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    Si possono «promuovere» i gruppi spontanei?



    Giancarlo Negri

    (NPG 1968-01-24)

    All'entusiasmo della scoperta di nuove forme di associazionismo, si può facilmente dare una veste desunta dal guardaroba di una mentalità cresciuta in un certo fissismo istituzionale e strutturale. Nel clima di programmazione, può riuscire evidente inserire tempi e modalità anche per il sorgere dei gruppi spontanei, come era opportuno farlo, un tempo, con il gruppo designato dall'alto.
    Nella giusta preoccupazione educativa di invitare i giovani ad accettare e a valutare valori che forse spontaneamente non coglierebbero, è sempre all'erta il pericolo di un paternalismo educativo.
    G. Negri denuncia, in un attento esame di realtà, questa tentazione che può ridurre l'associazionismo ad un puro vuoto nominalismo.

    - la parola dell'autorità non è parola creatrice
    - fare che vogliano e non volere che facciano
    - il gruppetto autonomo
    - l'educatore come catalizzatore
    - le personalità come principio educativo
    - abbiamo davvero capito la dinamica di gruppo?
    - che cosa c'è tra catechesi e associazionismo?
    - i gruppetti autonomi che cosa c'entrano? sono una realtà del nostro mondo educativo?

    I. IL PROBLEMA IN CONCRETO

    1) La parola dell'autorità non è parola creatrice

    Partiamo da un modo di fare: in molti collegi i superiori decidono che per l'Immacolata, ad esempio, le associazioni interne debbono incominciare a funzionare. Se in un collegio si è già parlato di «gruppi spontanei», questo discorso viene inteso come un discorso nel metodo, che non cambia l'ordinato funzionamento del collegio. La struttura tradizionale di esso vuole che ad una certa data funzionino le associazioni e di conseguenza si cerca di forzare le cose perché effettivamente sorgano al momento voluto.
    Ma solo Dio ha una parola creatrice. Una parola cioè che fa esistere le cose. L'ordine del superiore potrà essere eseguito, ma non crea di per sé il sorgere spontaneo di un movimento di sentimenti, di convinzioni e inclinazioni, che portano al gruppo spontaneo.
    Che cosa ne viene? Ne viene che quanto sorge, «promosso» dall'alto può essere artificiale, ridursi a esteriorismo, svilupparsi in formalismo oppure più semplicemente essere adottato senza convinzione interiore e quindi senza vero frutto educativo.

    2) La sostanza del problema e le sue conseguenze

    Dove sta qui il nocciolo della questione? Sta nel vedere quale delle due forze in gioco deve determinare il corso della programmazione. Una forza è il piano dei superiori: essi vogliono che alla festa dell'Immacolata i gruppi esistano. È una esigenza obbligante, poiché vi è una data fissa. Dall'altra parte vi è la forza della spontaneità giovanile. Essa esige che sia rispettato il suo proprio ritmo di sviluppo nel passare dalle esigenze agli interessi, dagli interessi alle convinzioni, dalle convinzioni alle realizzazioni. Il punto nevralgico sta qui: si può accelerare lo sviluppo spontaneo anche se così si spegne la sua spontaneità? Purtroppo queste morti sono inavvertite sul principio e molti educatori pur di avere qual cosa in piedi per la festa dell'Immacolata, forzano i motori e li bruciano, ma esteriormente la festa riesce benissimo e una superficiale soddisfazione inganna un poco tutti, superiori e giovani.
    D'altra parte che cosa bisogna fare? Se si lascia tutto alla spontaneità il «funzionamento» dell'istituto viene compromesso, un disagio generale disturba tutti i settori, scuola e disciplina ed esempio.

    3) L'uomo per il sabato o il sabato per l'uomo?

    Ma proprio in questo malessere sta il punto decisivo. Il disagio è proprio di tutte le crescite spontanee, proprio di tutte le cose naturali. Quando si mettono insieme natura e strutture il disagio è inevitabile: o sta male la natura a beneficio della struttura o soffre la struttura a beneficio della natura. O faticano i superiori, ma i giovani crescono in modo convinto e interiormente condiviso, o stanno meglio i superiori nell'«ordine», nel rispetto della «tabella di marcia», ma soffrono i giovani che seguono superficialmente e non intimamente.
    È chiaro che non si tratta di passare da un estremo all'altro: natura e struttura devono collaborare. Ma in questa collaborazione è la struttura che serve ed è la natura che è servita. Appena i compiti sono rovesciati, appena la natura viene subordinata alla struttura, l'educazione è compromessa.
    Ora, escludendo le posizioni estreme, quale è il giusto equilibrio? Vediamo diverse soluzioni possibili.
    a) preferenza alla struttura decisa dall'alto e concessioni alla spontaneità.
    È quando si raggiungono gli obiettivi decisi nel tempo prefissato, rispettando la spontaneità quanto si può. È la posizione di coloro che dicono: o per amore o per forza.
    b) preferenza alla spontaneità e attenzione alle strutture programmate.
    È quando si stabilisce di favorire lo sviluppo spontaneo dei giovani, cercando di stare alle scadenze programmate, ma in caso sacrificandole, piuttosto di sacrificare la spontaneità.
    c) strutture ordinate, ma in funzione dello sviluppo spontaneo.
    È quando si tiene pronta nella mente e negli strumenti la struttura, ad esempio una festa per l'inizio dei gruppi, ma la si attua al momento più adatto della maturazione spontanea.

