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    Dal discutere al saper discutere



    A proposito di revisione di vita

    Giancarlo Negri

    (NPG 69-01-22)


    Di fronte a tutti noi c'è un problema concreto: 88,9% dei giovani vogliono discutere.
    Come condurre avanti i gruppi senza che si affloscino in breve tempo? Tutti sentono questo problema. Nel numero di novembre si è già aperto il discorso concreto della Revisione di Vita proprio su questo punto. Vogliamo ora attirare l'attenzione ulteriormente sull'interesse per il discutere dei giovani perché sia utilizzato a spingere avanti la formazione del singolo e la vitalità del gruppo.
    Questo articolo introduce solo il problema Per ragioni di spazio, le soluzioni sono rimandate al successivo.
    Nel numero di novembre si è parlato della «discussione» come vitalità del gruppo. Si è detto che la differenza tra gruppo sano e gruppo malato è data dalla maggiore o minore capacità di autentica discussione. Da questa constatazione si è proceduto alla indicazione della Revisione di Vita come metodo che si innesta in questa energia spontanea della discussione e la utilizza per la catechesi e la formazione.
    Scopo di questo articolo: capire la tendenza psicologica alla discussione. Per introdurre alla Revisione di Vita è opportuno riscoprire davvero la tendenza alla discussione dei giovani in tutta la sua importanza, difficoltà e vitalità. È bene studiarla dal punto di vista psicologico e anche da questa angolatura giungere a valorizzare la Revisione di Vita. Un discorso al riguardo è stato già fatto in Note di Pastorale giovanile 1967 n. 4: «Sappiamo discutere con i giovani?».

    LA SECONDA ETÀ DEI PERCHÉ

    Ripartiamo dalle cifre: 88,9 % dei liceisti (inchiesta del 1965 a Roma) vorrebbero una lezione di religione dove prevalga la discussione sulla esposizione, sulla ricerca, sulle esortazioni, ecc.
    Questa tendenza ha altri indici più empirici: la spontaneità con cui i giovani si mettono a discutere, commentare e criticare i fatti sportivi, sentimentali, politici ed anche ecclesiali a partire dai giornali e dalla TV: la facilità con cui i giovani «cercano un prete con cui chiacchierare» o se non un prete, un adulto di fiducia.
    La discussione si apre spontanea nei momenti più impensati: si direbbe che è una inclinazione a cui basta un minimo di opportunità per entrare in azione. Notiamo altri indici: l'obiezione facile a scuola, la discussione con i genitori, le discussioni con la ragazza, e meno massivamente i cineforums, i dibattiti, le tribune degli anni verdi, che tutti riscontriamo come i momenti più intensi di ritiri e campi-scuola.
    Il fenomeno del discutere è verificato da tutti nell'età giovanile, ma non tutti lo centrano come punto nevralgico, come forza portante, come punto d'appoggio di tutto un metodo pastorale. In generale lo si ritiene un aspetto trascurabile dell'età giovanile e non il primo effetto dello sviluppo specifico dell'età giovanile.
    Alcune pastorali, precisamente quella francese, quella canadese, un poco quella olandese e quella statunitense, hanno invece utilizzato come fattore primo del metodo questa tendenza alla discussione, moltiplicando i gruppi di discussione ed i metodi di discussione come formula catechistica per l'età giovanile. Il metodo noto in Italia di «Mondo e Fede, o metodo Babin», è fin troppo impostato sulla tendenza a discutere dei giovani stessi.
    I dirigenti della pastorale italiana e gli operatori sono invece meno persuasi di questo e continuano a vedere il giovane come un adolescente, lavorandolo con impegni, con esperienze affettivamente riuscite, diffidando delle discussioni che appaiono lasciare il tempo che trovano o ridursi a critiche. Altri continuano a considerare il giovane addirittura come un fanciullo cresciuto: cresciuto nel senso che ha altri problemi fanciullo nel senso che lo si lavora con le tecniche di prima, più o meno esortazioni, conferenze, racconti, attività e persino cartelloni più grandi (foto, dischi, ecc.).
    A tutti costoro bisogna mostrare l'importanza e la vitalità della «discussione »J rettamente intesa come vedremo, per agganciare, maturare ed evangelizzare i giovani.

