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    Che cosa può dire ancora ai giovani di oggi la devozione della Madonna



    Giorgio M. Gozzelino

    (NPG 1968-05-05)

    Io mi rivolgo al Cristo - Non prego mai la Vergine, prego il Cristo e questo mi basta - La Vergine non è indispensabile, Dio mi basta - Non vedo perché dovrei pregare la Madonna piuttosto che il Cristo o Dio - Andava bene quando ero una bambina - La Vergine per me è una specie di immagine che si conosce da quando si è piccoli, ma che non evoca nulla -È una buona fata - Non ha alcuna realtà, non è che un simbolo, più o meno come Adamo ed Eva...
    Parlano i giovani. Le espressioni riportate sono tratte da una inchiesta condotta su 400 ragazze del circondario di Parigi, dai 15 ai 20 anni, da Bernard Violle e Renè Berthier, e pubblicata su «Catéchèse», 30, (1968), pp. 19-33 col titolo: «La Vergine Maria vista dai giovani».
    Le risposte ottenute non sono tutte così negative, ma la prevalenza è nettamente in questa direzione; e non fa meraviglia, il problema esiste, lo si constata ogni giorno, ovunque. La devozione alla Madonna ha ancora qualcosa da dire ai giovani di oggi?



    MARIA PER MOLTI GIOVANI È UN PROBLEMA

    Devozione alla Vergine, spiega il classico Trattato della Vera Devozione alla S. Vergine di S. Luigi Grignon de Montfort, è «darsi interamente alla Santissima Vergine per appartenere completamente a Gesù per mezzo Suo» (n. 121). Che cosa dicono queste parole ai giovani di oggi? Per una aliquota, di numero variabile secondo i luoghi, dicono semplicemente «nulla»: la Vergine conta per loro all'incirca quanto Cappuccetto Rosso o Cenerentola. Costoro esigono ovviamente un discorso a parte. Per un'altra aliquota, e questa secondo le inchieste è invariabilmente la più grossa tra quelli per cui la Vergine rappresenta un centro di interesse, simili parole costituiscono un problema; destano perplessità, suscitano un indefinito senso di malessere, e più particolarmente di anacronismo. È come circolare ricoperti di una armatura medioevale. Per quale ragione? Una risposta precisa e penetrante, sebbene centrata più sugli adolescenti che sui giovani veri e propri, è stata data dal P. Babin in una conferenza tenuta già nel lontano 1958 a Fontanières, e pubblicata, schematizzata in Formation Religieuse, 23, (1958). Babin riporta questo disagio a due radici:

    - formazione dottrinale insufficiente, ed anzi sovente falsa. Questa è la deficienza più evidente, quella che torna in tutte le inchieste. Bastano a documentarla, due risposte, prese a caso, una dalla inchiesta sopra citata e l'altra da una inchiesta del P. Babin stesso:
    La Santa Vergine è per me più importante che il Cristo. La preferisco a Dio. Mi dà quella protezione femminile di cui ho più bisogno. Ciò che capisco di meno è che non abbia avuto il peccato originale. Trovo che sarebbe stata come tutte le altre donne, che avrebbe avuto più merito. Anzi, certo, non ha alcun merito; è stata condotta per mano in tutta la sua vita.
    Secondo Babin, dunque i giovani sono anzitutto respinti da una visione del mistero di Maria che li urta nelle loro aspirazioni più profonde: o perché Essa appare loro come una fata irreale (frutto di una formazione dottrinale di superesaltazione della «superiorità», della «diversità» della Vergine) o perché la vedono come un «caso limite», felice quanto si vuole ma irraggiungibile, inimitabile come non è imitabile, per un dilettante qualunque, lo stile e la forza di un fuoriclasse dello sport (frutto della insistenza pesante sui «privilegi» di Maria mal compresi) o infine perché il loro rapporto con essa sembra ridursi a quello del bimbetto con la mammina (frutto di una riduzione di tutto il mistero di Maria ad una qualità di Madre vista quasi solo come mammina) e cioè ad un qualcosa che essi giudicano infantile e da cui rifuggono istintivamente per il giuoco stesso delle leggi psicologiche della loro età;

