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    Riflessioni sulla formazione della coscienza morale



    Giorgio Gozzelino

    (NPG 1969-03-71)

    A. NATURA DELLA COSCIENZA MORALE

    La coscienza, come si vedrà, è una realtà estremamente complessa, tale da coinvolgere di fatto tutte le dimensioni della esistenza umana e cristiana. Non è quindi possibile darne una definizione intellegibile se non come a modo di punto di arrivo di una buona analisi. Facciamo questa analisi, per amore di chiarezza, in modo scolastico, mediante cioè una enumerazione che permetterà alla sintesi di richiamarsi in modo diretto ai singoli punti.

    - 1. La coscienza di cui si intende parlare è la coscienza morale, e non altro.

    - 2. La coscienza morale è, come dice il termine stesso, anzitutto coscienza, ossia presenza dello spirito a se stesso ed alle cose distinte da sé, qualunque sia il modo di tale presenza. E in questo la coscienza morale coincide nettamente con la coscienza cosiddetta psicologica. Coincide però solo in questo, perché la coscienza morale ha elementi che mancano alla coscienza psicologica e, viceversa, ha un «oggetto», un ambito, più ristretto, perché più specificato, di quest'ultima.
    La coscienza morale è dunque anzitutto una conoscenza, una conoscenza che come ogni altra ha esigenza di esprimersi, e di fatto in qualche modo si esprime, in un giudizio. È un riconoscimento delle cose, del «come stanno le cose», è una «testimonianza», una luce, una indicazione, una guida.

    - 3. La coscienza morale è però, appunto morale, è cioè presenza dello spirito all'aspetto di sé e delle cose distinte da sé detto precisamente «morale». L'aspetto morale è l'aspetto specificamente umano, in quanto è l'aspetto relativo al compimento della esistenza umana come tale, e perciò la coscienza morale è presenza dell'uomo all'umano come tale, in ciò che ha di più specifico.

    - 4. Poiché questo è il suo oggetto proprio, la coscienza morale comporta ed include una visione, inizialmente confusissima,- ma reale, del senso della vita umana, comporta cioè la comprensione, sia pure estremamente implicita, che l'esistenza umana è esistenza di un essere che nasce «da farsi» e «si fa» (con un fare che è nelle sue mani) mediante la scelta rigorosamente sua di ciò per cui è fatto, ossia, in concreto, l'intimità filiale col Padre nello Spirito, giacché l'uomo non possiede di fatto altro fine che quello strettamente soprannaturale.
    In queste poche parole sono inclusi diversi concetti basici, e cioè.
    * si include il concetto di libertà come potere di costruzione di sé a partire da una incompletezza (sul piano morale l'esistenza precede l'essenza, ossia l'uomo nasce, per esprimersi metaforicamente, come un volto abbozzato ma non ancora fatto, e da farsi, per l'eternità, precisamente con le scelte della vita terrena); si include il concetto cioè di libertà come autodeterminazione
    * si include il concetto di libertà come potere di costruzione di sé reale ma relativo (e non assoluto, alla maniera di Sartre) ossia come potere che costruisce solo a condizione di mordere sul reale, solo a condizione di congiungere l'incompletezza che ha tra mano alla completezza dei valori oggettivi reali, e cioè Dio e la sua economia. Questo vuol dire che la libertà si esercita anche nel male, ma con il risultato di suicidarsi perché nel caso della scelta del male questo potere, aggrappandosi al nulla, costruisce, malgrado qualsiasi apparenza, assolutamente nulla
    * si include il concetto di legge naturale come senso dell'uomo nell'uomo stesso per il puro fatto dell'esserci dell'uomo
    * si include infine il concetto di elevazione come specificazione che la destinazione, e quindi il senso (l'«essere per»), dell'uomo concreto, dell'uomo quale di fatto esiste, non è una qualunque comunione con Dio ma una comunione di tipo rigorosamente «filiale» e cioè fatta nella assimilazione a Cristo, umanizzazione della vita trinitaria.
    Osserviamo questi concetti: il primo prova che «tutta» la vita dell'uomo è dinamismo, e così spiega perché si possa e si debba parlare di «formazione» (= dinamismo costruttivo) anche della coscienza; il secondo mostra che la funzione di guida che la coscienza ha non consiste nel proporre qualunque cosa, ma nel proporre i valori reali; il terzo dà la spiegazione, come vedremo subito, della forza di obbligatorietà della coscienza: o è cristiana o è niente, anche se non è apoditticamente necessario che lo sia in modo esplicito e compiuto.

