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    Giustificazione teologica dell'animatore



    Giorgio Gozzelino

    (NPG 1969-06/07-72)

    Il perché di una funzione

    Nella formazione degli animatori la giustificazione teologica entra come il fondamento nella costruzione di una casa. È ciò che dà unità a tutto ciò che si cerca di ottenere con quel processo. È un dato essenziale come, quanto e perché è essenziale ad ogni funzione o attività o impegno umano, la chiara coscienza di sé, del senso del proprio esserci e delle proprie possibilità. L'animatore che sappia dare una giustificazione di sé a se stesso, e lo sappia fare con ragioni teologiche chiare e fondate, trova in ciò una garanzia di solidità ed una base di carica dinamica tale da assicurare in gran parte la costanza, la convinzione e quindi il successo della sua azione. La giustificazione teologica è il contenuto delle certezze dell'animazione.
    Consapevoli di questa importanza, vorremmo tentare di tracciare una indicazione rapida e schematica, e quindi facilmente proponibile ed assumibile, delle idee che ci sembra debbano essere assimilate dall'animatore perché possa capirsi. Ci proponiamo una piccola ricerca delle motivazioni teologiche della funzione della animazione. Poiché la teologia è la riflessione del credente sulla fede vissuta dalla Chiesa, questo equivale a chiedere che cosa sia per questa fede l'animatore, per quale ragione ci debbano essere nella pastorale gli animatori, come debbano agire e che cosa propriamente siano chiamati a fare.

    L'animatore è il laico

    Dall'insieme delle riflessioni condotte nelle pagine precedenti emerge una fisionomia abbastanza chiara da potere essere assunta come un punto di partenza assodato. L'animatore è il membro della comunità o del gruppo (in ogni caso comunità o gruppo di salvezza perché specificamente indirizzati a svolgere un'opera non puramente secolare ma propriamente religiosa, ossia di risposta alla azione redentrice dello Spirito di Gesù) che si impegna a sostentare la risposta salvifica del gruppo non con una azione autoritativa, quindi in qualche modo discendente, condotta dall'alto verso il basso, ma con una azione stimolativa ed ascendente, del tutto amalgamata ed uniformata a quella del gruppo intero e peraltro caratterizzata da un «peso», da una «rilevanza» di intensità consistente. L'animatore è in concreto uno del gruppo che spinge dall'interno del gruppo accettando la sua dinamica; che cioè, appunto, lo anima. Non è propriamente un leader del gruppo, non ha certamente per il gruppo una funzione di autorità, è un membro vivo, che proprio perché vivo trasborda sul gruppo intero.
    Tutto questo dal punto di vista teologico ha un significato ed una connotazione immediati. Nella struttura della Chiesa si rispecchia fedelmente la situazione del Popolo di Dio in fase terrena, la situazione cioè di una unità viva in atto di costruzione per l'opera del Signore risorto. Il popolo di Dio è sintesi di laicato e gerarchia perché è sintesi dinamica di una Chiesa-corpo alimentata dal Cristo Capo. La gerarchia come gerarchia è visibilizzazione di Gesù Risorto (e cioè il mezzo per mantenerLo a livello terreno, viatore, senza per questo privarLo della sua glorificazione). Essa infatti Lo rappresenta di fronte alla Chiesa tutta ed all'interno della Chiesa tutta. Il laicato come laicato è invece la realtà della Chiesa-comunità di salvati distinta dal Cristo e salvata da Lui. È proprio della gerarchia l'assunzione della mediazione discendente del Cristo o visibilizzazione della iniziativa divina permanente in Gesù e nel Suo Spirito. È proprio del laicato l'assunzione della mediazione ascendente di Gesù, e quindi la partecipazione alla risposta totale al Padre data in radice per tutti da Gesù. Poiché in Gesù le due mediazioni non sono che una sintesi indissolubile, queste caratterizzazioni non debbono essere interpretate come esclusive. Resta il fatto che le due parti, gerarchia e laicato, si distinguono per esse e si giustificano su di esse.
    Si comprende allora come la gerarchia, malgrado il primato di autorità, abbia una consistenza molto più tenue, in proprio, della consistenza del laicato. Si riduce ad essere un segno, un riferimento privilegiato a qualcosa di distinto da sé. Il suo contenuto è il Cristo. Essa non fa che agire in persona Christi. Il primato è, in realtà, quello del Cristo, e solo quello. Il laicato invece (che naturalmente comprende anche i membri della gerarchia in quanto sono dei fedeli in via) ha un contenuto proprio, perché distinto da quello di Gesù. Ovviamente agisce e può agire solo in unità col Cristo, ma lo fa in persona propria. E dunque ha una consistenza maggiore di quella della gerarchia, sì da essere ciò che la gerarchia è chiamata a sostentare e servire (e perciò la gerarchia si chiama ministero), e ciò in cui la gerarchia si risolverà con l'avvenuta maturazione dei tempi o Parusia. La consistenza del laicato è la consistenza dell'umano della Chiesa distinto dall'umano di Gesù e quindi esso segno, sì, come del resto lo è ogni vero dato umano, ma più che un segno. E questo suo dato umano, distintivo, gli dà il suo carattere specifico L'umano, nei confronti del divino, è sempre una risposta davanti ad una domanda, una adesione di fronte ad una iniziativa, una accettazione data ad una offerta. Si spiega allora che il proprium del laicato sia specificamente l'aspetto ascendente.
    Il laico è dunque colui che vive all'interno e connaturalmente la spinta della mediazione ascendente della comunità dei salvati; e che così facendo la sostenta. Questo però è precisamente quanto si è detto tipico dell'animatore. E dunque l'animatore è il laico vivo, il laico effettivo che accoglie e realizza la sua vocazione.