    - immaturità intellettuale e affettiva tipiche non solo della adolescenza ma anche della giovinezza vera e propria, almeno per i primi anni. Il giovane punta all'essenziale; oggi poi, più che mai, punta al concreto, intendendo per concreto ciò che produce effetti tangibili, percettibili, possibilmente pianificabili: gli è già notevolmente difficile sensibilizzarsi ad un piano di salvezza che è tutto fondato sulla fede e sulla trascendenza di Dio... che cosa dire allora di una figura che non solo non ha questi caratteri ma che non sembra neppure potere giustificarli pienamente, dal momento che stenta ad inserirsi in questo piano, anzi sembra contraddirlo? Il dilemma o Cristo o Maria, per quanto falso, è sempre vivo e sempre nuovo.
    A questo si aggiunge una seconda immaturità, oggi più profonda che in passato: l'assenza di un minimo di vera conoscenza affettiva della donna.
    È un problema vivo soprattutto nei giovani: lo scadimento della donna ad oggetto di piacere non è di tutti, d'accordo, ma è innegabile che la pesante pressione erotica dei vari fattori combinati della nostra società, ivi compresa (e direi soprattutto) quella del comportamento generale della donna stessa, ha contribuito e contribuisce largamente a rendere sempre meno comprensibile questa figura di «donna ideale». Non si può dimenticare che la nostra conoscenza delle realtà superiori passa necessariamente attraverso la mediazione dei concetti offerti dalla propria esperienza esistenziale concreta.
    Le due radici, comunque, esistono e si combinano con i risultati intravisti nella inchiesta. Se lasciamo lo studio della dinamica della seconda e delle possibili piste di superamento dei suoi condizionamenti, come è giusto, ad uno psicologo, possiamo concludere che la Vergine per molti giovani è un problema semplicemente perché non è conosciuta. Alla base delle incertezze o deviazioni della devozione dei giovani a Maria si ritrova ancora una volta una catechesi insufficiente, monca, unilaterale, se non falsa.

    IL DOGMA NON HA PAURA DELL'UOMO

    Che cosa fare per rovesciare questa situazione? La risposta è ovvia: riportare la figura, e di conseguenza la devozione, della Vergine ai suoi veri lineamenti; mostrare con quale intensità e forza il mistero della Vergine sappia proporre un entusiasmante messaggio di vita ai giovani. Ma per far questo occorre naturalmente partire più che da principi teorici di tipo scientifico, dalle esigenze e sensibilità ed aspirazioni vive dei giovani stessi. E allora il vecchio problema sempre discusso del punto di partenza della mariologia, o anche, come si dice, del principio o dei principi primi suoi, diviene, catecheticamente, il problema dell'ottica secondo cui la Vergine va presentata ai giovani.
    Il dogma non ha paura di queste esigenze soggettive. Dire che bisogna partire non dalle esigenze scientifiche del dogma ma dagli interessi soggettivi dei giovani non è negare il dogma, tanto meno quello mariano, perché esso ha una struttura compatta che gli permette di essere accostato da diversi punti di vista senza essere tradito. La dogmatica mariana quindi può e deve essere esposta ai giovani secondo i loro centri di interessi: ma qui nasce un nuovo problema. La psicologia del giovane non è quella della giovane. È possibile trovare nella Vergine una angolazione che sveli valori validi per entrambi?
    La domanda non ci sembra di poco conto. Dividere il problema distinguendo il messaggio mariano ai giovani da quello alle giovani può sembrare la soluzione evidente, immediata; ed in un senso lo è. Ma non esiste un qualche valore che sia così profondo da imporsi a tutti? Distinguendo subito, non si corre il rischio di cacciare nell'ombra, per il gusto dei valori più visibili, quel valore più profondo a cui anche questi ultimi debbono la loro consistenza?
    Una aspirazione di fondo, comune a tutti, giovani e ragazze, c'è: è la aspirazione alla piena espansione della propria carica umana, è la volontà di divenire in pienezza veri uomini e vere donne. Ed è proprio a questa aspirazione che si rivolge il messaggio del mistero di Maria. Perché Maria è anzitutto e soprattutto un vertice di espansione umana, una vera donna, la donna. Dunque non occorrono altre distinzioni. Maria ha una parola specifica sia per i giovani che per le giovani. Essa può insegnare loro il segreto di ciò che più vogliono, il segreto del loro umanesimo. Ma come lo fa?

