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    I punti fermi di una teologia per la revisione di vita



    Giancarlo Negri

    (NPG 1970-11-26)

    La RdV non è una tecnica, l'ultimo ritrovato di qualche patito per capovolgere il mondo. È uno spirito: un «modo nuovo» di leggere la realtà. Quello vero, più autentico. Perchè della realtà cerca anche le dimensioni profonde, quelle che sfuggono ai controlli della macchina fotografica o ai diagrammi del sociologo e alle riflessioni dello psicologo.
    È uno sguardo di fede: il modo di leggere i misteri della fede dentro i misteri della vita. Per questo la RdV ha bisogno di un sicuro entroterra antropologico e teologico.
    Queste riflessioni costruiscono le basi su cui è possibile fondare una RdV che sia «vera». Le indicazioni si aprono a ventaglio, immediatamente, su tutta la pastorale. Ogni pastorale, fedele a Dio e all'uomo, non può che partire da queste premesse.
    Anche ad una lettura superficiale, si ritroverà in queste pagine l'eco di due paragrafi centrali del Documento base del rinnovamento della catechesi italiana:
    «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio» (RdC, 77).
    «Né si tratta di una semplice preoccupazione didattica o pedagogica. Si tratta invece di una "esigenza" di incarnazione essenziale al cristianesimo... Si tratta di un vasto impegno di coerenza al Vangelo, dalla cui attuazione dipende la sorte stessa del cristianesimo, particolarmente presso le generazioni dei giovani» (RdC, 96-97).

    Nostra intenzione è di fissare o ricordare qui alcune realtà fondamentali per la RdV che, per la nostra mentalità troppo astratta, ci sono poco abituali.

    L'UOMO IN SITUAZIONE

    Può l'uomo del xx secolo essere uomo della Bibbia?

    Noi, chi più chi meno, siamo ancora malati di illuminismo. In ogni campo, in ogni attività, una seconda natura ci spinge a razionalizzare, a catalogare in schemi precisi e con etichette ben chiare. Questo è, in parte, conseguenza di una grande scelta che la Chiesa ha effettuato nel secolo XVII (il Catechismo Tridentino è sulla linea della RdV molto più che quello di Pio X): allora in Germania vi fu un urto tra due grandi correnti: una faceva capo a due professori di Tubinga, Hirscher e Sailer, e sosteneva una catechesi biblico-storica; l'altra, rappresentata principalmente da padre Deharbe S.J., era impregnata di razionalismo (Spinosa, Cartesio, e tutto l'idealismo illuministico tedesco).
    Purtroppo, fu quest'ultima a prevalere; e influenzò così tutti i catechismi, da allora fino all'inizio di questo secolo. E il guaio non è piccolo: se noi accostiamo Bibbia e illuminismo, vediamo che si tratta di due modi diversi non solo di vedere la realtà, ma addirittura di concepire le cose.
    Nel periodo dell'illuminismo, ci furono le grandi discussioni apologetiche. La loro utilità è indubbia, perché l'apologetica diventò una vera scienza positiva, e non più una deduzione dalle scienze che deve invece fondare. Inoltre esse portarono all'applicazione delle scienze positive, soprattutto storiche, nello studio della Bibbia [1].
    Giungiamo finalmente a questi ultimi decenni, e abbiamo l'affermazione di Pio XI: «Ogni cristiano deve diventare spiritualmente semita» [2]. Non greco-romano: ma semita. Meno razionalismo, cioè, e più Bibbia.
    È di quei tempi (1925) la grande lotta sostenuta da P. Lebbe e dal card. Von Rossum, per distinguere il depositum fidei dalle categorie nelle quali è espresso. Le idee di P. Lebbe, missionario in Cina, a noi sembrano ovvie; ma ci volle tutta l'autorità di Pio XI per evitare una condanna. Io non devo – sosteneva P. Lebbe – convertire i Cinesi ad un cattolicesimo presentato in schemi francesi, con, mentalità francese, con ideali francesi. Io devo convertire ad un cattolicesimo cinese.
    La lotta sostenuta da P. Lebbe fu lunga e tutt'altro che facile; ma fu grazie a lui che cominciò a penetrare la persuasione che una cosa è il «depositum fidei», un'altra sono le categorie razionalistiche con cui noi lo pensiamo. Distinzione questa, che portò a tutto il movimento ecumenico, ai discorsi sul pluralismo, al documento «Ad gentes» del Vaticano II, in cui essa è chiaramente e fortemente affermata.
    Noi ora abbiamo più la sintesi tra mistero cristiano e mentalità semita che non quella tra mistero cristiano e mentalità greco-romana. Per giungere a questo punto, molto ha influito anche l'esistenzialismo. Ottimo è, a questo proposito, lo studio di Charles Moeller nel libro «Parole de Dieu et Liturgie», purtroppo non tradotto in italiano. Si dice in questo studio che l'esistenzialismo è molto vicino alla Bibbia, intendendo per esistenzialismo il prendere le cose dal punto di vista del loro esistere, non tanto da quello del loro essere essenzialisticame definibile. Questo favorisce il sorgere non tanto di idee chiare, ma piuttosto di idee unite, idee sintetizzate, idee coinvolte nella vita: mentre le idee chiare rischiano di essere astratte, avulse dalla realtà.
    Questo esistenzialismo – cioè il prendere le realtà più nel loro «esserci» che nelle loro essenze pure – è uno dei cardini fondamentali della RdV: la RdV si giustifica alle nostre menti in base alla dimensione biblicostorica-esistenziale di tutte le realtà.

    Non aprire solo il libro,
    ma con il libro aprire la vita

    Con tutto questo, la RdV implica anche una svolta profonda nel metodo. Finora noi per formare religiosamente aprivamo un libro – il catechismo, o anche la Bibbia; con la RdV apriamo la vita, studiamo la vita. Non elimineremo, naturalmente, il libro: resterà sempre uno strumento di lavoro, indispensabile alla nostra mente, che non riesce a intuire come Dio e gli angeli ma ha bisogno di ragionare.
    Ma l'oggetto, il termine dello «studio» sarà la vita, la realtà, la persona, e non, come troppo si fa, il libro, il rito, la struttura, l'istituzione, che sono strumenti per incontrare le persone divine.
    Un grande catecheta francese, il Colomb, ha coniato un termine molto significativo: «chosifier», cosificare. Noi cosifichiamo, egli dice, il libro del catechismo, cosichiamo la Bibbia, cosifichiamo i sacramenti, per cui parliamo del battesimo, e non di Dio che opera in noi col battesimo. Parliamo della cresima come di una schematizzazione rituale, e non di un incontro, caratterizzato in un certo modo, fra la Trinità e me. Battesimo e cresima sono diventati cose, e non più gesti di persone. È vero che questi gesti sono «sacramentalizzati», cioè resi visibili con oggetti visibili: ma questa sacramentalizzazione è del tutto e solo strumentale. Dobbiamo cambiare mentalità: non dobbiamo più studiare l'Eucaristia, ma Pierino, cioè «un uomo concreto» (Documento Base, 141); e l'Eucaristia va studiata come un particolare modo dell'essere di Dio in rapporto all'esserci di Pierino, in piena concretezza storica: l'uomo in situazione – Dio in situazione.
    Il Dio non ci è stato svelato come Dio in astratto, al di là della concretezza storica del popolo ebreo; il Dio che noi conosciamo è un Dio in situazione salvifica con l'uomo. Se usciamo da questa concezione non abbiamo più il Dio della Bibbia, ma un dio dei razionalisti e degli illuministi.

    L'uomo fenomenico e l'uomo della pastorale

    Ecco allora il primo punto fermo: l'uomo in situazione. Paolo VI ne ha parlato, usando un sinonimo:
    «Tutto l'uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue innumerevoli apparenze, si è quasi drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti perciò e amorosi: l'uomo tragico dei suoi propri drammi, l'uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l'uomo infelice di sé, che ride e che piange; l'uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l'uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l'uomo com'è, che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa...; e l'uomo sacro per l'innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore...» (Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, 1965, Tip. Poliglotta Vaticana, 1966, p. 729).
    È questo l'uomo.
    Nel discorso del 22 febbraio 1968, di nuovo cerca di portarci questo uomo esistenziale:
    «Tocca a noi, credenti, speranti ed amanti, portare, secondo l'arte nostra, continuamente all'uomo cieco la luce, all'uomo affamato il pane, all'uomo adirato la pace, all'uomo stanco il sostegno, all'uomo sofferente il conforto, all'uomo disperato la speranza, al fanciullo la gioia della bontà, al giovane l'energia del bene».
    Si noti come non parla mai di «uomo», in astratto: parla di un uomo; sempre aggettivato, sempre concreto, sempre situato [3].
    Questo primo punto è essenziale per la RdV, per la quale fare una predica, fare catechesi, vorrà dire prima di tutto partire da «questo» uomo, in situazione, e prendere sul serio tutte le circostanze storiche che esistenzializzano «lo uomo», che lo pongono qui, sofferente, affamato, disperato, e che ci costringono ad assumere le categorie sociologiche e psicologiche più che non quelle filosofiche.
    * Il discorso di Paolo VI trova corrispondenza nella RdV nella fase del vedere. Il vedere comincia col vedere l'uomo. Noi non vediamo se non vediamo l'uomo. Il vedere per chi vuole ispirarsi alla Bibbia, è incominciare a vedere tutto nella misura dell'uomo concreto ed esistenziale: veramente per noi «l'uomo è misura di tutte le cose». E vedremo più avanti che, per libera iniziativa di Dio, l'uomo è misura anche di Dio. Non possiamo conoscere Dio senza conoscere l'uomo, ha detto Paolo VI nel discorso del 14 settembre 1965. E ha aggiunto: questo non è puro antropocentrismo: è un prendere sul serio il piano di Dio, che è focalizzato sull'uomo. Perché Dio, con un atto d'amore, esce da sé per arrivare all'uomo [4].
    Nella Bibbia, non ci è rivelato un Dio astratto, staccato dall'uomo: Egli è sempre visto in rapporto di salvezza con l'uomo. Se usciamo da questa concezione, non troviamo più il Dio della Bibbia, ma quello dei razionalisti o degli illuministi.

    Il cosmo e la storia

    L'uomo in situazione va visto in due sue componenti: il cosmo e la storia. Dire uomo fenomenico significa parlare di un uomo collocato nel cosmo e nella storia.