    Animare perché si è laici

    La conclusione precedente offre la connotazione teologica dell'animatore identificandolo nel laico. Per ciò stesso dà le ragioni teologiche della animazione. Se l'animatore è sostanzialmente il laico vivo, le ragioni della sua animazione sono quelle della sua vocazione di laico. Ossia l'animatore deve animare perché è un laico, un battezzato, il detentore di un autentico sacerdozio regale e profetico.
    L'animatore deve essere nel suo gruppo e per il suo gruppo un profeta perché il battezzato è un profeta. Deve essere un sacerdote perché tale è il laico. Deve essere un reggitore responsabile perché ancora una volta tale lo rende la sua situazione di cristiano.
    A proposito di una formulazione che assume come linea di fondo la distinzione dei tre poteri-funzioni della profezia, del sacerdozio sacrificale e della regalità, ci sembra conveniente richiamare alcune sagge parole di 0. Semmelroth:
    «... siamo abituati a parlare di tre ministeri di Cristo e di tre ministeri della Chiesa, e cioè di un ministero sacerdotale del Signore cui corrisponde nella ecclesiologia il triplice potere di insegnamento, di governo e sacerdotale. Benché questa sintesi in tre aspetti non sia molto antica e non sia neanche nata in ambiente cattolico, ciascuna di tali denominazioni è però antichissima e da sempre esse sono state singolarmente applicate ad indicare Cristo e la Sua opera... Questi tre ministeri di Cristo fanno... indubbiamente parte della primitiva fede della Chiesa.
    Il fatto però che siano stati collegati e siano stati presentati come una sintesi dell'opera del Cristo soltanto negli ultimi quattro secoli, dà adito alla ipotesi che tale numerazione non pretenda di essere esauriente e che tali ministeri per il loro contenuto possano essere ridotti ad uno o due ministeri fondamentali e caratteristici» (O. Semmelroth, Il ministero sacerdotale, Roma, S. Paolo, 1964, pp. 135-136).
    Si vuol dire che la triplice distinzione della profezia, del sacrificio e della regalità è sostanzialmente una distinzione di comodo, che, come tale, non va maggiorata. Indica una realtà complessa che si presta ad essere così schematizzata ma  va ben oltre tale ripartizione.
    Fatta questa doverosa precisazione, presentiamo più in dettaglio le tre motivazioni addotte.

