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    Visione cattolica della scuola



    Michele Pellegrino

    (NPG 1970-03-06)

    La scuola cattolica attraversa un periodo particolarmente difficile: è contestata da destra e da sinistra.
    Gli interrogativi si affollano, con ritmo serrato:

    - Ha diritto la Chiesa di «costruirsi» una sua scuola?
    - Come può essere significativa? A quali titoli può arrogarsi la denominazione di «cristiana»?
    - Ha senso spendere una vita sacerdotale, dentro le quattro mura polverose di un istituto scolastico, quando, fuori, preme il turbine della vita e mille mani si alzano a chiedere aiuto?
    - È sufficiente far bene la scuola per parlare di vera educazione?
    - A chi affidare gli altri compiti educativi e pastorali?

    Ne sono elencati alcuni: forse quelli solo più superficiali.
    Perché corrono nelle bocche di tutti e rimbalzano in tutti gli incontri. Ce ne sono cento altri, nel più profondo dei precedenti.
    Il card. Pellegrino, in questo studio lucido e stimolante, proiettato con realismo pastorale in avanti, ne tenta una risposta organica.
    Dopo una carrellata sulla storia dei primi tempi della Chiesa sono affrontati i problemi cruciali del perché la Chiesa si interessa di scuola e del significato e delle finalità di una scuola cattolica.
    Le annotazioni conclusive inducono necessariamente ad una riflessione coraggiosa e decisiva.
    L'articolo, offerto dal card. Pellegrino alla nostra Redazione, sarà pubblicato anche negli Atti del XL Corso di aggiornamento culturale dell'Università Cattolica «La Scuola nella società italiana» (ed. Vita e Pensiero), di cui questo studio è stato la relazione conclusiva.

    La formulazione del titolo di questo articolo sembra supporre che esista una «visione cattolica della scuola». Ma è lecito domandare se ciò sia pacifico e indiscutibile.
    Senza voler cedere alla tentazione della facile ironia sulle varie «teologie» delle realtà terrene - a quando, si chiedeva qualcuno recentemente, una teologia «des garçons de café?» - si può porre il problema se la scuola sia suscettibile d'essere veduta con connotazioni caratteristiche d'una confessione religiosa o non debba piuttosto collocarsi tra le realtà di loro natura laiche e profane.
    Chiedo venia se non do su due piedi una risposta.
    Mi sembra dover far precedere alcune considerazioni teoriche e uno sguardo storico.
    Una cosa tuttavia si può affermare in partenza senza esitazione: è pienamente legittimo l'interesse con cui un cristiano, un cattolico, guarda alla scuola, poiché nell'attività scolastica, soprattutto per i suoi necessari e immediati riflessi educativi, sono indubbiamente in giuoco essenziali valori religiosi.
    Direi, preliminarmente e, con la riserva di precisare e approfondire, che si può guardare alla scuola, come ad altre attività umane, in due modi, secondo che la scuola si considera portatrice di valori autonomi, sempre da realizzare a servizio dell'uomo (e in ultima analisi alla gloria di Dio, fine supremo), oppure in quanto ordinata direttamente, per il credente, al regno di Dio, perché portatrice di contenuti e valori propriamente religiosi.

    LA SCUOLA È NEL GENERE DELLE «ISTITUZIONI»

    Non m'interessa qui definire l'«istituzione» in senso prettamente neutrale di fronte alla Chiesa, quale potrebbe essere un'associazione di coltivatori di funghi. Seguendo la lucida esposizione fatta nel 1967 dal Card. Renard, arcivescovo di Lione, nella conferenza dell'episcopato francese a Lourdes, distinguerò tra le istituzioni «ecclesiali», di diritto divino, le istituzioni «ecclesiastiche», create dalla Chiesa stessa in ordine a fini puramente religiosi (per es., la parrocchia, il Seminario, l'Azione Cattolica), le «istituzioni temporali cristiane» e infine le «istituzioni temporali d'ispirazione cristiana».
    In queste ultime categorie rientra, accanto alle varie istituzioni assistenziali, ricreative, sociali, professionali, economiche, ecc., che portano il nome di «cattolico» o che comunque sono promosse per cattolici o da cattolici in quanto tali, la scuola che si presenta come «cattolica» o «d'ispirazione cattolica».
    Anzi, secondo la dichiarazione che leggiamo nel volume Il rinnovamento della catechesi - Documento di base per il nuovo catechismo, a cura della CEI (p. 134), «la scuola fa parte propriamente delle strutture civili, in certa proporzione anche quando è organizzata dalle diocesi» (cf La Dichiarazione conciliare sull'educazione cristiana, n. 8).
    Basta quest'accenno per richiamare le grosse questioni che si stanno agitando intorno alla scuola «cattolica», come intorno a tutte le istituzioni che a qualsiasi titolo operano nella Chiesa o intendono collegarsi all'azione della Chiesa.
    «Molti», costata il Card. Renard, «respingono in blocco tutte queste istituzioni che secondo loro sono residui di uno stato di cristianità, chiudono i cattolici in ghetti, dividono i cittadini d'una nazione, costituiscono delle controtestimonianze, non lasciano tutta la libertà d'azione ai loro militanti, mantengono confusioni fra certe opzioni e la Chiesa, ecc.» (Conférence Lourdes 1967, p. 147).
    Ciò sia detto a titolo di semplice premessa. La problematica su questo tema verrà affrontata in seguito.

