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    Un problema di pastorale giovanile: la direzione spirituale oggi


     

    Giangaleazzo Gaddi

    (NPG 1970-11-04)

    Serve ancora la direzione spirituale?
    C'è il gruppo: non basta?
    Come la mettiamo con il rispetto, tanto decantato, della libertà, della spontaneità giovanile?
    Come posso, io prete, indicare una strada con sicurezza ai miei giovani, quando anch'io, onestamente, mi sento in fase di ricerca?
    Il titolo dell'articolo ha sollevato, da solo, un nugolo di problemi, in tanti operatori pastorali.
    Ad altri, forse ha strappato un sospiro: finalmente un discorso serio, di quelli che hanno il sapore gradevole del buon vino antico.
    In un tempo di ricerca e di attesa, come è, per molti versi, il nostro, per guidare alla maturazione cristiana (lo stato di cristiani adulti: è il fine specifico della pastorale giovanile), si possono imboccare due strade opposte:
    - una fiducia totale, incondizionata nella capacità educativa del gruppo, in assoluto;
    - una certezza incrollabile della «buona parola» a tu per tu.
    Crediamo che né l'una né l'altra, da sole, siano efficaci: si richiamano a vicenda, per l'autenticità reciproca. È il discorso pastorale che la Rivista fa, da tempo.
    L'accento, in questo articolo, è sulla cosiddetta direzione spirituale: con completezza di documentazione e con ricchezza di indicazioni.
    La direzione spirituale non può andar disgiunta dalla forza portante del gruppo. A leggere l'articolo con attenzione, lo si avverte ad ogni riga.

    Abbiamo interrogato ed ascoltato vari educatori, competenti e studiosi del problema.[1]
    La necessità di una guida amica, che aiuti il giovane a strutturare la propria personalità, l'esigenza di una preparazione seria, competente e responsabile nell'educatore, l'opportunità di fondare la metodologia della direzione spirituale su un colloquio autoagogico-direttivo-empatico-comprensivo, sono i punti di accordo che ci è parso di cogliere in questo lavoro di ricerca. Lavoro non di indole scientifica, ma abbastanza fondato per presentare ai lettori questi elementi di intesa, con lo scopo di stimolarli ad approfondire personalmente un così urgente e vitale problema per la pastorale giovanile.

    MOTIVAZIONI DI UN RIFIUTO

    L'idea di superamento della direzione spirituale, oggi diffusa abbastanza anche tra lo stesso clero, non è altro che una presa di posizione, una reazione storica contro una concezione paternalistica della medesima, così come veniva compiuta, coscientemente o meno, nel passato.

    * Dall'intervista a G.C. NEGRI risulta che l'attuale disinteresse, il lento processo di rigetto della direzione spirituale nel mondo cattolico, va guardato e capito anche nella nuova apertura, nella nuova impostazione di rapporti, di reciproco scambio di consigli, di ammonizioni che si vanno operando oggi in molti gruppi impegnati. Il gruppo ha in effetti degli aspetti più simpatici, più attraenti per cui appare un'alternativa immediata alla direzione spirituale dell'uno per uno. Si sente il bisogno di integrare quest'ultima con l'azione e l'influenza del gruppo, di aprire il rapporto interpersonale anche ad un discorso che abbracci, avvolga, includa tutte le componenti più societarie e più comunitarie della vita dell'uomo. Parliamo naturalmente di integrazione, perché se l'educazione di gruppo, come reciproco aiuto nel promuovere lo sviluppo spirituale, è presa in senso assoluto diventa a sua volta lacunosa: trascurerebbe infatti l'intimità individuale, la zona più delicata e più intima della personalità, dove avvengono le decisioni più importanti, dove maturano le scelte più perseveranti.

    * C'è un altro motivo poi che spiegherebbe sia il rifiuto della direzione spirituale intesa nel senso tradizionale, sia l'urgente necessità di una sua profonda trasformazione: l'attivismo.
    La scuola moderna ha scoperto che l'alunno non è un passivo recipiente rispetto all'insegnante, ma è addirittura il soggetto vero dell'apprendimento che, aiutato dall'insegnante, più che obbedire al maestro stesso, lo utilizza quasi per le sue decisioni e i suoi sviluppi. Questa formula dovrebbe essere assunta ora nel rapporto maestro di spirito - discepolo, dove il giovane non accetta la condizione di passivo, umile discepolo che vive in verbo magistri, ma vuole invece in qualche modo adoperare il maestro di spirito come strumento di un processo il cui vero autore, il cui vero programmatore è il suo io, la sua personalità.

    * Infine la crisi della direzione spirituale va cercata pure nella disaffezione da parte degli stessi sacerdoti e religiosi.
    Di fatto l'esperienza dimostra che la maggior parte di essi, spesso per motivi superiori alla loro buona volontà, dedica a questi colloqui «a tu per tu» soltanto un tempo assai ridotto. Altri sacerdoti non li considerano come compito centrale della vita sacerdotale. Molti invece non si sentono di impegnarsi, si sentono incompetenti. L'incompetenza porta sempre ad una sfiducia, ad una fuga: uno preferisce fare cose di cui è capace, di cui si sente sicuro.
    Rari sono coloro poi che continuano questi colloqui con metodo. Più rari ancora quelli che si esaminano sistematicamente sull'esatta portata di questo lavoro o sull'efficacia concreta di ciò che fanno, delle parole che pronunciano, delle relazioni che fondano. Non fa meraviglia allora il costatare la rarità di direzioni spirituali ben condotte e la tendenza dei giovani di orientarsi verso altri consiglieri, verso altre guide.
    Mentre si nota questo fenomeno in campo cattolico, si vede nel mondo profano verificarsi l'opposto: una corsa al rapporto educativo, al rapporto ad uno per uno, il sorgere, quasi a protesta dello stato collettivistico della civiltà moderna, di un forte interesse per uno schema di rapporto interpersonale.
    «Noi assistiamo infatti da una trentina d'anni in qua - continua il NEGRI - ad un boom della psicanalisi, della psicoterapia in tutte le forme di educazione, di rapporto tra adulti nel mondo professionale. Si parla già ormai dello psicologo, del counselor nelle fabbriche, nelle scuole, negli istituti, nei distretti didattici, ecc.
    Tutto il mondo va verso la psicologia, la psicoterapia, verso un rapporto di cliente-counselor».