    * Discutere per nascere come personalità
    Un primo aspetto da ricordare è il legame tra la passione del discutere e la maturazione della personalità. A partire dai 14 anni (data la precocità attuale), attraverso un processo di interiorizzazione, di assolutizzazione e di socializzazione «nasce» la personalità, così come verso i 3 anni e mezzo (la prima età dei perché) era nata diciamo l'intelligenza come facoltà delle cose, delle cause e spiegazioni.
    Il punto nevralgico della personalità è l'autonomia: è l'io che vuol essere soggetto libero, responsabile, convinto delle proprie idee, dei progetti, delle scelte. Siccome fino a quella età tutto era ricevuto per autorità e con una comprensione puramente tecnica, è naturale la «messa in questione» di tutto, quasi lo svincolarsi dalle braccia dei genitori per camminare da sé, ed è pure naturale l'interrogarsi su tutto (l'età dei perché) al fine di farsene un'idea propria, al fine di accettare le cose per una convinzione provata e saggiata proprio attraverso la discussione.

    * La passione del discutere
    Un minimo di interesse verso se stesso comporta un appassionarsi al discutere che ha l'intensità stessa del nascere, che fa scaturire emozioni profonde, che trascura persino la logica pur di realizzarsi ed essere così segno e prova della nascente personalità.
    Tutti abbiamo notato la foga con cui un giovane, che è riuscito a vedere da solo la conclusione di un ragionamento, la proclama e la sostiene d'impeto. Non tutti notiamo e sfruttiamo questa vigorosa passione. Non è purtroppo facile l'atteggiamento di ironia che blocca e chiude il processo? Non è facile dire: «non capisci niente!», il che ottiene lo stesso blocco? Non è qui l'origine del rivolgersi al gruppo di coetanei, dopo che l'incontro con gli adulti (genitori, preti, dirigenti) ha ferito nell'intimo o per l'ironia o per la crudele evidenziazione del loro balbettare quanto alla logica?

    * La forza coesiva del discutere
    Nel numero 4 di Note (1967) abbiamo soprattutto evidenziato questo aspetto del discutere: esso è segno, sostegno e sviluppo dell'amicizia e di gruppi di amicizia. Si comincia con il discutere di sport (senza coinvolgere la persona), ma se si giunge a discutere dei propri problemi umani, per decisione libera, ciò significa che è germogliato un rapporto di stima, confidenza, fiducia e questo inizia i gruppi e li sostiene più di qualsiasi altra forza.
    Come è controproducente il sistema degli inviti-pressione perché si aprano ed abbiano confidenza: «dite i vostri problemi», «rispondete al questionario», ecc. Questi inviti alla confidenza da parte di adulti, sono in contraddizione con la dinamica di crescita dei giovani tutta tesa alla spontaneità. Perché si aprano, bisogna prima conquistarne la fiducia, muoversi cioè in una dinamica di amicizia reale, altrimenti la discussione sarà di tipo contraddittorio (le discussioni dove hanno sempre qualcosa da replicare) o di tipo tecnico, come se consultassero un dizionario. Il «discutere» nella reciproca confidenza e fiducia, in un clima di amicizia, è invece l'espressione più forte, perseverante e progrediente dei gruppi di amicizia. Ha soltanto come espressione parallela il cantare e fare gite insieme ed anche fare esperienze di tipo caritativo, sociale, apostolico insieme. Ma anche in queste espressioni la «conversazione», lo scambio di confidenze - varianti di quello che chiamiamo il discutere - è sempre elemento centrale di espressione e di coesione.