    MADRE Dl DIO O ARCHETIPO DELLA CHIESA?

    Lo fa proponendo se stessa. Proponendo cioè ciò che Essa è e ciò che Essa può fare: giacché Essa è un vertice di espansione umana, anzi il vertice della espansione «personale» umana, e fa parte di questa espansione il potersi diffondere in altri.
    Lo documentiamo con un discorso che potrà apparire piuttosto pesante ma che è la condizione necessaria della validità di quanto si è detto finora e si dirà nella conclusione.
    Ogni volto ha lineamenti suoi propri che lo definiscono. Il volto di Maria, lo ricordiamo dalla dogmatica, si definisce per un insieme di qualifiche e funzioni ben definite che correntemente vengono chiamati, giustamente ma ambiguamente, «privilegi». Sono: la maternità divina, la concezione verginale, la verginità perpetua, la santità sovreminente, la concezione immacolata, la assunzione, la associazione totale all'opera del Figlio, sia in kenosi che glorificato, la maternità spirituale universale, la maternità ecclesiale, l'esemplarità suprema della Chiesa. Non tutte queste qualifiche sono adeguatamente distinte, non tutte hanno lo stesso grado di certezza, alcune sono professate in sensi non univoci anche all'interno della fede cattolica, ma sostanzialmente tutte fanno parte, o meglio costituiscono, il proprium del mistero di Maria. Maria è e resta propriamente questo: la Madre di Dio perché madre del Cristo, uomo ch'è Dio Figlio in persona; la donna che «sola» ha concepito il figlio; la vergine totale e perpetua, pur se vera sposa e vera madre; la donna che non conobbe peccato e che ha realizzato un incontro col Padre di tipo ed intensità superiori ad ogni altro, tolto il Cristo; la creatura concepita senza peccato originale; la donna già totalmente glorificata, anima e corpo; la madre che ha fatto e fa proprie tutte le dimensioni partecipabili del mistero di Cristo; la donna che interviene attivamente, e quale essa è, ossia come madre, nella vita dei singoli, tutti, e della comunità, in cammino verso la pienezza della Parusia; e infine l'ideale supremo della Chiesa.
    Ora, se si osservano queste qualifiche non analiticamente ma nel loro insieme, come è giusto, dal momento che un volto è pur sempre una sintesi, e ancor più se si osservano nel loro svolgersi storico, giacché come è ovvio Essa non li possedette tutti al primo avvio della sua vita ma li acquisì con la maturazione di questa vita stessa, se ne vede emergere un tratto comune, distintivo, riassuntivo di tutti, sebbene non esprimibile in una sola formula. È il seguente:
    Maria è la creatura più vicina al Cristo che la storia della salvezza conosca.
    Questa vicinanza non è univoca. È infatti assieme passiva ed attiva (termini che, per altro, non vanno esasperati perché appunto sono due aspetti della stessa realtà).
    È anzitutto vicinanza, per così dire, passiva: Maria è la più redenta tra tutte le creature, è cioè la creatura che ha ricevuto più di ogni altra dal Cristo.
    È inoltre una vicinanza, per così dire, attiva: Maria è la madre associata al Cristo, è cioè la creatura che ha dato al Cristo ed alla sua opera più di qualunque altra creatura.
    Infatti:

