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    L'esperienza di un circolo misto



    (NPG 1970-02-60)

    (Il testo di questo articolo è stato elaborato da Umberto Bardella, sull'abbondante documentazione fornita dalla «Comunità giovanile Monterosa» di Torino, protagonista di questa esperienza).

    QUALCHE DATO

    La significatività di un'esperienza dipende in gran parte dal contesto socio-culturale, e anche temporale, in cui essa si situa. Questo corso di esercizi non fa eccezione. È stato vissuto da una cinquantina di ragazzi e ragazze (rispettivamente 25 e 21) provenienti dalla periferia di Torino. La loro età variava da un minimo di 17 ad un massimo di 25 anni: ma la maggioranza di essi avevano vent'anni. Fra di loro, pochissimi gli studenti: quasi tutti erano giovani lavoratori - operai o impiegati. Il corso è durato dal 31 maggio al 2 giugno del 1969.

    PREPARAZIONE

    Benché la data fosse stata fissata per fine maggio-inizio giugno, la preparazione cominciò sin da febbraio, impostando il discorso a livello comunitario e personale, in adunanze, incontri, colloqui...
    All'inizio di aprile ci fu un primo incontro con il predicatore. Si discusse a lungo sul tono da dare agli esercizi, sulla serietà, l'impegno e la disponibilità alla voce di Dio. Ma furono i giovani partecipanti che, in un incontro successivo, decisero il tipo di esercizi che volevano fare. Essi orientarono quei giorni come momento di approfondimento teologico, attorno ad una idea unitaria (Cristo vivente nei singoli e nella comunità), senza esplicitare l'aspetto «conversione». Che però si presentò inevitabilmente, come si rileva dalle loro stesse parole.
    È degno di nota il fatto che un gruppo espresse il desiderio di poter iniziare gli esercizi con un giorno di anticipo. «Questo – sono parole loro – per avere tempo, prima dell'inizio vero e proprio, di entrare nel clima degli esercizi, di scaricarci delle preoccupazioni materiali ed iniziare il colloquio con Dio. E anche per cominciare ad avvicinare il predicatore e approfondire meglio l'argomento scelto». L'esperienza fu riconosciuta positiva da tutti gli interessati: sia da coloro che avevano anticipato l'inizio, sia dagli altri. Scrive uno di loro, anche a nome dei compagni: «L'arrivo dei nostri amici al sabato pomeriggio (data d'inizio ufficiale degli esercizi) non solo non ci ha distratti o disturbati, ma il nostro raccoglimento, sebbene non ancora pienamente raggiunto, è servito loro per "ingranare" più in fretta». Anche il contatto e l'approfondimento preliminari con il predicatore si sono dimostrati molto positivi: «Abbiamo praticamente sentito due volte le stesse idee-base e ne abbiamo discusso a fondo. Inoltre, avendone discusso prima, abbiamo potuto aiutare gli altri nei colloqui a piccoli gruppi; e nelle discussioni comunitarie, abbiamo potuto far sorgere qualche problema che già ci si era presentato».

    GLI ESERCIZI

    L'orario tradizionale è stato totalmente rivisto, in funzione di una partecipazione più cosciente, più attiva e soprattutto più voluta ai vari momenti della giornata.
    Ad esempio, accanto alla tradizionale riflessione personale – o meglio, individuale – sul contenuto delle «lezioni» (non prediche: era un corso di approfondimento teologico!) si sono avuti momenti di discussione a piccoli gruppi di 7-8 membri. Questa novità – se così la vogliamo chiamare – ha incontrato molto favore. Lo si rileva da un'inchiesta effettuata quindici giorni dopo gli esercizi, quando cioè gli entusiasmi più vivi, che avrebbero potuto falsare la prospettiva, si erano già ridimensionati a contatto con lo scomodo quotidiano. Quasi tutti i partecipanti ritengono questi momenti indispensabili o almeno utilissimi per «rispiegare qualche concetto, scambiare idee e approfondire l'amicizia». E molti lamentano, assieme alla difficoltà del «primo incontro», la mancanza di tempo, il poco spazio dato a questi incontri.
    Anche le pratiche di pietà hanno subito una revisione profonda. La recita dell'Ufficio ha lasciato posto alla meditazione comunitaria di passi evangelici, di salmi, di preghiere del Quoist. A questo proposito uno dei partecipanti osserva: «Un lato positivo essenziale è stato, per me, quello di non aver insistito troppo sul silenzio e la meditazione individuale, ma principalmente sulla preghiera e sul dialogo comunitario».
    La Messa non è stata vista come azione a sé, ma è inserita nel quadro generale delle espressioni della comunità. Rappresenta il momento forte di esse, là dove si può «offrire a Cristo le nostre preghiere in una sola», dove «le preghiere sono frutto della comunità».