    PSICOLOGIA E DIREZIONE SPIRITUALE

    Un connubio difficile ma necessario

    Una pastorale che ignorasse o intendesse fare a meno degli apporti della psicologia contemporanea tradirebbe attualmente la propria missione. Attualmente i progressi della psicologia aprono al direttore spirituale non soltanto un campo di informazione, ma forniscono tecniche sempre più efficaci per conoscere ed influenzare.
    Il possedere una conoscenza più approfondita dei soggetti, a cui è rivolta l'azione pastorale, rende più adeguata alle esigenze del compito l'azione pastorale stessa. Se essa quindi vuol essere completa e svolta con metodo, fa appello alla collaborazione della psicologia.
    Un'azione diventa formalmente pastorale quando coopera indirettamente, mediante l'impiego di mezzi umani, con la grazia, affinché essa porti frutti migliori negli individui e nella società. Il suo intento è che gli uomini «abbiano la vita e l'abbiano con maggior abbondanza» (Giov 10,10). «È tempo - scrive il GODIN - che il pastore ridiventi il medicus animae, il guaritore dell'anima di cui parlano i Padri. S. Gregorio di Nazianzio nella sua "oratio apologetica" concepisce sì la guarigione dell'anima come opera della libertà e della grazia, ma l'attribuisce in parte anche alla scienza e alla tecnica, secondo un metodo che egli stesso non esitava ad accostare alla medicina».
    Esiste difficoltà di intesa per la verità fra psicoterapia e direzione spirituale. Obiezioni reciproche hanno fatto sì che vi fossero tra i due metodi di guidare l'uomo rapporti tesi.
    Da una parte` si rimprovera la direzione spirituale di un certo qual supernaturalismo, di un appagamento magico-mistico, di un legalismo: persone che chiedono l'assoluzione senza mai chiedersi il perché, senza esaminarsi sulle cause del loro comportamento.
    Dall'altra si accusa la psicoterapia di ridurre tutto a psicologismo, di considerare cioè tutti i fenomeni della vita scientifico-artistico-socialereligioso-politica dal punto di vista della psicologia.
    «Anziché approfondire il solco di divisione fra le due - scrive il RUDIN - è più vantaggioso mirare ad un'intesa reciproca, ad una cooperazione amichevole per un possibile lavoro in comune. Ambedue devono aiutare l'uomo a formarsi una vita completa, piena e ragionevole che, oltre la relatività delle cose, lo conduca ad un assoluto».

    Un'autentica psicologia per un'autentica pastorale

    Molti dei comportamenti umani partecipano di una medesima incosciente ricerca: ritrovare la pace profonda, la sicurezza, l'essere in armonia con se stessi, sviluppare sempre più tutte le potenzialità del proprio 'essere, operare una matura ricerca di Dio.
    La psicanalisi, si parla di una psicanalisi autentica, può apportare un aiuto incomparabile per l'elaborazione di una morale veramente umana. Il fermo proposito di liberare dai falsi io infantili, di ristabilire e risvegliare nell'uomo il senso della responsabilità, appare evidente quando lo psicologo studia la dinamica del Super Io. Durante l'infanzia, infatti, abbiamo incorporato i comandi e le interdizioni esterne in modo tale da farne diventare dei tabù dentro di noi.
    «Non c'è da stupirsi - scrive a riguardo il DACO - se un falso senso di colpa, ad esempio, contamina spesso il sacramento della Penitenza e lo trasforma in una pratica formalistica, magica, feticista. Il peccato va invece accettato nella luce di Cristo come un'esperienza volta verso l'avvenire e piena di speranza, anche se si è trattato di un fallimento. Il pentimento deve essere più che una promessa di non ricominciare più, una promessa di cercare di risanare a poco a poco la nostra condotta. La confessione è l'affermazione della nostra certezza che Dio ci ama, prima di essere la dichiarazione delle nostre miserie. Nella confessione non deve esserci vergogna, la vergogna si presenta quando manca l'amore. Devo naturalmente accettare la responsabilità delle mie azioni con le loro conseguenze, ma Dio non mi condanna, perché mi ama».
    Così per uno strano rovesciamento vediamo che la più matura psicoterapia, a volte screditata e sospettata di essere segretamente antireligiosa, prepara la via ad un'autentica religione, anzi raccomanda essa stessa la pratica della religione, perché le sorgenti della vita dell'uomo tecnico di oggi non si inaridiscano.
    All'interno quindi della Teologia Pastorale ci si augura che si costituiscano e si delineino sempre più, con una propria fisionomia, la Psicologia Pastorale e Religiosa. Scienze che hanno il compito di rendere accessibili al sacerdote, all'educatore in genere, le scoperte e specialmente le applicazioni pratiche della psicoterapia.
    Il direttore spirituale, senza pretendere di essere o diventare uno psicologo professionale, perché ben diversa è la sua funzione dal compito dello psicoterapeuta, cercherà ugualmente di adempiere la sua funzione con una conoscenza profonda dell'uomo, con una particolare cultura nel vasto campo della psicologia. Utilizzerà le conquiste della psicologia per effettuare un controllo al proprio lavoro pastorale, senza con questo psicologizzarlo ed imbrigliarlo nelle tecniche dei metodi scientifici.