    - la vita di Maria inizia con la Concezione Immacolata: è il suo punto di partenza, un punto di partenza assolutamente privilegiato non tanto perché pura anticipazione di ciò che succede ad ogni cristiano nel battesimo (come propende a credere un largo settore della teologia protestante) ma perché redenzione preventiva anziché liberatrice, ossia redenzione di tipo «superiore» (sublimiori modo redempta); ed un punto di partenza di fondamentale importanza per la comprensione di ciò che Dio pensa di Essa appunto perché totalmente «dato», senza alcuna possibilità di merito da parte di Maria stessa. Concezione Immacolata significa Redenzione di tipo unico, la più alta: dunque la missione ed il senso della Vergine è di essere la più redenta tra tutte le creature, ossia la «cristiana allo stato puro», ossia l'archetipo della Chiesa, e cioè il «tipo» o esemplare più alto di ciò che è proprio della Chiesa (LG, cap. 8, n. 53).
    E infatti tutti gli altri privilegi si spiegano come realizzazione e risposta inaudita a questa vocazione inaudita. La santità totale è il sì pieno della libertà della Vergine a questa proposizione di totale amore, ed un sì di lotta e di dramma. La verginità perpetua ne è un aspetto naturale perché, come immediatezza di rapporto con Dio, è la forma «oggettiva» più alta di incontro con Dio che la condizione umana conosca. La maternità divina è la forma insospettabile, ma comunque più alta, di verifica di una salvezza che è, per tutti, assieme opera di Dio ed opera dell'uomo, eteroredenzione ed autoredenzione: non si dimentichi che Maria è il culmine di Israele. L'associazione di Maria al mistero di Cristo in tutte le sue dimensioni non è che il prolungamento di questo principio di totalità a tutta la vita, terrena e celeste, di Maria. E infine l'Assunzione è il coronamento eccezionale di una vocazione eccezionale.
    Questo è il primo aspetto, l'aspetto passivo. C'è pure l'aspetto attivo:

    - assieme e contemporaneamente alla missione di archetipo della Chiesa la vita di Maria si rivela preparazione e svolgimento di una missione altrettanto fondamentale, quella di Madre di Gesù, e madre «totale», ossia madre associata a tutta l'opera del Cristo e madre degna di Lui, ossia quanto più possibile a Suo livello. In questa luce il privilegio della Immacolata Concezione e quanto vi è di eccezionale e miracoloso nella Sua santità totale e verginità perpetua son dati a Maria per farla il più profondamente possibile «madre», di Gesù e nostra (maternità «degna»); i privilegi della associazione totale all'opera del Cristo, in Kenosi e glorificato, hanno a pari lo scopo di farla «madre totale»; e infine il privilegio della assunzione corona la dignità della maternità ed introduce la realizzazione della totalità col farla principio attivo dell'opera attuale del Cristo glorificato.
    Su questo secondo punto non occorre insistere: fino ad una ventina di anni fa era il solo ad avere diritto di cittadinanza nei trattati di teologia. La Vergine non era che questo.
    Giunti a questo punto ci troviamo al bivio classico della teologia mariana di oggi: come si armonizzano le due visioni? O meglio, poiché non vi è alternativa, ma solo integrazione: quale dei due aspetti è primario? Maria è archetipo della Chiesa perché Madre di Dio o Madre di Dio perché archetipo della Chiesa?