    4 ) Questionario

    - Quale delle tre soluzioni è più giusta? A noi sembra la terza, poiché concepisce la struttura in modo talmente elastico da sintonizzarla agevolmente con il ritmo di maturazione della natura. È come il contadino che fa il banchetto quando l'uva è matura. Il contrario è il contadino che fissa più o meno la data e poi mette in tavola l'uva anche se è ancora acerba.

    - Quale delle tre soluzioni è la più usata? Sembra la prima per la impazienza degli adulti rispetto ai giovani e per la convinzione che bisogna forgiare il ferro per renderlo acciaio. Si parla di verga da usare, di indeterminatezza della natura da plasmare, di valori da «introdurre», concependo un po' i giovani o come semplice marmo per statue e non già una statua sia pure soltanto abbozzata o ancor più come soggetti addirittura da rieducare soltanto.

    - Perché non è preferibile la seconda soluzione? Perché è basata su una divisione non giustificata e ingombrante. Quando si deve contemporaneamente salvare da una parte il crescere della spontaneità e dall'altra le esigenze di un programma educativo indipendentemente stabilito si finisce con il far male tutte e due le cose. Nella terza formula invece la strutture tradizionali ci sono, perché storia ed esperienza ne hanno provato il valore per la perfezione dell'uomo, ma è la spontaneità, giustamente diretta e guidata, che le raggiunge nel momento e nel modo che le è possibile e non viceversa. In tal modo anzi queste strutture tradizionali, i valori perenni sono pienamente vissuti, proprio perché quando la spontaneità ci arriva, ci arriva con piena convinzione.
    È chiaro che la spontaneità non arriva da sola a questo punto, ma altro è stare accanto alla spontaneità dello sviluppo e fornire quegli interventi orientativi del naturale impulso che la dirigono verso le mete e altro è stare davanti agli individui e costringerli a camminare in una certa direzione volenti o nolenti.

    5) Fare che vogliano e non volere che facciano

    Anni fa si è lanciato questo slogan educativo, denso di significato, anche se sembra soltanto una boutade. È una precisa indicazione di come deve realizzarsi l'intervento educativo: un intervento dedicato a persuadere la volontà, perché poi essa voglia fare e non un intervento che porta a fare comunque.Sembra questo un contraddire l'assodato principio della esperienza, per cui il far fare è ritenuto essere un buon metodo per giungere alle convinzioni: «prova e poi vedrai», si dice correntemente nel metodo della «Gioventù Studentesca». Ma vi è esperienza ed esperienza. Quando un amico propone un'esperienza, si procede per via di amicizia, di proposta e non di imposizione anche soltanto morale. Questa esperienza trova consenzienti tutte le energie dello spirito, che Perciò traggono dalla esperienza tutti gli arricchimenti che possono. Invece se vi è una esperienza imposta da una autorità è come una separazione di alcune energie operative, implicate nella esperienza, da tutte le altre, dall'io, come lo studio psichico dell'Ego-involvement ha provato, incamminando tutto il processo di sviluppo verso risultati deteriori di formalismo, estrinsecismo, opportunismo.
    Come agire allora?

