A cura di Aldo Ellena
(NPG 1967-02-21)
Questo contributo si presenta volutamente redatto in forma schematica per facilitare il coordinamento della vasta problematica al riguardo e stimolare la discussione sulle linee operative proposte (n.d.R.)
A. Il giudizio del Magistero Ecclesiastico sul fatto «socializzazione»
1. Tipicità del fenomeno «socializzazione»
2. Cause storiche e naturali della socializzazione
3. Valutazione realistica e possibilista della socializzazione
4. Condizioni per una vantaggiosa socializzazione
B. Osservazioni integrative sul fatto «socializzazione»
C. Socializzazione ed associazionismo giovanile
A. IL GIUDIZIO DEL MAGISTERO ECCLESIASTICO SUL FATTO «SOCIALIZZAZIONE».
La Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, più che offrire una considerazione, vi accenna come ad un dato acquisito dalla coscienza comune, collegandolo con le accresciute esigenze dialogiche della partecipazione, delle solidarietà, dell'interdipendenza e del senso comunitario.
Pertanto l'insegnamento della Mater et Magistra sul fenomeno della socializzazione rimane ancora, anche in questa sede, il punto di riferimento più esplicito e comprensivo.
1. La tipicità del fenomeno «socializzazione» consiste:
a) nel carattere volontario dei rapporti associativi: i rapporti basati sulla nascita, e quindi spontanei anziché volontari, tendono a divenire meno esclusivi;
b) nella istituzionalizzazione di questi rapporti associatici in forme organizzative ben definite: questo almeno a livello socio-economico. Non mi pare invece che la Mater et Magistra e la Gaudium et Spes rilevino esplicitamente il tendenziale carattere informale dell'associazionismo giovanile;
c) nella frequenza del fenomeno stesso. La Gaudium et Spes dà rilievo al fenomeno proprio in paragrafi a più esplicito carattere sociologico (nn. 6, 23 e 25, 63).
«Uno degli aspetti tipici che caratterizzano la nostra epoca, è la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza, con varie forme di vita associata, e istituzionalizzazione giuridica» (Mater et Magistra, n. 45).
Un fatto è certo, e deve tranquillizzare quanti rivelano un'allergia per certi termini: con il termine «socializzazione» i documenti del Magistero non fanno affatto riferimento a forme associative collettivizzatrici di beni economici, ma unicamente a forme associative di attività.
2. Cause storiche e naturali della socializzazione
Le cause del fenomeno sono individuate dalla Mater et Magistra su piano storico e a livello della struttura ontologica della persona umana.
a) «Il fatto trova la sua sorgente alimentatrice in molteplici fattori storici, tra i quali sono da annoverarsi
– i progressi scientifico-tecnici,
– una maggiore efficienza produttiva,
– un più alto tenore di vita nei cittadini» (Mater et Magistra, n. 45). «La socializzazione è a un tempo causa e riflesso di un crescente intervento dei poteri pubblici anche in settori tra i più delicati, come quelli concernenti
– le cure sanitarie,
– l'istruzione e l'educazione delle nuove generazioni,
– l'orientamento professionale,
– i metodi di recupero e di riadattamento di soggetti comunque menomati» (Id., n. 46).
b) «Ma è pure frutto ed espressione di una tendenza naturale, quasi incontenibile, degli esseri umani: la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano le capacità e i mezzi di cui possono disporre i singoli individui» (Id., n. 46).
3. Valutazione realistica e possibilista della socializzazione
Il giudizio che il Magistero porta sull'argomento è
a) un giudizio realistico che, accanto ai vantaggi (Mater et Magistra, n. 47; Gaudium et Spes, nn. 23 e 25):
– la socializzazione rende attuabile la soddisfazione di molteplici diritti della persona, specialmente quelli economico-sociali; e, attraverso una sempre più perfetta organizzazione dei mezzi moderni della diffusione del pensiero,
– si permette alle singole persone di prendere parte alle vicende umane su raggio mondiale, allinea i rischi (Mater et Magistra, n. 48; Gaudium et Spes, nn. 6 e 25)
– la socializzazione rende sempre più minuta la regolamentazione giuridica dei rapporti tra gli uomini di ogni settore,
– di conseguenza:
* restringe il raggio di libertà all'agire dei singoli esseri umani; e
* utilizza mezzi, segue metodi, crea ambienti che rendono difficile a a ciascuno
di pensare indipendentemente dagli influssi esterni,
di operare di sua iniziativa,
di esercitare la sua responsabilità,
di affermare e arricchire la sua persona;
ed è
b) un giudizio positivo e possibilista.