    * Cosmo vuol dire tutto ciò che è materiale e concretizza, specifica o anche limita l'uomo: ciò che lo fa uomo singolo, con caratteristiche psico-biologiche sue proprie, personali ed irripetibili. Vuol dire sangue, ormoni, cielo, luna, stelle, smog, lavoro, TV, giornali, rumore, malattie. Attraverso i nostri nervi, noi siamo storicizzati dal tipo di lavoro che ognuno fa, dalle suggestioni dei mass-media, dall'ambiente in cui vive. Tutti questi elementi agiscono – in maniera diversa per ognuno di noi – sui sentimenti, sulle aspirazioni, sulle tendenze. Nel cosmo intero l'uomo esiste, cioè diventa esistenziale, storico. È per questo che, in RdV, nella fase del «vedere», bisogna esaminare istinti, tendenze, motivazioni.
    Perché sono loro che trasformano «lo uomo» in «questo uomo qui». Finora, il cosmo era un elemento che portava solo a Dio. Ora con la Bibbia ci siamo accorti che il cosmo è per l'uomo, e l'uomo è per Dio. Quindi il cosmo va letto prima in rapporto all'uomo, e in un secondo momento in rapporto a Dio.
    La realtà del cosmo ha due facce: serve da sacramento dell'uomo e da sacramento di Dio. Ma il cosmo è un «segno» di Dio perché è il mezzo che Dio usa per dialogare con l'uomo: le albe, i tramonti, il sole... sono mossi da Dio, causa prima, perché vuole dire qualcosa all'uomo. In fondo, la realtà è il dialogo fra due persone: l'uomo e Dio. Il cosmo è il tavolo accanto a cui si svolge questo dialogo.

    * Seconda determinante dell'uomo è la storia. Storia è l'insieme di tutte le libere iniziative di tutti gli uomini che mi circondano e, perciò, mi condizionano. A cominciare da quelle dei genitori. Se una madre è iperprotettiva – e lei lo è forse per l'influsso di altri – «fa storia» per me, mi condiziona, mi situa. E può violentare talmente la mia personalità da togliermi ogni responsabilità in gesti che faccio magari dopo anni e anni: posso, al limite patologico, commettere un omicidio senza esserne per nulla responsabile. L'uomo quindi è collocato nella storia. Ma anche Dio ha voluto collocarsi nella storia. Ricordiamo solo il fatto del divorzio permesso agli Ebrei: al principio non era così, ma Dio si è in seguito adattato «per la cervice dura» degli Israeliti. Proprio perché Dio si storicizza, vuole stare al passo con il ritmo e le condizioni degli uomini.
    Queste sono le caratterizzazioni che deve avere nella RdV il vedere. Perché esso consiste nell'aprire il libro di Dio che è l'uomo. Poi prenderemo in mano la Bibbia – con la catechesi, i teologi, il magistero – per la fase che riguarda il capire questo uomo; non «lo uomo», ma questo uomo qui, fenomenico, in situazione, che è l'oggetto di Dio. Parafrasando la Bibbia si potrebbe dire: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, e poi il Dio di Pierino, di Teresa, di Carla: allo stesso livello. Perché Dio non è il Dio di Abramo e niente di Pierino: è stato Dio di Abramo per insegnarci che è Dio di Pierino, per insegnarci che il rapporto che ha con Pierino non è diverso da quello che aveva con Abramo.

    L'UOMO SACRAMENTALE

    Dopo aver capito l'uomo in situazione e il posto che egli ha nel piano di Dio, occorre subito guardare ad un'altra realtà fondamentale: la sacramentalità, per cui noi passiamo dall'esterno all'interno; per cui l'esistenza tutta, sia cosmologica sia storica, a causa dell'uomo è fatta di gesti e di significati, di apparenze e sostanza, di manifestazioni e mistero.

    Ogni uomo è sacramento

    L'argomento è difficile. Sarà più comprensibile con qualche esempio. In una riunione si parlava della persona con un gruppo di professori di scuola media. Alla fine uno dei presenti concluse: «Tutte queste sono belle cose. Però noi siamo alle prese tutti i giorni con i nostri soliti 25 scolari». Quando si sentì rispondere che tutta la grandezza della persona di cui si era parlato, era proprio dentro ognuno dei suoi alunni, fu per lui una scoperta. Quel professore non riusciva a fondere insieme la grandezza della persona con il Pierino del terzo banco, maleducato, testone, pigro. Non era capace di guardare il suo «alunno» come sacramento della persona.
    Anche molti segni del mistero di Cristo, che noi ora abbiamo, sono banali, cose da poco. Tali sono ad esempio i segni dell'Eucaristia: che l'immenso creatore del cielo e della terra si manifesti con un gesto e un segno così quotidiano, quasi banale, è impressionante. Tant'è vero che, secondo Bouyer, [5], nel secolo XVI-XVII, si «inventò» la benedizione eucaristica, copiandola integralmente dalle ostensioni del re alla corte di Francia: proprio perché lo scarno segno del pane non rendeva, agli occhi dei contemporanei, il senso della grandezza e della maestosità dl Dio: non si riusciva a passare dal «segno» quasi banale all'immenso mistero che nascondeva e significava.
    Analogo fenomeno si verifica nei riguardi della persona. Un insegnante si trova davanti al Pierino del terzo banco, che non ha mai fatti grandiosi: ha solo le dita nel naso, dice solo: «Non ho voglia di studiare,
    non sta mai zitto, è un po' vigliacco: in tutti questi gesti poveri, banali, chi riesce a cogliere la persona, somigliante addirittura a Dio, la grandiosità della persona umana? Veramente anche qui, come nell'Eucaristia, «sotto fragili apparenze si nasconde un'immensa realtà» (sequenza della festa del Corpus Domini). E l'arte della RdV sta nel leggere il mistero non in un John Kennedy o in Mao-Tse-Tung o in Brigitte Bardot, che, per la loro lontananza e la loro fama, acquistano una certa grandiosità e misteriosità. La persona umana di cui tanto si parla, è dentro, «è» ognuno di quei Pierini o di quegli uomini che incontriamo ogni giorno e che sovente ci danno fastidio per il loro personaggio, il loro carattere. Qui – lo notiamo per inciso – c'è un forte ritorno alla morale tradizionale del «dovere di stato». Dovere di stato, per un insegnante, vuoi dire instaurare un rapporto personale e personalizzante coi 25 o 30 ragazzi che egli si trova davanti, forse apparentemente ridicoli, poveri, fragili, stupidi, antipatici, eppure tutti i libri che sono alla Gregoriana parlano di quel Pierino che è ciascuno di loro, sono la «biografia» di quella grande persona che è Pierino. Tutta la Bibbia parla di lui.

    Ritrovare la mentalità sacramentale

    Questa mentalità sacramentale si muove su due linee fondamentali: lo sdoppiamento della realtà in apparenza e mistero, e il vedere la manifestazione esterna per quello che è, cioè come proveniente dall'interno.

    * Che cosa vuol dire «apparenza e sostanza»? L'apparenza è ciò che appare e che manifesta la sostanza, la quale è il cuore da cui nasce il gesto visibile.
    Alle volte, come dicevamo, il gesto può essere banale, come una alzata di spalle; ma dietro di essa può esserci, per esempio, tutta la disperazione di un uomo che pensa di suicidarsi. Il gesto è piccolo, ma la realtà è enorme. La RdV consiste nel passare dalla banalità delle apparenze alla sacralità, alla maestosità, all'immensità del mistero che vi sta dentro, perché di ogni persone si deve dire: «Come è terribile questo luogo!». Ogni persona. Anche Pierino. E può essere utile, ad esempio durante la celebrazione dell'Eucaristia, mettersi di fronte la persona più antipatica che si conosce e compiere verso di lei questi atti di fede, perché bisogna credere veramente per accettare che questo Pierino così
    antipatico sia una realtà così grande, la realtà di cui trattano tutti i libri di teologia e tutta la Bibbia.
    Forse non è tanto difficile credere in Dio, ma lo è molto credere nell'uomo. È l'uomo che è complicato in tante cose; è l'uomo che fa sorgere la tentazione di evadere dall'uomo, di andare altrove, dove ci immaginiamo di trovare perfezioni disincarnate. Pierino ci sembra troppo duro, troppo ostico, troppo vuoto.
    Vuoto: ecco una delle parole che dovremmo eliminare dal vocabolario, quando si parla di uomini, come l'aggettivo «solo». Nessuno è solo. Nessuno è vuoto, perché, se non altro, ci sono in lui la presenza di Dio e l'amore creativo di Dio: la gloria di Dio rende pieno il cielo e la terra, cantiamo in ogni Messa.

    * Il secondo aspetto di questa sacramentalità è il saper vedere che la manifestazione esterna proviene dall'interno, che i gesti esteriori sono provocati da motivi interiori. In altre parole: noi ricolleghiamo le strutture visibili alla persona di per sé invisibile, ma visibilizzata con le strutture visibili. Questo sostituisce una educazione ad una strutturalizzazione: sostituisce una Chiesa culturale ad una Chiesa strutturale. Questo significa: non lavorare con i giovani sulla manifestazione esterna dei gesti, dei comportamenti – farli andare a Messa, per esempio –; ma puntare sulla riorganizzazione del mondo interiore delle aspirazioni, delle tendenze. Sovente l'esteriore è banale, insulso. Proviene allora da un interiore banale, da un cuore meschino? Non è giusta questa interpretazione: più è banale all'esterno, più questo significa che è tremendo il duello gigantesco tra la vita e la morte che sta in fondo a ogni cuore, perché il primo a non voler banale Pierino è proprio Dio che l'ha creato e lo crea in ogni istante. Se Egli non riesce, è proprio perché il male che incombe nel cuore, personale e originale, è grande. Per noi che crediamo, la banalità esteriore è perciò un segno di presenza, non un segno di vuoto. Quindi, il nostro rapporto con Pierino diventa problematico, diventa impegnativo, diventa sacro, diventa epico.
    In queste riflessioni è classica una frase evangelica: «Non ciò che entra, ma ciò che esce dal cuore contamina l'uomo».
    Il nostro lavoro educativo è perciò rivolto a questo cuore manifestatosi nei comportamenti interni. Educare significa fare in modo che ci sia all'interno di ogni uomo una RdV ben efficiente: perché allora ogni uomo in situazione non dipenderà più dagli stimoli, ma saprà ripensarli, riviverli in questo «meccanismo» del suo cuore, che si sacramentalizzerà in un gesto vitale valido e giusto.