    - 5. La visione del senso della propria esistenza in quanto esistenza umana, che abbiamo detto essere la coscienza morale, è presente in ogni uomo. Ogni uomo ha la coscienza morale. La ragione di questo fatto è la legge naturale. In ogni uomo, abbiamo detto, è inscritto, per il puro fatto del suo esserci, il senso della sua vita, e questa iscrizione è precisamente la legge naturale; la coscienza di sé comporta la conoscenza di ciò che si è; dunque anche di questo fondamentale qualcosa di sé che è il proprio senso.
    Tale conoscenza è, naturalmente, all'inizio (poiché l'uomo parte come «da farsi») implicitissima, fino a ridursi al noto principio «fa' il bene ed evita il male», poiché, appunto, «il bene ti nutre, sostenta la tua espansione, ed il male ti tradisce, ti lascia "nudo", incompleto e affamato come sei al punto di partenza».
    Ma essa esiste realmente, ed ha un nome noto perché consacrato dall'uso della scolastica: si chiama sinderesi o abito dei principi primi morali.
    San Tommaso la dice, in conformità a quanto abbiamo spiegato, effetto della «irradiatio» della legge naturale (S. Th I, II, q. 96, a. 2C). E il Vaticano II testifica questa dottrina nel n. 16 della Gaudium et Spes:
    Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa' questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato.
    La coscienza è il nucleo più segreto ed il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio la cui voce risuona nella intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo.

    - 6. La coscienza morale è quindi inizialmente «sinderesi». Lo è però solo inizialmente. È importantissimo rilevare cioè ciò che già il concetto di libertà ha messo in luce, ossia che la sinderesi è costitutivamente un punto di partenza, è intrinsecamente un qualcosa destinato a svilupparsi. La visione di questo senso deve divenire sempre più chiara, e naturalmente sempre più reale, ossia testificativa di questo senso, testificativa della legge naturale, e non di bubbole. In effetti, se la sinderesi non si sviluppa nel modo detto, decade fino ad un punto di quasi vanificazione: così come un bimbo sopravvive solo a condizione di crescere. La sinderesi come «puro» abito dei principi primi morali non esiste quindi che alla soglia del primo atto morale: col compiersi di quest'ultimo compie, per così dire, uno scatto (di maggiore o minore intensità a seconda della intensità morale di quest'atto) e lo scatto è di sviluppo se la scelta è per il bene e di involuzione se è per il male. Ed allora diviene in pienezza ciò che noi chiamiamo correntemente «coscienza morale» o anche «coscienza morale abituale», per sottolineare la distinzione di questa visione generale dell'uomo che comanda i giudizi particolari sulle circostanze della vita, da questi giudizi particolari stessi.

    - 7. Poiché la coscienza morale è visione del senso dell'uomo e quindi intuizione di ciò che ha il potere di permetterne lo sviluppo, il suo giudizio non è neutro, indifferente, ma obbligante. La testimonianza della coscienza, in altri termini, crea un «impegno». E questo per il fatto già dichiarato che il costruirsi dell'uomo si realizza solo a condizione che egli aderisca a valori autentici (così come una fame si sazia solo a condizione di affondare i denti in un cibo reale, e non metaforico). La coscienza intuisce questo ordine oggettivo di valori e lo propone con quella somma categoricità che le viene dall'intendere che qui è in gioco il destino stesso dell'uomo. La coscienza è realmente un imperativo categorico. Questa forza è ciò che provoca nel soggetto il ben noto doppio riflesso psicologico del rimorso o della gioia-pace dell'approvazione della coscienza. Ma si fa crescente o diviene sempre più debole a seconda che la coscienza è seguita, o tradita, ossia non seguita.