    LE FUNZIONI DELLA DIREZIONE SPIRITUALE

    Il problema della domanda

    Il direttore spirituale senza ridurre tutto alla psicologia, deve preoccuparsi di avere quegli strumenti di lavoro necessari per discernere nella domanda del giovane ciò che è psicologico da ciò che è teologico, ascetico. Non si può fare una distinzione di questo tipo, se non si ha la preparazione necessaria, soprattutto psicologica.
    «Senza cercare di sostituirsi allo psicologo - fa notare P. RONCARI - senza correre il rischio di psicologizzare il proprio lavoro, il Consulente Pastorale deve mettere un accento particolare sulla psicologia, deve procurarsi le armi necessarie per non nuocere. Questo soprattutto per quanto riguarda il problema della domanda. Il punto di partenza infatti di ogni dialogo interpersonale è quello di discernere la vera domanda». In genere il ragazzo non ha molto chiaro che tipo di problema stia vivendo: vive un certo disagio, una certa insicurezza; non riesce a scuola, non riesce nelle relazioni con gli altri, con le ragazze, è visto male, ecc. Sta al padre spirituale aiutarlo a scoprire la radice di tanti comportamenti... Lo stesso problema di fede che a volte il giovane presenta sembrerebbe un problema di natura puramente teologico-teorico-astratta, invece non è altro che un suo modo di entrare in relazione. La sua domanda è molto più nascosta, lui stesso non ne ha coscienza. Spesso non è altro che il paravento di problemi molto profondi di natura psicologica.
    Mentre il giovane va a parlargli di Gesù Cristo, il padre spirituale si accorge che sta invece parlando di un suo problema, di suo padre, di sua madre, del modo con cui vive con gli altri, della sua ragazza. Non dovrà trascinarlo a tutti i costi su un piano di fede, quando non è questo quello che il giovane in concreto chiede. Solo quando la domanda sarà sufficientemente purificata da tutti gli elementi psicologici, potrà diventare esplicitamente una domanda di fede. Il padre spirituale potrà allora parlare di Gesù Cristo al giovane.
    La psicologia è quindi indispensabile. Un sacerdote che non abbia sensibilità psicologica è meglio che non faccia il padre spirituale. Diverrebbe un amministratore di assoluzioni, attenuando così, dal punto di vista pastorale, il sacramento della sua efficienza.
    «HO notato - afferma D. PICCHIERRI - che molti traumi sono dovuti all'uso errato della confessione. Molte volte essa diventa per il giovane un tormento, perché alcuni problemi, che andavano immediatamente sdrammatizzati e ridimensionati secondo le difficoltà proprie dell'età, hanno fatto subentrare nel giovane un senso di colpa che lo ha bloccato, lo ha reso diffidente, a volte persino con principi di nevrosi».

    Voce esteriore della coscienza interiore

    Questo discorso non riguarda di per sé solo il sacerdote come persona sacra, ma in concreto e in particolare tutti coloro a cui regolarmente si guarda come a buoni consiglieri: religiosi, laici, educatori, psicologi. Il termine americano Counselor parrebbe allora il più appropriato. Si intenderebbe cioè il Consigliere, la Guida Spirituale necessaria a programmare il proprio sviluppo spirituale, il competente in questioni di organizzazioni dello spirito.
    «Il consigliere spirituale dovrebbe farsi sentire - secondo una felice espressione che il GODIN usa - come la voce esteriore della coscienza interiore».
    L'idea invece che molti educatori si fanno di questa «voce esteriore», li inclina a discorrere come degli esperti in materia. Si sentono messi in una situazione di autorità e quindi danno consigli, esprimono giudizi, si presentano come Guida che deve precedere chi è diretto, come capo che detti metodi da seguire o prescriva obiettivi da raggiungere.
    «Il direttore spirituale, consapevole del suo compito - scrive lo HOSTIE - nella relazione interpersonale che egli stabilisce con il giovane, deve aiutarlo ad esprimere il suo squilibrio, il suo smarrimento, la sua angoscia, per trovarvi con lui un rimedio. Più con il suo atteggiamento che con la sua parola, più con l'esempio di una condotta adulta che col creare circostanze favorevoli, egli deve mettere il giovane in grado di scoprire in se stesso possibilità rimaste nascoste, latenti, inconsce sino a quell'istante, deve aiutarlo ad afferrare il vero significato del desiderio che egli ha di realizzarsi in pieno, di essere se stesso». Ciò comporta non solo lo sviluppo intellettivo-affettivo, non solo il controllo delle emozioni, ma anche la soddisfazione interiore dell'individuo e quindi la sua integrazione personale. Acquistare cioè un'effettiva capacità di autodeterminazione e di autocontrollo.
    Su questa capacità si fondano i fattori di equilibrio di una persona.
    Per cui è compito dell'educatore assistere il giovane a sviluppare pienamente questa sua personalità, ad operare egli stesso questa sua ricostruzione, gradatamente, lungo il cammino della vita.
    Per riuscire in questo è necessario che l'educatore da un'educazione di massa discenda ad un'educazione personale per individualizzare, per dare a ciascuno quello di cui ha bisogno, per centrarsi sulla persona come singolo, per operare un'azione educativa vista come guida personale.

    CONOSCENZA DEI GIOVANI

    L'agire dei giovani sovente è solo un reagire

    Il consigliere spirituale deve in modo particolare conoscere la psicologia religiosa del giovane. La pratica religiosa di questi infatti manifesta un'evoluzione secondo l'età. Negli adolescenti dai 15 ai 19 anni si può osservare il fenomeno di una progressiva diminuzione di religiosità. Il giovane, ponendo la pratica religiosa al servizio dei propri sforzi morali (interpretando quasi magicamente l'onnipotenza divina) esperimenta la sua inefficacia. L'esperienza gli insegna che alcune preghiere rimangono senza risposta, che il sostegno soprannaturale non ha potere di mutare la condizione umana. Si viene operando quindi in lui una specie di frattura, che costituisce una prova per la sua fede.
    Lo sviluppo dell'intelligenza, il destarsi dell'amicizia, la colpevolezza legata alle spinte sessuali, la crisi dell'indipendenza, il risvegliarsi dell'io, il consolidarsi della propria sicurezza personale, sono elementi tutti che mentre favoriscono l'atteggiamento religioso, allo stesso tempo lo scombussolano con angosce e dubbi di fede.
    «L'adolescenza è il momento della scoperta del proprio mondo interiore - scrive il VERGOTE - ed è il momento in cui si trova in piena crisi, anche per l'intensità dei turbamenti erotici; è l'età dei dubbi di fede. Il 75% dei giovani li vivono».
    Questo deve aver presente chiaramente il consigliere spirituale, impegnato nella formazione del giovane, certo che se il giovane stesso riuscirà a purificare la propria fede ed orientare la propria preghiera in un senso più autenticamente religioso, supererà di certo la sua crisi religiosa. I dubbi di fede infatti costituiscono una prova che purifica la religione. L'agire dei giovani sovente è solo un reagire. Un reagire ad una vita religiosa non sentita, ad un mondo fatto di abitudini e tradizioni, a tutto ciò che non sia frutto di solida convinzione personale.
    I giovani, mossi da un'esigenza di perfezionismo, di massimalismo, assumono un atteggiamento di critica del passato, di rifiuto di una realtà da loro non sperimentata, di sfida alla società nell'ansia ottimistica di costruire un mondo nuovo. Mostrano soprattutto sete di sincerità, di genuinità, di giustizia.
    Al fondo di tutto questo, della loro stessa reazione, c'è una profonda ed autentica richiesta di ascolto, di comprensione, di aiuto non sempre capita e colta dal mondo degli adulti.
    Il giovane mentre aborre dal paternalismo, ha sete di paternità, ne ha uno sconfinato desiderio. Gli manca la figura del padre, troppo assorbito dagli affari, non ha possibilità di dialogo. Atteggiamenti questi che sollevano delicati e complessi problemi di pastorale giovanile. Atteggiamenti che vogliono stimolare, attraverso l'inquietudine e il disagio, l'intervento dell'educatore.

