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    Dal saper discutere alla revisione di vita



    Giancarlo Negri

    (NPG1969-02-18)

     

    Questo articolo è la continuazione logica del precedente, apparso in Note di Pastorale Giovanile 1969-1.
    G. Negri è partito da un fatto indiscusso: i giovani amano discutere; se la sentono nel sangue la voglia di porre tutto al vaglio delle parole - molte, spesso ricercate, eppure il più delle volte, vere, sofferte, autentiche, anche quando assumono i toni mordenti della critica.
    L'esperienza ci dice che i gruppi a cui si tarpa il respiro della discussione, si ammosciano, presto o tardi, per mancanza di ossigeno, forse; di brio, di presenza attiva, certamente. Da queste osservazioni, alla deduzione di un nuovo stile pastorale, il passo è breve.
    Ma c'è discussione sana e discussione malata; c'è un ritmo che vivifica, - che costruisce, ed un ritmo che disperde, che rende continuamente marginali e vuoti mercanti di parole. La premessa alla Revisione di Vita (che è un po' la tecnica pastorale più facilmente costruttiva, innervata com'è sul desiderio innato al discutere) è l'educazione alla discussione: scoperta delle dinamiche di una sana discussione, utilizzazione pronta e sapiente, conduzione entro i binari del vedere-giudicare-agire.
    Nell'articolo precedente, L'A. ha analizzato la svolta che questo fatto ci impone.
    In questo, L'accento è sui termini di diagnosi, per la patologia e sanità della discussione, e, nella seconda parte, sulla metodologia concreta di applicazione alla Revisione di Vita.
    Il discorso non è ancora completo, evidentemente. Eppure la fretta che impone il ritmo delle cose da fare, non può indurci ad un genericismo inconcludente.

    PATOLOGIA E SANITÀ DELLA DISCUSSIONE

    Vi sono forme di discussione patologiche, malate, travianti e forme sane, autentiche e feconde. La Revisione di Vita, ad esempio, si presenta come forma sana e feconda per il fatto di comprendere tre momenti in un ciclo completo dalla vita alla vita con la mediazione del pensiero organizzatore. Al suo opposto stanno le discussioni inconcludenti ed accademiche, vera perversione del ragionamento diventato avulso dalla vita.
    I punti critici del «discutere» come energia portante attorno a cui strutturare tutto un metodo ed un sistema educativo sono dati dalla personalità dell'educatore, dalla psicologia del singolo giovane, dal gruppo.

    A. L'inventario dell'educatore

    L'episodio del piccolo Giovanni Cagliero che i superiori volevano mandar via e che Don Bosco difese ci introduce al problema della fiducia nei giovani. L'educatore può intervenire nella discussione in modo sano e costruttivo in base a questa fiducia, che è positiva in se stessa, ma è causa di atteggiamenti veramente operativi e ancor più veramente accettati dai giovani.