    - L'animatore è il profeta del suo gruppo come e perché il laico, o battezzato, è il profeta della comunità.
    Come si è spiegato, ciò che distingue il laico dal ministro e ne specifica la fisionomia è il rispondere allo Spirito, o mediazione ascendente, è il partecipare effettivo a ciò che è proprio di Gesù (e per questo c'è nel battezzato, ovviamente, anche un reale aspetto di mediazione discendente; ma secondario). Orbene, questa risposta consiste anzitutto nel partecipare alla missione di Gesù di «manifestare ciò che si vede», e cioè, come dichiara il decreto sull'Apostolato dei Laici, nell'apostolato della evangelizzazione con la parola, gli scritti e le opere, nell'apostolato della testimonianza, nel contribuire allo sviluppo della coscienza della Chiesa (che nel caso è il gruppo) e nell'approfondire l'annuncio che la Chiesa fa del messaggio del Padre, mediante lo studio, mediante il sostentamento della sensibilità cristiana, mediante un eventuale carisma personale. L'animatore nel suo gruppo farà e sarà tutto questo. Eserciterà questa essenziale funzione di assimilazione-sviluppo della Parola, e sempre in modo ascendente, ossia non autoritativo ma sintonico col movimento dal basso all'alto del gruppo stesso.

    - L'animatore è il sacerdote del suo gruppo perché il battezzato è il sacerdote della comunità.
    Per sacerdozio si intende qui l'esercizio della funzione sacrificale tipica della vita cristiana. Poiché, come si è detto, il termine per sé indicherebbe non solo l'elemento sacrificale ma anche gli altri due, qui è preso in senso ristretto; è cioè sinonimo di potere sacrificale. Orbene, il potere sacrificale del laico si compie nel fare della vita un sacrificio gradito al Padre, e quindi un passaggio pasquale nel Suo Regno. Il laico offre la sua vita in sacrificio con la sottomissione sincera ed incondizionata alla legge dell'amore incarnata nel Vangelo. Così facendo fa di se stesso un'ostia e consuma un sacrificio «spirituale», e cioè non propriamente sacramentale, che invece è tipico del sacerdozio gerarchico o ministeriale. La sua offerta, peraltro, non può essere che offerta «in comunità», perché il battezzato è vincolato intrinsecamente alla comunità già dal suo essere persona e più ancora dalla sua situazione di «nuova creatura» indotta dal Battesimo, e cioè di membro di un corpo vivo. E dunque l'offerta di ciascuno è l'offerta di tutti. L'animatore porta avanti nel suo gruppo la sottomissione della vita intera del gruppo al Vangelo, nello spirito della fede, della speranza e della carità, in comunione con la vita del Cristo. Egli è sacerdote della comunità perché è sacerdote della propria vita. E lo è, ripetiamo, nel modo indicato, e cioè mediante un sacrificio non propriamente sacramentale, perché primariamente rappresentativo non del sacrificio di Cristo ma di se stesso, e quindi, ancora una volta, perché sacrificio di risposta, o ascendente.

    - L'animatore è il reggitore responsabile del suo gruppo, perché il battezzato è il reggitore responsabile della comunità e del mondo intero.
    Ogni battezzato presiede e regge la Chiesa ed il mondo perché ogni battezzato compie, in forza della unità col Cristo, le due funzioni di dominio proprie della regalità di Gesù: la funzione negativa di vittoria sul male, sulla morte, su Satana, o di liberazione dal peccato, e la funzione positiva di inveramento del senso cristico del creato, o divinizzazione, che per il fatto di essere sviluppo di tutte le realtà, sacre e profane, secondo il loro senso (che è quello di sintetizzarsi e ritrovarsi nel destino di Gesù) è una consecratio mundi. L'animatore fa questo nel suo gruppo, non però in modo sacramentale ed autoritativo, ma anche qui a modo di consonanza a questa funzione come esercitata dal gruppo intero.

