Bernardo Häring
(NPG 1970-12-50)
Corresponsabilità è disponibilità: amore alla verità. Altrimenti il dialogo è impossibile, minato alla radice.
Troppe volte, parole grandi (umiltà, obbedienza, carità...) sono state il baluardo di difesa dello status quo. L'alibi dietro cui si trincerava la voglia di non cedere, di non corresponsabilizzare. In buona o in cattiva fede.
D'altra parte, queste virtù sono valori cristiani, irrinunciabili, perenni, perché sempre freschi della novità del vangelo.
Fa problema trovare il punto di equilibrio. Per questo abbiamo girato l'interrogativo a chi poteva darci una risposta serena e stimolante. In poche battute, P. Häring ci invita a cogliere il cuore della scottante questione, più vasta dei termini specifici della corresponsabilità, ma essenziale per una sua retta comprensione.
Tra le molteplici esigenze che pone un'educazione alla corresponsabilità, è primario un grande senso di rispetto per le persone. Esso si riflette, ad esempio, nel modo di ascoltare e nella prontezza degli educatori ad imparare a loro volta. Ma è un atteggiamento di fondo che deve caratterizzare tutta l'azione educativa.
Qui vorrei sottolinearne brevemente un aspetto, che oggi diventa di sempre maggiore attualità. Il rispetto per le persone, di cui cerchiamo la collaborazione e il dialogo, deve tradursi in rispetto per le parole che usiamo, soprattutto delle «grandi parole», come spirito di fede, autorità, umiltà.
Quanto più alto è un valore, tanto più radicalmente respinge ogni tentativo di strumentalizzazione e ogni uso superficiale. Nelle recenti discussioni sulla crisi di fede – su Dio «morto» nelle anime – si è giustamente sottolineato quanto irreparabili siano i danni di una strumentalizzazione superficiale di Dio e della religione. Quando si introduce con facilità il nome di Dio, per ottenere una più arrendevole sottomissione e quando abitualmente si troncano le discussioni su argomenti di esperienza e di corriflessione umana, facendo appello a Dio, invece di impegnarsi a portare argomenti umani più convincenti e a cercare una risposta diretta alle domande dell'altro, allora i pericoli di indifferenza o di rivolta a Dio diventano notevoli.
Nel passato si è spesso fatto ricorso a Dio, alla fede, all'umiltà, anche quando si trattava della conservazione di uno «status quo» ingiusto.
Martin Lutero, ad esempio, si appellò alla Parola di Dio, allo spirito di fede, all'umile sottomissione all'autorità, quando in occasione della rivoluzione dei contadini, si schierò a favore dei principi: eppure la ingiustizia di costoro verso i contadini era enorme.
TENTAZIONI DI STRUMENTALIZZAZIONE
La tentazione di strumentalizzare le più nobili parole e i più alti valori, per ottenere più facilmente la pace in casa, l'ordine sociale, la sottomissione, è costantemente presente nella storia dell'umanità. Uomini di tutte le Chiese e di ogni livello hanno talora ceduto a tale tentazione. Cominciano già le mamme, quando minacciano i bambini irrequieti: «Se fai questo o se non fai quello, Gesù non ti vorrà più bene». Povero
Signore che deve supplire alle deficienze e all'ignoranza pedagogico, Talora anche le alte autorità religiose hanno chiesto ai fedeli dl accettare, «con fede» o «in uno spirito di umile fede», dottrine bisognose di ulteriori sviluppi, di distinzioni essenziali o addirittura di correzioni. Quando si tratta di errori involontari, accompagnati da sincerità e da rispetto per i valori e la verità, l'uomo saggio perdonerà facilmente il ricorso inopportuno all'autorità di Dio. In tali casi la ricerca sincera della verità e il rispetto per le persone testimonieranno che non si tratta di una strumentalizzazione, comoda o egoistica, delle grandi parole.
Ma quando ci si serve con troppo facilità del nome di Dio e con pigra superficialità ci si appella ai valori, per ottenere sottomissione, mentre si potrebbero usare argomenti più umili che accettino e risolvano le difficoltà, allora gli uomini d'oggi, specialmente i giovani, reagiscono, giustamente, con una critica severa; oppure si irritano contro i valori religiosi o almeno contro il vocabolario religioso.
I grandi pensatori della filosofia del dialogo, come Martin Buber e Ferdinand Ebner, hanno sottolineato come spesso nella storia, l'etica, concepita astrattamente, è stata piuttosto uno strumento di dominazione e di conservazione dello «status quo»: priva del necessario rispetto per le persone, essa era chiusa alle nuove opportunità di servire meglio l'uomo. Questi pensatori insistono sull'urgenza di un ripensamento globale dell'etica in chiave di rispetto per il Tu, di corresponsabilità personale e di vero dialogo con il Tu del prossimo dinanzi al Tu di Dio.
Tale ripensamento non può essere fatto in maniera puramente astratta. È indispensabile l'esperienza quotidiana dell'incontro con il Tu, nell'ascolto e nella dedizione sincera alla individualità «ineffabile» della persona e, così, alla comunità di persone.
L'ingiusta strumentalizzazione comincia quando si introduce il discorso su Dio, sulla fede, sull'autorità istituita da Dio, senza essersi prima interiormente liberati dalla volontà di dominare o di imporre le proprie idee. Essa si rivela poi ogni volta che non c'è proporzione fra le grandi parole usate (Dio, spirito di fede...) e l'argomento in questione o il suo scopo. Un esempio: dopo una visita canonica nei Seminari tedeschi, un documento ufficiale (dell'epoca preconciliare) ricordò ai seminaristi come tutta la loro santità consistesse nell'osservanza assoluta delle regole del seminario.
SANTITÀ E «CORRESPONSABILITÀ»
Tutto ciò non è solo un grave fraintendimento della morale e della santità cristiana, ma anche una strumentalizzazione imperdonabile di una parola così grande: santità. Sarebbe stato tanto più giusto, servirsi di ponderati argomenti sul valore dell'ordine e della disciplina, esposti in maniera da suscitare un sano discernimento fra cose essenziali e cose secondarie e dopo aver accolto le esigenze e le richieste ragionevoli dei seminaristi per un regolamento più adatto per un'educazione alla maturità umana e cristiana.
La tentazione di strumentalizzare valori altissimi in vista dell'ordine e dello «status quo», sarà più facilmente superata, se, nella istruzione religiosa e morale, si è giustamente sensibili tanto all'ordine esistente e ai suoi valori, quanto all'auspicabile o addirittura indispensabile rinnovamento. Quando si raggiunge un equilibrio tra questi diversi valori (secondo la scala e l'urgenza dei valori), allora non ci sarà un pericolo prossimo di strumentalizzazione dei valori più alti.
Una cosa è l'istruzione generale in cui si esplicano il posto e il valore dell'ubbidienza umile e matura, le modalità dell'esercizio dell'autorità, il valore dell'ordine esistente e dell'impegno per un incessante rinnovamento, e tutt'altra cosa è il ricorso frettoloso e comodo alle grandi parole nel momento critico in cui si tratta di decidere o di discutere di punti concreti, su cui v'è pluralità o discordanza di pareri.
Quando ci si impegna con lealtà per comunicare una visione cristiana equilibrata, attraverso l'istruzione e attraverso tutta una educazione improntata alla cooperazione, non avrà alcun fascino o almeno sarà facilmente superata la tentazione di ricorrere alle parole più sante per un piccolo punto di disciplina.