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    «Catecumenato » e « professione di fede» nella preadolescenza: un'iniziativa quaresimale



    P. Damu - PG. Prandina

    (NPG 1970-02-19)

    Con questo studio, «Note di Pastorale Giovanile» inizia una nuova rubrica, interamente dedicata ai problemi della preadolescenza (età «scuola media»). Su questo specifico argomento, impegnativo e stimolante, gradiremmo interventi ed esperienze.


    ETÀ PRIVILEGIATE ED ETÀ «DEPRESSE»

    Nell'ordinamento pastorale attuale l'infanzia e la fanciullezza sono due età nettamente privilegiate in quanto convogliano in sé il massimo di attività catechistica e sacramentale: in esse infatti si verifica la recezione dei sacramenti del battesimo, della cresima, dell'eucaristia e della confessione. L'iniziazione alla vita cristiana, dunque, si concentra in queste età e spesso, purtroppo, in esse si esaurisce.
    Così le età successive – a cominciare dalla preadolescenza – possono facilmente apparire cristianamente scialbe e «depresse», età in cui si nota in modo evidentissimo il progresso avvenuto nella linea dello sviluppo umano globale, ma che frequentemente non lasciano trapelare nessun segno di maturazione a livello specificamente cristiano. Eppure l'enorme sviluppo dell'individuo, che attraverso la preadolescenza e l'adolescenza passa dall'immaturità alla maturità personale, dovrebbe essere normalmente accompagnato da una forte crescita nella vita cristiana, da una adesione ormai libera e personale a Cristo. Ma attualmente, anche quando questo rilevantissimo avvenimento sia intensamente presente nell'interiorità del soggetto, non si ha la possibilità concreta di manifestarlo e di sottoporlo, per così dire, a una ratifica ufficiale e solenne da parte della comunità ecclesiale.
    Un eventuale spostamento della cresima all'età preadolescenziale od oltre potrebbe, teoricamente, presentarsi come un buon superamento della carenza accennata. Ma noi qui non intendiamo assolutamente affrontare questo problema notoriamente assai complesso; ci domandiamo solo cosa si possa oggi concretamente proporre.
    Una soluzione da più parti prospettata è quella che viene comunemente chiamata «Solenne professione di fede» [1], vale a dire una rinnovata adesione a Cristo, fatta in modo libero e cosciente, dopo un periodo di riesame e di approfondimento dei propri impegni cristiani, cioè dopo una specie di «catecumenato» postbattesimale che supplirebbe, per chi è stato battezzato da bambino, l'omesso catecumenato prebattesimale. Questa «professione» verrebbe a costituire una pubblica ed esplicita manifestazione della trasformazione interiore che si verifica nel passaggio da una religiosità di dipendenza dall'ambiente a una religiosità di scelta personale.

    IL CASO DELLA PREADOLESCENZA

    Ci domandiamo qui se la preadolescenza abbia già la possibilità di utilizzare quello strumento di espressione solenne ed ufficiale del proprio impegno cristiano che è la «professione di fede». Il richiamo ai tratti più rilevanti della situazione psicoreligiosa della preadolescenza ci permetterà di formulare una risposta motivata.

    La preadolescenza: «una frontiera»