    L'errore dell'intervento sostitutivo

    Sovente l'educatore interviene di forza, brillantemente anche, suscitando magari immediati applausi, ma avendo ricondotto a reazioni infantili i suoi giovani. Nella discussione il far camminare da soli, il far scoprire, il costringere a rendersi ragione da soli, il far conquistare è importantissimo. L'autonomia dei giovani è la loro forza principale per impegnarsi: lo si vede nei loro gruppi spontanei. L'intervento dell'educatore è richiesto, è indispensabile, perché il «realismo» con cui i giovani affrontano la vita li porta a cercare nei tecnici le soluzioni e le risposte. Se si danno da soli soluzioni e risposte, è perché sono già stati alienati dagli adulti, dal comportamento sbagliato degli adulti stessi.
    Non si tratta - diciamolo subito - di dolcezza, remissività o cose del genere da parte dell'educatore. Anzi, oggi i giovani vogliono un intervento rude, crudo, senza mezzi termini, senza inzuccheramenti, spietato qualche volta. Ma che sia un intervento nella discussione e non un sostituto della discussione: un intervento cioè che collabora e non sostituisce, che si aggancia a quanto c'è e non spazza via tutto per costruire «ex novo».
    Parecchi incontri tra ecclesiastici nel corso di quest'anno hanno constatato onestamente che non sappiamo discutere e questo blocca, scoraggia, avvilisce e disarma. Non è facile evitare l'errore dell'intervento sostitutivo, prepotente, che si impone o con la dolcezza o con l'invocazione all'autorità o peggio alla moralità, come se questa potesse essere estrinsecata.
    La forma dittatoriale è sempre una tentazione della Chiesa. In verità i valori sono assoluti e non democratici. Ma non bisogna identificare educatori e valori! Noi siamo i cercatori di essi, siamo i ministri delle persone che cercano i valori. Ciò pone ogni metodo in chiave dialogica e non dittatoriale.
    I pretesti dell'intervento sostitutivo sono: la fretta di arrivare alle conclusioni; la povertà dei risultati raggiunti dagli interventi dei giovani; il paternalismo che dona la verità; qualche volta un inconscio movimento di aggressività o di mammismo o di narcisismo.
    È facile fare un intervento sostitutivo senza accorgersi: si entra nella discussione con un contributo preciso, valido; e per questo non si bada al gruppo, al suo ritmo di marcia, conquisi dal fatto che tutti seguono con gli occhi sbarrati dalla meraviglia. Si procede per esclamativi (affermazioni autoritarie) e non per interrogativi (forma indiretta di dialogo). Anche quando ci si aggancia alla situazione della discussione, si corre il rischio di fare dei «cortocircuiti», cioè di scavalcare il ritmo di assimilazione dei giovani per un imbottimento di idee, troppe e troppo rapidamente dette dall'adulto.
    La «discorsività» del linguaggio è qui necessaria: come ha la Revisione di Vita con i suoi passi progressivi, con il suo alternare analisi con il contributo di tutti e sintesi ad opera di uno che semplicemente «tira le fila» e caso mai apre il passo successivo. La «digestione» dei valori e dei ragionamenti, invece della semplice ingestione, è il frutto prezioso di questa fatica.

    L'errore dell'intervento accademico

    L'adulto ha un sapere più vasto e profondo. Il filo della discussione lo può portare a digressioni esegetiche o storiche o filosofiche (sono digressioni in quanto deviano dal correre verso la riscoperta della vita e l'impegno in essa del proprio io). «Sarebbe interessante considerare...» è la formula con cui si aprono parecchi interventi di adulti, ricchi della loro scienza. Non è patologica la digressione in sé, ma la digressione che non è sentita dai presenti come spinta in avanti come rafforzamento, come intensificazione o persuasione del valore che si sta per scoprire o dell'impegno nei valori. I giovani di per sé non sono accademici ma interventisti: se pigrizia, comodismo impediscono il passare all'azione, non c'è da incolpare la discussione, ma altre cause. Il loro movimento è sempre diretto al fare, alla vita. Se ragionano, anche se in astratto (esiste Dio?), è per una necessità vitale o di conferma o di revisione delle proprie scelte pratiche: questo «vitalismo» va mantenuto anzi rafforzato, intensificato, valorizzato, sicché tutta la discussione sia in fase di impegni da prendere, di revisioni da fare. Una discussione simile a quella di una azienda, dove il produrre, il rimediare al passivo, l'allargarsi, è dominante. La discussione impedisce il pragmatismo e l'orientamento pratico impedisce la discussione accademica.

    L'errore dell'intervento pragmatistico

    «Basta con le chiacchiere, veniamo ai fatti»: questo slogan ha avuto molto successo nella campagna «Mato Grosso» di Torino 1968. Esso indica un male della civiltà attuale: l'inflazione della parola, sia come torrenziale abbondanza di sermoni detti e scritti e sia come sacrilegio della parola detta senza poi essere vissuta.
    Lo slogan dice anche la inclinazione pragmatistica della civiltà dei consumi, dove la contemplazione, la ponderazione dello spirito, è declassatissima.
    Azione e intervento per i poveri, contro le ingiustizie sociali, la solidarietà con gli oppressi, l'abolizione della guerra, ecc.: sono tutte urgenze che fanno apparire inutile perditempo tutto questo articolo sul «discutere».
    L'errore fondamentale del pragmatismo apostolico sta qui: gli adulti che si infastidiscono per la contemplazione discorsiva dei giovani, hanno già in mente i valori, coltivati nella loro gioventù. I giovani invece sono ora proprio nel momento in cui si studia e si meditano i valori. Se sono gettati nell'azione senza contemplazione finiranno con il contemplare lo stesso, con il discorrere ugualmente tra di loro o in se stessi, ma con tutti gli errori, le lacune, le deformazioni che da questo empirismo arrivano.
    Bisogna partire da questa esperienza: anche nei campi di lavoro più faticoso, i giovani finiscono con il «commentare», il «discutere»: è l'esigenza del loro nascere come personalità. Non si può non intervenire. Secondo l'indole vi sarà «primato» dell'operare o del discutere; ma in nessun caso vi sarà l'abolizione dell'uno o dell'altro fattore. Oggi, è vero, si tende al primato dell'operare; ma anche dopo l'esperienza del Mato Grosso si sono avuti campi-scuola, dove la discussione si avvantaggiava di tutti i progressi individuali e comunitari ottenuti con l'esperienza ma procedeva poi ad esplicitare la coscienza dei valori attraverso la discussione amicale e comune.

