino, in cui è facile riconoscersi: è uno dei «nostri», ma non del tutto, quindi fa da modello. Di qui la nostra scelta: porre, vicino ai preadolescenti, pochi adulti, ma estremamente significativi e molti giovani, adeguati a loro.

    Mentre l'adulto, abitualmente, si considera arrivato e comunica agli altri senza lasciarsi coinvolgere e criticare, nell'impegno di animazione cristiana dei preadolescenti, il giovane ritrova una carica di autoformazione fortissima.
    Il contatto di vita con gli altri, lo porta a riscoprire una nuova gerarchia dei valori, porta a toccare con mano i propri limiti, a verificare la inadeguatezza di molte scelte. E quindi fa venire una voglia di crescere e maturare sempre più.
    In particolare, l'impegno di animazione può diventare per un giovane:
    • una tavola di verifica del proprio cristianesimo: il contatto con gli altri, il dover parlare di Cristo, con i fatti prima che a parole, mette in crisi, contesta, irrimediabilmente, una fede tranquilla, un possesso sicuro da godere;
    • un immediato impegno politico, nei termini di promozione di una educazione liberatrice;
    • un continuo stimolo all'autocritica. Secondo due linee: i grandi progetti di rinnovamento della società, spesso idealistici, vengono ridimensionati dal contatto con la realtà (è l'esperienza di molti gruppi giovanili che hanno promosso «doposcuola»: i progetti di un modo nuovo di impostare la scuola, l'autodisciplina, la programmazione sono stati scoperti molto utopici, nel momento in cui i promotori ne hanno tentato la realizzazione): non è perdere in entusiasmo ma guadagnare in realismo. E, in secondo luogo, la coscienza di non poter far passare negli altri la propria visione delle cose, porta ad un ripensamento disponibile, in un momento come quello della giovinezza in cui spontaneamente si vive in atteggiamento di potere e di autonomia.
    Le due funzioni sono assolte sia dalla coscienza della responsabilità che proviene dalla missione assunta, che dal contatto con gli adulti nel momento di vivere questa missione.

     E c'è, infine, un motivo di ordine pratico: di fatto i giovani sono coloro che hanno più tempo a disposizione. Sono maggiormente disponibili. Anche perché stanno avvertendo sempre di più che è ingiusto consumare, egoisticamente, il proprio tempo libero: il tempo libero è prima di tutto «tempo per gli altri», a piene mani. Per problemi di giustizia: «quod superest, date pauperibus!». Ed è un contestare con i fatti il consumismo e lo spreco di tempo della nostra società.

    CON GLI ADULTI, NELLA COMUNITÀ

    Molte volte è ritornata l'annotazione: con gli adulti, nella comunità. Anche in seguito (vedi, per esempio, il capitolo sul gruppo degli animatori) il ritornello sarà ripreso.
    La scelta di prevalenza dei giovani, nella realizzazione dell'impegno di una animazione cristiana dei preadolescenti, non può giocare a scaricare le responsabilità.
    La comunità è la prima responsabile: non può mai rinunciare al suo ruolo. Anche se altri lo fanno con entusiasmo. Anche se gli altri – e per i giovani la tentazione è facilissima – taglieranno presto i contatti con la comunità.
    D'altra parte, se la scelta per cui si è optato viene stimata adeguata, i giovani più impegnati saranno coloro che agiranno in prima linea, a nome e su mandato della comunità, anche se in forza del loro carisma battesimale.
    un punto di equilibrio da ricercare. Faticosamente e quotidianamente: si tratta di un equilibrio instabile, dinamico. Quindi sempre sul punto di rompersi. Ma l'appartenenza alla Chiesa e il compartecipare al suo stato di missione non permette i sonni tranquilli e «il volgere indietro lo sguardo», pregustando la gioia del bene compiuto.
    La presenza di adulti nella fase di realizzazione dell'animazione cristiana dei preadolescenti può facilitare questa conquista: essi formano il tramite più diretto con la comunità ecclesiale, offrono un valido correttivo all'esuberanza giovanile, forniscono un modello sicuro, riuscito di vita cristiana, incarnata nell'oggi, trasmettono speranza all'ardore, così facile ad afflosciarsi, dei giovani animatori.


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