La socializzazione cioè, pur crescendo in ampiezza e profondità, non necessariamente riduce gli uomini ad automi.
Infatti essa:
– non è prodotto di forze naturali operanti deterministicamente,
– ma creazione consapevole, libera e quindi responsabile degli uomini, nonostante i limiti delle leggi dello sviluppo economico e del progresso sociale, e la pressione dell'ambiente.
«Per cui riteniamo che la socializzazione può e deve essere realizzata in in maniera da trarne i vantaggi che apporta e da scongiurarne o contenerne i riflessi negativi» (Mater et Magistra, n. 50).
4. Condizioni per una vantaggiosa socializzazione
Per giovarsi dei vantaggi della socializzazione ed evitarne i pericoli, è necessario che:
a) gli uomini investiti di autorità pubblica abbiano una sana concezione del bene comune (Id., n. 51);
b) i corpi intermedi e le molteplici iniziative sociali godano di una effettiva autonomia e perseguano i loro specifici interessi in leale reciproca collaborazione, nel rispetto delle esigenze del bene comune, il quale postula anche una certa azione di coordinamento ed indirizzo da parte del potere politico (Id., n. 52);
c) i corpi intermedi siano vere comunità: i membri siano trattati come persone e siano stimolati a svolgere una parte attiva (Id.,).
Così attuata, la socializzazione contribuirà a favorire l'affermazione e lo sviluppo delle qualità della persona e si concreterà in una ricomposizione organica della convivenza (Id., n. 54).
Integrando le indicazioni suddette con i riferimenti della Gaudium et Spes, possiamo rilevare che il fenomeno «socializzazione» risulterà tanto più positivo quanto più saranno rispettate le esigenze poste, a tutti i livelli.
a) dalla dignità spirituale della persona (Gaudium et Spes, nn. 12, 14, 15, 17, 22, 23, 27, 28, 29, 30, 34, 35, 55, 64, 65),
b) dalla dinamica del bene comune (Id., nn. 26, 34),
c) dall'indole comunitaria della vocazione umana (Id., n. 24),
d) dal fatto dell'interdipendenza del perfezionamento della persona umana e dello sviluppo della società (Id., n. 25),
e) dalla partecipazione responsabile e attiva di tutte le persone al proprio sviluppo ed allo sviluppo della comunità (Id., nn. 31, 68, 75),
f) dall'accresciuta solidarietà umana (Id., nn. 9, 29, 31, 61),
g) dallo stile dialogico maturato nel clima culturale pluralistico contemporaneo (Id., nn. relativi al problema della cultura ).
B. OSSERVAZIONI INTEGRATIVE SUL FATTO DELLA SOCIALIZZAZIONE (1)
1. Esiste uno squilibrio tra la ricerca sistematica sul fenomeno associativo e l'intensità del fenomeno stesso, che occasiona una letteratura a mezza strada tra impressionismo giornalistico e pedanteria sociologica, dominata dai temi:
– della frammentarietà dell'esistenza umana,
– del carattere anonimo della vita moderna,
– di una burocrazia senz'anima,
– della creatività mortificata, ecc., ecc.
Per cui le indicazioni dei documenti del Magistero richiedono il completamento di una analisi positiva.