    - 8. L'imperatività della coscienza peraltro è tutta derivata dal «senso» che essa intuisce. È quel senso, è la legge naturale (sebbene non solo essa, diremo subito), l'autentico detentore della imperatività. Se dunque è vero che in ogni caso è alla coscienza che bisogna sottostare è altrettanto vero che:
    * la maturazione della coscienza consiste anzitutto nella capacità sempre più approfondita di dare i valori oggettivi reali, di essere cioè una coscienza «vera». Non basta cioè voler seguire la coscienza; occorre prenderla per quello che è, e cioè una conoscenza che, come tutte le conoscenze, come tutti i giudizi, può anche essere erronea, e quindi va verificata. E questo è il punto preciso di incontro della coscienza con tutto ciò che, di normativo, è esterno ad essa, e cioè la coscienza comune e la rivelazione naturale e soprannaturale in tutte le loro forme. L'uomo non è un isolato, ma «un essere nella comunità»; e Dio spiega all'uomo quale sia il senso dell'uomo non solo mediante la legge naturale ma in molteplici altri modi.
    La coscienza dunque funziona solo a condizione di accettarsi così, inserita in un complesso di dati esterni ad essa che la sostentano. Di qui l'assurdità di un appello alla coscienza inteso come rigetto di tutto ciò che è distinto dalla coscienza. Di qui il naturale legame della legge con la coscienza
    * l'obbligatorietà di una coscienza invincibilmente erronea è reale ma fondata su di una situazione innaturale, che va raddrizzata, nei limiti del possibile, senza compromessi. L'errore è una cosa ed il male morale è un'altra, ma l'errore pone i presupposti di molti autentici mali morali.

    - 9. La coscienza morale è dunque, assieme ed indissolubilmente, testimonianza, obbligo e sentenza, di approvazione o di condanna. Parte come sinderesi e si sviluppa, o decade, nella conformità o difformità della vita ai suoi giudizi. Si esprime-appunto in giudizi, ha cioè come dato di fondo un elemento intellettuale, ma coinvolge il destino di tutto l'uomo. Per questo la formazione della coscienza è la formazione dell'uomo, la coscienza matura è l'uomo maturo, la coscienza tradita e soffocata è l'uomo tradito e soffocato.

    - 10. Poiché la vita umana terrena è una esistenza che costruisce la propria essenza nella legge dello sviluppo progressivo puntualizzato nelle scelte concrete di ogni momento (la vita è pur fatta dall'insieme di «ogni momento»), la coscienza esprime quotidianamente, sovente continuamente, giudizi minuti e concreti, di maggiore o minore rilevanza a seconda dei casi, sulla attitudine di ciò che incontra nel suo corso a favorire lo sviluppo morale dell'uomo. Questi sono i cosiddetti giudizi attuali di coscienza; e la coscienza abituale vien detta, in quanto esprime questi giudizi, coscienza attuale. Quando si parla di formazione della coscienza si intende per lo più direttamente la coscienza morale abituale, ma il termine «coscienza morale» include naturalmente entrambi gli aspetti perché i secondi non sono che il dinamismo del primo.

    - 11. Si è sostenuto però che la coscienza può essere tradita. Questo significa che coscienza e libertà sono, nell'uomo, realtà ben distinte Certo, lo sviluppo della coscienza coinvolge quello della libertà perché l'uomo è libertà e la formazione della coscienza è formazione dell'uomo e, a pari, la degenerazione della coscienza comporta la degenerazione della libertà. Ma l'una non è l'altra. La coscienza infatti testimonia, impone, sentenzia, ma non può forzare la scelta finale non è sua, ma della libertà, che infatti può andare controcoscienza, sia pure col risultato di porre le premesse di un radicale suicidio.
    La scolastica ha fatto risaltare, approfondendola nell'ambito delle sue categorie di interpretazione del reale, questa importante distinzione col dire che il giudizio di coscienza non è il giudizio pratico-pratico, o ultimo giudizio, in cui si esprime quella scelta ormai consumata della volontà che determina il concreto agire dell'uomo, ma è invece un giudizio speculativo-pratico: un giudizio cioè che dice quel che si deve fare (e in questo senso è «pratico») ma che non esprime ancora l'assenso della volontà (e in questo senso è «speculativo»), e quindi può anche essere da quest'ultima rigettato.
    Poiché il giudizio di coscienza è luce, è per sé nella logica della razionalità umana che esso venga seguito: ma l'incompletezza dell'uomo ancora viatore e il peso del peccato del mondo fan si che esso possa anche essere appunto rigettato. E questo è il punto preciso in cui si consuma il peccato, che è sempre ed essenzialmente un rinnegare la coscienza.