    Il profondo bisogno religioso del giovane

    «Il giovane - nota P. MORONI - sente il bisogno di parlare con qualcuno che lo sappia ascoltare, ascoltare sino all'ultimo, sino alla fine, senza interromperlo, e che lo sappia poi aiutare a scoprire la strada da percorrere».
    «Il giovane - conferma a sua volta P. CALCATERRA - cerca una persona in cui avere piena fiducia, una persona che mostri grande interesse per lui, che lo aiuti ad affrontare i suoi problemi».
    È un'esigenza questa, quella di comunicare con qualcuno che ci possa capire, fondamentalmente umana, di tutti. Un'esigenza che forse non è sempre cosciente nel giovane. Vorrebbe parlare con qualcuno, ma non sa con chi. Ci sono problemi di cui egli non parla con nessuno, neanche con i genitori o amici; li rivela solo a chi gli si presenta capace di ascoltarlo, di capirlo, di aiutarlo a scoprire il senso unitario delle cose, a ricostruire con sufficiente precisione la figura dell'uomo e il suo significato nella realtà. Ama non tanto le dimostrazioni di una verità, quanto invece la conoscenza, la penetrazione, l'esperienza stessa di quella verità. Sotto l'apparenza di un atteggiamento indifferente, in lui si nasconde spesso un profondo ed autentico bisogno religioso. Le sue inquietudini, il suo problematicismo, il suo spirito di contraddizione esprimono una insoddisfazione in fondo alla quale c'è il bisogno di Dio.
    Vuole però compiere questa ricerca e giungere alle certezze religiose con un suo sforzo personale; egli vuole muoversi nella libertà, ne è geloso. I suoi atteggiamenti appaiono spesso estremamente contraddittori. Non è facile farne una sintesi, darne un giudizio sicuro.
    «Il giovane - osserva D. PICCHIERRI - pur sentendo il bisogno di una guida, raramente fa il primo passo. Pur sentendo vivissimo il desiderio dell'incontro, difficilmente prende l'iniziativa. Anzi a volte è lui stesso ad interrompere un dialogo iniziato, ma rimarrà sempre in lui la nostalgia del ritorno, il desiderio di essere richiamato».

    * Questo bisogno, più o meno imprecisato, di una vera guida, questo orientarsi del giovane verso un sacerdote, un esperto, un amico di fiducia per trovare delle chiarificazioni, delle soluzioni, trova poi una conferma anche nelle inchieste operate nel mondo studentesco.
    Nota è quella attuata a Roma nel 1965 da G.C. NEGRI su una massa di 6000 studenti delle scuole medie superiori, interessante pure quella svolta ultimamente (1969) nella diocesi di Rimini, rivolta a 4000 studenti, per conto della commissione per la scuola media superiore del Consiglio Pastorale Diocesano. Ambedue, in linea di massima, pervengono ai medesimi risultati e conclusioni.
    Una buona maggioranza dei giovani non solo è contraria all'abolizione dell'ora di religione nella scuola (per la sua abolizione solo il 3% ha votato a Rimini), ma ha espresso pure il desiderio che l'ora di religione diventi occasione di un'esperienza cristiana vissuta insieme, occasione di un dialogo da affrontare in clima di libertà con un sacerdote sui problemi più sentiti e sofferti, soprattutto (ed è quello che ci interessa più particolarmente) di poter continuare anche fuori scuola il dialogo iniziato durante l'ora di religione, con la possibilità di potersi rivolgere, accostare, di poter chiacchierare, discorrere col prete, non in un rapporto vincolante, ma in un rapporto di amicizia, dove il sacerdote più che una persona sacra sia una guida competente, un consigliere spirituale. A questo riguardo, dell'insegnante di religione desiderato come Counselor (consigliere spirituale) nell'inchiesta romana di G.C. NEGRI risulta essere il 76% a desiderarlo. È pure del 75% il risultato di un sondaggio di opinione, effettuato ultimamente dalla prof.sa M.T. Palumbo, su un gruppo di 100 giovani studentesse dell'istituto SS. Natale di Milano.

    Giovani con o senza ideali?