    * È interessante a questo proposito un procedimento usato in psicanalisi. Si registrano i dialoghi che il paziente fa con lo psicanalista: poi li si fa sentire all'interessato. Il quale molte volte si stupisce: non credeva di poter dire delle cose così belle, così profonde. E così scopre il suo vero Io e intuisce quanto di bello da lui può provenire come frutto da un albero.
    Analogo procedimento avviene nella RdV: se consideriamo tutto il visibile come sacramento dell'invisibile persona, giungiamo a camminare verso questo mistero interno, risalendo dai gesti, dai comportamenti esterni, alla sorgente interiore.
    Non possiamo fare che rapidi cenni su questo argomento della sacramentalità, anche se è un punto su cui siamo molto mancanti. Quello che interessa mettere in forte rilievo, è questo: non crediamo più che i vari Pierini siano banali. Saranno banali i segni esterni, ma essi significano sempre anche se malamente una divina realtà interiore. La RdV richiede questa mentalità sacramentale nel considerare ogni persona.
    Mentalità sacramentale, che nessun gesto banale o insignificante potrà corrodere: perché sappiamo che «dentro» c'è almeno una lotta, di una grandezza e di una drammaticità eschiliana. E questo anche se la persona interessata non se ne accorge; l'educatore è allora il profeta di Pierino: nel senso che vede, con la sua mentalità sacramentale, che sotto le apparenze più o meno stupide c'è il grande mistero della viva immagine di Dio.
    Ma se si è abituati a fermarsi all'esterno, alla facciata più o meno brutta e deludente, tutta la spiritualità della RdV viene a crollare [6].
    Di conseguenza la RdV, soprattutto dopo un lungo esercizio, è un mezzo ben centrato di educazione fondamentale, in quanto a forza di far «vedere» la persona nei fatti e negli avvenimenti, rende familiare un grande concetto di persona, un senso della persona, l'inclinazione a inquadrare subito le situazioni e gli eventi nella luce della persona. Inoltre questa idea della persona non è, come può accadere in ricerche puramente filosofiche, un concetto astratto ed a poco a poco vuoto, perché la RdV segue la strada dei fatti e degli individui concreti, strada che sembra la più adatta a risvegliare effettivamente le profondità dell'animo e quindi le intuizioni della grandezza e del valore della persona umana. Aggiungiamo poi che la continua lettura del visibile come segno di un invisibile interiore, forma a quella lettura sacramentale dell'esistenza che è una pietra basilare per giungere alla familiarità con Dio.

    L'UOMO IN SITUAZIONE CON DIO

    Ma che cos'è in fondo la persona? Che cosa troviamo di immenso e di sacro in ogni individuo? Gli atei tirano fuori la vita, il pianto, i diritti a vivere, i desideri di un bimbo. Sono cose giuste, ma mal dette e soprattutto superficiali finché viste da vicino non rivelano l'immagine viva di Dio quale radice di tutti i pianti, di tutti i desideri, di tutti i diritti. La comunione di persone è possibile se è capita come comunione di santi, se cioè ogni uomo è santo, in un certo modo, ai nostri occhi, santo fino ad imporci la venerazione e a creare diritti e doveri.
    Ora questo punto finale, questo fondo radicale di ogni Pierino va capito nella sua pienezza, finché diventa rapido il giungervi per risalire poi a dare valore e significato a tutti i comportamenti superficiali. Qui si coglie più chiaramente quanto diventi utile considerare l'«uomo sacramentale», come abbiamo spiegato.
    Guardato «sacramentalmente», l'uomo rivela che ogni suo desiderio, pur coinvolgendo anche esigenze fisiche o istintuali, comprende sempre anche una parte centrale e nascosta che proviene invece da un desiderio di fondo, che è il desiderio di Dio, desiderio di possedere Dio e di essere posseduti da Dio. Ogni «libido», per parlare in termini freudiani, proviene da una «Urlibido» o aspirazione primordiale e radicale, che muove e dà vigore a tutti gli altri desideri.
    Per il fatto di coinvolgere anche esigenze istintuali, i nostri desideri non appaiono alla superficie chiaramente e intenzionalmente diretti a Dio, sono segni non immediatamente rivelativi della loro centrale direzione e intenzione verso il Bene supremo, ma è appunto per questo che nella RdV si aggiunge una riflessione particolare che aiuta a leggere in ogni nostro desiderio manifesto il segno del desiderio verso Dio. Questa riflessione coglie la nostra continua «gravitazione ascendente» (Pio XII, disc. 15 aprile 1953) soprattutto come somiglianza a Dio, come partecipazione alle sue perfezioni infinite. Una volta raggiunte le nostre profonde aspirazioni, che tutto muovono, noi ricordiamo che «in Lui abbiamo il nostro vivere, muoversi, esistere» (Atti 17,25), e vediamo allora ogni nostra qualità desiderata come partecipazione a divine perfezioni: guardiamo le nostre tendenze in quanto escono dalle mani di Dio, come ci raccomanda la Gaudium et Spes (n. 37).

    Ogni bene verso Dio

    Ogni nostro bene, che a quelle profondità è desiderato, è in noi impulso perché ci viene partecipato da Dio, che ha pure diciamo così l'impulso a quel bene in grado infinito. È come cogliere i tratti della nostra somiglianza a Dio.
    Il desiderio di possedere la bellezza è dato da Dio, Bellezza suprema; il desiderio di possedere la forza e la potenza da Dio onnipotente; il desiderio della felicità da Dio perfettamente felice; il desiderio di dominare le cose da Dio signore; il desiderio di essere liberi da Dio infinitamente libero; il desiderio di stare con altri e di scambiare con altri la vita, da Dio che è Trinità; il desiderio di vendicarci, da Dio giustizia infinita; il desiderio di dare, la simpatia per chi ha qualità viene pure da Dio. D'altra parte ogni desiderio di essere posseduti, di essere protetti, di essere importanti per qualcuno proviene da Dio non per via di somiglianza ma per il nostro essere stati da Lui creati costituzionalmente «figli» suoi, inclinati a cercare fuori di noi, in Lui, sicurezza, garanzia, appoggio, protezione.
    In questo continuo desiderare, e proprio per questo continuo desiderare che fa l'uomo quotidiano, noi siamo in situazione con Dio continuamente. E si capiscono gli altri lati del nostro essere situati nella vita se si raggiunge questo lato profondo: in ogni nostro desiderare vi è il desiderare Dio. Noi ritroviamo la nostra verità, quella di ogni nostro desiderio, che viene perciò ridimensionato e precisato.

    * Ma la RdV non si precipita in questa direzione etica ed organizzativa, ma una volta scoperto che ognuno di noi in ogni suo impulso interiore «esce dalle mani di Dio», trova due strade da percorrere: quella dell'ottimismo, che divide tra tendenze buone e cattive, ma vede la parte buona, sana, come grano tra la zizzania, in ognuno dei nostri desideri e gesti, senza mai considerare un uomo come tutto zizzania, tutto male, qualsiasi cosa abbia fatto, ma anzi fermando l'attenzione su questo bene profondo che fa divina la persona e che impegna tutti ad agire per liberarlo dal male; e poi quella dell'intervista a Dio, che «ha le mani in pasta», diremmo, che è attivamente protagonista, in quanto ogni impulso dell'uomo come partecipazione di perfezioni divine e come tendenza ad esse, proviene radicalmente «dalle mani di Dio», che appunto ci dà «vita, movimento ed esistenza» (Atti 17,25), uno per uno, personalmente. Qui ci scontriamo con un fatto palese: l'ateismo. Come mai l'uomo «esce dalle mani di Dio» in modo così continuo e vivo e non se ne accorge? Il motivo è uno solo: l'uomo non sa leggere se stesso, si ferma alla propria superficie e, senza un aiuto, non si accorge di essere in situazione con Dio. Per la mancanza di educazione alla lettura sacramentale di se stesso, l'uomo non connette i propri desideri con le descrizioni di Dio che gli vengono dall'esterno, dalla cultura e dalla rivelazione: quelli parlano di denaro, di ricchezza, di piaceri, e questo parla di Padre, Figlio, Spirito Santo! Così l'uomo sembra all'opposto di Dio.

    * Ma si tratta di due cose ben diverse: qui parliamo della tendenza verso «un» dio, non il Dio della Chiesa cattolica o degli Islamici. La tendenza verso un divino, non ancora localizzato in nessun posto, in nessuna dottrina. Una religiosità spontanea e non ancora una religione (si veda l'art. Perché meno religione e più religiosità nella scuola, in Catechesi, marzo 1970).
    C'è un folto gruppo di psicologi e sociologi – tra cui anche l'ultimo Freud, quello di «Mosé e il monoteismo» – i quali riconoscono che la «Urlibido», per usare la terminologia di Freud, cioè la tendenza di fondo della persona, è una tendenza all'Assoluto.
    E in psicologia si specifica: un assoluto che sia centro, vertice e radice di tutte le cose. Di tutto questo che si trova nella coscienza dell'uomo: di se stessi, della moglie, del marito, del figlio, del domani, del dolore, della morte, della nascita, dell'amore, anche del sesso. Anche la tendenza sessuale è usata dalla psiche come segno della tendenza a Dio. Lo afferma anche P. Chenu, studiando il Commento di S. Tommaso al Cantico dei Cantici: simboli così all'opposto dello spirito sono per questo più espressivi della ricerca di un aldilà di tutto, di un mistero che sia centro, vertice e radice.
    In conclusione, troviamo nel nostro essere in situazione con Dio il motivo del terzo gradino del vedere nella RdV. L'andare a vedere ciò che nei gesti di ogni uomo c'è di tendente a Dio è il compito specifico della Chiesa. Essa rivela ad ogni uomo la sua Urlibido: in ogni suo gesto manifesta il movente, un movimento verso il trascendente che sia centro, vertice e radice. Una volta apparirà come centro, un'altra come vertice, un'altra come radice. Tocca a noi essere abili in questa interpretazione della persona.
    Non è una finzione, questa tendenza. Fino a poco tempo fa – prima di Freud – si poteva pensare che si trattasse di «bugie dei preti». Ma dopo gli studi di psicologia e di sociologia di questi ultimi decenni, non possiamo più. Gli studi positivi di Durkheim, Weber, Luckmann, tanto per fare qualche nome, ci dicono che esse sono cose reali.
    Bisogna quindi portare l'uomo a cogliere questo rapporto con l'Assoluto. Anche nei gesti più strani, più banali.
    Non è facile, questo: non ci siamo abituati. Però è il nostro compito di Chiesa. Qui la RdV diventa costruttiva, cioè costruisce la scoperta di nuovi livelli di se stessi, del più profondo e propulsivo livello di se stessi: l'uomo in situazione col cosmo e con la storia, sì, ma soprattutto l'uomo in situazione con dio. La minuscola è voluta: perché non si tratta ancora del Dio trinitario. È solo un divino non ancora specificato, se non come protagonista d'ogni nostro bene.