    B. L'inventario dei giovani nella discussione

    Anche i giovani, sia come singoli e sia come gruppo, possono avere forme patologiche o forme autentiche e sane di «discussione». In gran parte gli errori da evitare sono gli stessi di quelli denunciati a proposito dell'educatore.
    Completiamo perciò l'analisi rispetto agli effetti sociali del «discutere».

    Un discutere impersonale

    All'inizio i giovani e gli adolescenti si mettono a discutere tra di loro limitatamente a problemi estrinseci: la partita, le cronache sportive, la scuola, il governo, le ragazze, la moda. Poi, se nasce il rapporto amicale (stima reciproca, fiducia, ammirazione, confidenza) incominciano le confidenze, l'apertura del mondo personale, prima custodito con intenso pudore e timore. Vi sono confidenze di tipo anagrafico, di tipo «dichiarazioni di voto», di tipo «come fai tu?». Questo discutere delicato è il vero discutere educativo: c'è il gruppo, c'è il sano tono di amicizia, c'è la ricerca comune del progresso o del cambiamento o della chiarificazione del vivere nel mondo. Sono questi i momenti fecondi della vita di gruppo: sport, servizio sociale, interessi culturali sono estrinseci e preparatori; conferenze o simili sono materiale da costruzione; invece in queste discussioni tipo «Revisione di Vita» si è disposti a scambiarsi i valori, a digerirli, a convertirsi, decidere, fare progetti, dire «andiamo...», «facciamo...», «interveniamo...».

    Un discutere troppo personale

    Alcuni gruppi di spiritualità hanno raggiunto un livello di vera intimità collettiva nelle discussioni e trovano questo livello potentemente positivo per la coesione del gruppo, la perseveranza di esso e la conversione dei singoli.
    Effettivamente se il gruppo giunge ad esperienze così intime nella discussione con delle vere confessioni, nasce come un bisogno di tornarci, la perseveranza è per molti garantita. Si arriva anche alla setta, al gruppetto di esclusivi, al club privatissimo. Noi vi scorgiamo delle deformazioni patologiche, dei rischi almeno.
    Preferiamo che l'animatore del gruppo mantenga il grado di intimità in un giusto equilibrio: abbastanza per coltivare e alimentare l'amicizia e quella fusione di cuori che è il segreto del gruppo e non eccessivo, evitando le confessioni troppo personali. Il senso dell'equilibrio è una delle doti dell'animatore, che i giovani di per sé non hanno. Basterà sovente avere una semplice accortezza: impedire il determinarsi di gruppetti nel gruppo. Gruppetti di lavoro sì, gruppetti di amicizia più congeniale sì, inevitabile, ma gruppetti di discussione, di «discorsi portati avanti», gruppetti che evitano gli altri, questo no, perché è l'inizio della fine. Non si hanno da evitare correnti, opposizioni, perché è questa la natura della discussione, ma si ha da evitare la passionalità patologica di queste divergenze, espressa in rancori, disistima, chiusure in cerchi ristretti: la discussione deve essere totale sempre, quasi esasperatamente alle volte.