    In questo delicato compito il consigliere spirituale non deve dimenticare il ruolo preciso e l'importanza che ricopre l'educazione all'ideale. La sua azione deve mirare quindi ad illuminare, ad aiutare il giovane a realizzare la propria personalità. Gli ideali danno infatti un senso di stabilità, di equilibrio alla personalità umana.
    «Quando non vi è una direzione ben definita nella sua linea di condotta, quando manca una forza centrale che dovrebbe tenerla salda - scrive lo ZAVALLONI - la personalità tende alla disintegrazione».
    Compito dell'educatore dunque è quello di suscitare degli ideali, perché un giovane senza ideali è un individuo morto, senza vita.
    Per costruire il giovane non è necessario, né utile presentare molte idee. Bastano poche, ma su queste insistere con fermezza.
    L'ideale può diventare però pericoloso. Occorre misura ed equilibrio nell'educatore. Un giovane con grandi ideali infatti è un individuo esposto al pericolo delle delusioni. Deve essere aiutato a capire la distanza fra la visione ideale della vita e la realtà della vita. Preoccuparsi quindi di dare ai giovani il senso del reale, sempre con un poco di ottimismo. P. RONCARI fa osservare: «La proposta di un ideale, di un modello è uno strumento certamente necessario nell'educazione, però può essere pericoloso. Bisogna saperlo maneggiare. Spesso la nostra educazione consiste nel proporre dei modelli che i giovani non sentono o non riescono ad imitare. L'ansietà poi di identificarsi ad un ideale può diventare un elemento negativo. Anzi nella misura che il modello è superiore alle capacità, alle qualità di uno, diventa alienante. Uno non è mai se stesso, è sempre proteso a realizzare un modello superiore, quindi vi è sempre in lui uno stato di angoscia, di scontentezza, perché non arriva a realizzare... Si tratta invece di far scoprire al giovane qual è il suo ideale, qual è l'ideale di riuscita che ha assorbito, e criticarlo eventualmente con lui stesso».
    Il gran lavoro dell'educatore sarà quello di far prendere coscienza al giovane, sempre a livello psicologico, quale sia il suo modello, di che tipo sia, di integrarlo con dei valori che lui riconosce come tali e che sono accessibili alla sua capacità, dimostrandogli in concreto come può realizzarli poi. Valori che siano parlanti per lui, che corrispondano cioè alla sua sensibilità.
    Precisare quindi come questi ideali sono di fatto proposti e realizzati da Gesù Cristo nel cristianesimo.
    C'è un'azione di lettura della storia che viene trasmessa.
    In fondo la fede è questa lettura dei segni dei tempi, della storia: scoprire Cristo presente e operante nella vita oggi.

    Le problematiche più urgenti nel giovane

    * «Parlando in un senso piuttosto generico - afferma P. MARELLI - tra i vari problemi che assillano i giovani (problemi sociali, politici, familiari, religiosi, ecc.), uno è sentito con particolare sensibilità, specie negli ultimi anni del liceo: il problema della fede.
    La famiglia influisce molto a riguardo. Se il giovane, infatti, proviene da una famiglia che non ha fede, il suo recupero sarà difficilissimo, se non impossibile addirittura. Solo una testimonianza quotidiana vissuta e sofferta potrà smuoverli un poco. I giovani riescono a capire una cosa semplicissima: che il problema non è tanto del vedere se Dio esiste, quanto nel vedere cos'è questo Dio. E per quel loro senso di concretezza lo vogliono vedere incarnato nella condotta pratica della loro guida spirituale. Sono sensibilissimi a questo».

    * Anche il problema del sesso diventa ad un certo momento urgente, forse perché nel passato è stato drammatizzato. Di qui la necessità per il giovane di una guida sicura, chiara, precisa, che sappia maturarlo a considerare l'aspetto positivo del problema, che sappia educarlo ad una disinvoltura serena, ferma nei principi, con un pizzico di umorismo, per interpretare anche eventuali scacchi come momenti di debolezza. «Problemi questi che possono trovare una loro soluzione - fa osservare ancora D. PICCHIERRI - se si riesce a sensibilizzare il giovane su due punti: 1. il contatto con gli altri, la donazione agli altri. Questo è sentito molto dal giovane. Egli ad un certo punto avverte, se intraprende un certo dialogo cristiano, l'urgenza di superare la visione egoista-egocentrista di certi suoi problemi; 2. il contatto sacramentale e la preghiera, visti e vissuti in una dimensione di interiorità. Punto quest'ultimo sottovalutato da certi sacerdoti di oggi per esasperare invece il problema della socialità. Per il cristiano il contatto con gli altri non potrà mai essere visto nella sola dimensione della socialità, ma nel contatto di una vera e propria testimonianza che si è avuta in Cristo, testimoniata poi agli altri. Ecco perché tutta l'opera educativa spirituale dovrebbe tendere veramente alla Messa, all'Eucaristia, come esperienza forte e totale del Cristianesimo, in quanto si trova la Comunità, cioè gli altri attorno a Cristo nel pane eucaristico».

    * Ci sono per la verità dei giovani impegnati, generosi, che si presentano con una particolare sensibilità che li aiuta a maturare. Anche se. come ogni giovane di oggi, rifuggono dalla formula precostituita e preferiscono una certa forma di spontaneismo, capiscono l'utilità del gruppo e sentono il bisogno, per una loro valida testimonianza agli altri, di ritrovarsi insieme, aperti a qualsiasi attività liturgico-missionario-culturale. Lasciandoli liberi in ogni loro iniziativa, l'educatore starà al loro fianco pronto per le inevitabili iniezioni di coraggio e di stimolo. Il giovane d'oggi infatti, non è troppo abituato alle lotte. La sua instabilità, il suo arrendersi facilmente deriva proprio dal fatto di non aver avuto nella propria vita (per l'appoggio e la sicurezza della famiglia) molte difficoltà di tipo esteriore. Rimane quindi facilmente bloccato dalle difficoltà e tensioni interne o dallo scoraggiamento che proviene dall'ambiente ostile.
    «Vi sono giovani - sottolinea D. MONTAGNOLI - che sentono il bisogno di donarsi agli altri. Di qui il formarsi di gruppi, di cenacoli impegnati addirittura con voti, che rinnoveranno poi sino al matrimonio. Voti che danno una particolare carica al giovane: lo impegnano su cose che deve già fare, lo responsabilizzano e lo maturano maggiormente, lo aiutano a ritrovare se stesso, gli danno un senso di sicurezza».

