Autocritica pastorale
Giancarlo Negri
(NPG 1970-02-04)
Ho letto nel numero di novembre (Lettera aperta ai lettori) un'affermazione che mi ha colpito:
«In tutte le proposte educative, desideriamo che il nostro punto unificatore sia un ripensamento pastorale della dinamica di gruppo. Attorno ad essa ruota tutto l'arco della nostra pastorale giovanile». Decisamente, non mi suona molto chiaro, tutto ciò. Che cosa si vuol dire, praticamente, con questa annotazione?
(a. b. - Novara)
Non c'è un metodo organico senza una prospettiva unificatrice nelle varie parti. Quindi il discorso su un «punto unificatore» è scontato, se si vuole agire organicamente.
Purtroppo esistono tali e tante forme di azione educativa disorganica, effimera, nel senso che risponde immediatamente a urgenze immediate senza preoccuparsi degli effetti più profondi o più larghi, tali e tante forme' di miopia pedagogica, che si capisce come non si avverta l'urgenza di un punto unificatore e le sue funzioni concrete nello svolgersi di varie attività. L'immagine che viene più facile è quella del direttore d'orchestra, punto unificatore di diecine e diecine di strumenti diversi, i quali, grazie solo a lui, possono comporsi in armonia e in risultati validi di esecuzione. Il direttore di orchestra assicura l'intonazione di tutti su una nota fondamentale, la relazione di tutti ad un tempo e ritmo comune, per cui i diversi attacchi, le diverse note, si fondono in una realtà unitaria. Questa immagine, di un vecchio educatore, A. Jungmann, si adatta molto bene alla realtà educativa, dove individui diversi, attività diverse, interventi sistematici ed occasionali, progetti, consigli, proposte, comandi e iniziative si intrecciano. Pensiamo ai diversi caratteri degli educatori, degli educandi, alle culture, alle storie diverse, che producono nell'azione educativa corrispondenti tensioni e conflitti. Il conflitto è costruttivo, se è ben canalizzato. Ma proprio questa direzione costruttiva delle energie scatenate proviene da un dominante movimento di unificazione, di convergenza verso mete unitarie e costanti.
Ora per unificare non basta la mèta unica: occorre anche un fattore, uno strumento prescelto, tra i tanti che agiscono. E questo fattore educativo è per noi la dinamica di gruppo. Questo elemento pervade ogni struttura ed ogni dinamica educativa che si muove in un certo luogo di formazione umana e ne realizza l'unificazione sia nei fini e sia nelle attività. È il punto unificatore dichiarato.
Vi sono a questo punto molte domande da fare: perché una tale scelta? come, in che modo la dinamica di gruppo opera da fattore d'unificazione? quali modifiche opera nelle diverse attività tradizionali dell'istituto educativo?
Il perché è rapidamente illustrato: si tratta di un «segno dei tempi» da una parte poiché la civiltà porla tutti a socializzarsi più intensamente in tutti i campi dell'umana attività; e si tratta di un «segno di Dio» dall'altra, nel senso che soprattutto l'ultimo Concilio ha sottolineato la comunità della salvezza in Cristo a tutti gli effetti. Sono affermazioni dense, che meri-!crebbero un lungo discorso, non certo compossibile nel contesto di questa rubrica.
Rimando ad un mio articolo che affronta di petto il problema: «Fare gruppo è fare Chiesa», in Pastorale e dinamica di gruppo, LDC.
Diventa di conseguenza un dominante modo di educare quello di educare il gruppo, attraverso il gruppo e con il gruppo: lo studio, il lavoro, la disciplina, le attività di tempo libero, la formazione della personalità, la terapia psicologica, l'ascetica, l'apostolato, la ricerca della verità, l'autocritica, ecc.: tutto va vissuto «in comune», costruendo attorno ai vari fini comuni una dinamica di gruppo, naturalmente a diversi gradi d'intensità e di durata.
Il mettersi in relazione con altri è un movimento centrale di ogni individuo: si diventa anzi persona e non si resta solo individui dal momento in cui si vivono relazioni (con il tu, con il noi, con il Tu divino, con il nostro me) coscientemente e deliberatamente. Ogni ragazzo gioca (individuo), ma quando gioca in squadra cercando di fare amicizia, di «sentire» i compagni di squadra, di avviare una coesione che dura al di là della partita, incomincia il formarsi di una personalità.
D'altra parte si parla di «dinamica di gruppo» perché si è scoperta una vera energia formativa, una «pressione di gruppo», come viene chiamata dagli studiosi. Questa energia appare provvidenziale in tempi in cui la pressione della tradizione, del rispetto dei regolamenti, del senso dell'autorità è quasi scomparsa. L'individuo rimarrebbe allora senza spinte sufficienti al lavoro di autocostruzione. Siamo perciò obbligati in certo senso a manipolare in tutti i modi l'energia del gruppo perché operi beneficamente su ogni individuo e lo porti avanti nella via della sua formazione.
Evidentemente occorre studiare a fondo i meccanismi di questo «motore», la sua maniera d'essere guidato, poiché ogni energia ha bisogno di direzione e questa richiede competenza e abilità.