    Il valore della comunità

    L'esperienza della comunità infatti è stata vissuta molto profondamente durante i tre giorni degli esercizi. Del resto, è un'osservazione che si sente forse ogni volta che c'è un campo-scuola, un campo di lavoro o qualunque incontro giovanile di una certa profondità e di un certo impegno. In quasi tutte le risposte al questionario cui abbiamo accennato, è presente «la coscienza di appartenere tutti ad un'unica comunità»: si viveva «uno spirito comunitario, ci si sentiva veramente amici di tutti e capaci di comprenderci o comprendere i problemi degli altri».
    Elemento fondamentale per la, creazione di questo clima comunitario è stata la comune problematica di fondo («I miei problemi erano comuni a molti altri») e soprattutto il medesimo scopo: «Eravamo tutti riuniti per un unico scopo, cercare veramente Dio, e non solamente per chiacchierare. Abbiamo incominciato a capire veramente cosa vuol dire amarsi in Dio».
    Quest'ultimo elemento ci sembra importante. È facile – e lo abbiamo probabilmente esperimentato tutti – che adolescenti o giovani, quando vengono posti in un ambiente emotivamente carico, parlino di comunità. Ma la intendono a livello puramente sentimentale, dello «stare bene insieme», dell'«essere amici veri», anche del «partecipare ai problemi e alle gioie degli altri». Non si va più in là: il gruppo rimane chiuso nella narcisistica contemplazione di se stesso. Non sempre riesce ad avere una proiezione al di fuori, un fine che lo vivifichi e lo giustifichi.
    Qui invece la vita comunitaria ha raggiunto un livello notevole, entusiasmante per molti che erano alla prima esperienza di comunità vera. Scrive uno di loro (sono parole molto misurate: ma a chi sa leggere tra le righe esse rivelano tutta la vivezza e la forza dell'esperienza vissuta): «Abbiamo cercato di formare un gruppo abbastanza unito, partendo da uno alquanto eterogeneo. Per questo, abbiamo cercato di creare condizioni di ambiente comunitario in tutto ciò che si faceva (ad esempio, il dialogo a gruppi si è cercato di farlo con persone sempre diverse) al fine di favorire la coesione fra le varie persone, dando al tempo stesso la possibilità di svolgere approfondimenti efficaci e incisivi – appunto perché si era in pochi. Alla fine dei tre giorni si può dire di aver formato una comunità abbastanza unita, con persone aperte e disponibili l'una verso l'altra, comunità il cui momento culminante è stata la Messa finale: una vera azione comunitaria con la partecipazione attiva di tutti. Ancora da segnalare il clima di allegria, cameratismo e fraternità che si è cercato di creare nelle pause di riposo, durante i pasti e attorno al falò». Proprio questo generale atteggiamento di serenità e di allegria è un altro elemento che va messo in rilievo. Troppe volte, soprattutto in passato, nel nome di un malinteso «raccoglimento» si è tolto agli esercizi ogni aspetto di gioia. Col rischio – non troppo immaginario! – di dare l'idea di un cristianesimo fatto di musoneria e di tristezza. In questa esperienza invece c'è sempre stato un clima disteso, in alcuni momenti forse anche chiassoso (come nel fuoco di campo la sera del secondo giorno). E non ha per nulla diminuito l'impegno e la serietà. «Il ritiro – scrive uno dei partecipanti – è qualcosa che va vissuto con gioia, con allegria, e deve quindi alternare ai momenti di allegria, cui tutti se vogliono possono partecipare, dei momenti di meditazione e di silenzio, il tutto però giustamente dosato».