    NELL'ANTICHITÀ CRISTIANA

    Uno sguardo alla storia mi sembra utile per aprire la strada alle considerazioni di principio.
    H.-I. Marrou, che ha indagato ampiamente e profondamente sul fatto educativo (e quindi della scuola) da Omero a Carlo Magno, nella sua Storia dell'educazione nell'antichità (trad. it., Studium, Roma, 1950), osservava: «Per tutto il tempo che dura l'antichità, salvo alcuni casi eccezionali e limitati, i cristiani non hanno creato scuole loro; si sono contentati di mettere la loro formazione specificamente religiosa, assicurata dalla Chiesa e dalla famiglia, accanto alla istruzione classica che ricevevano con lo stesso diritto dei pagani nelle scuole di tipo tradizionale» (p. 415 ss.).
    Eppure, nota lo storico, «sembrerebbe naturale che i primi cristiani, così intransigenti nella loro volontà di rottura con un mondo pagano di cui non cessano di denunciare gli errori e le tare, avessero conseguentemente creato per loro uso una scuola d'ispirazione religiosa, distinta e rivale della scuola pagana di tipo classico» (p. 414).
    Anche il Lortx (Storia della Chiesa nello sviluppo delle idee, trad, it., vol. I, Ediz, Paoline, Alba 1966, p. 102) vede «una singolare mancanza di coerenza» nel fatto che «le scuole superiori più celebri, e quindi quasi tutta l'istruzione delle classi più elevate, si lasciarono nelle mani dei maestri pagani» (nota che «solo nel 529 fu chiusa la scuola filosofica di Atene, diretta dai pagani»).

    Disinteresse per la scuola?

    Tale disinteresse - se il fatto notato dimostra un disinteresse - non è certamente da intendersi quale prova della scarsa considerazione dei cristiani antichi per il problema educativo. Il Marrou c'invita a fare una distinzione importante fra la mentalità di oggi e quella dei primi secoli in fatto di «educazione cristiana».
    Mentre oggi domina una visione globale dell'educazione, cosicché la scuola viene considerata un momento del processo educativo nel quale, per il credente, ha un ruolo essenziale e preminente l'elemento religioso, i cristiani antichi, vivendo in un mondo estraneo e ostile alla loro concezione religiosa, consideravano naturalmente l'educazione come un compito estraneo alla scuola comune a tutti, compito che si assumevano la famiglia e la Chiesa.
    Questa visione è connessa con la concezione della scuola familiare all'antichità, che non le attribuiva una funzione educativa, ma solo d'istruzione, in un senso nozionistico e tecnico (cf Marrou, p. 411).
    Anche il fatto che i maestri venivano pagati - qualunque fosse la misura del loro onorario - contribuiva a sminuire, nell'opinione pubblica che esaltava le arti «liberali», il significato e il valore della loro professione. Solo nell'alto medioevo, con le scuole monastiche, si comincerà a riconoscere alla scuola un compito educativo (cf Marrou, p. 57).
    Citerò un solo testimonio, ma di eccezionale interesse, dello spirito con cui i cristiani guardavano alla scuola: sant'Agostino. Riferendosi ai suoi studi che chiameremmo secondari, egli così apostrofa la società del tempo, e in primo luogo la scuola: «I figli degli uomini sono gettati nelle tue onde, o fiumana tartarea, e si paga perché apprendano queste nozioni; e si tratta di cosa seria, se viene compiuta ufficialmente, sulla piazza principale della città, sotto gli occhi delle leggi, che assegnano ai maestri un salario pubblico in aggiunta alla mercede dei privati» (Conf. I,14,26, trad. Carena).
    Il giudizio di Agostino sulla scuola non è più indulgente quando parla di sé come professore che praticava «l'insegnamento delle discipline cosiddette liberali» (IV,1,1,), occupato nel vendere «chiacchiere atte a vincere cause» (IV,2,2,). Poiché la scuola era il «mercato delle ciance» (IX,2,2), così, dopo la conversione definitiva, terminate le vacanze vendemmiali, il professore di eloquenza avvertì «i milanesi di procurarsi un altro spacciatore di parole per i loro studenti» (IX,5,12).
    Non bastava certo a redimere la scuola agli occhi di Agostino l'incontro avvenuto nel corso normale degli studi, a 19 anni, con l'Ortensio di Cicerone, che mutò il suo modo di sentire, suscitò in lui nuove aspirazioni e nuovi desideri e gli fece bramare la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore, nell'anelito di rivolare dalle cose terrene a Dio (III,4.7-8).
    La scuola gli aveva messo nelle mani il libro destinato a operare, per un mistero della grazia, la mirabile trasformazione interiore, ma niente più. Così non era stato merito della scuola se una frecciata, venuta come per caso, contro i giochi del circo, aveva guarito lo scolaro di Agostino Alipio, assiduo frequentatore di questi spettacoli, dalla sua peste (VI,7,12).
    Sembra dunque da ricercarsi nella scarsa considerazione dell'efficacia educativa riconosciuta alla scuola una ragione che spiega l'assenza d'una scuola «cristiana» nei primi secoli.
    È vero che Agostino biasima la scuola del suo tempo insistendo sul vuoto dei contenuti didattici, in quanto volta a fornire ai giovani soltanto lo strumento utile della parola considerata fine a se stessa, e, più ancora, gli errori e le sconcezze di cui rigurgitavano i testi fondamentali dell'insegnamento letterario (v. p. es., Conf. I,16,26).
    Ma sembra affiorare, dall'insieme del comportamento dei cristiani antichi verso la scuola, una ragione più profonda del loro disinteresse e del fatto che si trovarono «in così buona compagnia con la scuola pagana».
    Il senso acuto dell'originalità e della trascendenza dei valori religiosi espressi dal cristianesimo induceva il cristiano dei primi secoli a fissare l'attenzione su quelle persone e su quegli strumenti di cultura (bibbia, liturgia, catechesi) che avevano la funzione di comunicare genuinamente e direttamente tali valori. L'indubbio influsso che qualsiasi strumento educativo, tra i primi la scuola, è destinato ad esercitare su tutto l'orientamento della vita, difficilmente poteva attirare la loro attenzione. Solo più tardi, con un lento lavorio di secoli, in una cultura che s'andava impregnando di spirito cristiano, doveva affermarsi la coscienza dell'intimo rapporto fra tutti gli aspetti della cultura e la visione religiosa della vita (cf Marrou, p. 417).