    DIO IN SITUAZIONE CON L'UOMO

    Più rapidamente possiamo studiare il punto correlativo a quello precedente, cioè Dio in situazione con l'uomo. Anche qui bisogna effettuare la stessa «conversione» di cui abbiamo parlato quando si è passati dalla considerazione di «lo uomo» filosofico a quella dell'uomo fenomenico e concreto.
    Anche Dio è divenuto in certo senso fenomenico. Dalla Bibbia, ci appare il Dio di Abramo, e così il Dio di ogni persona, il Dio di Pierino: un Dio il quale ha avuto il coraggio di immergersi con realistica esistenzialità nel vivo delle situazioni storiche dell'uomo. Dio è «immediatamente» (S. Tommaso) in noi come creatore sul piano ontologico, ma ha voluto essere con noi anche nella nostra vicenda storica.

    * L'entrare di Dio nella nostra storia ci è fortemente rivelato e spiegato soprattutto dalla frase di S. Paolo: «È stato fatto maledetto». Qui vi è una potente rivelazione di che cosa è l'incarnazione: l'incarnazione drammatica, l'incarnazione realistica. Non è tanto che Dio sia vissuto in questo o quel periodo storico, ma è nel fatto che la coscienza di Cristo si è presa su di sé i peccati degli uomini. Prendere la «natura» umana è qualcosa di astratto, di non ben comprensibile; ma caricarsi la coscienza di una enorme serie di peccati, e vivere questa coscienza, è fortemente espressivo.
    Molto illuminante, a questo proposito, un discorso del card. Newmann sulla notte dell'agonia. La vera sofferenza di Cristo – vi si dice – non furono i dolori fisici della passione: abbiamo visto tanti uomini che fisicamente hanno sofferto di più. Il vero soffrire – la notte del Getsemani come in tutta la vita di Cristo, in quanto nella notte si è manifestato il Cristo che porta i peccati degli uomini – è proprio stato il sentire di essersi caricato della maledizione che è il peccato di tutti gli uomini.

    * Ma ancor prima della incarnazione Dio è in situazione con l'uomo: dalla creazione. Da allora Dio è fenomenico, cioè – e qui torniamo a San Tommaso – in rapporto di immediata presenza con «questo uomo qui».
    Dio crea cose che poi noi astrattizziamo con la mente: la filosofia non è che la nostra astrazione mentale rispetto alle cose. Dio invece crea la realtà. Dio crea Pierino. Crea l'anima di ogni uomo.
    In questa visione, alcune pagine della Bibbia vanno rilette, per meglio coglierne il significato. Prendiamo per esempio l'espressione: «in principio Deus creavit». Finora, le parole «in principio» per noi equivalevano più o meno a «tanti secoli fa»; ma la esegesi moderna dice «nel profondo», nell'intimo di me c'è l'atto creativo di Dio.
    Questa, veramente, era anche l'affermazione di Guglielmo d'Auvergne, uno dei più vivi teologi medioevali. Egli dice – e anche se l'espressione può far sorridere, è vera ed efficace – che l'essere è una cipolla: tante cortecce, tante bucce, e in fondo c'è l'atto creativo di Dio. Per cui – si domanda Guglielmo d'Auvergne – quando vediamo un essere, esiste di più quell'essere lì o Dio che lo crea? E risponde: esiste di più Dio che lo crea.
    Ecco perché la persona umana è qualcosa di immenso: perché esiste di più il Dio creante Pierino che non il Pierino creato da Dio. È più «lì», è più presente, è più cosciente anche di Pierino: perché tante volte Pierino si distrae da se stesso, ma non capita mai che Dio si distragga da Pierino. È qui la vera meraviglia della persona. Sulla linea del personalismo cristiano, da Stefanini in avanti.

    * Ed ecco perché la RdV è valida. Perché prende sul serio quella «cosa» che Dio prende sul serio, cioè il Pierino, «questo uomo qui», con tutte le sue caratteristiche concrete. Ma ritornando a Dio, è chiaro che il suo doppio modo di essere «immediatamente» presente ad ogni persona umana, comporta per noi la necessità di non tradire questo suo modo concreto di essere e correggere sempre la nostra tendenza astrattiva, che relega Dio in un luogo separato, svincolato dal vivo della vicenda personale di un uomo, sia esso un papa o un droghiere, sia un santo o un peccatore.
    Il descrivere Dio, il parlarne, dovrà sempre essere un parlarne in modo biblico, cioè con quel profondissimo riferimento alla realtà di ogni persona che sappiamo dalla creazione e dal fatto che Egli si è rivelato «Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe». Egli è Colui che sta più di chiunque altro in situazione con ogni Pierino del mondo e non saremo certo noi che lo tradiremo, nascondendo questa sua realtà e orientando i pensieri di molti verso «un dio dei filosofi».
    Allora ogni mistero di Cristo, ogni atto divino, conosciuto dalla teologia, non è ben spiegato finché non è colto in situazione con un uomo vivo,
    in pieno riferimento alla esistenza e al dramma attuale di ogni persona umana.
    Noi diciamo che Dio è amore, ma non è ripetendo sempre questa parola che spieghiamo questo mistero. Invece ogni volta che presentiamo tutti i misteri di Dio in rapporto personale e personalizzante con un preciso nostro fratello, allora comprendiamo che cosa è amore e che cosa è Dio. Qui vi è il famoso tema del «più piccolo di questi miei fratelli», tema nel quale risalta l'allearsi di Dio con ogni persona, indipendentemente da qualsiasi etichetta, qualsiasi considerazione oltre al fatto che sia una creatura umana.

    Il riferirsi personalissimo di Dio ad ogni Pierino non chiude costui in un privato possesso di Dio, ma lo apre ad una sempre maggiore rassomiglianza a Dio, quindi non vi è pericolo di intimismi nella RdV. Ma vi è tuttavia la contemplazione di Dio quale risalta nell'episodio della piscina probatica (Gv 5), dove appare Dio che prende le mosse dall'eternità, dal cielo sublime, per arrivare a quel povero malato che da 38 anni non aveva un cane che badasse a lui.
    In una società che dimentica le persone per i personaggi e mitizza pochissimi, alterandoli, per ignorare i miliardi di persone, questa alleanza di Dio con «il più piccolo» è il più rivoluzionario movimento sociale che esista. Occorre non perderlo e presentare sempre Dio, ma in situazione di salvatore, di alleato con «il più piccolo di questi vostri fratelli». La RdV intende portare avanti questa rivelazione di Dio, che diventa subito rivelazione dell'uomo.

    NOTE

    [1] Questo naturalmente non fu senza inconvenienti: ricordiamo il giansenismo, che è l'esagerazione del razionalismo sul piano morale; ricordiamo il moralismo, ad esempio, il modo moralistico con cui si presentava l'episodio di Giona nella balena; era un modo che non coglieva il messaggio di Dio, rimproverante Giona perché non si cura dei Niniviti, mentre anch'essi sono figli di Dio; si mette in rilievo invece solo il lato moralistico del racconto: c'è stata una disubbidienza, a cui è seguita l'immediata punizione del colpevole.
    [2] Cfr. CH. MOELLER, Può l'uomo del XX secolo essere uomo della Bibbia?, in Parole de Dieu et Liturgie, Paris, Cerf, 1958.
    [3] Può essere interessante, a questo punto, una considerazione.
    In questi ultimi tempi, la Chiesa dell'America Latina si è accorta che aveva sbagliato strada. Che, nella sua catechesi, nella sua pastorale, c'era qualcosa da cambiare: per almeno un secolo, era vissuta basandosi su una definizione astratta di uomo. Quando parlava, non aveva presente il campesino delle fazendas o i baraccati della favelas o i minatori; parlava all'uomo astratto, non si rivolgeva a quegli uomini concreti che aveva davanti, con tutti i loro problemi e il peso della loro vita di ogni giorno.
    È quello che capita anche in Italia, quando, ad esempio, in un quartiere comunista il parroco se ne resta arroccato sulle posizioni come nel medioevo, se deve parlare di uomo, non ha nessuna idea dell'uomo che gli vive accanto – il macellaio, il droghiere –; per lui, esiste «l'Uomo». E questa è una deformazione anti-biblica.
    [4] È un antropocentrismo, ma per obbedire a Dio: perché è Lui che ha voluto antropocentrizzarsi, manifestarsi a misura dell'uomo, dell'uomo concreto, storico, esistenziale.
    [5] Cfr. L. BOUYER, La vie de la liturgie, Les Editions du Cerf, Paris 1960, pp. 14-15.
    [6] Molto utile può essere a questo proposito l'opera di H. BISSONNIER, Psicologia e morale nella nuova catechesi (LCD, Torino-Leumann 1969, soprattutto pp. 205-224). In essa l'A. identifica nove livelli della personalità. Essi si potrebbero paragonare ai segmenti telescopici, ad esempio, dell'antenna di un'autoradio: l'ultimo segmento è sostenuto da tutti gli altri otto e così ogni altro segmento. Ora, afferma Bissonnier, noi ci accorgiamo che non siamo abituati a tenerli tutti presenti. Ci fermiamo al terzo o al quarto anello: tutto il resto rimane sconosciuto e implicito. L'ultimo segmento è il rapporto con Dio, cioè il senso religioso. Ma molti non giungono fin qui: collocano la esteriore vita religiosa a livello del terzo
    segmento, che è quello emotivo, o addirittura del secondo, quello psicomotorio. Il che significa che esiste un'idea di Dio, ma non è ancora maturata: esiste come emozione, come istruzione, come dialogo interno, ma non come rapporto personale; esiste come fatto esteriore, ma non viene dall'interna, maturata religiosità.