    Il gruppo «misto»

    La presenza contemporanea di ragazzi e ragazze non ha portato problemi di sorta, nei giovani. Nessun svantaggio è stato rilevato; mentre molti sono stati i lati positivi. Si è notato un forte arricchimento reciproco, là dove si è riusciti – e lo si è fatto quasi sempre – a superare sia una certa aria di superficialità sia un discreto imbarazzo nel parlare di certi argomenti con persone estranee. Inoltre, ha portato «il vantaggio di essere e sentirsi finalmente in un ambiente normale naturale»; perché «è assurdo pensare di combinare assieme solo gite, svaghi, divertimenti, e non anche tante altre cose che vanno dalla discussione di determinati problemi morali, sociali, spirituali, all'attuazione pratica di azioni che possono contribuire a rendere il nostro cristianesimo più vivo». Fino al «comprendere la bellezza e la grandezza di una vera comunità cristiana, fondata sull'amore fraterno e senza distinzione alcuna». Per qualche ragazzo, si è trattato di una scoperta: la scoperta della donna come persona umana, non solo come sesso. E stata «un'esperienza meravigliosa: riuscire a guardare una ragazza come sorella».
    Ma c'è di più. L'esperienza come è stata fin qui presentata ha ben poco di speciale: è un corso di esercizi discretamente riuscito, ma uguale a tanti altri. Invece esso ha avuto una caratterizzazione ben precisa. Che è appunto la «mixité» – o meglio, quello che è stato realizzato grazie alla «mixité».
    Innanzitutto, una duplice rivelazione.
    Le ragazze hanno scoperto che i giovani – quegli stessi giovani che nella vita «normale» sembravano materialisti, menefreghisti o peggio – erano impregnati di una problematica intensa, vitale, angosciata, a volte. E di una religiosità profonda, che dall'esterno non si sarebbe mai sospettata. Analogamente è successo per i giovani nei confronti delle ragazze: al di sotto dell'aspetto frivolo, disimpegnato che colpisce al primo sguardo, esse hanno mostrato una capacità intuitiva e una ricchezza tale da sbalordire quasi i ragazzi: quegli stessi che conoscevano e con cui lavoravano e dialogavano forse da anni.
    Queste scoperte hanno, come era logico, accresciuto l'impegno di tutti. Impegno che è diventato stimolo reciproco e aiuto grande all'approfondimento e al dialogo.
    Agli esercizi erano presenti alcune coppie di fidanzati. Hanno trovato una dimensione nuova per la loro vita a due: non più solo attrazione reciproca e fatto istintivo, anche se con qualche nebuloso e semi-cosciente aggancio allo spirito, ma vero e vitale dialogo spirituale-umano e cristiano insieme. Che metteva in luce la ricchezza e la bellezza del rapporto tra due esseri che vanno scoprendo il significato vero di ritrovarsi «persona».

    DOPO GLI ESERCIZI

    La validità di questi esercizi è verificata dal fatto che si sono dimostrati e si stanno dimostrando non un episodio isolato, ma un punto di partenza. «Proprio alla fine di questi esercizi è nato intenso, da parte della quasi totalità dei partecipanti, il desiderio di continuare a trovarsi in gruppo, per portare avanti e continuamente verificare il discorso iniziato – e per qualcuno riscoperto – in quei giorni. Si è sottolineata la necessità di continuare a comunicare sugli argomenti trattati e sulle nostre scoperte personali sia incontrandoci in piccoli gruppi di amici, sia in forma del tutto privata e spontanea tra giovani che avevano fatto la stessa esperienza. Inoltre, si è venuti nella determinazione di un incontro settimanale dell'intera comunità, quale riunione plenaria di tutti i giovani del nostro Circolo che vivono e si sforzano di vivere il messaggio d'amore di Cristo, nella consapevolezza della presenza di Dio in noi e nella scoperta di Cristo nel prossimo»: sono parole di una di loro.
    Questi incontri, subito iniziati, hanno resistito all'usura del tempo e dell'abitudine. Tant'è vero che, dopo una forzata pausa ad agosto, sono spontaneamente ripresi a settembre.
    Il tema, stabilito insieme dopo varie esperienze di altro tipo, è molto forte: «La crescita di Cristo in noi». Come molto impegnato e impegnativo è il testo che i giovani hanno scelto, per avere un filo conduttore a cui appoggiarsi: la lettera ai Romani.
    Con questo, però, non ci si è ridotti ad una trattazione più o meno accademica. L'elevato numero dei partecipanti (da 50 a 70 giovani ogni settimana!) dimostra non solo l'esigenza di un autentico approfondimento religioso, ma anche l'incisività di questi incontri a livello di problemi di vita del singolo e del gruppo.
    Anche se si è ancora ben lontani dall'ideale. È un gruppo vivo, che ha iniziato un cammino lungo e difficile. Che è partito dalla situazione reale, con tutti i suoi limiti, dalla poca preparazione alla superficialità, alla poca omogeneità. Ma che è alla ricerca di una autentica maturazione cristiana.


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