    La libertà esperienziale del giovane

    Di per sé l'ambiente educativo (familiare, scolastico, parrocchiale, di associazione) dovrebbe dare a ciascun giovane tutto ciò di cui ha bisogno per svilupparsi. Forse nell'insieme glielo danno anche. Però spesso i giovani hanno bisogno di essere aiutati ad applicare alla propria personalità e individualità tutto questo materiale, attraverso un colloquio. «Un colloquio - afferma G. DHO - che più che essere colloquio di ricerca, diagnostico, informativo o terapeutico sia un colloquio autoagogico, in cui si aiuta il giovane a prendere in mano la propria situazione, a strutturare la sua personalità in modo che possa dire: "io sono questo, voglio essere questo, sono capace di realizzare questo". È il vero colloquio educativo. Risponde infatti al bisogno che la persona ha di svilupparsi, utilizzando tutte le proprie risorse».
    Su questo tipo di colloquio deve strutturarsi tutta la metodologia dell'opera educativa del consigliere spirituale. Un colloquio che impegni tutta la persona dell'educatore e prenda tutto il giovane, in senso globale (interessi materiali oltre che spirituali: scuola, salute, ecc.).
    «Colloquio - scrive lo HOSTIE - che presenterà poi nel suo svolgersi alcuni momenti ben precisi:
    - La libertà del giovane ad esprimersi. Il consigliere spirituale ascolterà, lasciando ogni pregiudizio, tacendo, cercando di capire a fondo il giovane.
    - La possibilità per il giovane di prendere coscienza di quello che sente: passato-circostanze-avvenire-tutta l'esperienza vissuta.
    - La possibilità per il giovane, dopo tale consapevolezza, di realizzare una presa di posizione autentica».
    Il compito principale del consigliere spirituale, durante lo svolgersi di questi momenti, è che il giovane arrivi a capire se stesso.
    È importantissimo quindi saper creare un'atmosfera di accettazione, di rispetto, di comprensione empatica.
    * «Empatia è una parola nuova - scrive G.C. NEGRI in un suo recente articolo - messa in circolazione nel mondo dallo psicologo ROGERS, e significa in sostanza: identificazione con la reale situazione interiore del giovane non solo per quanto riguarda il suo bene e il suo male, oggettivamente intesi, ma anche per quanto riguarda il significato che il giovane dà alle parole "bene", e "male", "giusto", "valido", "prezioso", "importante", ecc.».
    Con l'empatia il consigliere spirituale interpreta, cerca di capire, stando al di dentro delle situazioni stesse del giovane, due cose:
    - L'itinerario più giusto da percorrere per arrivare a Dio, partendo dal punto di vista del giovane.
    - I mezzi e il metodo per percorrerlo.
    Un'attenzione particolare quindi al giovane, un affiatamento, una comprensione del suo stato d'animo particolare.
    Teologicamente - nota con acutezza il NEGRI - questo è vicinissimo all'incarnazione del Figlio di Dio, a cui in pratica ci si deve ispirare».
    * Un simile clima accettante, non critico, comprensivo, empatico favorisce la libertà esperienziale del giovane.
    Il giovane cioè si sente accettato così com'è, non si sente sotto giudizio, sotto processo, sotto gli occhi scrutatori di una persona che vuol sapere. Il giovane si sente libero di veder emergere tutte le proprie esperienze, di rendersi conto di quello che veramente sente, perché spesso le vere motivazioni per cui agisce, opera, sceglie, non riescono ad emergere, o se emergono, risultano di tutt'altro genere, si accorge allora che quella data motivazione cosciente non corrisponde all'esperienza intima. «Appare chiaro questo - afferma G. DHO - nell'esempio della scelta vocazionale. Se si chiedesse ai giovani religiosi, seminaristi il motivo vero, autentico della loro scelta potrebbero emergere motivazioni non corrispondenti. Il giovane pensa: "Se io mi rendessi conto che sono qui per tutt'altro motivo, per un motivo ed esempio di fuga, di ricerca, di protezione, di prestigio, di una ricerca di strada per cui posso sovrappormi agli altri: il rendermi conto di questo sarebbe una tragedia per me, per gli altri se lo sapessero"».
    Se il giovane quindi si trovasse di fronte al suo consigliere spirituale che gli facesse capire che qualsiasi cosa emerga l'accetterebbe così com'è: verrebbero fuori allora le vere motivazioni. Una persona non libera non è matura, finché non ha un certo grado di questa libertà esperienziale di rendersi conto di quello che veramente sente.

    IL MODO DI FARE DIREZIONE SPIRITUALE

    Tecnica direttiva e non direttiva

    Riguardo al colloquio c'è un'impostazione direttiva e non direttiva. Tutte e due le correnti concordano sulla necessità di centrarsi sul giovane, di portarlo a decidere, a prendere in mano la sua situazione, i suoi problemi. Un colloquio quindi autoagogico. Su questo ambedue sono d'accordo. La loro distinzione si basa invece sul modo di condurre il colloquio: 
    - Nel colloquio direttivo è il consigliere spirituale che guida. Non prende le decisioni, ma porta il giovane a riflettere sui temi che paiono più importanti per arrivare a delle conclusioni, in modo che lui prenda in mano le decisioni.
    - Nel colloquio non direttivo invece il consigliere spirituale lascia al giovane la direzione del colloquio e segue semplicemente la linea che è portata da lui.
    In nessun caso quindi si intende dire: per la direttività prendere in mano la situazione in nome dell'altro, per la non direttività lascia fare all'altro tutto quello che vuole (atteggiamento perciò di indifferenza, di disinteresse).
    * Il consigliere spirituale deve sempre guidare:
    - Nella tecnica direttiva farà domande, chiederà, aiuterà a vedere, porterà su un determinato argomento, vorrà aiutare: in ultima analisi sarà poi lui a condurre il filo, a guidare.
    - Nella tecnica non direttiva invece lo lascerà dire, gli riferirà, gli espliciterà poi quello che lui giovane ha detto. Lui esprimerà uno stato d'animo e il consigliere spirituale glielo rimanderà in altre parole, aiutandolo a capire quello che ha detto (risposta riflessa), in modo che possa veramente percepire quello che sente, i suoi sentimenti. È il giovane quindi colui che parla dei problemi di cui vuol parlare. È lui che prende la linea che gli viene dal di dentro. L'educatore segue soltanto questa linea, cercando di aiutarlo a riflettere su quello che dice.
    * «Ora - si chiede G. DHO - è possibile una vera non direttività?». Praticamente non è possibile, perché non esiste una vera, assoluta, totale non direttività. Spesso l'educatore proietta nel giovane il suo problema, riflette quello che ha dentro. Spesso ha degli atteggiamenti stereotipati, che gli fanno vedere le cose in un determinato modo. È necessario che si renda conto di questo.
    Inoltre il consigliere spirituale si trova in una situazione particolare in cui giocano altri elementi particolari:
    - Si trova ad essere rappresentante di una comunità che gli impedisce in un certo qual senso una perfetta neutralità, una non direttività.
    - Come educatore adulto ha poi una visione più completa della realtà, conosce meglio la psicologia del giovane, sa come certi fenomeni, certi fatti vanno interpretati. Cose che il giovane non può fare, non avendone la capacità; la sua esperienza è necessariamente ancora parziale.
    Come educatore il consigliere spirituale non ha solo il compito di favorire lo sviluppo del giovane, ma anche quello di trasmettere dei contenuti. Un certo grado quindi di direttività pare desiderabile, per introdurre nel campo percettivo del giovane, nella sua esperienza, elementi nuovi. Anche il NEGRI e lo ZAVALLONI sono dello stesso parere.
    Così si esprime G.C. NEGRI: «Mentre per il colloquio spirituale-formativo assumiamo da ROGERS la metodologia dell'empatia in senso pieno, accettiamo solo in parte la non direttività, in quanto afferma che il giovane solo deve essere il soggetto di acquisizione e di assenso delle cose, senza ulteriore giudizio, senza indottrinamento, senza informazione di cose coscientemente nuove, escludendo così un apporto nuovo, un contenuto di dati nuovi conosciuti razionalmente o rivelati durante lo svolgersi della direzione spirituale. Si ritiene invece che lo sviluppo storico del giovane includa sempre un dato di novità: o rivelata o razionalmente conosciuta. Quindi l'educatore, il consigliere spirituale assume anche la funzione magisteriale. In questo ci distinguiamo dal ROGERS». 
    Queste considerazioni sembrano quindi suggerire l'opportunità di non limitarsi esclusivamente, nel colloquio, alla tecnica della non direttività, al tipo di risposta riflesso-rogeriana, perché si correrebbe il rischio di non comunicare, di non trasmettere un vero contenuto al giovane.
    Sembrerebbe invece più opportuno, per centrarsi veramente sull'educando, scegliere fra i vari tipi di risposta (informativa-esplorativa-di consiglio-tranquillizzante) questa risposta che in quel determinato caso ci sembrerà la migliore. Occorrerà quindi per il consigliere spirituale un continuo allenamento a riflettere, a ripensare certe sue risposte, a risentirle, a rivederle al vaglio della critica, per acquistare una sempre maggiore sensibilità e scegliere così bene la risposta al momento giusto.