2. Possiamo inoltre osservare che:
a) il punto di partenza e di arrivo di ogni analisi del fenomeno «socializzazione» è sempre la persona umana:
– socializzazione e personalizzazione ontologicamente si richiamano e si completano, nella misura in cui la società si compone di persone e la persona è un essere sociale (persona = centro di comunione);
– la socializzazione richiede, come corollario e contrappeso, il massimo di democrazia possibile;
b) il lato psicologico del fenomeno ( ossia la coscienza del suo moltiplicarsi e differenziarsi) e quello istituzionale ( cristallizzazione della socia lizzazione in forme giuridiche magari superate) costituiscono gli aspetti problematici caratterizzanti il confronto costante tra l'iniziativa di rinnovamento (momento psicologico-morale) e le forme istituzionali costituite momento istituzionale-giuridico).
C. SOCIALIZZAZIONE ED ASSOCIAZIONISMO GIOVANILE
Specificando il discorso generale sulla socializzazione in quello dell'associazionismo giovanile, vorremmo ampliare l'ultima osservazione sulla dinamica tra iniziative di rinnovamento e forme istituzionalizzate, riproducendo alcune indicazioni formulate anni fa sulla Rivista Catechesi (2), allo scopo di riproporre, in termini di libera discussione, alcune prospettive di lavoro, che non ignorino il modificarsi della realtà socio-culturale, particolarmente là dove l'intensità e il ritmo di accelerazione delle modificazioni vengono proprio ad incidere su alcune forme istituzionalizzate di associazionismo giovanile, mettendole decisamente in crisi.
I nostri rilievi partono dal presupposto di una situazione che, nei prossimi anni, risulterà
– dallo sviluppo del decentramento democratico delle nostre città,
– dall'articolarsi di queste in quartieri resi più attivi per la presenza diCentri sociali o di Centri civici,
– dal determinarsi di nuovi rapporti tra questi Centri e le già esistenti Istituzioni operative (parrocchie, oratori, associazioni culturali, partiti, sindacati, ecc.).
I. In questo quadro «situazionale», possiamo rilevare, come piuttosto diffusi, i seguenti fenomeni «giovanili»:
1. Minore interesse dei giovani di oggi per i grandi movimenti giovanili organizzati ed ideologicamente impegnati.
2. Prevalenza di gruppi giovanili ideologicamente non impegnati, la cui coesione è data da puri interessi di «tempo libero», dai più nobili ai più disimpegnati: interessi culturali settoriali ( arte, critica letteraria, teatro, musica ecc.), sport, divertimenti, dolce vita, teppismo ecc.
3. Esistenza di consistenti gruppi giovanili culturali e partitici, a prevalente ispirazione marxista, nei quali il momento ideologico e quello organizzativo-politico sono spesso fortemente connessi, se non addirittura fusi in altri settori. Un gruppo giovanile comunista, per esempio, si presenta come una sintesi ideologico (marxismo)-operativa (comunista) ), che non ha termini di confronto in campo cattolico, dove una sintesi ideologico-operativa GIAC-DC non ha alcun significato, anche se, a volte, i singoli iscritti possono presentare questa ambivalenza.
4. Insistenza, da parte dei giovani marxisti, con notevole potere seduttorio, per un dialogo con i giovani cattolici a livello di dibattito ed a livello operativo di manifestazioni pubbliche ( cortei, proteste, scioperi ecc. ).
5. Tentativi di organizzazione di gruppi giovanili «aperti», nei quali. il dialogo, abbandonando ogni forma dialettica (per es., cattolici-comunisti), si profila come approfondimento, da parte di tutti i giovani, senza distinzione ideologica o consortile, dei reali problemi giovanili. L'incontro è qui tentato a «livello giovani»,, senza alcuna intenzione di contrapposizione ideologico-organizzativa.
6. Costituzione, in alcune amministrazioni comunali, della consulta giovanile, come tribuna di dibattito democratico dei problemi dei giovani, allo scopo di impegnare, in una più concreta soluzione dei medesimi, l'assessorato alla gioventù, cui la consulta è collegata, e quindi, per questa via, tutta la pubblica amministrazione.
II. A questo «livello giovani», tra i vari problemi pratici, che si presentano oggi e che ancor più si presenteranno, in futuro, ai sacerdoti ed ai laici impegnati, rileviamo i seguenti:
1. Quale ateggiamento assumere di fronte alla sollecitazione di dialogo da parte di gruppi giovanili comunisti organizzati?