    II. DOVE NASCONO I GRUPPI SPONTANEI

    6) I fattori in gioco

    Prima analizziamo i fattori che entrano in azione per dar origine ad un gruppo spontaneo.

    a) il gruppetto autonomo.
    Innanzitutto (si rilegga il libretto di Meister, I piccoli gruppi) c'è un gruppetto di giovani, alunni, oratoriani, membri di associazioni, ecc. che è autonomo. Che cosa significa? È capace di prendere iniziative, prima ancora è sensibile ai problemi, è dotato di forze esecutive e di continuità nell'interesse. Non si tratta sempre di leaders. Ed è meglio così: il leaders, individuo tra la massa, può assumere un aspetto controproducente; quanti collegi e oratori conoscono il caso dei pochi buoni, osteggiati, malvisti dai più come coloro che stanno dalla parte dei superiori. Quella terribile frattura, che fa vedere i superiori da una parte e gli alunni dall'altra, viene persino accentuata da questo tipo di leadership. Invece il gruppo autonomo, secondo le esperienze riportate dal Meister, è composto di gente che non si riduce alla massa e tende ad avere spontanee iniziative, non per ribellione o altro, bensì per vitalità. Il termine «autonomo» va qui inteso nel senso di sufficiente, di capace di sentire un problema spirituale per conto proprio, capace di affrontarlo, capace di perseguire con tenacia una meta prefissa.

    b) la massa del secondo momento.
    Da questo gruppetto che è capace di partire per conto suo, anche senza imbeccate o esempi, occorre tener distinta la massa dei tanti, che in un secondo momento si associano ad una iniziativa. Basta che un'iniziativa di azione o di vita associativa faccia presa, diventi stimata e osservata, perché assuma presto il ruolo di centro d'attrazione per molti, che vi si aggregano per il bisogno psichico di assomigliare e imitare i grandi ed i forti e possibilmente prendere parte alla loro vita. Questo dinamismo spiega l'allargarsi talvolta rapido dei gruppi bene impostati e riusciti È il secondo momento della vita associativa giovanile. Momento delicato, perché la massa può svigorire la consistenza del gruppo iniziale, ma può anche essere beneficamente promossa ed elevata da questa fusione.

    c) l'educatore come catalizzatore.
    Rispetto a questi dinamismi che parte ha l'educatore? Riguardiamo soprattutto la genesi del gruppo autonomo. È chiaro che se si tratta di tipi autonomi, come essi sono bastanti a se stessi, se vogliono mettere su un gruppo, così sono per lo più molto allergici ad assecondare iniziative, promosse dall'alto.
    Però raramente la loro forza autonoma dà origine da sola al sorgere di un gruppo spontaneo: occorre un catalizzatore, cioè una esperienza più intensa, un fatto sporadico più stimolante le energie in attesa. Ad esempio l'urgente bisogno degli alluvionati ha portato lo scorso anno molte energie giovanili a superare quel piccolo margine che le teneva lontane dall'entrare in azione. Quel fatto servì da catalizzatore. E molte di queste energie, una volta entrate in azione, hanno proseguito con la forza appunto dei gruppi autonomi.
    Ora questa funzione può essere compiuta dall'educatore. Egli sa che in questi tipi di giovani vi sono delle energie prossime a passare all'azione e interviene cercando di agire da catalizzatore. Questo intervento ha delle caratteristiche diverse dall'intervento dell'educatore come professore o come superiore, che è opportuno studiare.

    7) Ruolo dell'adulto o educatore

    Innanzitutto bisogna ben distinguere questo intervento da quello di promozione di una o dell'altra associazione tra i giovani.

    a) catechesi e gruppi autonomi.
    E proprio questa distinzione spiega perché parliamo di gruppi spontanei nel settore catechistico e non in quello dell'associazionismo.
    È chiaro che qui vi è confluenza di settori, ma il parlarne nel settore catechistico mette in evidenza come questi gruppi autonomi sorgano a partire da un intenso e profondo contatto con delle idee, con motivi e problemi di spirito. Ed è qui che ci distinguiamo dalla promozione delle associazioni entro una comunità.
    Conosciamo lo schema di un «lancio» dei gruppi spontanei tra i giovani:

    - una giornata intensamente dedicata al problema
    - previa preparazione, svolgimento del tema in assemblea generale
    - intervento galvanizzante di qualche personalità
    - indicazione di motivi, modelli e valori dei gruppi
    - invito a formare liberamente i gruppi e le associazioni

    Il gruppo autonomo invece sorge così:

    - occasionale buona riuscita di una lezione
    - approfondimento delle idee e commento da parte di pochi
    - invito ad un adulto a partecipare al gruppo improvvisato
    - forte esperienza emotiva entro la cerchia del gruppo
    - decisione di «fare qualcosa» e costituzione del gruppo.