    Fede e cultura classica

    Finora abbiamo parlato di scuola in generale, senza tener conto dei suoi vari gradi. Ora, qui si pone un problema storico che ha una notevole importanza per chiarire l'atteggiamento del cristianesimo autentico di fronte alla scuola e, in genere alla cultura, di cui la scuola è veicolo e strumento.
    Debbo ancora richiamarmi al Marrou, che ha posto questo problema in termini precisi, con un'affermazione sulla quale mi sembra di dover esprimere delle riserve.
    Lo studioso francese ravvisa una netta differenza fra ciò che riguarda la «cultura preparatoria, l'educazione», accettata dalla Chiesa antica senza difficoltà, e la «cultura nel senso generale della parola, cioè il metodo di vita intellettuale dell'adulto», che sarebbe rifiutata decisamente.
    L'esame dei rapporti fra cristianesimo antico e cultura classica (esame che qui non è possibile, per il quale mi devo riferire a studi condotti in altra sede) mi sembra che non confermi la tesi che la Chiesa sarebbe stata sempre cosciente d'una opposizione profonda fra la cultura e il messaggio cristiano. I testi allegati dal Marrou, quando non sono voci isolate (come in Tertulliano) esprimono solo l'ostilità della Chiesa al contenuto di tale cultura in quanto opposto alla verità cristiana, mentre è chiaro che in essa si riconoscono elementi essenziali di autentico valore. D'altra parte non sembra che i giovani cristiani frequentassero solo la scuola di grado inferiore. Gregorio di Nazianzio e Basilio, catecumeni appartenenti a fervorose famiglie cristiane, furono alunni appassionati della scuola di Atene, fiorente nelle discipline letterarie e filosofiche.
    Ho già citato il Lortz, il quale nota che proprio l'istruzione delle classi più elevate era lasciata in mano di maestri pagani, e spiega la cosa ricordando che l'«ineguagliabile splendore delle opere di cultura del paganesimo esercitava ancora la sua meravigliosa opera di attrazione» (I vol. p. 102).

    PERCHÉ LA CHIESA S'INTERESSA DELLA SCUOLA?

    Se dalla costatazione d'un fenomeno storico fosse lecito assurgere senz'altro all'affermazione di princìpi universalmente validi, verrebbe naturale di proclamare il disinteresse della Chiesa per la scuola (ciò che renderebbe del tutto superflua la mia trattazione). La tesi, del resto, non è ignota, e non chiede nemmeno di poggiare su fondamenti storici, rientrando in quel rifiuto dell'istituzione di cui dicevo da principio e su cui converrà ritornare.
    Ma è troppo evidente che il fenomeno storico non costituisce per sé una norma, anche se è necessario tenerne conto in quanto manifesta istanze che a loro volta debbono essere oggetto di giudizio critico.
    A questo punto ritengo dovere elementare del cattolico richiamarmi ai documenti del magistero ecclesiastico, interprete autentico del «sensus fidei» del popolo di Dio, fondato sulla parola di Dio.
    È appena il caso di osservare che il magistero, quando non rechi la nota dell'infallibilità (e in certo senso anche allora), non intende dire l'ultima parola sull'argomento di cui si occupa, e tanto meno quando la materia non è strettamente pertinente alla fede, qual è appunto quella di cui ora si tratta.
    Mi riferisco in primo luogo alla Dichiarazione sull'educazione cristiana, il più ricco per noi tra i documenti conciliari al quale è doveroso attingere l'espressione del pensiero della Chiesa in questo campo, pur riconoscendo che tale pensiero potrà essere precisato e approfondito.

    * Possiamo partire da un'affermazione, che riguarda in genere le realtà terrene e le istituzioni umane, quindi la scuola.
    Cito, fra i molti che si potrebbero riportare, un passo del Decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi. «Le stesse cose terrene e le umane istituzioni, nei disegni di Dio, sono ordinate alla salvezza degli uomini, e possono, per ciò, non poco contribuire all'edificazione del Corpo di Cristo» (Christus Dominus 12).
    Poiché l'ordine naturale e l'ordine soprannaturale si attuano nell'unità della medesima persona umana, e il secondo ha come luogo e fondamento il primo, la Chiesa non può essere estranea a quelle realtà che possono offrire il terreno all'opera della grazia divina.