    La preadolescenza è una delicata età di passaggio: essa costituisce senza dubbio uno dei momenti più impegnativi oltre che dello sviluppo della personalità in generale, anche dello sviluppo della dimensione religiosa in particolare. Infatti, la forte crescita che si verifica in tutti i settori della personalità del preadolescente esige necessariamente una profonda revisione e ristrutturazione della sua religiosità. Egli è ormai in grado di usare – anche se in maniera ancora molto imperfetta e condizionata dai residui dell'età precedente – tutte le operazioni intellettuali; il suo comportamento affettivo si fa più ricco e personalizzato; gli interessi aumentano in numero e intensità; inizia il processo di interiorizzazione dei valori; cresce il movimento di emancipazione dai genitori a favore di un maggior inserimento nel gruppo dei coetanei e nell'ambiente extrafamiliare... Tutto questo, di conseguenza, spinge il ragazzo a crearsi un nuovo quadro di riferimento morale e religioso. Egli dovrà liberarsi sempre più dall'eteronomia morale tipica del fanciullo o inserirsi progressivamente nell'autonomia propria del giovane e dell'adulto; dovrà passare da una religiosità fortemente dipendente dai genitori a una religiosità interiorizzata, non più semplice conformismo o costrizione ambientale, ma già, in qualche modo, aspirazione e scelta personale.
    Il passaggio però a una moralità e a una religiosità più mature non avviene automaticamente: il preadolescente, in realtà, si trova a un bivio e la sua scelta potrà essere o per un impegno morale e religioso più libero e cosciente o per un primo abbandono dei valori morali e religiosi. L'esperienza e le statistiche dimostrano che in questa età si verifica una rilevante defezione religiosa. In molte regioni si costata, dopo i 12-13 anni, un progressivo sfaldamento del sentimento di identificazione al proprio gruppo religioso con abbandono delle pratiche, affievolimento delle credenze, critica delle istituzioni, ecc. [2].
    D'altra parte per molti, come afferma il Guittard [3], l'adolescenza media (13-16 anni) ... è un periodo «di esperienze religiose numerose e profonde e costituisce il risveglio dell'inquietudine spirituale... Sono gli anni decisivi in cui, sotto le spoglie del giovinetto, si cela l'uomo che si prepara all'avvenire... perfino la maturità e la vecchiaia procederanno lungo la strada presa verso i quindici anni».
    Il preadolescente è una frontiera. La preadolescenza è un momento cruciale nell'educazione della fede: è necessario aiutare il ragazzo a riflettere, a riproporsi le credenze e le scelte religiose di fanciullo per scoprirvi gli elementi validi e quelli caduchi e aprirsi così la via a una nuova organizzazione della fede, a una nuova adesione, più matura perché più personale, al cristianesimo.
    Riteniamo che tutto questo possa essere proficuamente realizzato mediante l'iniziativa del «catecumenato» e della «solenne professione di fede».

    È possibile?

    Ma sono veramente possibili un «catecumenato» e una «professione di fede» nella preadolescenza?
    Si potrà qui insistere: «catecumenato» e «professione di fede» non sono forse delle realtà troppo grosse per essere inserite in un contesto preadolescenziale?
    Pensiamo che il preadolescente o, per meglio dire, il ragazzo alle soglie della vera e propria adolescenza sia già in grado di assumere una posizione sufficientemente cosciente e libera nei riguardi dei propri impegni cristiani. Egli, certo, si trova solo all'inizio di quella lunga linea di sviluppo che dovrebbe portare a una completa maturazione nella fede. Ma il suo è pur sempre un notevolissimo passo in avanti, una vistosa tappa nell'acquisizione di una fede personale, un qualcosa che ha già valore in sé e che rende possibile un'autentica testimonianza di fede. Innegabilmente nel preadolescente noi troviamo dei forti limiti: riteniamo tuttavia che essi non siano tali da mettere fuori causa una certa esperienza «catecumenale» e un'autentica professione di fede, ma che incidano in maniera determinante sulle modalità della loro realizzazione.

    LA FISIONOMIA DI UN «CATECUMENATO»
    E DI UNA «PROFESSIONE DI FEDE» NELLA PREADOLESCENZA

    La dimensione quaresimale-pasquale

    Il preadolescente, che ha raggiunto una coscienza religiosa relativamente matura, può ormai esprimere esternamente la sua adesione personale agli impegni del battesimo mediante la «solenne professione di fede». Ma la professione di fede battesimale deve essere preceduta, per sua natura, da quel tirocinio più o meno lungo di vita cristiana che è il catecumenato. Chi è stato battezzato da bambino e non ha potuto quindi premettere al suo battesimo l'esperienza catecumenale, una volta giunto a un'età in cui è necessario confermare personalmente gli impegni presi un tempo da altri, molto opportunamente farà precedere questa sua pubblica attestazione di fede da un'adeguata preparazione che noi per analogia possiamo chiamare «catecumenato».
    Per ragioni storiche e teologiche i tempi «naturali» per la professione di fede e per lo svolgimento di questa preparazione prossima ad essa sono rispettivamente la Notte di Pasqua e il periodo quaresimale: la Veglia pasquale infatti è tradizionalmente consacrata all'amministrazione del battesimo e alla rinnovazione delle promesse battesimali; e la quaresima, da parte sua, è sorta sostanzialmente come preparazione immediata al battesimo, ricevuto di norma a Pasqua per sottolineare la sua essenza di inserzione nel mistero della morte e risurrezione di Cristo.
    Noi pensiamo che le sei settimane di quaresima, viste naturalmente come il culmine di un serio impegno a livello di catechesi e di vita cristiana, possano davvero costituire un tempo spiritualmente forte e un'ottima preparazione a una pubblica attestazione di fede.