    Un discutere solo verbale

    Qui dalla discussione si passa al concetto di dialogo del gruppo, inteso come scambio e unione in esperienze non solo di verbali conversazioni ma anche di canto, di attività, di iniziative, dalla squadra sportiva alla raccolta di indumenti per i poveri, alla catechesi nei sobborghi, all'inchiesta di quartiere, alla gita, al canto, alla rivista. Non immaginiamo il gruppo che si riunisce solo a discutere o meglio non immaginiamo il gruppo che discute solo a parole e non giunge a vivere insieme altre esperienze attive profane e religiose.
    Il discutere o conversare o scambiarsi il proprio parere o fare «Revisione di Vita» rimane il tessuto connettivo del gruppo, nel quale i principi attivi e le fusioni si scontrano, si scambiano, si attivano: un ragazzo che partecipi alla squadra sportiva senza mai dire il suo parere non funziona; una esperienza vissuta (una funzione liturgica) senza che o per scritto o a voce tutti non dicano il loro parere e discutano questi pareri è la morte del gruppo. Sappiamo d'altra parte come proprio questo discutere se è incontrollato e non coltivato danneggi la coesione del gruppo: è il caso dei pessimisti o disfattisti che in uno spogliatoio, ritornando dalla gita, «seminano zizzania» cioè discutono l'esperienza appena vissuta in modo disfattista. Da qui si vede l'importanza di coltivare la discussione, poiché proprio da queste discussioni occasionali tutto va avanti o tutto muore.

    Discussioni occasionali o programmate

    Gli errori precedenti trovano qui una chiarificazione: finiscono male se vi sono solo discussioni programmate o solo discussioni occasionali. Le discussioni occasionali sono quelle spontanee fatte fuori riunione: esse creano opinione pubblica molte volte, intensificano un atteggiamento favorevole o sfavorevole. Esse creano il pericolo di gruppetti che si isolano spiritualmente e concordano un rifiuto o una separazione o un abbandono La regia delle discussioni occasionali sta nel costringere queste a ripetersi e riversarsi nelle discussioni programmate di tutto il gruppo: senza questo movimento è inevitabile il frantumarsi del gruppo in diversi atteggiamenti che si eliminano a vicenda. Con il rifluire delle discussioni o-ccasionali nelle discussioni programmate il singolo ed i singoli si fondono con tutti, contribuiscono con un loro apporto, sono convergenti rispetto alla vita del gruppo e non divergenti in una loro vita a parte.
    Le discussioni programmate diventano un errore se non hanno seguito in discussioni spontanee, occasionali. Se la vita del gruppo non ha continuità fuori delle riunioni, il gruppo praticamente non è vivo. La natura stessa delle discussioni spontanee le esclude da una programmazione, quindi esse sono come il banco di prova della vitalità del gruppo. In generale se non si avviano da sole, bisognerà lavorare sui leaders perché le promuovano in incontri sporadici nei momenti più diversi della vita dei singoli. Ma in ogni caso il punto fermo da tenere è questo: se fuori di riunione non discutono spontaneamente tra di loro le cose affrontate dentro la riunione, siamo molto lontani da una vera vitalità, siamo a livello di pseudodiscussioni dentro la riunione programmata, poiché proprio quando è ben agganciata ai dinamismi spontanei dei singoli la discussone programmata, allora fioriscono spontaneamente intense discussioni occasionali, indice che i soci vivono a lungo di quanto hanno incominciato nelle discussioni programmate.