    * Il mandato ricevuto dalla Chiesa la obbliga a rivolgere la sua attenzione alla scuola: «La Santa Madre Chiesa, nell'adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di instaurare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell'intera vita dell'uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione al cielo, e perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso e allo sviluppo della educazione. Per questo il Sacrosanto Sinodo dichiara alcuni princìpi fondamentali intorno alla educazione cristiana soprattutto nelle scuole» (Grav. educ., Introduz.).
    La Chiesa «ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza, e di comunicare ai credenti la vita di Cristo, aiutandoli con sollecitudine incessante a raggiungere la pienezza di questa vita» (Grav. educ. 3).
    Nella Dichiarazione sull'educazione si fa una chiara distinzione fra i mezzi che la Chiesa mette in opera nell'assolvere il compito educativo come suoi propri, in primo luogo l'istruzione catechetica, e «gli altri mezzi, che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole» (Grav. educ. 4).
    Per ciò che riguarda in particolare la scuola, converrà ricordare le parole con cui, il 20 settembre 1955, il Sostituto Mons. Dell'Acqua giustificava l'interesse di Pio XII per l'imminente settimana sociale dei cattolici italiani, dedicata appunto allo studio della scuola: «La scuola, sebbene non costituisca né il solo né il più importante fattore dell'educazione, resta pur sempre il punto dove necessariamente s'incontrano sul terreno educativo la famiglia, la Chiesa e lo Stato. Dal suo perfetto funzionamento dipende in gran parte la formazione integrale dell'uomo e, quindi, il progresso o il regresso della stessa civiltà» (Società e scuola, ed. ICAS 1956, p. 12).
    Non ignoro l'insistenza con cui oggi si presenta la funzione della scuola come rivolta soprattutto a fornire degli strumenti di espressione e di comunicazione necessari per la vita, sorvolando sui contenuti dell'insegnamento, soprattutto in considerazione dell'estrema mobilità della cultura per cui sarebbe vano voler trasmettere alle generazioni future il patrimonio acquisito dalle precedenti.
    Ma il buon senso basta a persuadere che non si possono usare strumenti e metodi didattici che non portino con sé un contenuto di realtà e di pensiero (pur tenendo presente che gli alunni attingono le loro conoscenze anche da altri molteplici mezzi d'informazione).
    Non si pensa, ovviamente, alla trasmissione meccanica d'una serie di nozioni accolte passivamente dallo scolaro, ma di una sollecitazione, un aiuto e una guida per la ricerca della verità con un impegno di costante verifica e di graduale progresso.
    La Dichiarazione conciliare sull'educazione mette naturalmente in rilievo l'importanza che ha in questo campo la scuola. «Tra tutti gli strumenti educativi un'importanza particolare riveste la scuola, che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazione, promuove il senso dei valori, prepara la vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose la società civile e tutta la comunità umana» (n. 5).

    * La «Chiesa, colonna e sostegno della verità» (1 Tim. 3,15)
    Mi si consenta un'osservazione che probabilmente mi farà apparire superato.
    L'opera della scuola è indirizzata, in primo luogo, alla comunicazione della verità.
    Da parte di taluni, si insiste tanto sul valore educativo globale, che ha in vista non solo l'intelligenza ma tutto l'uomo, che forse si lascia in ombra un aspetto fondamentale del compito della scuola, che è appunto educare alla ricerca della verità.
    Certo, la verità che la Chiesa annuncia è di ordine religioso, trascendente ma c'è un nesso inscindibile fra tutti gli aspetti della verità.
    E la Chiesa ha fiducia, come Agostino, nella forza della verità: «Victoria semper veritatis est» (Serm. Casin. 1,133,14, MA, 1, Roma 1930, p 412). L'interesse della Chiesa alla scuola può tradursi, ove lo richieda il bene comune, tenendo presente il principio di sussidiarietà, nel fondare scuole e istituti propri (Grav. educ. 3) (ne riparleremo).
    Ma soprattutto la Chiesa si sente impegnata, in virtù del mandato divino, di comunicare la verità e la grazia, a illuminare coi princìpi del Vangelo l'attività degli uomini anche in questo campo.
    È ciò che ha fatto il Concilio, in proposito, nella Dichiarazione sull'educazione cristiana, e, occasionalmente, in vari altri documenti. È particolarmente utile a questo scopo il II capitolo della seconda parte della Gaudium et spes, dedicato a problemi della cultura. Molte cose infatti che si dicono della cultura possono essere dette della scuola, strumento fra i più efficaci per la diffusione della cultura.

    ALCUNI PRINCIPI

    Il senso con cui la Chiesa guarda alla scuola e le direttive ch'essa dà in proposito si fondano su alcuni princìpi che richiamerò brevemente.

    Nesso fra educazione e cultura, quindi fra educazione e scuola

    La «neutralità» del cristiano antico verso la scuola (comunque si debba giudicare l'estensione e la qualità del fenomeno), è stata largamente superata nella mentalità d'oggi.
    Certo noi non guardiamo alla scuola con l'animo del cristiano dell'alto medioevo, caratterizzato così dal Marrou: «Il maestro è colui che rivela non solo la scrittura, ma anche la Sacra Scrittura. Monastica, episcopale o presbiterale, la scuola non separa l'istruzione dall'educazione religiosa, dalla formazione dogmatica e morale; religione sapiente insieme e popolare, il cristianesimo accorda al più umile dei suoi fedeli, per quanto elementare sia il suo sviluppo intellettuale, l'equivalente di ciò che la superba cultura antica riservava all'élite dei suoi filosofi: una dottrina sull'essere e sulla vita, una vita interiore sottomessa ad una direzione spirituale» (p. 442).
    Ma noi riconosciamo, in base all'esperienza, che non è possibile separare, nella scuola, l'attività puramente didattica dall'influsso educativo.
    Non sembra davvero accettabile la proposta, avanzata recentemente «di dissociare l'educazione dalla scuola, affidando a quest'ultima solo il compito di dare ai giovani le capacità intellettuali e professionali propedeutiche all'inserimento sociale» (A. Marchese, Humanitas, N.S. 7-8 luglio-agosto 1969, p. 77, che cita il libro del Gozzer, I cattolici e la scuola, Vallecchi, Firenze, 1964).