    PIÙ Dl NOI QUELLO CHE NOI SIAMO

    Lasciamo la risposta scientifica ai dibattiti scientifici. La libertà delle idee lascia la porta aperta ad entrambi le soluzioni. A noi interessano il quadro d'assieme, la reale legittimità di una scelta non strettamente teologica ma catechetica, e cioè in funzione diretta del destinatario e l'esplicitazione di un dato finora appena appena accennato.
    Il quadro d'assieme è il necessario punto di partenza di ogni discorso ai giovani sulla devozione alla Vergine. Maria è tutto questo, e se «tutto» questo non vien dato non ci si dovrà stupire del disinteresse dei giovani per l'idolo che abbiamo contrabbandato loro al posto della reale Vergine Madre.
    La scelta catechetica non ha dubbi: opta per Maria «Archetipo della Chiesa». Perché allora i due aspetti, passivo ed attivo, si armonizzano subito; e non in modo qualunque, ma in modo da indicare direttamente ciò che Maria ha da dire e da dare ai giovani.
    Se infatti guardiamo da vicino questo primo aspetto, oltre a renderci immediatamente conto come esso trasbordi totalmente spontaneamente nel secondo (come si è visto nella concatenazione dei privilegi ad esso legati che importano un puro «ricevere» solo al punto di partenza) vediamo assai meglio che nel secondo come Maria, pur in tutta la sua originalità, sia radicalmente «sorella» della nostra condizione concreta, sia veramente una di noi, accanto a noi, come noi, anche se superiore a noi. Il Vaticano II lo ha fatto risaltare bene al già citato n. 53 della LG, e poi al n. 67, nelle norme pastorali: nel considerare la «singolare» dignità della Madre di Dio: né «falsa esagerazione né «grettezza di mente». Maria è assieme ed indissolubilmente accanto a noi e sopra di noi; è assieme ed indissolubilmente membro della-Chiesa (n. 63) e superiore alla Chiesa (n. 65). E tutto questo è chiaro nella realtà indicata dal titolo «Archetipo della Chiesa».
    Archetipo significa tipo supremo, primo non solo in senso cronologico (e Maria lo è veramente, n. 63), ma soprattutto in senso assiologico ossia di valore: in Maria la Chiesa ha raggiunto un vertice supremo... ma, appunto, è un vertice della Chiesa, perché Maria è della Chiesa. La situazione di Maria è dunque, sia pure ad un livello «qualitativamente» superiore, la situazione stessa del cristiano: il dire che Maria è la cristiana «allo stato puro» non è per nulla dire che non è cristiana, ossia che non è quel che noi siamo.
    Tutto si riassume allora in una formula sintesi: Maria è più di noi quello che noi siamo e diverremo.
    Maria è l'Immacolata Concezione, la più redenta tra le creature, la donna chiamata ad essere la «più» santa. Il cristiano è il battezzato, il redento da Cristo, la creatura chiamata ad essere «santa». L'equivalente, inferiore, del privilegio di Maria è il battesimo del cristiano.
    Maria è la Tutta Santa e la Vergine Perpetua. Il cristiano è il santo che vive la verginità (vita religiosa) o vi si dispone (cielo).
    Maria è la Madre di Dio Figlio incarnato, ossia la genitrice «totale» della salvezza (Gesù) propria ed altrui. Il cristiano nella fede genera, sebbene non totalmente ma solo «spiritualmente», la salvezza (Gesù) propria ed altrui.
    Maria è l'associata a «tutte» le dimensioni del Mistero di salvezza del Cristo partecipabili da una donna. Il cristiano è associato all'opera attuale di salvezza condotta dal Cristo glorificato.
    Maria è pienezza di cielo, è l'Assunta. Il cristiano vi tende possedendone già il germe, l'arra, il pegno, dunque la sostanza stessa, sia pure solo in forma incoata e di tipo inferiore.
    Dunque Maria è lo «specchio» del cristiano, Colei in cui ciascuno può vedere riflesso ciò che il Padre, sostanzialmente, in modo qualitativamente inferiore ma non affatto equivoco, farà di lui se egli Lo lascerà fare come Lo ha lasciato fare Maria.