    La dimensione esperienziale

    Ma, come è evidente, questa preparazione-catecumenato non potrà, per sua stessa natura, ridursi a un corso di istruzione religiosa; dovrà invece coinvolgere tutt'intero il preadolescente in una breve ma intensa esperienza di vita cristiana attraverso atteggiamenti, gesti, attività e incontri liturgici ed ecclesiali.
    Non si intende qui certo sottovalutare quello sforzo di riflessione sui propri impegni cristiani che resta necessariamente la base della preparazione alla professione di fede; si vuole solo sottolineare che tale riflessione deve essere fatta in modo concreto, esperienziale, in continuità con la vita.
    Tenendo presenti le esigenze proprie di un «catecumenato» e di una «professione di fede» e le caratteristiche peculiari della religiosità preadolescenziale, questi incontri quaresimali dovranno essere particolarmente orientati a far scoprire dal ragazzo la presenza di Cristo nella vita propria, del gruppo e della Chiesa.
    Momenti concreti di questa scoperta potranno essere:
    1. la meditazione sulla propria vocazione cristiana: su questo dono e questa proposta che, fatti da Dio attraverso Gesù Cristo nel battesimo, richiedono una risposta personale e responsabile;
    2. la rilevazione del profilo del cristiano autentico, come colui che ripete nella propria vita la vita stessa di Cristo, aderendo a lui e agendo come lui;
    3. la riflessione sulla Parola di Dio, guida della vita cristiana;
    4. la scoperta dell'Eucaristia come vertice dell'incontro con Cristo e con gli uomini;
    5. la coscienza dell'incessante necessità per il cristiano della «conversione», vista come continuo e più profondo riorientamento a Cristo;
    6. la professione di fede o rinnovazione degli impegni battesimali, termine naturale della «conversione», in quanto manifestazione di una rinnovata e più matura adesione al Signore.

    La dimensione comunitaria

    Un'esperienza catecumenale valida esige necessariamente una piena integrazione alla vita della comunità dei fedeli. È nella comunità che il preadolescente trova il sostegno della sua fede e la garanzia della sua perseveranza: senza una riuscita inserzione in una comunità di fede lo stesso entusiasmo e i più saldi propositi non potranno presumibilmente durare a lungo. Il preadolescente, infatti, per la sua faticosa crescita nella fede ha bisogno di non sentirsi solo, necessita di aiuto e di appoggio: e per un autentico sviluppo non è sufficiente il sostegno isolato del piccolo gruppo di coetanei, ma è esigito il sostegno di tutta la comunità, in primo luogo quello degli adulti ai quali principalmente guarda un essere in crescita.
    La testimonianza degli adulti è quindi di capitale importanza.
    Ma qui sorge una difficoltà. La comunità degli adulti di rado appare esemplarmente impegnata agli occhi del preadolescente. Che senso può avere allora per lui lo sforzo richiesto per l'inserzione in un gruppo di persone che gli sembra non abbiano molto da offrirgli?
    Si potrà in parte ovviare a questa difficoltà proponendogli seriamente il mistero della Chiesa composta di santi e di peccatori e avviandolo soprattutto a leggere a fondo nella propria comunità per scorgervi i valori e i fermenti cristiani. Nell'ambito della pastorale parrocchiale, inoltre, prendendo occasione anche dalla professione di fede dei preadolescenti, si potrà e si dovrà cercare di sensibilizzare a un più evidente impegno cristiano parecchie categorie di adulti. Si pensi, per esempio, ai genitori e ai familiari dei ragazzi, ai padrini, agli insegnanti, ai catechisti, agli iscritti alle associazioni cattoliche: nei limiti del possibile si dovrebbe coinvolgere nell'iniziativa tutta la comunità parrocchiale.