    DAL SAPER DISCUTERE ALLA REVISIONE DI VITA

    Non siamo abituati a considerare questa vita interna del gruppo: siamo un po' come chi guardi il corpo umano solo dall'esterno, senza prendere in considerazione il funzionamento del cuore, del fegato, dei polmoni finché non se ne verifica qualche sintomo sulla pelle.
    È invece una vera evoluzione in campo educativo quella di trascurare caso mai la struttura esterna, la «pelle» del gruppo e invece occuparsi profondamente della vitalità dei vari organi interni, da cui dipende anche il buon funzionamento del gruppo.
    Ad esempio: si organizzano gite e pellegrinaggi, esperienze apostoliche, ma o non si programma una Revisione di Vita prima e dopo di esse o la si fa senza convinzioni. Questo sarebbe davvero un curare le strutture esteriori e trascurare i dinamismi interiori, quelli vitali. Ne viene un gruppo che si sostiene finché è puntellato dall'esterno, ma che crollerà appena questa sovrastruttura cade.
    Tutto il discorso fatto sulla «discussione» è parte di questa conversione dall'esterno all'interno, dalle strutture ai dinamismi in campo educativo e pastorale.
    E per completare la presa in considerazione del «discutere» come forza portante della formazione giovanile occorrerà dire ancora una parola per descrivere l'apporto o l'intervento dell'educatore-animatore. Si è visto che il discutere spontaneo, lasciato a se stesso, può degenerare. Occorre coltivarlo, canalizzarlo, plasmarlo, come un artista fa con la creta.
    La Revisione di Vita esprime la forma coltivata e plasmata della discussione. Non è qui il caso di esporla nei suoi dettagli: ci è bastato qui inserirla in una dinamica spontanea e potente per valorizzarla e indicarne la praticità.
    L'apporto costruttivo dello schema di revisione sta proprio nell'essere un secondo sguardo, come scrive Bonduelle, una seconda considerazione dei fatti, delle proprie reazioni ai fatti. La prima reazione è di solito istintiva, suggerita da modelli ambientali: è poco una scelta personale. Il progredire come uomini e persone comincia con una attività di revisione, di discussione di se stessi (autocritica), che riorganizza, corregge, «converte» sostituendo ai motivi della prima reazione nuovi motivi, nel nostro caso il Cristo con il suo sistema di vita.
    La discussione personale mette l'accento su tutti i tre momenti della Revisione di Vita: il vedere come realismo, constatazione dei fatti come sono, riesame dei fatti per un realismo più profondo; il reagire (terzo momento) come intervento personale, atteggiamento, presa di posizione, anche questa revisionata se fu preceduta da una istintiva e poco decisa; il giudicare come applicazione per maturare liberamente, consapevolmente, «a ragion veduta», per libera iniziativa e motivazione, il proprio agire.
    In fondo l'umanità cresce con il crescere di reazioni motivate e libere di uomini in risposta alle situazioni della vita. I nostri programmi pastorali vanno per tutt'altra strada, nel senso che non seguono la vita con le sue situazioni stimolanti e sfidanti che, una dopo l'altra, si propongono alla persona e la muovono a reagire.
    Noi partiamo dai fatti di vita per volare ai problemi e poi discorriamo sui problemi (familiare, scolastico, sociale, ecc.), facciamo dei propositi, prendiamo delle iniziative dimenticando le situazioni vive, il loro riproporsi quotidiano, il loro svilupparsi in base alle reazioni dell'individuo. L'ascetica, la pietà, l'apostolato, l'impegno cristiano si muovono per la nostra pastorale nell'individuo in modo parallelo con il decorrere delle situazioni della sua vita. Egli stesso è sdoppiato, finisce alle volte di avere due morali, due vite: una degli impegni apostolici promossi dalla diocesi, l'altra della sua «vita privata», sovente contrastante con la «vita programmata».
    La Revisione di Vita canalizza ascetica, pietà, impegni, apostolato dentro il flusso del quotidiano. La discussione dei fatti vissuti matura una fede ed un impegno che è anima degli stessi fatti in una seconda edizione riveduta e corretta. Così concrescono insieme il vivente sulla terra di un ben determinato quotidiano e il seguace di Cristo.
    Per canalizzare l'attività religiosa in modo che sia lievito dell'attività della propria esistenza la programmazione religiosa ha come «materia prima» (dicono i testi della JOC) gli stessi fatti che sono nell'esistenza. Attraverso la discussione questi fatti e l'esistere in essi vengono innestati nei misteri, cioè l'uomo vivo in quanto imbevuto di divina presenza ed azione, per cui nasce una reazione a questi fatti che è scaturita da questi motivi soprannaturali.
    Uno schema per questo innesto è utile all'educatore-animatore perché è difficile giungere ai misteri per la via della discussione dei fatti (dal vedere al giudicare). Uno schema del mistero che è molto in continuità con i fatti problematici della vita è quello di Cristo via, verità, vita.

    Cristo-verità nelle discussioni della Revisione di Vita

    In fondo le discussioni cercano la verità delle cose: la «bellezza e verità delle cose», come dice Anile nel suo libro. Ora è bene tener presente tutto il mistero di Cristo come Verità. Solo che questo termine va purificato dalla esagerazione razionalistica, che ne ha fatto una cosa a sé: le «verità da credersi», l'incarnazione, la resurrezione, ecc., verità che noi esponiamo come cose separate, avulse dalla realtà vissuta oggi da noi. Cristo non è solo verità sostanziale, anzi per questo Egli è «la verità di tutte le cose», il vero significato, il vero senso, il vero reale, profondo. Come è bella l'espressione di Col 2,17 nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme: «Tutto questo non è che ombra: la realtà è il corpo di Cristo», cioè la verità di tutto è il Dio incarnato.
    Ora, discutendo è bene accentuare il desiderio di verità, di realismo e poi proporre Cristo che si rivela a noi come verità, luce di tutto.
    Per l'animatore questo comporta una «revisione» dei suoi studi teologici per ricollegare le «verità cristiane» a quella realtà concreta cosmica e storica, da cui il razionalismo le aveva staccate: ritrovare l'incarnazione, l'Eucaristia, l'ultimo giorno, la risurrezione, la morte, lo Spirito Samto, il Padre, la grazia come verità di ogni vita, di ogni aspetto della vita umana: in pratica, dei fatti di cui discutono i giovani. Allora la loro discussione può diventare Revisione di Vita.