    UNA GIUSTA RIVOLUZIONE PASTORALE: DALLE STRUTTURE ALLE DINAMICHE

    In conseguenza di questo dato di fatto occorre da una parte penetrare a fondo nel fenomeno della discussione con il suo bene ed il suo male, come faremo subito dopo; occorre inoltre giungere a delle opzioni di fondo, che possono apparire come una vera rivoluzione in campo pastorale. Clark, Allport ed altri psicologi hanno forse ragione quando dicono che la Chiesa ha strutture e metodi per l'infanzia e l'età adulta ma non per la giovinezza. Sta di fatto che noi abbiamo strutture metodologiche di questo tipo: conferenze religiose, riunioni per l'educazione morale, liturgica, ecc. In queste strutture i valori, i contenuti fanno anche da metodo: servono da richiamo ed esempio.
    Secondo i metodi educativi classici, come lo scoutismo, si prende invece una spontanea energia portante e su di essa si collocano valori, impegni, propositi, esercizi spirituali; i valori vengono assimilati e vissuti in base a quella energia. Ci sono metodi che hanno come energia portante il fare gite-pellegrinaggi; oppure il costruire insieme delle case; oppure la passione del cinema; oppure l'interesse sociologico. L'energia portante è manipolata, lavorata perché «porti» alla assimilazione di tutti o quasi tutti i valori necessari per la personalità.
    Una simile energia portante è il «gruppo spontaneo», da distinguersi in Italia da quei gruppi, i quali sono «gruppi spontanei» in un senso molto preciso e particolare.
    E un'altra energia portante è la «discussione», quale dinamica spontanea che comprende il discutere tutto della vita (mettere in questione tutto), il cercare la posizione da prendere rispetto a tutta la vita, il farsi una convinzione propria a riguardo degli impegni richiesti dalla vita.

    * Dal discutere al saper discutere
    Le «discussioni» sono già di casa nelle associazioni giovanili: dalle lezioni di religione ai cineforum e non sembra che portino ad effetti strabilianti. Dove sta dunque la novità? La novità sta nel passare dal discutere spontaneo al saper discutere. Ogni energia spontanea va coltivata bene, come Alessandro Volta ha coltivata quella debole energia elettrica che aveva scoperto, fino ai potenziamenti più impressionanti. Di per sé la tensione che si attua nel discutere è grande e duratura: occorre canalizzarla, stimolarla, esaltarla fino a farne l'energia portante per impegni, perseveranti e operativi sia nel singolo che nel gruppo. Ma come fare? Come passare dalla discussione provocata dai fatti del giorno ad una discussione «seria e impegnativa»? Come sostenere tutto un sistema educativo giovanile, un organico insieme di gruppi, di strutture, di programmi su questa semplice tendenza al discutere?
    L'esperienza di 50 anni del movimento J.O.C. in tutto il mondo può garantire che la cosa non solo è possibile, ma relativamente facile, se questo movimento educativo giovanile è stato capace di galvanizzare masse di giovani operai.
    Il Card. Cardijn ha saputo far discutere ed i suoi gruppi, misurati sulla possibilità di una discussione comune sono la nervatura centrale di tutto il sistema, innegabilmente efficace. Ora i gruppi girano attorno alla Revisione di Vita, che è un «saper discutere», è un metodo utilizzante la spontanea tendenza a discutere fino a farne l'energia portante di tutta una formazione.

    * Discussioni invece di conferenze
    La Revisione di Vita incomincia da questa semplice sostituzione: discussioni invece di conferenze. Discussioni sapientemente dirette e coltivate fino a portare alla scoperta di se stessi e del mistero della vita e fino all'impegno nella vita.
    Di per sé la scoperta del mistero della vita può essere fatta anche con delle conferenze: la capacità intellettuale dei giovani lo assicura. Ma è risultato che la scoperta fatta attraverso conferenze raramente diventava spinta ad impegni corrispondenti, mentre la stessa scoperta raggiunta attraverso discussioni guidate, cioè attraverso una personale, interiore conquista, scatenava facilmente una forza d'inclinazione spontanea all'impegno e alla conversione della vita.
    La «conferenza», intesa come contributo di un adulto nella fede, cioè di qualcuno che ha un possesso maturo ed esperimentato dei valori in discussione, non va perduta. Non si tratta di lasciare i giovani in balia di una avventurosa ricerca del vero, intralciata da tante deformazioni acquisite dall'ambiente e bloccata dalla immaturità di logica e di scienza. Il contributo storico di chi possiede-già i valori è pienamente incluso, tanto che nel secondo momento della Revisione di Vita si apre il Vangelo, cioè ci si rivolge al Maestro di verità, che è Cristo con i suoi ministri e strumenti.
    Ma la collocazione di questo intervento è del tutto cambiata, poiché l'apporto di verità ancora sconosciuta si inserisce in una dinamica di ricerca viva e spontanea.