    - 12. Il fatto che la coscienza morale debba avere uno sviluppo, come e perché deve svilupparsi l'uomo a cui essa appartiene, giustifica infine le note distinzioni della coscienza in:
    * coscienza vera, o coscienza che regolarmente giudica secondo verità. Il contrario è coscienza falsa, o meglio erronea
    * coscienza retta, o coscienza che si congiunge ad una libertà orientata al bene, da cui quindi non è ostacolata ma aiutata.
    Il contrario è coscienza non retta, detta talora anche falsa, e cioè ostacolata nel suo giudizio, forzata a conclusioni ingiustificate, ossia tradita
    * coscienza certa, o coscienza in possesso di una certa evidenza delle realtà che manifesta.
    Il contrario è coscienza dubbia, perplessa, scrupolosa, termini che dicono tutti, con diverse connotazioni, oscurità di giudizio.
    È importante osservare che la mancanza di certezza è sovente, certo, effetto di precedenti distorsioni della coscienza (di accecamento), ma altrettanto sovente è dovuta a nulla più che alla sua costituzionale immaturità: la coscienza assolutamente certa in ogni caso è solo quella della visione beatifica, e questo proprio perché è la sola coscienza veramente «matura». Per questo il giudizio di coscienza è posto sotto la verifica della virtù della prudenza, per questo esiste, ripetiamo ancora una volta, una vera e propria evoluzione della coscienza, sia individuale sia di tutta la comunità umana.
    Se ora vogliamo raccogliere in una sintesi i dati così ottenuti, possiamo dare alla domanda di avvio la soluzione seguente (ritestificata col rimando al numero dei singoli punti):

    La coscienza morale (1)
    è il giudizio (2)
    sul senso reale e globale della vita umana (3) (4)
    ottenuto a partire dalla presa di coscienza di questa vita stessa. (5)
    È un giudizio immediato solo embrionalmente e quindi è destinato a svilupparsi. (6) (12)
    Ma è obbligante perché l'aderirvi è condizione assoluta di sviluppo autentico dell'uomo. (7)
    Poiché è manifestazione di un ordine oggettivo, la sua forza
    sta tutta nella adesione a quest'ordine, e quindi la coscienza
    ha bisogno della legge e vive della legge. (8)
    Coinvolge il tutto del destino umano. (9)
    Si esprime mediante giudizi particolari sui singoli momenti della vita umana. (10)
    È al servizio della libertà, ma può anche essere tradita dalla libertà. (11)
    Si nutre di fedeltà a tutto ciò che ha una qualche reale relazione
    con quel «senso vitale umano» di cui è ultima interprete. (8) (12)

    B. DIRETTIVE DI FORMAZIONE DELLA COSCIENZA MORALE

    La risposta alla domanda strettamente dottrinale apre la via alla risposta alla domanda pratica. Le direttive che più direttamente conseguono dalla esposizione precedente ci sembrano le seguenti:
    * abituare il soggetto a riflettere, ad agire secondo logica, a motivare i propri comportamenti, a rifarsi il più sovente possibile ai princìpi, a vivere, in altri termini, a livello di vera coscienza umana o consapevolezza di ciò che si è e si fa.
    In tal modo il soggetto è reso capace di superare il conformismo, il dilettantismo, il sentimentalismo, di resistere alle passioni e di esercitare la vera libertà
    * abituare il soggetto a volere ciò che fa, ossia a non confondere vero con facile, con poco costoso; abituarlo a cercare il vero e a starci, quando l'abbia trovato, qualunque cosa gli possa costare
    * dare al soggetto la chiara percezione della enormità della posta in gioco, per lui e l'intera comunità umana, implicata nei giudizi di coscienza. Motivare quindi (e fare assimilare tale motivazione) ogni direttiva morale, e ribadire costantemente i dati della visione di fondo della coscienza che noi abbiamo qui ricordati
    * dare al soggetto una chiara idea del complesso di conseguenze connesso al fatto che la coscienza morale deve svilupparsi: costosità, necessaria dipendenza verticale (da Dio) e orizzontale (dalla comunità e da ciò che è rappresentato dalle cosiddette leggi), costanza, pazienza, fedeltà, ecc.
    In una parola:
    Istruzione = per l'assimilazione delle idee di fondo
    Esercizi di giudizio = per l'assimilazione dell'abito della riflessione prudente
    Esercizi di controllo = per l'assimilazione dell'abito della fedeltà della volontà al giudizio di coscienza.


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