    Cristo-vita nelle discussioni della Revisione di Vita

    Nel giudicare (o meglio a capire») si cercano i valori, cioè ciò che fa vita, che fa storia, che sviluppa le situazioni, che è un progetto e un piano di progresso di perfezione. Ora Cristo è tutto questo: è salvatore dell'uomo, è vita, storia, progresso, soluzione, risurrezione, allargamento e perfezione (1 Cor 1,30). Il suo «sistema» non include le soluzioni tecniche della politica e dello sport, ma include il far nuovo il cuore dell'uomo, da cui escono le scelte e le modificazioni delle soluzioni tecniche.
    Ora, occorre anche qui saper mostrare come Cristo è vita invece di ripetere fino alla noia che Cristo è vita: mostrare come per opera dello Spirito vivifica il cuore dell'uomo: il suo desiderare, il suo amare, il suo valutare le cose e così è principio vitale di ogni attività tecnica dell'uomo. Il razionalismo è ancora chiamato in causa, perché ha fatto pensare a Cristo-vita in astratto: si dovrebbe dire Cristo-vita della vita umana, sociale, produttiva, artistica, ludica, sapendo mostrare come Egli è risurrezione e vita nuova del nostro reagire (ecco la vita) dentro le situazioni quotidiane: è bene qui mettere al centro la risurrezione (passaggio, far passare da morte a vita, da stato mortale o mortifero del nostro reagire a stato vitale e fecondo), quindi la messa come quotidiana concretizzazione della risurrezione ed a questo nucleo ricollegare come mezzi strumenti, meccanismi, agenti, promotori, ecc. tutte le altre realtà del «sistema» di Cristo.

    Cristo-via nelle discussioni della Revisione di Vita

    Infine, nelle discussioni si cercano i modi pratici per realizzare i progetti escogitati, le vie per risolvere la situazione secondo i progetti. È il terzo momento: l'agire (o meglio il collaborare) della Revisione di vita. Anche qui Cristo-via diventa un punto di riferimento pratico per riscoprire tutto il sistema operativo (la morale) con cui la Vita divina diventa vita della nostra esistenza sulla terra.
    Gli schemi di azione, di reazione, di intervento troveranno in Cristo la matrice paradigmatica, anzi troveranno il protagonista, poiché all'idea di imitazione nella Revisione di Vita si preferisce l'idea di collaborazione. Ciò significa che per realizzare la Vita nel mondo o per farla progredire Gesù Cristo è già in azione con il suo Spirito, è già protagonista, ha già intrapreso una reazione che risolve e salva. E questo non solo in generale o in astratto (di nuovo il razionalismo) ma nella concretezza della vita di ogni persona: Abramo, Giacobbe, Pietro, Giovanni, Sisto e Cornelio, Francesco d'Assisi, Santa Teresa, Vincenzo de Paoli, Giuseppe Roncalli, Martin Luther King, fino a ciascuna persona che incontriamo, senza notorietà per il mondo ma con un valore immenso per il suo Creatore. Un'ultima osservazione è questa: lo schema, del resto classico, di Cristo via, verità e vita va tenuto presente sia in modo diretto che indiretto.
    - Per modo indiretto si intende questo: nella discussione non è sempre producente giungere subito a Cristo. Il vedere, ad esempio, deve muoversi su un piano di analisi razionale dei fatti e delle persone; ma ci sono aspetti reali dei fatti che portano a sboccare sul Vangelo ed aspetti reali che invece deviano e portano lontano. Lo schema evangelico serve allora di guida nel mettere in rilievo gli aspetti che sono nella giusta linea, convergono al centro.
    - Per modo diretto si intende invece lo schema di Cristo via, verità e vita come lievito, salvezza e compimento di quei valori che sono stati scoperti nella propria esistenza e che insieme mostrano di aver bisogno d'un salvatore per essere compiutamente vissuti e realizzati.


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