    La scuola, come tutta l'opera educativa, deve tendere al fine ultimo dell'uomo

    L'affermazione, che dovrebbe essere evidente al cristiano, consapevole della gerarchia dei valori che traduce il disegno di Dio creatore e salvatore degli uomini, è formulata apertamente nell'Enciclica Divini illius Magistri (n. 13).
    Non certo nel senso che ogni momento dell'insegnamento debba esplicitamente richiamarsi al fine ultimo, ma nel senso che al fine ultimo dell'uomo deve mirare l'educazione intesa globalmente.

    La scuola deve rivolgersi a tutto l'uomo

    È ancora Pio XI, nell'Enciclica ora menzionata, che richiama l'attenzione su questo principio, fondato anch'esso sul disegno divino, quale appare nella costituzione naturale dell'uomo e nella sua vocazione alla condizione soprannaturale di figlio di Dio (n. 18).
    In questo senso la Gaudium et spes ammonisce che «l'educazione dei giovani di qualsiasi origine sociale deve essere impostata in modo da suscitare uomini e donne, non tanto raffinati intellettualmente ma di forte personalità, come è richiesto fortemente dal nostro tempo» (n. 31). E più avanti: «Ogni uomo ha il dovere di tenere fermo il concetto della persona umana integrale, in cui eccellono i valori della intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità, che sono fondati tutti in Dio Creatore e sono stati mirabilmente sanati ed elevati in Cristo» (n. 61).
    Paolo VI, parlando al Congresso Nazionale dell'AIMC il 4 novembre 1968, ravvisava nell'oblio di questa concezione globale dell'attività scolastica una causa della crisi attuale della scuola, «che, forse, si è isolata si è cristallizzata, si è ristretta unicamente a particolari settori dimenticando la complessità della formazione globale del giovane» (Insegnamenti di Paolo VI, vol. VI, 1968, p. 582).
    L'uomo infatti è chiamato a realizzare nella società (cf Gaudium et spes, 24-25) «la vera educazione», e quindi la scuola, che ne è strumento privilegiato, «deve promuovere la formazione della persona sia in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie società, di cui l'uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere» (Grav. educ. 1).

    La luce del Vangelo è destinata a potenziare singolarmente l'opera della scuola

    Vale per la scuola, strumento essenziale per l'approfondimento e la diffusione della cultura, ciò che la Gaudium et spes afferma in ordine alla cultura: «Il Vangelo di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo» (58).
    L'insegnamento del Concilio richiama la celebre apostrofe di sant'Agostino alla Chiesa educatrice universale, dove esalta i benefici arrecati all'umanità dalla Madre dei cristiani non solo in ordine alla vita eterna ma anche nell'ambito temporale: «Giustamente tu, o Chiesa cattolica, madre verissima dei cristiani, tu predichi il culto purissimo e incontaminato da rendere a Dio, nel cui possesso consiste la vita pienamente felice... Tu abbracci anche l'amore e la carità del prossimo di tal maniera che presso di te si trova ogni medicina efficace per le varie malattie di cui soffrono le anime a causa dei loro peccati. Tu educhi e istruisci i fanciulli con semplicità, i giovani con forza, i vecchi con calma, secondo l'età di ciascuno, non solo del corpo, ma anche dell'anima... Tu assoggetti i figli ai genitori con una specie di libera servitù e conferisci ai genitori un pio dominio sui figli. Tu unisci i fratelli ai fratelli col vincolo della religione, più stabile e più stretto che quello del sangue... Tu unisci, col ricordo dei progenitori, i cittadini coi cittadini, le genti con le genti, infine tutti gli uomini, con il vincolo della società, ma anche d'una certa fraternità» (De mor. eccl. cath. 1,62-63 [PL 32,1336 s.]).

    * È chiaro che la Chiesa non attende da tutti il riconoscimento della missione che le è propria. Ma anche in un ambiente non cristiano e non religioso, la cultura (e quindi la scuola) contribuisce oggettivamente a realizzare il disegno divino.
    «I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù: questo tuttavia non diminuisce, ma anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest'opera, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell'uomo» (Gaudium et spes, 57).
    Perciò s'impone un dovere di stretta e operosa solidarietà con tutti coloro che operano nel campo della cultura, qualunque sia la loro posizione religiosa; contribuire al progresso della cultura è camminare insieme verso l'unica verità.
    Qui è forse il caso di ricordare una riflessione proposta dal Concilio, in armonia con quella visione della Chiesa che, mentre ne afferma la grandezza e ci assicura sulla veridicità del suo magistero, riconosce i limiti e le debolezze degli uomini che la compongono e sono chiamati a realizzarla quotidianamente, in ascolto e in docile collaborazione con lo Spirito Santo.
    La Chiesa sa di dover imparare da tutti, anche dai non cristiani, anche dai non credenti.
    C'è bisogno di dire che questo vale anche per la scuola? Senza mai accettare compromessi quand'è in gioco il servizio della verità e l'esigenza della opera educativa, occorrerà, evitando la polemica sterile e astiosa, cercare e riconoscere i valori presenti anche nella scuola e nei maestri di cui non possiamo accettare la fondamentale concezione della vita.
    Questo leale riconoscimento permetterà un confronto e un dialogo vantaggioso a entrambi gl'interlocutori, cristiani e non cristiani, mentre i cristiani, evidentemente, si faranno un dovere di testimoniare, sempre nel rispetto della libertà, il Vangelo di verità e di vita.