    Come si vede, l'animatore non ha per la sua animazione altre ragioni di quelle che ha ogni semplice cristiano. Da un punto di vista sociologico, pedagogico, psicologico, può trovare e trova un sovrappiù che lo distingua dagli altri membri del gruppo. Dal punto di vista teologico è nulla più che un membro del gruppo, ossia un cristiano fedele, un vero cristiano. E questa, che può sembrare una conclusione minimista, è invece, a nostro giudizio, ciò che dà alla sua missione il carattere più marcato possibile di impegno, di urgenza, di necessità: l'animatore non può deporre la propria funzione senza deporre il proprio cristianesimo. Il suo impegno coincide con la sua fede e quindi con la sua salvezza.

    Animare come laici

    Le insistenti precisazioni del paragrafo precedente sull'aspetto ascendente, strettamente laicale, della animazione, permettono di dare risposta ad una seconda importante domanda. Si è sostenuto che l'animatore deve animare perché è un battezzato, un laico. Diciamo ora che egli deve animare come laico. E cioè sempre dal basso verso l'alto, a livello non autoritativo e non sacramentale.
    - Quando succede, ad esempio, che l'animatore sia un sacerdote ministro, occorre riportare la sua animazione, nella misura in cui essa vuol essere quella di cui si interessano tutte le ricerche qui condotte, non alla dimensione ministeriale ma a quella, a pari sempre sua, laicale. Egli non cesserà, naturalmente, di essere il segno proprio della mediazione discendente del Cristo, per cui la sua opera non cesserà mai di avere un qualche riferimento ministeriale. Ma, ripetiamo, l'animazione di cui parliamo non potrà far leva su questo, ma sulla sua situazione di battezzato o detentore del sacerdozio comune. Egli non potrà quindi avocarsi uno speciale diritto di presenza autoritativa senza per ciò stesso abbandonare lo status di animatore nel senso finora inteso e passare a quello di animatore sacerdotale, che è altra cosa. Dovrà dunque stare all'interno della mediazione ascendente o di risposta. Cosa forse non facile, ma peraltro abbastanza consueta, perché ripetuta in diversi contesti, come quello caratteristico della Messa, in cui egli è assieme, e distintamente, ministro che dà consistenza terrena al Cristo Risorto che salva e fedele che si offre per essere salvato, come tutti e qualunque altro membro della assemblea.
    - Altra importante conseguenza pratica è l'abolizione della politica dell'esoterismo di élite e l'accettazione leale e senza rimpianti dell'inserimento nella comunità in cui di fatto si vive, con notevoli riflessi positivi sulla lotta contro l'egoismo e l'orgoglio. Il cristiano è un uomo concreto, e come tale è inserito nella Chiesa concretamente, e cioè nell'hic et nunc di una particolare comunità spazio-temporale. Questa si chiama «chiesa locale». La fedeltà alla Chiesa è sempre fedeltà alla chiesa locale. E dunque l'animatore è fermento anzitutto e soprattutto della chiesa locale.         

    Sintesi

    Riproponiamo la sostanza di quanto abbiamo detto in forma sintetica, a modo di risposta alle domande da cui abbiamo preso l'avvio.
    * Ci siamo chiesti che cosa sia, secondo la fede, l'animatore. Rispondiamo: è il laico fervente, il cristiano che accetta di porre la propria vita in quella di Cristo e quindi di essere lievito nel mondo, con Lui e come Lui.
    * Ci siamo proposti di chiarire perché debba esserci nelle comunità di salvezza un animatore. La risposta è stata: perché il battezzato è intrinsecamente ed indissolubilmente profeta, sacerdote e re, come` Gesù e con Gesù.
    * Ci siamo interrogati, infine, sulle modalità dell'agire dell'animatore, e siamo giunti alla seguente conclusione: l'animatore deve agire da laico, conformandosi cioè al movimento ascendente della vita della comunità, per animarla non autoritativamente. L'animatore deve fare nella sua comunità o gruppo ciò che il laico fa come laico nella Chiesa: sviluppare la Parola continuamente ricevuta, offrire la vita propria ed altrui in un permanente sacrificio spirituale, assumere lealmente e responsabilmente gli impegni della lotta contro il male e dello sviluppo del Regno di Dio.


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