    ClÒ CHE SUCCEDE A CHI Sl LASCIA PRENDERE DAL PADRE NEL CRISTO

    Ed eccoci giunti al punto. Ecco ciò che Maria ha da dire ai giovani di oggi, e di sempre, naturalmente. Maria è l'esemplare supremo (archetipo) della Chiesa, quindi anche del singolo cristiano; dunque Maria:

    - è la sintesi della risposta cristiana ai problemi di sempre sul senso della vita umana, sul fine della esistenza terrena, sui grandi perché della vita quale è concretamente esperita e sofferta: la vocazione di ogni creatura, di ogni «giovane», di oggi e sempre, è la creazione di una traiettoria di grandezza «simile a quello della Vergine perché fatto fondamentalmente delle stesse realtà e delle stesse mete. Non per nulla i migliori teologi contemporanei fanno risaltare che le innegabili difficoltà della mariologia sono una conseguenza della sua posizione: Maria si colloca di fronte al Cristo dalla parte della Chiesa come vertice della Chiesa, e quindi riassume in se stessa i più importanti e decisivi aspetti del rapporto Cristo e Chiesa, vale a dire del mistero cristiano stesso in tutta la sua totalità. Qui si inserisce la perenne validità della proposizione della vita «concreta», «storica» di Maria alla «imitazione» giovanile; ma sempre ad una condizione, di mostrarla quale fu realmente, perché allora, e solo allora, si capirà quali indicibili cariche di esaltante pienezza umana posseggano anche le più umili, banali e insignificanti situazioni nostre quando siano date in pienezza a Dio ed al suo Cristo;

    - è la testificazione vivente «suprema» di ciò che succede a chi si lascia prendere in totalità dal Cristo. Abbiamo detto «suprema» perché questa è ovviamente la situazione di tutti i santi, come ha fatto risaltare tanto bene già H. Bergson nel Le due sorgenti della morale e della religione. Maria, come i santi e più dei santi, è la prova perenne che le inaudite promesse del Cristo sono vere. Essa è il frutto più alto della Croce, e di ciò che dalla Croce è nato, ossia la Risurrezione;

    - è la smentita vivente delle voci che i giovani di oggi sentono più insistenti, quelle del marxismo che descrive loro il fatto religioso come una «alienazione» corrosiva dei valori propriamente umani, quelle del neopositivismo che insegna loro a dichiarare privo di senso quanto non è tecnicizzabile, quelle dell'esistenzialismo che addita loro l'autosufficienza come condizione unica di autentico umanesimo.

    Si osservi infatti quanto questa «Donna» abbia autenticamente trovato nella sua totale adesione alla Parola di Dio (essa è e rimane per sempre la «donna di fede», beata, sì, e cioè pienamente ed indicibilmente «espansa in Dio», ma beata perché ha creduto, Lc 1, 45) lo sviluppo del suo valore umano personale, strettamente individuale. La sua grandezza non è soltanto umana, è tipicamente «femminile», quale Essa, donna, voleva e non poteva non volere. Che cosa vuole il cuore di una donna se non di saper amare? L'ha avuto in pienezza: è irnmacolata, è santa, è vergine perpetua, tutte qualifiche che le hanno conferito una indicibile, unica, capacità di amore. Che cosa vuole il cuore di una donna se non di essere amata, totalmente, senza riserve, per sempre? L'ha ottenuto tutto: nessuno più amato di essa da Dio, dal Cristo, dagli uomini. Che cosa vuole il cuore di una donna se non di essere madre? Lo è stato e lo è come e più non si potrebbe essere: madre di Dio, madre della Chiesa, madre di tutti. Che cosa vuole il cuore di una donna se non darsi tutta per i propri figli? Maria lo ha fatto e lo fa, ad ogni istante, con efficacia suprema. Che cosa sogna la donna se non di essere pensata, se non di «contare», se non di essere apprezzata, stimata, onorata? Una falsa presentazione della virtù dell'umiltà può indurre a pensare che l'ideale cristiano richieda la soppressione di questi istinti profondi del cuore umano, mentre non si tratta che di «rettificarli» per impedire non che queste aspirazioni vengano soddisfatte ma che siano troppo poco soddisfatte. Ebbene, la Vergine è senza dubbio la donna che più «conta», che più è amata, stimata, onorata, invocata.
    Ha ottenuto tutto, perché ha dato tutto a Dio. Marxismo, neopositivismo ed esistenzialismo sono smentiti così: da una vita, da un risultato. Alle idee si oppone un fatto, il «fatto di Maria».
    La devozione alla Madonna può dunque dire ancora ai giovani di oggi ciò che può dir loro il messaggio cristiano stesso, giacché Essa per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede (LG, 65).