    L'apertura verso ulteriori impegni

    Nella professione di fede dei preadolescenti deve essere assolutamente evitato quel senso di «tutto finito» sempre in agguato e così spesso lamentato in iniziative del genere [4]. Si deve, cioè, far in modo che non venga considerata come un avvenimento che chiude un'età, dando la sensazione ai ragazzi e alle rispettive famiglie di aver raggiunto una mèta oltre la quale non c'è più niente da fare.
    In realtà questa professione dovrà prospettarsi non tanto come un traguardo, quanto piuttosto come un punto di partenza; non tanto come la conclusione di un periodo, ma come l'avvio di un impegno di tipo nuovo e più autentico di vita cristiana; non come un fatto isolato, irrepetibile, «definitivo», ma piuttosto come la prima professione particolarmente solenne fra le tante professioni che il cristiano è tenuto a compiere lungo tutto l'arco della sua esistenza secondo un movimento incessante di crescita e di approfondimento della fede.

    Chi ammettere alla professione di fede?

    Dato che questa iniziativa tende esattamente a far uscire il ragazzo dal conformismo e dalla passività per portarlo a una testimonianza e a un impegno personale nei confronti della fede ricevuta dall'ambiente, sarebbe semplicemente un controsenso far pressione per conglobarvi tutti a tutti i costi.
    La scelta dovrà essere basata esclusivamente sulla maturità psicologica e sulla preparazione spirituale del preadolescente, oltre che sulla sua esplicita domanda. I fattori età cronologica e scolarità potranno godere di una certa ampiezza di fluttuazione.
    La professione di fede, come si vede, punta inequivocabilmente su un'élite: e questo per forza di cose, perché ogni scelta personale impegnativa determina necessariamente una discriminazione. Qui comunque si tratta semplicemente di un'élite di cui può far parte chiunque dimostri le disposizioni richieste ad ogni battezzato per il pieno esercizio della vita di fede.

    CONCLUSIONE

    Il fine che ci siamo proposti nel presentare queste nostre considerazioni è stato sostanzialmente quello di attirare l'attenzione degli educatori religiosi dei preadolescenti su un'iniziativa che riteniamo degna di essere studiata a fondo e sperimentata, in quanto adeguata all'età e ricca di sviluppi pastorali.
    Ci siamo sforzati di individuare quelle che sembrano essere le sue dimensioni essenziali, abbozzandone così, in qualche modo, la fisionomia. Abbiamo ritenuto invece presuntuoso, allo stato attuale delle sperimentazioni, tentare la costruzione di una metodologia concreta del «catecumenato» e della «professione di fede» preadolescenziali.
    Pensiamo, comunque, che quanto è stato qui esposto, benché in maniera assai succinta, possa costituire anche per altri, come è stato per noi, una base sufficiente per l'avvio di una precisa esperienza in proposito. Per noi sarebbe cosa assai gradita iniziare uno scambio di riflessioni, dati, prospettive, ecc. con quegli operatori della pastorale dei preadolescenti che desiderassero impegnarsi in questa iniziativa. Collegando insieme il frutto di tante esperienze si potrebbe anche giungere a delineare una ricca e ben articolata metodologia.

    NOTE

    [1] Nei paesi di lingua francese è tradizionale la pratica pastorale della «Communion Solennelle» – collegata a una professione di fede – intorno ai 12-13 anni. Per quanto riguarda l'Italia siamo a conoscenza di una «professione di fede alla fine della scuola d'obbligo» organizzata nella diocesi di Reggio Emilia. Qualcosa di simile si fa dal 1964 anche nella archidiocesi di Bologna.
    Per interessamento dell'Istituto di Catechetica dell'Università salesiana, un'iniziativa del genere è in via di sperimentazione anche in qualche parrocchia e scuola di Roma. Quest'articolo è una breve sintesi di uno studio di carattere introduttivo – storico, teologico, psicologico e pastorale – che è servito di base per l'avviamento della sperimentazione a Roma.
    [2] H. CARRIER, Psico-sociologia dell'appartenenza religiosa, Torino-Leumann, L.D.C,. 1965, p. 269.
    [3] L. GUITTARD, Pedagogia religiosa degli adolescenti, Roma, Ed. Paoline, 1965, pp. 94-95.
    [4] Si pensi, per esempio, alla «Communion Solennelle» nei paesi di lingua francese.


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