    La scuola in quanto mezzo indispensabile per l'accesso alla cultura è un diritto fondamentale dell'uomo

    I cristiani debbono «lavorare indefessamente perché tanto in campo economico quanto in campo politico, tanto sul piano nazionale quanto sul piano internazionale, si affermino i princìpi fondamentali, mediante i quali sia riconosciuto e attuato dovunque il diritto di tutti a una cultura umana conforme alla dignità della persona, senza distinzione di stirpe, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale. Perciò è necessario procurare a tutti una sufficiente copia di beni culturali specialmente di quelli che costituiscono la così detta cultura di base, affinché moltissimi, per causa dell'analfabetismo e della privazione di un'attività responsabile, non siano resi incapaci di dare una collaborazione veramente umana al bene comune» (Gaudium et spes, 60).
    Basta esaminare alla luce di questo principio la situazione attuale, non solo nei paesi in via di sviluppo (eufemismo pietoso, osservava or non è molto un competente, poiché anzi in molti paesi non c'è alcun indizio di sviluppo), per i quali il Decreto sull'attività missionaria ci esorta a lavorare «in ordine all'elevazione della dignità umana e alla preparazione di condizioni più umane» (v. 12), ma anche nel nostro paese, per persuaderci della urgenza di questo compito.
    Non è certo confortante, per noi italiani, il confronto con altre nazioni (quasi tutte quelle d'Europa), nelle quali questi diritti elementari sono più o meno ampiamente riconosciuti nella pratica. Possiamo sperare che, nell'auspicato processo di unificazione dell'Europa, anche l'Italia si adegui a questo sistema che è indice di civiltà e strumento per lo sviluppo e la qualificazione dell'opera educativa.

    LA SCUOLA CATTOLICA

    Un esame anche affrettato del pensiero della Chiesa sulla scuola non può ignorare un tema di cui il magistero s'è occupato molto ampiamente, e che ha notevole rilievo anche nella Dichiarazione conciliare sull'educazione.

    Indicazioni del Magistero

    Richiameremo le posizioni del magistero. cercando di vederne l'applicazione nel quadro della pastorale d'oggi.

    Il Concilio riafferma il principio della libertà della scuola «I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza» (Grav. educ. 6).

    Finalità della scuola cattolica

    1) «Questa, certo, al pari delle altre scuole, persegue le finalità culturali proprie della scuola e la formazione umana dei giovani» (Grav. educ. 8).

    2) Ma subito viene indicato il suo elemento caratteristico, che è «di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura, che in essi ha realizzato il battesimo, e di coordinare infine l'insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell'uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede» (Grav. educ. 8).

    Forse si può risalire più a monte. Tenendo presente il pericolo di spersonalizzazione che incombe anche sulla scuola in un ambiente culturale tutto permeato dalla tecnologia, che interessa l'uomo a ciò che produce più che a ciò ch'egli è, la scuola cattolica, ispirata a una dottrina che mette al centro la Persona di Cristo salvatore dell'uomo, può richiamare efficacemente al valore superiore e inalienabile della persona. Non si tratta, ben inteso, di negare i valori della scienza e della tecnica, ma di scoprire il loro rapporto con i valori trascendenti attraverso i quali l'uomo tende al suo fine ultimo. È così che la Chiesa può portare all'uomo d'oggi il messaggio di conforto e di liberazione che lo aiuta a superare il senso d'angoscia di cui è così spesso vittima.

    * La scuola cattolica non può limitarsi alla formazione cristiana individuale (che del resto non sarebbe cristiana), ma deve «promuovere nei giovani il senso cattolico e l'azione apostolica» (Apostolicam actuositatem, 30); già nel testo citato qui sopra (Grav. educ. 8).

    * La scuola cattolica deve «venire incontro soprattutto alle necessità di coloro che non hanno mezzi economici o sono privi dell'aiuto e dell'affetto della famiglia o sono lontani dal dono della fede» (Grav. educ. 9).

    * L'opera della scuola cristianamente ispirata s'inquadra nell'azione pastorale d'insieme, la quale esige che tutte «le opere di apostolato siano opportunamente coordinate e intimamente unite fra loro» e «tendano a un'azione concorde, dalla quale sia resa ancor più palese l'unità della Diocesi» (Christus Dominus, 17).

    C'è materia abbondante per un esame di coscienza che s'impone sia ai vescovi, ai quali il Concilio rivolge il monito ora riportato, sia ai cattolici, sacerdoti, religiosi, religiose e laici particolarmente impegnati nella scuola. Tenendo presenti i princìpi ora schematicamente esposti, converrà guardare alla scuola cattolica in rapporto alla realtà attuale, e quindi, in primo luogo, alla scuola pubblica, che raccoglie la stragrande maggioranza degli alunni.

    Scuola cattolica e scuola statale

    Ho voluto rileggere le conclusioni della Settimana Sociale tenuta a Trento nel 1955 sul tema «Società e Scuola». Ne riporto l'ultima parte, frutto d'una discussione approfondita e che ritengo valida anche oggi.
    «Sul piano della concretezza storica, duplice è l'esigenza posta dalla situazione culturale-sociale italiana:

    - qualificazione della scuola libera per una formazione integrale in ordine a tutti i problemi dell'uomo moderno;
    - maturazione interna della scuola gestita dallo Stato, in senso più sostanzialmente consono alle tradizioni culturali e religiose del Paese. "Maturazione interna", cioè non imposta dal di fuori, a detrimento del pluralismo congenito alla scuola pubblica, ma promossa, nel libero confronto delle idee, dai docenti, dalle famiglie e dagli alunni.