      Giancarlo Negri   (NPG 1970-11-26)     La RdV non è una tecnica, l'ultimo ritrovato di qualche patito per capovolgere il mondo. È uno spirito: un «modo nuovo» di leggere la realtà. Quello vero, più autentico. Perchè della realtà cerca anche le dimensioni profonde, quelle che sfuggono ai controlli della macchina fotografica o ai diagrammi del sociologo e alle riflessioni dello psicologo. È uno sguardo di fede: il modo di leggere i misteri della fede dentro i misteri della vita. Per questo la RdV ha bisogno di un sicuro entroterra antropologico e teologico. Queste riflessioni costruiscono le basi su cui è possibile fondare una RdV che sia «vera». Le indicazioni si aprono a ventaglio, immediatamente, su tutta la pastorale. Ogni pastorale, fedele a Dio e all'uomo, non può che partire da queste premesse. Anche ad una lettura superficiale, si ritroverà in queste pagine l'eco di due paragrafi centrali del Documento base del rinnovamento della catechesi italiana: «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio» (RdC, 77). «Né si tratta di una semplice preoccupazione didattica o pedagogica. Si tratta invece di una " esigenza " di incarnazione essenziale al cristianesimo... Si tratta di un vasto impegno di coerenza al Vangelo, dalla cui attuazione dipende la sorte stessa del cristianesimo, particolarmente presso le generazioni dei giovani» (RdC, 96-97).     Nostra intenzione è di fissare o ricordare qui alcune realtà fondamentali per la RdV che, per la nostra mentalità troppo astratta, ci sono poco abituali.   L'UOMO IN SITUAZIONE   Può l'uomo del xx secolo essere uomo della Bibbia?   Noi, chi più chi meno, siamo ancora malati di illuminismo. In ogni campo, in ogni attività, una seconda natura ci spinge a razionalizzare, a catalogare in schemi precisi e con etichette ben chiare. Questo è, in parte, conseguenza di una grande scelta che la Chiesa ha effettuato nel secolo XVII (il Catechismo Tridentino è sulla linea della RdV molto più che quello di Pio X) : allora in Germania vi fu un urto tra due grandi correnti: una faceva capo a due professori di Tubinga, Hirscher e Sailer, e sosteneva una catechesi biblico-storica; l'altra, rappresentata principalmente da padre Deharbe S.J., era impregnata di razionalismo (Spinosa, Cartesio, e tutto l'idealismo illuministico tedesco). Purtroppo, fu quest'ultima a prevalere; e influenzò così tutti i catechismi, da allora fino all'inizio di questo secolo. E il guaio non è piccolo: se noi accostiamo Bibbia e illuminismo, vediamo che si tratta di due modi diversi non solo di vedere la realtà, ma addirittura di concepire le cose. Nel periodo dell'illuminismo, ci furono le grandi discussioni apologetiche. La loro utilità è indubbia, perché l'apologetica diventò una vera scienza positiva, e non più una deduzione dalle scienze che deve invece fondare. Inoltre esse portarono all'applicazione delle scienze positive, soprattutto storiche, nello studio della Bibbia [1]. Giungiamo finalmente a questi ultimi decenni, e abbiamo l'affermazione di Pio XI: «Ogni cristiano deve diventare spiritualmente semita» [2]. Non greco-romano: ma semita. Meno razionalismo, cioè, e più Bibbia. È di quei tempi (1925) la grande lotta sostenuta da P. Lebbe e dal card. Von Rossum, per distinguere il depositum fidei dalle categorie nelle quali è espresso. Le idee di P. Lebbe, missionario in Cina, a noi sembrano ovvie; ma ci volle tutta l'autorità di Pio XI per evitare una condanna. Io non devo – sosteneva P. Lebbe – convertire i Cinesi ad un cattolicesimo presentato in schemi francesi, con, mentalità francese, con ideali francesi. Io devo convertire ad un cattolicesimo cinese. La lotta sostenuta da P. Lebbe fu lunga e tutt'altro che facile; ma fu grazie a lui che cominciò a penetrare la persuasione che una cosa è il «depositum fidei», un'altra sono le categorie razionalistiche con cui noi lo pensiamo. Distinzione questa, che portò a tutto il movimento ecumenico, ai discorsi sul pluralismo, al documento «Ad gentes» del Vaticano II, in cui essa è chiaramente e fortemente affermata. Noi ora abbiamo più la sintesi tra mistero cristiano e mentalità semita che non quella tra mistero cristiano e mentalità greco-romana. Per giungere a questo punto, molto ha influito anche l'esistenzialismo. Ottimo è, a questo proposito, lo studio di Charles Moeller nel libro «Parole de Dieu et Liturgie», purtroppo non tradotto in italiano. Si dice in questo studio che l'esistenzialismo è molto vicino alla Bibbia, intendendo per esistenzialismo il prendere le cose dal punto di vista del loro esistere, non tanto da quello del loro essere essenzialisticame definibile. Questo favorisce il sorgere non tanto di idee chiare, ma piuttosto di idee unite, idee sintetizzate, idee coinvolte nella vita: mentre le idee chiare rischiano di essere astratte, avulse dalla realtà. Questo esistenzialismo – cioè il prendere le realtà più nel loro «esserci» che nelle loro essenze pure – è uno dei cardini fondamentali della RdV: la RdV si giustifica alle nostre menti in base alla dimensione biblicostorica-esistenziale di tutte le realtà.     Non aprire solo il libro, ma con il libro aprire la vita   Con tutto questo, la RdV implica anche una svolta profonda nel metodo. Finora noi per formare religiosamente aprivamo un libro – il catechismo, o anche la Bibbia; con la RdV apriamo la vita, studiamo la vita. Non elimineremo, naturalmente, il libro: resterà sempre uno strumento di lavoro, indispensabile alla nostra mente, che non riesce a intuire come Dio e gli angeli ma ha bisogno di ragionare. Ma l'oggetto, il termine dello «studio» sarà la vita, la realtà, la persona, e non, come troppo si fa, il libro, il rito, la struttura, l'istituzione, che sono strumenti per incontrare le persone divine. Un grande catecheta francese, il Colomb, ha coniato un termine molto significativo: «chosifier», cosificare. Noi cosifichiamo, egli dice, il libro del catechismo, cosichiamo la Bibbia, cosifichiamo i sacramenti, per cui parliamo del battesimo, e non di Dio che opera in noi col battesimo. Parliamo della cresima come di una schematizzazione rituale, e non di un incontro, caratterizzato in un certo modo, fra la Trinità e me. Battesimo e cresima sono diventati cose, e non più gesti di persone. È vero che questi gesti sono «sacramentalizzati», cioè resi visibili con oggetti visibili: ma questa sacramentalizzazione è del tutto e solo strumentale. Dobbiamo cambiare mentalità: non dobbiamo più studiare l'Eucaristia, ma Pierino, cioè «un uomo concreto» (Documento Base, 141) ; e l'Eucaristia va studiata come un particolare modo dell'essere di Dio in rapporto all'esserci di Pierino, in piena concretezza storica: l'uomo in situazione – Dio in situazione. Il Dio non ci è stato svelato come Dio in astratto, al di là della concretezza storica del popolo ebreo; il Dio che noi conosciamo è un Dio in situazione salvifica con l'uomo. Se usciamo da questa concezione non abbiamo più il Dio della Bibbia, ma un dio dei razionalisti e degli illuministi.   L'uomo fenomenico e l'uomo della pastorale   Ecco allora il primo punto fermo: l'uomo in situazione. Paolo VI ne ha parlato, usando un sinonimo: «Tutto l'uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue innumerevoli apparenze, si è quasi drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti perciò e amorosi: l'uomo tragico dei suoi propri drammi, l'uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l'uomo infelice di sé, che ride e che piange; l'uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l'uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l'uomo com'è, che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa...; e l'uomo sacro per l'innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore...» (Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, 1965, Tip. Poliglotta Vaticana, 1966, p. 729). È questo l'uomo. Nel discorso del 22 febbraio 1968, di nuovo cerca di portarci questo uomo esistenziale: «Tocca a noi, credenti, speranti ed amanti, portare, secondo l'arte nostra, continuamente all'uomo cieco la luce, all'uomo affamato il pane, all'uomo adirato la pace, all'uomo stanco il sostegno, all'uomo sofferente il conforto, all'uomo disperato la speranza, al fanciullo la gioia della bontà, al giovane l'energia del bene». Si noti come non parla mai di «uomo», in astratto: parla di un uomo; sempre aggettivato, sempre concreto, sempre situato [3]. Questo primo punto è essenziale per la RdV, per la quale fare una predica, fare catechesi, vorrà dire prima di tutto partire da «questo» uomo, in situazione, e prendere sul serio tutte le circostanze storiche che esistenzializzano «lo uomo», che lo pongono qui, sofferente, affamato, disperato, e che ci costringono ad assumere le categorie sociologiche e psicologiche più che non quelle filosofiche. * Il discorso di Paolo VI trova corrispondenza nella RdV nella fase del vedere. Il vedere comincia col vedere l'uomo. Noi non vediamo se non vediamo l'uomo. Il vedere per chi vuole ispirarsi alla Bibbia, è incominciare a vedere tutto nella misura dell'uomo concreto ed esistenziale: veramente per noi «l'uomo è misura di tutte le cose». E vedremo più avanti che, per libera iniziativa di Dio, l'uomo è misura anche di Dio. Non possiamo conoscere Dio senza conoscere l'uomo, ha detto Paolo VI nel discorso del 14 settembre 1965. E ha aggiunto: questo non è puro antropocentrismo: è un prendere sul serio il piano di Dio, che è focalizzato sull'uomo. Perché Dio, con un atto d'amore, esce da sé per arrivare all'uomo (4). Nella Bibbia, non ci è rivelato un Dio astratto, staccato dall'uomo: Egli è sempre visto in rapporto di salvezza con l'uomo. Se usciamo da questa concezione, non troviamo più il Dio della Bibbia, ma quello dei razionalisti o degli illuministi.   Il cosmo e la storia   L'uomo in situazione va visto in due sue componenti: il cosmo e la storia. Dire uomo fenomenico significa parlare di un uomo collocato nel cosmo e nella storia.   * Cosmo vuol dire tutto ciò che è materiale e concretizza, specifica o anche limita l'uomo: ciò che lo fa uomo singolo, con caratteristiche psico-biologiche sue proprie, personali ed irripetibili. Vuol dire sangue, ormoni, cielo, luna, stelle, smog, lavoro, TV, giornali, rumore, malattie. Attraverso i nostri nervi, noi siamo storicizzati dal tipo di lavoro che ognuno fa, dalle suggestioni dei mass-media, dall'ambiente in cui vive. Tutti questi elementi agiscono – in maniera diversa per ognuno di noi – sui sentimenti, sulle aspirazioni, sulle tendenze. Nel cosmo intero l'uomo esiste, cioè diventa esistenziale, storico. È per questo che, in RdV, nella fase del «vedere», bisogna esaminare istinti, tendenze, motivazioni. Perché sono loro che trasformano «lo uomo» in «questo uomo qui». Finora, il cosmo era un elemento che portava solo a Dio. Ora con la Bibbia ci siamo accorti che il cosmo è per l'uomo, e l'uomo è per Dio. Quindi il cosmo va letto prima in rapporto all'uomo, e in un secondo momento in rapporto a Dio. La realtà del cosmo ha due facce: serve da sacramento dell'uomo e da sacramento di Dio. Ma il cosmo è un «segno» di Dio perché è il mezzo che Dio usa per dialogare con l'uomo: le albe, i tramonti, il sole... sono mossi da Dio, causa prima, perché vuole dire qualcosa all'uomo. In fondo, la realtà è il dialogo fra due persone: l'uomo e Dio. Il cosmo è il tavolo accanto a cui si svolge questo dialogo.   * Seconda determinante dell'uomo è la storia. Storia è l'insieme di tutte le libere iniziative di tutti gli uomini che mi circondano e, perciò, mi condizionano. A cominciare da quelle dei genitori. Se una madre è iperprotettiva – e lei lo è forse per l'influsso di altri – «fa storia» per me, mi condiziona, mi situa. E può violentare talmente la mia personalità da togliermi ogni responsabilità in gesti che faccio magari dopo anni e anni: posso, al limite patologico, commettere un omicidio senza esserne per nulla responsabile. L'uomo quindi è collocato nella storia. Ma anche Dio ha voluto collocarsi nella storia. Ricordiamo solo il fatto del divorzio permesso agli Ebrei: al principio non era così, ma Dio si è in seguito adattato «per la cervice dura» degli Israeliti. Proprio perché Dio si storicizza, vuole stare al passo con il ritmo e le condizioni degli uomini. Queste sono le caratterizzazioni che deve avere nella RdV il vedere. Perché esso consiste nell'aprire il libro di Dio che è l'uomo. Poi prenderemo in mano la Bibbia – con la catechesi, i teologi, il magistero – per la fase che riguarda il capire questo uomo; non «lo uomo», ma questo uomo qui, fenomenico, in situazione, che è l'oggetto di Dio. Parafrasando la Bibbia si potrebbe dire: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, e poi il Dio di Pierino, di Teresa, di Carla: allo stesso livello. Perché Dio non è il Dio di Abramo e niente di Pierino: è stato Dio di Abramo per insegnarci che è Dio di Pierino, per insegnarci che il rapporto che ha con Pierino non è diverso da quello che aveva con Abramo.   L'uomo Sacramentale   Dopo aver capito l'uomo in situazione e il posto che egli ha nel piano di Dio, occorre subito guardare ad un'altra realtà fondamentale: la sacramentalità, per cui noi passiamo dall'esterno all'interno; per cui l'esistenza tutta, sia cosmologica sia storica, a causa dell'uomo è fatta di gesti e di significati, di apparenze e sostanza, di manifestazioni e mistero.   Ogni uomo è sacramento   L'argomento è difficile. Sarà più comprensibile con qualche esempio. In una riunione si parlava della persona con un gruppo di professori di scuola media. Alla fine uno dei presenti concluse: «Tutte queste sono belle cose. Però noi siamo alle prese tutti i giorni con i nostri soliti 25 scolari». Quando si sentì rispondere che tutta la grandezza della persona di cui si era parlato, era proprio dentro ognuno dei suoi alunni, fu per lui una scoperta. Quel professore non riusciva a fondere insieme la grandezza della persona con il Pierino del terzo banco, maleducato, testone, pigro. Non era capace di guardare il suo «alunno» come sacramento della persona. Anche molti segni del mistero di Cristo, che noi ora abbiamo, sono banali, cose da poco. Tali sono ad esempio i segni dell'Eucaristia: che l'immenso creatore del cielo e della terra si manifesti con un gesto e un segno così quotidiano, quasi banale, è impressionante. Tant'è vero che, secondo Bouyer, [5] , nel secolo XVI-XVII, si «inventò» la benedizione eucaristica, copiandola integralmente dalle ostensioni del re alla corte di Francia: proprio perché lo scarno segno del pane non rendeva, agli occhi dei contemporanei, il senso della grandezza e della maestosità dl Dio: non si riusciva a passare dal «segno» quasi banale all'immenso mistero che nascondeva e significava. Analogo fenomeno si verifica nei riguardi della persona. Un insegnante si trova davanti al Pierino del terzo banco, che non ha mai fatti grandiosi: ha solo le dita nel naso, dice solo: «Non ho voglia di studiare, non sta mai zitto, è un po' vigliacco: in tutti questi gesti poveri, banali, chi riesce a cogliere la persona, somigliante addirittura a Dio, la grandiosità della persona umana? Veramente anche qui, come nell'Eucaristia, «sotto fragili apparenze si nasconde un'immensa realtà» (sequenza della festa del Corpus Domini). E l'arte della RdV sta nel leggere il mistero non in un John Kennedy o in Mao-Tse-Tung o in Brigitte Bardot, che, per la loro lontananza e la loro fama, acquistano una certa grandiosità e misteriosità. La persona umana di cui tanto si parla, è dentro, «è» ognuno di quei Pierini o di quegli uomini che incontriamo ogni giorno e che sovente ci danno fastidio per il loro personaggio, il loro carattere. Qui – lo notiamo per inciso – c'è un forte ritorno alla morale tradizionale del «dovere di stato». Dovere di stato, per un insegnante, vuoi dire instaurare un rapporto personale e personalizzante coi 25 o 30 ragazzi che egli si trova davanti, forse apparentemente ridicoli, poveri, fragili, stupidi, antipatici, eppure tutti i libri che sono alla Gregoriana parlano di quel Pierino che è ciascuno di loro, sono la «biografia» di quella grande persona che è Pierino. Tutta la Bibbia parla di lui.   Ritrovare la mentalità sacramentale   Questa mentalità sacramentale si muove su due linee fondamentali: lo sdoppiamento della realtà in apparenza e mistero, e il vedere la manifestazione esterna per quello che è, cioè come proveniente dall'interno.   * Che cosa vuol dire «apparenza e sostanza»? L'apparenza è ciò che appare e che manifesta la sostanza, la quale è il cuore da cui nasce il gesto visibile. Alle volte, come dicevamo, il gesto può essere banale, come una alzata di spalle; ma dietro di essa può esserci, per esempio, tutta la disperazione di un uomo che pensa di suicidarsi. Il gesto è piccolo, ma la realtà è enorme. La RdV consiste nel passare dalla banalità delle apparenze alla sacralità, alla maestosità, all'immensità del mistero che vi sta dentro, perché di ogni persone si deve dire: «Come è terribile questo luogo!». Ogni persona. Anche Pierino. E può essere utile, ad esempio durante la celebrazione dell'Eucaristia, mettersi di fronte la persona più antipatica che si conosce e compiere verso di lei questi atti di fede, perché bisogna credere veramente per accettare che questo Pierino così antipatico sia una realtà così grande, la realtà di cui trattano tutti i libri di teologia e tutta la Bibbia. Forse non è tanto difficile credere in Dio, ma lo è molto credere nell'uomo. È l'uomo che è complicato in tante cose; è l'uomo che fa sorgere la tentazione di evadere dall'uomo, di andare altrove, dove ci immaginiamo di trovare perfezioni disincarnate. Pierino ci sembra troppo duro, troppo ostico, troppo vuoto. Vuoto: ecco una delle parole che dovremmo eliminare dal vocabolario, quando si parla di uomini, come l'aggettivo «solo». Nessuno è solo. Nessuno è vuoto, perché, se non altro, ci sono in lui la presenza di Dio e l'amore creativo di Dio: la gloria di Dio rende pieno il cielo e la terra, cantiamo in ogni Messa.   * Il secondo aspetto di questa sacramentalità è il saper vedere che la manifestazione esterna proviene dall'interno, che i gesti esteriori sono provocati da motivi interiori. In altre parole: noi ricolleghiamo le strutture visibili alla persona di per sé invisibile, ma visibilizzata con le strutture visibili. Questo sostituisce una educazione ad una strutturalizzazione: sostituisce una Chiesa culturale ad una Chiesa strutturale. Questo significa: non lavorare con i giovani sulla manifestazione esterna dei gesti, dei comportamenti – farli andare a Messa, per esempio –; ma puntare sulla riorganizzazione del mondo interiore delle aspirazioni, delle tendenze. Sovente l'esteriore è banale, insulso. Proviene allora da un interiore banale, da un cuore meschino? Non è giusta questa interpretazione: più è banale all'esterno, più questo significa che è tremendo il duello gigantesco tra la vita e la morte che sta in fondo a ogni cuore, perché il primo a non voler banale Pierino è proprio Dio che l'ha creato e lo crea in ogni istante. Se Egli non riesce, è proprio perché il male che incombe nel cuore, personale e originale, è grande. Per noi che crediamo, la banalità esteriore è perciò un segno di presenza, non un segno di vuoto. Quindi, il nostro rapporto con Pierino diventa problematico, diventa impegnativo, diventa sacro, diventa epico. In queste riflessioni è classica una frase evangelica: «Non ciò che entra, ma ciò che esce dal cuore contamina l'uomo». Il nostro lavoro educativo è perciò rivolto a questo cuore manifestatosi nei comportamenti interni. Educare significa fare in modo che ci sia all'interno di ogni uomo una RdV ben efficiente: perché allora ogni uomo in situazione non dipenderà più dagli stimoli, ma saprà ripensarli, riviverli in questo «meccanismo» del suo cuore, che si sacramentalizzerà in un gesto vitale valido e giusto.   * È interessante a questo proposito un procedimento usato in psicanalisi. Si registrano i dialoghi che il paziente fa con lo psicanalista: poi li si fa sentire all'interessato. Il quale molte volte si stupisce: non credeva di poter dire delle cose così belle, così profonde. E così scopre il suo vero Io e intuisce quanto di bello da lui può provenire come frutto da un albero. Analogo procedimento avviene nella RdV: se consideriamo tutto il visibile come sacramento dell'invisibile persona, giungiamo a camminare verso questo mistero interno, risalendo dai gesti, dai comportamenti esterni, alla sorgente interiore. Non possiamo fare che rapidi cenni su questo argomento della sacramentalità, anche se è un punto su cui siamo molto mancanti. Quello che interessa mettere in forte rilievo, è questo: non crediamo più che i vari Pierini siano banali. Saranno banali i segni esterni, ma essi significano sempre anche se malamente una divina realtà interiore. La RdV richiede questa mentalità sacramentale nel considerare ogni persona. Mentalità sacramentale, che nessun gesto banale o insignificante potrà corrodere: perché sappiamo che «dentro» c'è almeno una lotta, di una grandezza e di una drammaticità eschiliana. E questo anche se la persona interessata non se ne accorge; l'educatore è allora il profeta di Pierino: nel senso che vede, con la sua mentalità sacramentale, che sotto le apparenze più o meno stupide c'è il grande mistero della viva immagine di Dio. Ma se si è abituati a fermarsi all'esterno, alla facciata più o meno brutta e deludente, tutta la spiritualità della RdV viene a crollare [6]. Di conseguenza la RdV, soprattutto dopo un lungo esercizio, è un mezzo ben centrato di educazione fondamentale, in quanto a forza di far «vedere» la persona nei fatti e negli avvenimenti, rende familiare un grande concetto di persona, un senso della persona, l'inclinazione a inquadrare subito le situazioni e gli eventi nella luce della persona. Inoltre questa idea della persona non è, come può accadere in ricerche puramente filosofiche, un concetto astratto ed a poco a poco vuoto, perché la RdV segue la strada dei fatti e degli individui concreti, strada che sembra la più adatta a risvegliare effettivamente le profondità dell'animo e quindi le intuizioni della grandezza e del valore della persona umana. Aggiungiamo poi che la continua lettura del visibile come segno di un invisibile interiore, forma a quella lettura sacramentale dell'esistenza che è una pietra basilare per giungere alla familiarità con Dio.   L'UOMO IN SITUAZIONE CON DIO   Ma che cos'è in fondo la persona? Che cosa troviamo di immenso e di sacro in ogni individuo? Gli atei tirano fuori la vita, il pianto, i diritti a vivere, i desideri di un bimbo. Sono cose giuste, ma mal dette e soprattutto superficiali finché viste da vicino non rivelano l'immagine viva di Dio quale radice di tutti i pianti, di tutti i desideri, di tutti i diritti. La comunione di persone è possibile se è capita come comunione di santi, se cioè ogni uomo è santo, in un certo modo, ai nostri occhi, santo fino ad imporci la venerazione e a creare diritti e doveri. Ora questo punto finale, questo fondo radicale di ogni Pierino va capito nella sua pienezza, finché diventa rapido il giungervi per risalire poi a dare valore e significato a tutti i comportamenti superficiali. Qui si coglie più chiaramente quanto diventi utile considerare l'«uomo sacramentale», come abbiamo spiegato. Guardato «sacramentalmente», l'uomo rivela che ogni suo desiderio, pur coinvolgendo anche esigenze fisiche o istintuali, comprende sempre anche una parte centrale e nascosta che proviene invece da un desiderio di fondo, che è il desiderio di Dio, desiderio di possedere Dio e di essere posseduti da Dio. Ogni «libido», per parlare in termini freudiani, proviene da una «Urlibido» o aspirazione primordiale e radicale, che muove e dà vigore a tutti gli altri desideri. Per il fatto di coinvolgere anche esigenze istintuali, i nostri desideri non appaiono alla superficie chiaramente e intenzionalmente diretti a Dio, sono segni non immediatamente rivelativi della loro centrale direzione e intenzione verso il Bene supremo, ma è appunto per questo che nella RdV si aggiunge una riflessione particolare che aiuta a leggere in ogni nostro desiderio manifesto il segno del desiderio verso Dio. Questa riflessione coglie la nostra continua «gravitazione ascendente» (Pio XII, disc. 15 aprile 1953) soprattutto come somiglianza a Dio, come partecipazione alle sue perfezioni infinite. Una volta raggiunte le nostre profonde aspirazioni, che tutto muovono, noi ricordiamo che «in Lui abbiamo il nostro vivere, muoversi, esistere» (Atti 17,25) , e vediamo allora ogni nostra qualità desiderata come partecipazione a divine perfezioni: guardiamo le nostre tendenze in quanto escono dalle mani di Dio, come ci raccomanda la Gaudium et Spes (n. 37).   Ogni bene verso Dio   Ogni nostro bene, che a quelle profondità è desiderato, è in noi impulso perché ci viene partecipato da Dio, che ha pure diciamo così l'impulso a quel bene in grado infinito. È come cogliere i tratti della nostra somiglianza a Dio. Il desiderio di possedere la bellezza è dato da Dio, Bellezza suprema; il desiderio di possedere la forza e la potenza da Dio onnipotente; il desiderio della felicità da Dio perfettamente felice; il desiderio di dominare le cose da Dio signore; il desiderio di essere liberi da Dio infinitamente libero; il desiderio di stare con altri e di scambiare con altri la vita, da Dio che è Trinità; il desiderio di vendicarci, da Dio giustizia infinita; il desiderio di dare, la simpatia per chi ha qualità viene pure da Dio. D'altra parte ogni desiderio di essere posseduti, di essere protetti, di essere importanti per qualcuno proviene da Dio non per via di somiglianza ma per il nostro essere stati da Lui creati costituzionalmente «figli» suoi, inclinati a cercare fuori di noi, in Lui, sicurezza, garanzia, appoggio, protezione. In questo continuo desiderare, e proprio per questo continuo desiderare che fa l'uomo quotidiano, noi siamo in situazione con Dio continuamente. E si capiscono gli altri lati del nostro essere situati nella vita se si raggiunge questo lato profondo: in ogni nostro desiderare vi è il desiderare Dio. Noi ritroviamo la nostra verità, quella di ogni nostro desiderio, che viene perciò ridimensionato e precisato.   * Ma la RdV non si precipita in questa direzione etica ed organizzativa, ma una volta scoperto che ognuno di noi in ogni suo impulso interiore «esce dalle mani di Dio», trova due strade da percorrere: quella dell'ottimismo, che divide tra tendenze buone e cattive, ma vede la parte buona, sana, come grano tra la zizzania, in ognuno dei nostri desideri e gesti, senza mai considerare un uomo come tutto zizzania, tutto male, qualsiasi cosa abbia fatto, ma anzi fermando l'attenzione su questo bene profondo che fa divina la persona e che impegna tutti ad agire per liberarlo dal male; e poi quella dell'intervista a Dio, che «ha le mani in pasta», diremmo, che è attivamente protagonista, in quanto ogni impulso dell'uomo come partecipazione di perfezioni divine e come tendenza ad esse, proviene radicalmente «dalle mani di Dio», che appunto ci dà «vita, movimento ed esistenza» (Atti 17,25) , uno per uno, personalnalmente. Qui ci scontriamo con un fatto palese: l'ateismo. Come mai l'uomo «esce dalle mani di Dio» in modo così continuo e vivo e non se ne accorge? Il motivo è uno solo: l'uomo non sa leggere se stesso, si ferma alla propria superficie e, senza un aiuto, non si accorge di essere in situazione con Dio. Per la mancanza di educazione alla lettura sacramentale di se stesso, l'uomo non connette i propri desideri con le descrizioni di Dio che gli vengono dall'esterno, dalla cultura e dalla rivelazione: quelli parlano di denaro, di ricchezza, di piaceri, e questo parla di Padre, Figlio, Spirito Santo! Così l'uomo sembra all'opposto di Dio.   * Ma si tratta di due cose ben diverse: qui parliamo della tendenza verso «un» dio, non il Dio della Chiesa cattolica o degli Islamici. La tendenza verso un divino, non ancora localizzato in nessun posto, in nessuna dottrina. Una religiosità spontanea e non ancora una religione (si veda l'art. Perché meno religione e più religiosità nella scuola, in Catechesi, marzo 1970). C'è un folto gruppo di psicologi e sociologi – tra cui anche l'ultimo Freud, quello di «Mosé e il monoteismo» – i quali riconoscono che la «Urlibido», per usare la terminologia di Freud, cioè la tendenza di fondo della persona, è una tendenza all'Assoluto. E in psicologia si specifica: un assoluto che sia centro, vertice e radice di tutte le cose. Di tutto questo che si trova nella coscienza dell'uomo: di se stessi, della moglie, del marito, del figlio, del domani, del dolore, della morte, della nascita, dell'amore, anche del sesso. Anche la tendenza sessuale è usata dalla psiche come segno della tendenza a Dio. Lo afferma anche P. Chenu, studiando il Commento di S. Tommaso al Cantico dei Cantici: simboli così all'opposto dello spirito sono per questo più espressivi della ricerca di un aldilà di tutto, di un mistero che sia centro, vertice e radice. In conclusione, troviamo nel nostro essere in situazione con Dio il motivo del terzo gradino del vedere nella RdV. L'andare a vedere ciò che nei gesti di ogni uomo c'è di tendente a Dio è il compito specifico della Chiesa. Essa rivela ad ogni uomo la sua Urlibido: in ogni suo gesto manifesta il movente, un movimento verso il trascendente che sia centro, vertice e radice. Una volta apparirà come centro, un'altra come vertice, un'altra come radice. Tocca a noi essere abili in questa interpretazione della persona. Non è una finzione, questa tendenza. Fino a poco tempo fa – prima di Freud – si poteva pensare che si trattasse di «bugie dei preti». Ma dopo gli studi di psicologia e di sociologia di questi ultimi decenni, non possiamo più. Gli studi positivi di Durkheim, Weber, Luckmann, tanto per fare qualche nome, ci dicono che esse sono cose reali. Bisogna quindi portare l'uomo a cogliere questo rapporto con l'Assoluto. Anche nei gesti più strani, più banali. Non è facile, questo: non ci siamo abituati. Però è il nostro compito di Chiesa. Qui la RdV diventa costruttiva, cioè costruisce la scoperta di nuovi livelli di se stessi, del più profondo e propulsivo livello di se stessi: l'uomo in situazione col cosmo e con la storia, sì, ma soprattutto l'uomo in situazione con dio. La minuscola è voluta: perché non si tratta ancora del Dio trinitario. È solo un divino non ancora specificato, se non come protagonista d'ogni nostro bene.   