    MADRE REALE

    C'è però un secondo aspetto, in un certo senso ancora più importante. Maria non è solo una spettacolo da contemplare o un modello da imitare. O, se si vuole, poiché è un modello perfettamente «cristiano» è molto più di uno specchio: è il principio efficiente di ciò che propone. Devozione non è sinonimo di contemplazione, ma bensì di unità totale e viva. La devozione a Maria quindi, sotto pena di non essere che un inganno, non può limitarsi a dire ma deve potere anche dare. La Vergine archetipo è per sempre la Madre.
    Questo aspetto permette il passaggio, appunto, al secondo dei due volti della «vicinanza di Maria» a Gesù. E così il discorso si chiude armonicamente. Il giovane sente la parola della Vergine e la scopre parola non soltanto estremamente interessante e suasiva, ma anche efficiente od efficace. Maria non è solo un «messaggio»; è anche una «presenza viva». Qui si integra un elemento che ha ricevuto un rilievo particolarissimo dal cap. 7 della Lumen Gentium ai nn. 49 e 50, e che ha il potere di mettere in luce forse meglio di qualunque esposizione teorica la complessità, ed assieme la esaltante bellezza, della situazione cristiana: l'elemento escatologico. I nostri giovani sono indubbiamente molto sensibili ai due valori forza assunti dal marxismo al cristianesimo, e cioè il dinamismo della storia e la dimensione comunitaria. Ma chi meglio di questa figura di donna, assieme immersa nella totalità della glorificazione e cioè della condizione finale, «ultima», e tutta protesa alla costruzione sulla terra del Regno di Dio, membro in cui è «già» stata raggiunta la maturazione definitiva e nella forma più alta e possibile (LG 68) di quella umanità che peraltro geme, con tutta la creazione, nelle doglie del parto della Chiesa Celeste (Rom 8, 19-23) fino a quando non verrà il giorno del Signore (2 Pt 3,10), può mostrare ai giovani che la vita è un cammino comune, a cui partecipano cielo e terra, verso una conquista cosmica e trascendente comune? Maria «Ausiliatrice» non è e non può essere il Deus ex machina di esami mal preparati, di situazioni finanziare compromesse o di malattie senza speranza: il Suo intervento eventuale anche a questi livelli è sempre l'espressione e la visibilità della sua azione di Donna Forte, «terribile come un esercito schierato a battaglia», nella storia e con l'umanità. Sentendola guerriera accanto ad essi, i giovani potranno riacquistare il senso del combattimento a cui li chiama la loro vocazione cristiana e a cui sono spontaneamente inclinati dalla loro naturale generosità: il combattimento contro le forze dell'egoismo, dell'odio dell'orgoglio, della sopraffazione, in favore del Regno dell'amore. E non si sentiranno più soli, e capiranno di non poter più vivere soli.
    E allora riavranno in mano anche un'altra cosa, un'ultima cosa, il filo di un valore oggi sempre più compromesso: quello del mistero della donna. Perché i giovani possono imparare da Maria a capire quale sia la vera grandezza e la vera importanza della donna. E le giovani possono imparare da Maria ad intravedere quale sia la loro reale missione e quindi dove si trovi la formula giusta della felicità che cercano con tanta fame.


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