    Assume particolare importanza la graduale ricostruzione di un patrimonio comune di idee e di costume, cosicché la scuola, sia libera che statale, possa svolgere la propria opera educativa sulla base di un fondamentale atteggiamento di rispetto della verità e in rispondenza ad una visione di vita sostanzialmente cristiana» (Società e scuola, p. 253).
    È evidente che la scuola cattolica non può ignorare la scuola statale, con la quale ha finalità comuni, come s'è visto, e con la quale deve continuamente confrontarsi non in spirito di meschina rivalità e concorrenza, ma per imparare e per offrirle il servizio a cui l'abilita la sua ispirazione cristiana.
    Occorrerà tener presente, per evitare tensioni e contrasti ingiustificati, che la scuola laica - anche dove questo termine dovesse assumere un significato peggiorativo - è un prodotto naturale dell'odierna civiltà pluralistica, cosicché sarebbe per lo più ingeneroso accusare singole persone di atteggiamenti che non è possibile approvare. La libertà religiosa rettamente intesa dev'essere praticata da una parte e dall'altra.
    Mi sembra che alcuni paragrafi del documento conciliare sull'educazione cristiana illustrino in modo molto chiaro le enunciazioni ora riferite.
    Dopo aver affermato il principio della libertà che spetta ai genitori nella scelta della scuola (Grav. educ. 6), si dichiara che la Chiesa intende rendersi presente anche nelle scuole non cattoliche, «sia attraverso la testimonianza di vita dei loro maestri e superiori, sia attraverso l'azione apostolica dei condiscepoli, sia soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici, che insegnano loro la dottrina della salvezza, con metodo adeguato all'età ed alle altre circostanze, ed offrono loro l'aiuto spirituale per mezzo di iniziative opportune secondo le condizioni reali e temporali» (Grav. educ. 7).

    Ancora scuola «cattolica»?

    Come ho già detto, la scuola cattolica rientra nel genere delle «istituzioni temporali d'ispirazione cristiana». Nessuna meraviglia che, come tutte le istituzioni, sia fortemente contestata, anche nel campo cattolico. Ciò non solo a causa di realizzazioni concrete che non rispondono al suo scopo e alla sua natura genuina, ma più ancora in nome di princìpi che molti ritengono acquisiti alla coscienza cristiana.
    La scuola cattolica poggerebbe su una concezione teologica che non riconosce «al "mondo" una sua autonomia e una sua validità intrinseca a prescindere dalla finalizzazione trascendente della fede» (A. Marchese in Humanitas, p. 772); non riconosce «l'autonomia del momento culturale-educativo, fondato sulla trasmissione di quei valori comuni che nella storia emergono in forme sempre più integrali, senza confondersi con le dottrine o le filosofie che li possono assumere o promuovere per un certo tempo» (p. 777).
    Queste e simili critiche sarebbero giustificate se la scuola cattolica venisse proposta come unico tipo di scuola, impedendo lo sviluppo di quel pluralismo che permette il libero confronto e la scelta dei valori. La scuola cattolica meriterebbe un giudizio negativo se in essa si operasse una preclusione alla conoscenza e alla critica dei vari valori. Ma non si vede come la scelta libera e convinta d'una visione della vita nella quale i valori di fondo vengono illuminati dalla luce del Vangelo, consentendo un'attività educativa volta a orientare tutta la persona secondo un progetto armonico che trova in Dio il suo centro, debba comportare restrizioni o chiusure.
    Anzi, un merito della scuola cattolica è proprio quello di contribuire, anche solo con la sua presenza, a ricordare e a far rispettare la libertà d'insegnamento, disturbando la coscienza di molti, cattolici e non cattolici, portati ad accettare con supina acquiescenza, anche in linea di principio, quel monstrum che è il monopolio statale dell'educazione dei cittadini (anche quando strillano contro l'invadenza dello stato nel campo dell'economia, che tocca una sfera d'interessi ai quali sono forse più sensibili che alla formazione della persona).
    Chiarisco, ammonito da esperienze fatte nel toccare di questo problema, il senso in cui intendo il termine «monopolio». Non parlo, per il nostro paese, di «monopolio» nel contenuto dell'insegnamento, caratterizzato da un pluralismo nel quale si dibattono liberamente le idee (salvo le degenerazioni possibili, fino all'oppressione della libertà, in qualsiasi tipo di scuola). Parlo di «monopolio» in senso politico, in quanto, per il divieto di contributi statali, rimane in grande misura inoperante la libertà scolastica sancita dalla Costituzione.
    D'altra parte, ciò che, a mio avviso, va chiaramente riaffermato è il carattere contingente della scuola cattolica, come di tutte le istituzioni operanti nella Chiesa che non rientrano nella sua struttura essenziale. Vorrei che nel rivendicare i diritti della scuola cattolica ci si appellasse non tanto o solo ai princìpi, suscettibili di applicazioni diverse, ma alle esigenze pastorali, quali si profilano in quel determinato contesto sociale.

    A proposito di università cattolica

    Queste esigenze giustificano ampiamente, in primo luogo, l'esistenza delle Università Cattoliche.
    Che la Chiesa abbia da dire una parola valida di fronte ai problemi della società d'oggi - come della società di tutti i tempi - non dovrebbe essere dubbio per nessuno che creda al Vangelo come fermento di verità e di salvezza.
    Che nel campo della cultura, in cui si ricerca la verità destinata a orientare l'attività umana, i singoli membri della Chiesa siano chiamati a portare il contributo di cui sono capaci, è cosa d'evidenza immediata a chi tenga presente la corresponsabilità di ogni cristiano in ordine alla missione della Chiesa.
    Che questo contributo debba portarsi anche in una forma istituzionale, è altrettanto chiaro se si pensa alla necessità di coordinare gli sforzi dei singoli proprio nell'ambito della cultura, che sempre più esige l'impegno comunitario.
    L'Università Cattolica si propone appunto uno sforzo di riflessione sulle acquisizioni del sapere umano alla luce della fede, sforzo attuato sotto l'ispirazione cristiana in modo comunitario, al servizio della educazione cristiana e della preparazione dei giovani alle responsabilità della vita professionale e sociale in genere.
    Così essa si rende presente al mondo d'oggi, in maniera confacente alle esigenze dei nostri tempi, per presentare una visione della realtà rispettosa di tutti i valori, che cerca d'illuminare alla luce del Vangelo.