    Se si osserva, questo iter è profondamente diverso da quello precedente per molti motivi. Ma il motivo che occorre sottolineare è il sorgere del gruppo a partire da un emozionante confronto con un problema di fondo: sarà la situazione dei paesi sottosviluppati; sarà un aspetto del mistero cristiano; sarà un tema morale, come la funzione dei giovani nel mondo contemporaneo. Dobbiamo immaginare una lezione particolarmente ben riuscita al professore di religione, quindi la viva impressione dei pochi, predisposti a questo livello di sensibilità e d impegno; quindi il desiderio di approfondire a parte (ed è questo un momento decisivo del processo) la questione, attorno ad un adulto scelto per la stima e il prestigio che gode tra quei pochi, quindi il ripetersi e l'intensificarsi della forte emozione nel corso di questo secondo confronto e infine il maturare di una decisione comunitaria, di dare consistenza di gruppo perseverante a quella riunione episodica.
    Perché si tratta di catechesi preferenzialmente? Perché la natura stessa degli individui interessati li porta a dare avvio ad esperienze del genere soltanto o preferenzialmente in occasione di un incontro particolarmente sentito con i problemi ed i valori, agitati nella catechesi o nei momenti più umanistici degli altri corsi. Si può dire ai catechisti che la loro materia, dovunque sia trattata, è un terreno fertile per il sorgere di iniziative del genere, purché i vari argomenti, soprattutto quelli di morale, di interpretazione del mondo, di comunità umana o politica, siano toccati con un calore e una forza di testimonianza e di vera passione.

    b) la delicata funzione dell'adulto.
    Una volta invitato nel gruppetto occasionale, l'adulto, chiunque esso sia, si trova in mano un delicato compito di regista. Tocca alla sua sensibilità muoversi nel gioco delle tensioni spirituali che sottendono tutta la riunione. Un graduale processo di reciproche influenze porta facilmente il gruppo ad una temperatura di decisione: esattamente la temperatura dove una proposta gettata là come un interrogativo diventa proprio il nucleo di condensazione che le tensioni comuni e individuali aspettavano per risolversi in un impegno soddisfacente. Quando ci si alza da queste riunioni con la comune decisione di ritrovarsi ancora, di dare inizio ad una ricerca in piena intesa, vi è negli animi quel senso di solidità, di impegni a lunga portata, di solidarietà tra i partecipanti che caratterizza il gruppo autonomo. La cosa importante di esso è l'assenza di un unico capo: anche l'adulto, che è stato chiamato, svolge una funzione importante per decantare e precisare gli stati d'animo, ma in un muto accordo tutti intendono riutilizzare quell'adulto senza farne il capo, soprattutto se fosse anche un superiore. La leadership è sostenuta da tutti insieme, sia per l'esiguo numero dei membri, sia per la loro autonomia spirituale.

    c) il seguito degli aventi.
    La forte personalità dei membri del gruppetto, venuta alla luce grazie al concorso rapido di tanti fattori (l'occasionale emozione, la riunione, l'adulto, la proposta, di ulteriori sviluppi), conferisce una ricchezza di iniziative e di ben centrati interventi d'azione del gruppo tanto da farlo presto salire ad un elevato prestigio sociale davanti alla massa, sia che i superiori lo accettino e sia che lo osteggino. Si pensi ai gruppi giovanili di «Mani tese». Inevitabilmente molti individui, di più debole costituzione spirituale, saranno attratti dal gruppo e chiederanno di parteciparvi. Comincerà così la seconda fase del fenomeno, dove l'intervento dell'educatore diventa anche più direttivo affinché il nuovo organismo crescente si inserisca armoniosamente nel tutto. La circolazione delle idee e la spontanea accettazione dei modelli di comportamento entro il gruppo trasforma questa forma associativa in un potente fattore educativo.

    III. SUGGERIMENTI PRATICI

    8) Il clima adatto

    Pensiamo a quelle piccole personalità, per natura disposte a dare inizio ai gruppi autonomi. Il loro quotidiano contatto con i professori, con gli educatori, che insieme formano una categoria, è determinante per l'evolversi verso una maggiore tendenza all'azione oppure per una involuzione verso forme immature di rapporto con il mondo.
    Tutto ciò che nel rapporto educatore-educando promuove la progressiva autonomia nella responsabilità, nell'autocritica, nella possibilità di esprimere le proprie doti diventa qui necessario.
    Non sono tanto i valori di massa che importano nell'educatore. Per valori di massa si intendono quei successi del singolo educatore o del gruppo di educatori che riguardano la maggior parte dei giovani: capacità organizzative della vita collettiva. Sono qui importanti i valori personali in quanto tali, cioè quei valori che rimangono tali al giudizio critico dell'individuo, specialmente se particolarmente dotato: valori di lealtà, di mancanza di timore, di indipendenza dal successo immediato, di profondità ed originalità di pensiero e di profonda bontà umana.
    Una buona regia della comunità di un collegio o di un oratorio darà a queste personalità di educatori un rilievo di secondo piano, ma non una svalutazione. Verso queste personalità si dirigerà, inevitabilmente, quella categoria di individui che hanno le doti per formare i gruppi autonomi. Già molti istituti educativi preferiscono una direzione spirituale più collegiale, cercando di mantenere l'unità educativa più attraverso l'accordo degli educatori che l'unità del direttore spirituale.