    * «Non prius collocato animo» (S. Agostino)
    Nel suo De catechizandis rudibus, S. Agostino raccomanda al capo 9 che nessun educatore osi proporre delle verità prima di avervi preparato l'animo dell'ascoltatore: «non prius collocato animo».
    La norma ha delle conseguenze operative vastissime: in generale non ci si bada; in generale si trascurarono queste preparazioni dello spirito e degli atteggiamenti, contribuendo così al determinarsi delle reazioni più negative. Quanto ai giovani la norma agostiniana porta a valutare quella tendenza a discutere, poiché proprio nella discussione se ben guidata si matura nel giovane un atteggiamento di pensosità e di religiosità. È questa la fiducia che occorre riavere: convincersi che nel discutere il giovane mette in moto le dinamiche più importanti e decisive del suo spirito.
    Nella Revisione di Vita il «vedere» ha anche la funzione di «collocare l'animo» in un atteggiamento di ricerca e di impegno, dove cade bene la Parola di Dio. Sovente noi accusiamo la giovinezza di superficialità, di disimpegno per le cose dello spirito, di indisponibilità alla catechesi. Ora la Revisione di Vita trova un ricco filone di possibile pensosità nei «commenti ai fatti del giorno», che i giovani, a differenza dei preadolescenti, sono portati a fare di continuo. Il discutere i fatti del giorno da una parte è facilitato e avviato dai fatti stessi, dalla vita, dall'interesse per la vita sociale, che è proprio del giovane e dall'altra è un inizio di pensosità proprio perché è discussione, ricerca, critica, ragionamento sui fatti di vita.
    Non si saprebbe dire se sia più forte l'interesse per i fatti di vita o l'interesse per la discussione di essi. Ad ogni modo entrambi gli interessi sono un vero incamminarsi verso una fede vissuta: l'interesse per la discussione incammina verso la scoperta dei misteri della vita e l'interesse per la vicenda di vita dispone ad un impegno di vita nei riguardi dei misteri scoperti.

    * Chi sa discutere con i giovani, li ha in mano
    A chi non fosse ancora convinto dell'importanza del discutere, ricordiamo ancora il fenomeno da tutti considerato grave nella educazione dei giovani dei cosiddetti «cattivi discorsi». Tutti ammettono che la corruzione comincia da questi «cattivi discorsi» che giovani già sistemati nel disordine fanno ad altri.
    La cosa che qui preme notare è l'elemento «discussione» che opera in questo fenomeno: vi sono inclinazioni e tentazioni, ma il fattore risolutivo sono i «discorsi», che non sono a tipo conferenza ma a tipo commento, discussione, intreccio di giudizi, motivi, ragionamenti scambiati tra diversi giovani.
    Lo studio della dinamica dei «cattivi discorsi» porta a scoprire alcune parti della tecnica del discutere: la testimonianza, poiché i giovani parlano di esperienze vissute (o inventate come vissute); la valutazione, poiché in generale si testimoniano cose favolose a proposito delle esperienze vissute con una sicurezza persuadente e tentante; il carattere dialogico e interpellante, poiché i giovani si agganciano a stati d'animo realmente provati da coloro a cui si rivolgono, interpellano, provocano risposte, dialogano e discutono e non semplicemente raccontano le loro esperienze; il realismo, poiché in generale i giovani sanno evidenziare proprio gli stati d'animo, i pensieri, le riflessioni interne che i loro interlocutori hanno provato e vissuto, mostrando di portare una proposta che riesce realistica per questo aggancio a fatti reali dell'esperienza interiore quotidiana dei giovani.
    Se noi potessimo impiegare queste tecniche per i valori cristiani della vita?
    Da una parte i valori sono «connaturali», cioè agganciabili agli stati d'animo vissuti dai giovani e sono «salvatori» di questi; dall'altra nessuna di queste tecniche è impossibile a noi, né la testimonianza, né la valutazione; né la dialogicità né il realismo.
    Dalla terribile efficacia dei «discorsi cattivi» siamo dunque persuasi a studiare a fondo l'utilizzazione pastorale della tendenza a discutere che i giovani hanno, cercando di utilizzarla secondo le indicazioni scoperte: è chiaro che se non vi è testimonianza, se non vi sono persone che testimoniano, fatti testimonianti, come il darsi da fare per i poveri, il nostro discorrere non avrà forza. Ma è anche chiaro che il buon esempio delle testimonianze, senza la mediazione dei «discorsi buoni», intesi nella dinamica indicata, non porta alla «mise en mouvement» della conversione personale.


    T e r z a
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