    Per l'esistenza della scuola cattolica

    Quanto ho detto brevemente dell'Università Cattolica non fa che esprimere delle esigenze pastorali, cioè pertinenti alla missione propria della Chiesa.
    Queste stesse esigenze, viste nel contesto storico e ambientale, sono quelle che debbono giustificare l'esistenza della scuola cattolica e caratterizzarne l'attività.
    Quando mi capita d'incontrarmi, come anche recentemente, con gruppi di studenti di liceo o d'istituto d'una scuola tenuta da religiosi, che con piena libertà e spontaneità si raccolgono in un corso di esercizi spirituali attuato con una costante partecipazione personale e attiva, non posso non benedire la scuola cattolica, ambiente quanto mai propizio a simili iniziative (che, grazie a Dio, vedo attuarsi anche fra alunni di scuole statali dove certo la cosa è ben più difficile).
    E tocco qui d'una attività marginale alla scuola. Ma la scuola cattolica ha la sua ragione d'essere nel servizio che rende alla società formando degli uomini capaci e disposti a operare con senso umano e cristiano in una società pluralistica. ben chiaro che nessuna considerazione estranea, di prestigio, di lucro, di fedeltà a tradizioni non debitamente verificate nel loro valore, potrebbe giustificare una scuola che si presenta come cattolica, cioè a servizio degli uomini nella Chiesa, in ordine alla salvezza. anche chiaro che, in questo problema come in tutti i problemi pastorali, occorre tener conto, guardando lucidamente alla situazione concreta, di tutti i fattori positivi e negativi. Propongo in particolare le seguenti considerazioni.

    * Richiamandomi a osservazioni già fatte, penso che si debba valutare la presenza d'una scuola libera - cattolica o no - quale affermazione concreta e pratica d'un principio - quello della libertà della scuola - troppo spesso dimenticato o ignorato o contestato, anche in ambienti cattolici.

    * È necessario esaminare spassionatamente e col massimo sforzo di oggettività la situazione attuale della scuola cattolica, confrontandola con le esigenze qui sopra indicate. Ove risultasse che esse non sono soddisfatte in ciò che hanno di essenziale, sarebbe necessario e urgente provvedere.
    Se ciò si rivelasse impossibile per mancanza di persone o di mezzi economici, bisognerebbe considerare tali scuole come rami secchi da tagliare per il bene comune e anche di coloro che ne hanno la responsabilità.

    * S'impone una ricerca accurata dei risultati conseguiti dalla scuola cattolica sul piano didattico, educativo, morale e religioso, per vedere se questi risultati - nella misura in cui è possibile onestamente valutarli - compensano gli sforzi che si spendono per ottenerli.

    * Se, sia pure per cause indipendenti da chi affronta le responsabilità e le fatiche dell'insegnamento cattolico, questo dovesse limitarsi ai ceti sociali più favoriti, è per lo meno dubbio che, nel clima del nostro tempo, esso possa essere accettato come valida testimonianza cristiana e recare un contributo all'irradiamento della fede.
    Qualcuno osserva che forse vale la pena di affrontare ancora per qualche tempo il rischio inerente a questa situazione, nell'attesa che essa possa venire superata, forse in conseguenza dell'unificazione europea a cui s'è accennato.
    Videant consules!

    * Se la scuola pubblica, che convoglia la stragrande maggioranza di alunni, necessitasse d'un apporto più valido d'insegnanti capaci di fermentare l'opera educativa in senso cristiano, ci sarebbe da porsi seriamente il problema se non convenga, in una visuale schiettamente e unicamente pastorale, smobilitare in larga misura la scuola cattolica per lavorare là dove la messe attende in maggior numero gli operai e dove si possono forse attendere frutti più abbondanti.

    * I cattolici dovrebbero prendere seriamente in esame, in nome della carità e della solidarietà che deve portarci in primo luogo verso gli umili, i poveri, i dimenticati, quelle iniziative didattiche ed educative a cui non provvede la scuola pubblica e che pure si rivelano di estrema necessità ed urgenza.
    Qualcuno propone ad esempio la Scuola di Barbiana e l'acquedotto Felice. Ma basta entrare nel centro storico e nella periferia delle grandi città per essere dolorosamente colpiti dallo spettacolo di fanciulli privi di assistenza e abbandonati a se stessi, candidati precoci al riformatorio al carcere, alla corruzione.
    Giovani generosi e ardimentosi si sono dedicati a questi fratelli promuovendo doposcuola e iniziative varie. Religiose animate dalla carità di Cristo e pronte a percepire i segni dei tempi stanno uscendo dalle loro case, ridimensionando le opere tradizionali, per inserirsi povere fra i poveri, educando con la testimonianza, con la parola e col sacrificio.
    Ma, qui credo di potermi fermare.
    Il mio compito era di presentare «la visione cattolica della scuola». L'ho fatto come ho saputo. Ad altri, più qualificati per la diretta responsabilità, il trarne le conseguenze.

     


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