    Transfert e controtransfert

    Uno dei problemi più delicati e complessi che ci sono nel colloquio è quello del transfert. È doveroso che il consigliere spirituale se ne renda conto.
    Il termine transfert deriva da «trasferire»: trasferire qualcosa su qualcuno. Fenomeno che può realizzarsi nel colloquio, ma anche in ogni altra circostanza della vita. E la carica, la forza di attrazione affettiva, sono i sentimenti favorevoli o ostili (amore-odio) verso determinate persone, che hanno avuto parte importante nel passato del giovane, particolarmente nell'infanzia (papà, mamma, ecc.) che a un certo momento della vita e in certi particolari schemi di rapporto possono essere trasferiti e canalizzati verso altre persone.
    Perché il transfert è importante nel colloquio?
    Perché il rapporto che il consigliere spirituale ha con l'educando è sempre un rapporto tra due persone. Questo rapporto non si può sopprimere e può risvegliare dei tipi di trasferimento, di sentimenti per cui il giovane o la giovane vede nel consigliere spirituale una determinata figura e trasferisce su di lui determinati sentimenti di dipendenza, di affetto, ecc.

    * È doveroso che il consigliere spirituale si renda pure conto di un altro fenomeno collaterale: quello del contro-transfert, che lo riguarda in modo particolare. È l'apporto psicologico della sua personalità al transfert dell'educando. È il modo di reagire suo, come persona, come uomo, alla situazione emotivo-affettiva determinata dal transfert del giovane, addirittura alle volte creando lui stesso un altro transfert.
    Occorre quindi arrivare a controllare, a rendersi conto delle proprie reazioni, perché di fronte al transfert si sappia percepire e dominare i] proprio contro-transfert, perché ci si possa mantenere oggettivi e sereni di fronte a certe situazioni.
    Diverrebbe pericoloso se il consigliere spirituale soffrisse in quel momento di qualche carenza affettiva: si stabilirebbe un rapporto che non avrebbe nulla a che vedere con l'oggettività educativa, con l'amore e l'affetto pedagogico. Sarebbe davvero augurabile che ogni educatore, e in particolare ogni consigliere spirituale, sottoponesse ad autocontrollo e controllo la propria sensibilità, i propri complessi, le proprie difficoltà, senza temere di mettere in discussione la propria personalità psicologica. «Il profitto del colloquio pastorale sarà garantito - scrive il GODIN - soltanto accettando di sottoporre il proprio lavoro alla supervisione occasionale o di gruppo».
    «È tanto difficile - afferma a sua volta P. RONCARI - vedere chiaro in se stesso, nei propri desideri, per cui si dovrebbe ogni tanto ricorrere ad una revisione psicologica. Ci sono tante di quelle componenti personali inconsce o non confessate, che se non si è continuamente in "supervisione" si rischia veramente di far del male».

    Le funzioni del dialogo pastorale

    Solo dopo tali garanzie il consigliere spirituale può addentrarsi con un certo impegno nel colloquio con il giovane, badando bene di procedere con un certo qual ordine metodologico.
    G.C. NEGRI a riguardo ritiene fondamentali quattro momenti, che chiama le quattro funzioni del dialogo pastorale.

    * La funzione di amplificazione: cioè amplificare, sostenere, intensificare stati d'animo, realtà che sono interiori al giovane, ma troppo deboli per imporsi alla sua coscienza. Il giovane infatti spesso è distratto, svagato, estroverso, dimentico di sé. Il dialogo pastorale acquista allora un senso di fraternità, di aiuto. Lui sente, ma debolmente: io amplifico. 
    * La funzione di interpretazione: risponde ad una esigenza psichica profondissima. Il giovane infatti ha all'interno degli stati d'animo, delle tendenze, degli interessi vaghi, disordinati, per cui a volte si domanda: «Cosa sono, da dove vengo, perché ci sono?».
    E chiede che qualcuno interpreti le voci che stanno al di dentro, che lo aiuti a dare a loro un nome e cognome.
    * La funzione di rivelazione: porta al giovane la rivelazione di quelle realtà che sono presenti ed operanti in lui, ma che lui da solo, spontaneamente, senza l'aiuto della bibbia, della testimonianza e della catechesi cristiana, non riuscirebbe a conoscere, né ad affermare (figlio di Dio, membro del corpo mistico di Cristo, ecc.).
    Lui non sente queste realtà, anche se sono in lui: io gliele rivelo con la Bibbia.
    * La funzione di sintesi: l'educatore deve mettere insieme tutte le realtà precedenti, operare in una visione prudenziale, adatta al giovane, la sintesi di tutto il suo interno con tutto il mondo esterno (dati sociologici, psicologici, spontanei o rivelati, ordinati o indeboliti) per costruire un progetto di personalità lungo la via del tempo e della terra. Un rapporto dunque salvifico tra realtà sentita e realtà rivelata.