DIO IN SITUAZIONE CON L'UOMO   Più rapidamente possiamo studiare il punto correlativo a quello precedente, cioè Dio in situazione con l'uomo. Anche qui bisogna effettuare la stessa «conversione» di cui abbiamo parlato quando si è passati dalla considerazione di «lo uomo» filosofico a quella dell'uomo fenomenico e concreto. Anche Dio è divenuto in certo senso fenomenico. Dalla Bibbia, ci appare il Dio di Abramo, e così il Dio di ogni persona, il Dio di Pierino: un Dio il quale ha avuto il coraggio di immergersi con realistica esistenzialità nel vivo delle situazioni storiche dell'uomo. Dio è «immediatamente» (S. Tommaso) in noi come creatore sul piano ontologico, ma ha voluto essere con noi anche nella nostra vicenda storica.   * L'entrare di Dio nella nostra storia ci è fortemente rivelato e spiegato soprattutto dalla frase di S. Paolo: «È stato fatto maledetto». Qui vi è una potente rivelazione di che cosa è l'incarnazione: l'incarnazione drammatica, l'incarnazione realistica. Non è tanto che Dio sia vissuto in questo o quel periodo storico, ma è nel fatto che la coscienza di Cristo si è presa su di sé i peccati degli uomini. Prendere la «natura» umana è qualcosa di astratto, di non ben comprensibile; ma caricarsi la coscienza di una enorme serie di peccati, e vivere questa coscienza, è fortemente espressivo. Molto illuminante, a questo proposito, un discorso del card. Newmann sulla notte dell'agonia. La vera sofferenza di Cristo – vi si dice – non furono i dolori fisici della passione: abbiamo visto tanti uomini che fisicamente hanno sofferto di più. Il vero soffrire – la notte del Getsemani come in tutta la vita di Cristo, in quanto nella notte si è manifestato il Cristo che porta i peccati degli uomini – è proprio stato il sentire di essersi caricato della maledizione che è il peccato di tutti gli uomini.   * Ma ancor prima della incarnazione Dio è in situazione con l'uomo: dalla creazione. Da allora Dio è fenomenico, cioè – e qui torniamo a San Tommaso – in rapporto di immediata presenza con «questo uomo qui». Dio crea cose che poi noi astrattizziamo con la mente: la filosofia non è che la nostra astrazione mentale rispetto alle cose. Dio invece crea la realtà. Dio crea Pierino. Crea l'anima di ogni uomo. In questa visione, alcune pagine della Bibbia vanno rilette, per meglio coglierne il significato. Prendiamo per esempio l'espressione: «in principio Deus creavit». Finora, le parole «in principio» per noi equivalevano più o meno a «tanti secoli fa»; ma la esegesi moderna dice «nel profondo», nell'intimo di me c'è l'atto creativo di Dio. Questa, veramente, era anche l'affermazione di Guglielmo d'Auvergne, uno dei più vivi teologi medioevali. Egli dice – e anche se l'espressione può far sorridere, è vera ed efficace – che l'essere è una cipolla: tante cortecce, tante bucce, e in fondo c'è l'atto creativo di Dio. Per cui – si domanda Guglielmo d'Auvergne – quando vediamo un essere, esiste di più quell'essere lì o Dio che lo crea? E risponde: esiste di più Dio che lo crea. Ecco perché la persona umana è qualcosa di immenso: perché esiste di più il Dio creante Pierino che non il Pierino creato da Dio. È più «lì», è più presente, è più cosciente anche di Pierino: perché tante volte Pierino si distrae da se stesso, ma non capita mai che Dio si distragga da Pierino. È qui la vera meraviglia della persona. Sulla linea del personalismo cristiano, da Stefanini in avanti.   * Ed ecco perché la RdV è valida. Perché prende sul serio quella «cosa» che Dio prende sul serio, cioè il Pierino, «questo uomo qui», con tutte le sue caratteristiche concrete. Ma ritornando a Dio, è chiaro che il suo doppio modo di essere «immediatamente» presente ad ogni persona umana, comporta per noi la necessità di non tradire questo suo modo concreto di essere e correggere sempre la nostra tendenza astrattiva, che relega Dio in un luogo separato, svincolato dal vivo della vicenda personale di un uomo, sia esso un papa o un droghiere, sia un santo o un peccatore. Il descrivere Dio, il parlarne, dovrà sempre essere un parlarne in modo biblico, cioè con quel profondissimo riferimento alla realtà di ogni persona che sappiamo dalla creazione e dal fatto che Egli si è rivelato «Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe». Egli è Colui che sta più di chiunque altro in situazione con ogni Pierino del mondo e non saremo certo noi che lo tradiremo, nascondendo questa sua realtà e orientando i pensieri di molti verso «un dio dei filosofi». Allora ogni mistero di Cristo, ogni atto divino, conosciuto dalla teologia, non è ben spiegato finché non è colto in situazione con un uomo vivo, in pieno riferimento alla esistenza e al dramma attuale di ogni persona umana. Noi diciamo che Dio è amore, ma non è ripetendo sempre questa parola che spieghiamo questo mistero. Invece ogni volta che presentiamo tutti i misteri di Dio in rapporto personale e personalizzante con un preciso nostro fratello, allora comprendiamo che cosa è amore e che cosa è Dio. Qui vi è il famoso tema del «più piccolo di questi miei fratelli», tema nel quale risalta l'allearsi di Dio con ogni persona, indipendentemente da qualsiasi etichetta, qualsiasi considerazione oltre al fatto che sia una creatura umana.   Il riferirsi personalissimo di Dio ad ogni Pierino non chiude costui in un privato possesso di Dio, ma lo apre ad una sempre maggiore rassomiglianza a Dio, quindi non vi è pericolo di intimismi nella RdV. Ma vi è tuttavia la contemplazione di Dio quale risalta nell'episodio della piscina probatica (Gv 5) , dove appare Dio che prende le mosse dall'eternità, dal cielo sublime, per arrivare a quel povero malato che da 38 anni non aveva un cane che badasse a lui. In una società che dimentica le persone per i personaggi e mitizza pochissimi, alterandoli, per ignorare i miliardi di persone, questa alleanza di Dio con «il più piccolo» è il più rivoluzionario movimento sociale che esista. Occorre non perderlo e presentare sempre Dio, ma in situazione di salvatore, di alleato con «il più piccolo di questi vostri fratelli». La RdV intende portare avanti questa rivelazione di Dio, che diventa subito rivelazione dell'uomo.   NOTE   [1] Questo naturalmente non fu senza inconvenienti: ricordiamo il giansenismo, che è l'esagerazione del razionalismo sul piano morale; ricordiamo il moralismo, ad esempio, il modo moralistico con cui si presentava l'episodio di Giona nella balena; era un modo che non coglieva il messaggio di Dio, rimproverante Giona perché non si cura dei Niniviti, mentre anch'essi sono figli di Dio; si mette in rilievo invece solo il lato moralistico del racconto: c'è stata una disubbidienza, a cui è seguita l'immediata punizione del colpevole.  [2] Cfr. CH. MOELLER, Può l'uomo del XX secolo essere uomo della Bibbia?, in Parole de Dieu et Liturgie, Paris, Cerf, 1958. [3] Può essere interessante, a questo punto, una considerazione. In questi ultimi tempi, la Chiesa dell'America Latina si è accorta che aveva sbagliato strada. Che, nella sua catechesi, nella sua pastorale, c'era qualcosa da cambiare: per almeno un secolo, era vissuta basandosi su una definizione astratta di uomo. Quando parlava, non aveva presente il campesino delle fazendas o i baraccati della favelas o i minatori; parlava all'uomo astratto, non si rivolgeva a quegli uomini concreti che aveva davanti, con tutti i loro problemi e il peso della loro vita di ogni giorno. È quello che capita anche in Italia, quando, ad esempio, in un quartiere comunista il parroco se ne resta arroccato sulle posizioni come nel medioevo, se deve parlare di uomo, non ha nessuna idea dell'uomo che gli vive accanto – il macellaio, il droghiere –; per lui, esiste «l'Uomo». E questa è una deformazione anti-biblica.  [4] È un antropocentrismo, ma per obbedire a Dio: perché è Lui che ha voluto antropocentrizzarsi, manifestarsi a misura dell'uomo, dell'uomo concreto, storico, esistenziale.  [5] Cfr. L. BOUYER, La vie de la liturgie, Les Editions du Cerf, Paris 1960, pp. 14-15.  [6] Molto utile può essere a questo proposito l'opera di H. BISSONNIER, Psicologia e morale nella nuova catechesi (LCD, Torino-Leumann 1969, soprattutto pp. 205-224). In essa l'A. identifica nove livelli della personalità. Essi si potrebbero paragonare ai segmenti telescopici, ad esempio, dell'antenna di un'autoradio: l'ultimo segmento è sostenuto da tutti gli altri otto e così ogni altro segmento. Ora, afferma Bissonnier, noi ci accorgiamo che non siamo abituati a tenerli tutti presenti. Ci fermiamo al terzo o al quarto anello: tutto il resto rimane sconosciuto e implicito. L'ultimo segmento è il rapporto con Dio, cioè il senso religioso. Ma molti non giungono fin qui: collocano la esteriore vita religiosa a livello del terzo segmento, che è quello emotivo, o addirittura del secondo, quello psicomotorio. Il che significa che esiste un'idea di Dio, ma non è ancora maturata: esiste come emozione, come istruzione, come dialogo interno, ma non come rapporto personale; esiste come fatto esteriore, ma non viene dall'interna, maturata religiosità.

     


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