2. Quali devono essere i rapporti delle organizzazioni cattoliche giovanili con i centri sociali o i centri civici, ove questi già esistano?
3. Quale tipo di presenza i giovani cattolici debbono scegliere all'interno della consulta giovanile?
* * *
In merito al primo interrogativo, relativo al dialogo, cattolici-comunisti, direi: [3]
a) La formula dialettica cattolici-comunisti è la meno adatta per affrontare, con oggettività e senza condizionamenti istituzionali, i problemi dei giovani o, in termini generalizzati, i problemi di fondo (libertà, non-violenza, pace, fame, lavoro, cultura ecc.).
b) Sarebbe preferibile che le associazioni cattoliche di apostolato o caritative scoprissero, all'interno della propria spinta apostolica e caritativa, la formula concreta (adatta per le singole situazioni) di approccio degli altri, di inserimento negli ambienti scolastici e di lavoro, per una presenza viva, umanamente ricca e simpatica, trovando in questa presenza una propria ragione di vita, evitando così di ridursi a pure associazioni ricreative.
c) Quando l'offerta del dialogo consigliasse in concreto un'adesione e vi fossero elementi preparati o, almeno, educabili a questo tipo di raccordo, gli incontri esterni dovrebbero essere sempre sostenuti, resi efficaci, da paralleli incontri interni alle associazioni, nei quali il dibattito dovrebbe venire ripreso, depurandolo delle accidentali preoccupazioni dialettiche, ridimensionandolo nei termini autentici, per essere poi rilanciato all'esterno. Solo a condizione che il dibattito esterno sia integrato da quello interno, si possono evitare possibili sfasature.
d) È inoltre fondamentale, sempre ai fini di un'azione responsabile, che il dibattito, anzichè essere condotto su problemi troppo generali, generici, o troppo ideologici, sia contenuto ed accettato su problemi concreti, locali, a livello documentabile.
* * *
Per quanto si riferisce al rapporto associazioni giovanili cattoliche e centri sociali, mi risulta che certe opposizioni, da parte dei responsabili delle prime nei confronti dei secondi, siano motivate dalla preoccupazione che se i giovani vanno al centro sociale non vanno poi più, per esempio, all'oratorio.
Penso che questo tipo di timori a carattere concorrenziale, non abbia ragione di sussistere, per il fatto che tanti di quei giovani non andrebbero mai all'oratorio, a prescindere dall'esistenza o meno del centro sociale. Inoltre mi risulta che un numero notevole di responsabili dei centri sociali offre ottime garanzie di serietà professionale (per lo più si tratta di assistenti sociali) e, nel rispetto dei diversi piani operativi, sono persone caratterizzate da forti convinzioni religiose e democratiche.
L'errore, molte volte, sta nel rifiutare le istituzioni e nell'ignorare le per sone. Sarebbe invece opportuno:
a) favorire rapporti personali tra i responsabili delle diverse istituzioni e di reciproca integrazione tra i diversi piani operativi;
b) essere presenti nei centri sociali con elementi che diano sufficiente garanzia di non strumentalizzare le istituzioni a finalità di parte: nella soluzione dei problemi, per superare le possibili diffidenze, bisogna cominciare ad operare a livello di persone, sfuggendo al complesso del movimento, e responsabilizzando di più le medesime. Del resto, il torto è sempre degli assenti.
NOTE
(1) Cfr. Socializzazione e persona umana, in «Aggiornamenti Sociali», agosto-settembre 1960, pagg. 505-512. Paolo Tufari, La «socializzazione» nell'Enciclica «Mater et Magistra», id., febbraio 1962, pagg. 73-88.
(2) Aldo Ellena, Azione pastorale e catechetica in un ambiente cittadino ad accentuato influsso «marxista», in «Catechesi», marzo 1965, n. 260.
(3) M. J. Mossand et G. Quinet, Côtes d'alerte de la pastorale, Les Editions Ouvrières, Paris 1963, pagg. 1-368.