    Le doti del consigliere spirituale

    La relazione pastorale richiede quindi da parte del consigliere spirituale, perché possa esplicare bene la sua funzione: preparazione, disposizioni e, soprattutto, doti particolari.
    Accennando a doti particolari non si vuole intendere quanto più sopra si è già detto per i giovani, cioè la creazione di un quadro ideale, che risulterebbe poi più frustrante che stimolante per il consigliere spirituale. Questi, infatti, nei confronti dei giovani potrebbe sentirsi inferiore a questo ideale e quindi provare un senso di insicurezza e di colpa anche. Parlando di doti, di requisiti che l'educatore dovrebbe avere, intenderemmo non tanto l'ansia di identificarsi ad un ideale, quanto invece quell'acquisizione di doti, di elementi che aiutino l'educatore a sentirsi libero, pacificato interiormente, accettato profondamente e coscientemente per quello che è, ad essere in altre parole se stesso.
    Metterebbe allora a suo agio il giovane e renderebbe il suo difficile compito più fruttuoso, più efficace.
    «Uno di questi requisiti, di queste doti dovrebbe essere - afferma ancora il NEGRI - la capacità di comprensione, per cui il giovane possa dire: "Quello mi capisce!". Il giovane cerca disperatamente, nella confusione dell'attuale società tecnologica-consumistica, un individuo, un gruppo che lo aiuti a capirsi, che assuma dall'esterno e si identifichi con il suo stato di coscienza interno: ha bisogno quindi in un certo senso di qualcuno che lo comprenda e gli sia anche amico».
    «Il giovane - fa notare P. MORONI - non deve sentirsi, nei confronti del consigliere spirituale, di fronte ad una persona di diversa statura, deve costatare invece che si trova dinanzi ad un fratello maggiore, ad un amico che è disposto a partire con lui da una base comune per cercare con lui la soluzione del suo problema, e possa così dire della sua guida: "il mio problema gli interessa"».

    * Il prete è così accettato in quanto il giovane vede in lui l'amico che lo ha preceduto, che ha fatto determinate esperienze, che ha passato determinate crisi e che può rendergli testimonianza della sua fede. Un uomo quindi che prima di ogni altra cosa sia profondamente umano, abbia una finezza di intuizione e di sensibilità, sappia fare proprie le situazioni del giovane e sappia vivere, gioire e soffrire con lui. Solo così riuscirà a comprenderlo e quindi ad educarlo!

    * Un altro requisito dovrebbe essere quello della competenza, della capacità cioè di chiarire là dove c'è oscuro, di aprire orizzonti là dove c'è l'indecisione. Dote questa che proprio per il suo carattere sintetico include anche il concetto di equilibrio, e si rifà al pensiero di TERESA D'AVILA, che diceva di preferire un confessore dotto al confessore santo. Il consigliere spirituale per il giovane, incapace di capire da solo la realtà dei problemi e a fare dei progetti concreti, deve apparire come un esperto, un competente nel difficile e complicato mondo della vita spirituale. Deve avere, nel sentire le dissonanze e nell'accordarle, le mani e il tocco di un direttore d'orchestra.

    * Infine un'altra dote dovrebbe essere considerata, quella dell'autorevolezza morale. Oggi il giovane, pur sentendosi portato a rifiutare l'autorità giuridica o costituzionale, cerca sempre qualcuno che abbia una autorità, un'autorità di tipo però personale, come testimonianza, come forza interna che suggerisca fiducia, sicurezza, che dia il senso dell'appoggio. Una persona quindi che abbia una forza spirituale, una forza di persuasione tale da farsi pienamente accettare dal giovane.
    «Il consigliere spirituale deve imparare a diventare - scrive il GODIN, riportando una frase dello Zilboorg - quell'uomo di Dio che non dice quasi nulla, ma a cui si va ogni qualvolta si cerca di vedere chiaro in noi, a cui si pensa per ritrovare, a modo nostro forse, l'immagine di Dio».


    [1]Con un sondaggio di opinione sulla direzione spirituale dei giovani oggi, vi si è rivolti ai partecipanti il Biennio Esperti in pastorale catechistica, promosso dal Centro Catechistico Salesiano di Torino-Leumann. 80 di essi hanno risposto alle varie domande del questionario. Tutti, in linea di massima, risultano impegnati nel campo della pastorale giovanile, come incaricati di Oratorio (44%), come insegnanti di religione (32%) o come assistenti di varie associazioni giovanili (24%). La categoria di giovani a cui è diretta la loro esperienza pastorale è per il 44% mista, per il 40% maschile, il 16% solo femminile. L'età dei giovani invece, a cui la maggioranza (75%) si rivolge, è quella propria degli adolescenti dai 14 ai 18 anni circa.
    Sono stati poi intervistati a Milano i Direttori Spirituali di alcuni istituti cattolici per l'educazione della gioventù, e precisamente i gesuiti P. RONCARI e P. MORONI del Leone Xlll, il barnabita P. MARELLI del Zaccaria, P. CALCATERRA del Gonzaga, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, i salesiani D. PICCHIERRI del liceo S. Agostino e D. MONTAGNOLI dell'istituto tecnico professionale D. Bosco.
    Si sono inoltre sentiti i professori G. DHO e G.C. NEGRI del Pontificio Ateneo Salesiano di Roma.
    Infine si è voluto consultare le opere di alcuni autori, quali R. ZAVALLONI, Educazione e personalità, ed. Vita e Pensiero, Milano - P. DACO, Psicanalisi, ed. Sansoni, Firenze - R. HOSTIE, Il sacerdote consigliere spirituale - A. GODIN, La relazione umana nel dialogo pastorale - J. RUDIN, Psicoterapia e religione - A. VERGOTE, Psicologia religiosa, tutte della editrice Borla di Torino.


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