    9) Le personalità come principio educativo

    Soprattutto tra i giovani, a partire dai 14 anni, i nuclei di condensazione, attorno a cui può sorgere un gruppo o una particolare iniziativa sono le personalità degli educatori. Attorno ad esse si coagulano gruppetti di giovani e nella ricerca della verità da esse stimolata sorgono dai giovani stessi le più ricche e varie iniziative in uno sforzo di autoformazione. Chi dirige l'opera educativa deve perciò per questa categoria di giovani e per questo tempo in particolare muoversi in un'altra politica: più che affidare degli incarichi ai singoli educatori attendere il germogliare spontaneo di raggruppamenti, di orientamenti e timidi inizi verso l'una o l'altra attività attorno all'uno o all'altro educatore e favorire questi inizi fino al pieno sviluppo.
    In pratica:

    a) mantenere uno spazio disponibile per il libero e autonomo impegno degli educandi: se si entusiasmano per il Servizio Civile o per il movimento dei «Compagni di Emmaus» non si ritrovino già bloccati da iniziative tradizionali;
    b) in un secondo momento, quando la libera iniziativa dei giovani ha preso consistenza, collegare questa iniziativa alle formule tradizionali negli aspetti essenziali (il metodo, lo spirito, certe particolarità), che sono indubbiamente fecondi;
    c) destare nell'ambiente uno spirito di ricerca dei valori autonomamente determinata, favorendo immediatamente la libera iniziativa e quasi mettendo le possibilità della istituzione al servizio di questi tentativi dei giovani di essere seri e impegnati;
    d) favorire il circolare delle personalità degli educatori tra i giovani e lo spontaneo convergere di giovani attorno a queste personalità con una equilibrata possibilità di azione: se un gruppo intende scavalcare l'orario o altre norme per una ricerca in comune, attorno ad una personalità, questo non ha anche agli occhi degli altri un significato diverso da quello che è: l'impegno per una leale ricerca dei valori. L'autocritica del gruppetto stesso scoraggerà i malintenzionati, se in questo senso interviene l'educatore.
    f) favorire l'orientarsi di individui dalla personalità debole verso i gruppi autonomi già sorti dalla forte personalità e dall'intensa azione, ottenendo così il doppio vantaggio della maturazione dei primi in un senso e dei secondi in un altro.

    10) Favorire la spontaneità, servirla, parzialmente dirigerla

    Questo sistema educativo è veramente un sistema che vuole sfruttare a fondo la «dinamica di gruppo» per educare. Gli educatori mantengono elastica la struttura e il sistema dell'istituzione proprio per favorire il sorgere di gruppi autonomi e il loro assimilare altri individui. Su questa germinazione spontanea punta proprio come modo di educare tutto il sistema, che inizialmente favorisce il sorgere delle iniziative spontanee, impegnando a fondo le personalità degli insegnanti, degli educatori finché creano il fenomeno di forti emozioni e di inizio di gruppo di cui al punto 7: quindi servono questa spontanea dinamica nelle necessità di mezzi e di spazio vitale; parzialmente la dirigono al momento giusto perché finisca con il coincidere nella sostanza con le formule, care alla tradizione del proprio spirito.
    In tal modo il curriculum educativo di una istituzione è segnata da questi elementi:

    a) l'intenso dibattito di idee e di ricerca a partire dalla catechesi, combinata con i corsi di scuola se si è in collegio o con le attività sportive, turistiche, culturali-artistiche, che sono materia e occasione della ricerca e dello sviluppo.

    b) il rapido affermarsi e fiorire in una vita intensamente educativa in vari sensi e a tutti i livelli di una (o più) iniziativa, che anima e muove tutta la comunità per un certo tempo; ora l'oratorio si getterà nell'impresa di un gemellaggio con una Missione, ora in un servizio agli ammalati (volontari della sofferenza), ora in una impresa locale utile a tutti i giovani.

    c) dal succedersi di altre esperienze simili, mentre le precedenti si riducono ad un ritmo più quieto e dopo una certa stasi, indispensabile alla massa;

    d) dal combinarsi di queste iniziative spontanee con la sostanza di certe formule tradizionali per l'intervento degli educatori e in forma secondaria: i nomi e alcuni aspetti dei movimenti cambiano mentre rimangono altri aspetti delle tradizioni di un metodo educativo.


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