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    Quattro osservazioni critiche sugli istituti di educazione



    Pietro Gianola

    (NPG 1967-06-30)


    La famiglia è l'istituzione primaria, praticamente insostituibile, centrale ed esemplare dell'educazione.
    Eppure per consenso universale l'esperienza che i figli possono vivere in esse, e la guida e gli sviluppi che vi possono trovare, sono inadeguati alle loro possibilità ed esigenze per inserirsi maturi nella società contemporanea. Né basta l'aggiunta delle esperienze informali che i giovani possono vivere attorno alla famiglia negli incontri con i coetanei e adulti.
    Per questa ragione sono sorte le numerose forme di istituzioni educative integranti la famiglia: la scuola, i centri di raccolta e formazione giovanile, i convitti...
    I caratteri comuni a queste istituzioni possono essere così riassunti:
    - un numero variamente rilevante di soggetti,
    - provenienti da diversi nuclei familiari,
    - sono raccolti in uno stesso ambiente comunitario,
    - dove passano buona parte della giornata (o anche l'intera giornata),
    - sotto la guida di educatori tali non per natura ma per professione con finalità di programmi di educazione,
    - per integrare o sostituire in diverse forme e con vario rapporto di estensione, e intensità, consonanza, l'azione della famiglia.
    Non passiamo in rassegna né la storia né le forme concrete che l'istituto di educazione può assumere. Vogliamo solo fare alcuni rilievi e indicare qualche linea di soluzione. Non consideriamo aspetti o metodi particolari, ma l'istituto d'educazione come tale.
    Abbiamo già detto che l'istituto di educazione, qualunque esso sia, intende integrare e in rari casi sostituire la famiglia, intende aggiungere nuovi programmi di esperienze e di formazione particolarmente utili per conseguire fini di cultura, professione, educazione. Ma proprio questi obiettivi sembrano portare con sé rischi spesso già inconsci con relativi limiti e danni.

    Pericoli d'isolamento dal mondo esterno e dalla pienezza esperienziale giovanile

    a) Descrizione dei fatti e dei pericoli. Ogni istituto di educazione comporta un isolamento fisico. Ma questo è solo l'espressione esteriore di un ritaglio fatto nel vivo delle esperienze e dei contatti quotidiani giovanili, per concentrare l'attenzione e il lavoro entro gli orizzonti degli obiettivi da conseguire: istruzione scolastica, formazione morale, religiosa, professionale... L'isolamento rischia di diventare esperienziale, culturale, sociale, morale.
    Spesso si motivano questi isolamenti con ragioni di preservazione da pericoli, da contatti ed esperienze precoci. O si ritiene che un vero problema non esista, come quando si tratta di scuola o di centro giovanile o di istituto a tempo ridotto, dai quali i giovani alunni rientrano ogni giorno nella pienezza spontanea del vivere quotidiano esterno.
    Le ragioni d'offerta di un ambiente più sano e preservato, sono invocate dagli istituti di educazione con prolungata dimora interna. Qui si intende vigilare gli alunni e le loro relazioni con il mondo esterno; si delimita la loro libertà di movimento e di conoscenza; si proibisce di uscire da soli o in piccoli gruppi non accompagnati; si controlla la corrispondenza in partenza e anche quella in arrivo; si controllano le letture, i libri, le riviste, i giornali; si censurano le informazioni; anche il comportamento tenuto all'esterno o durante le vacanze è giudicato...
    I programmi scolastici fanno la loro strada. Rispolverano ogni sorta di antichità; indagano del presente ciò che è scienza, tecnica, ipotesi o espressione scientifica. Disegnano il vissuto, la cronaca, l'espressione quotidiana, la risonanza o l'istanza psicologica giovanile individuale o di gruppo... Scarso è il posto per l'accadimento, per ciò che fa notizia, per ciò di cui pure tutti parlano, che tutti stanno vedendo, leggendo...
    I pericoli sono comunque sempre gravi, per i giovani che consentono a queste costrizioni ad estraniarsi dal vissuto, per quelli che dissentono da tutta tale impostazione così insensibile agli autentici interessi.
    La famiglia non sa spesso assolvere il suo compito di istituzione educativa centrale di revisione e valutazione e guida nel frastuono dei problemi esperienziali quotidiani. La maggioranza dei giovani non ha altri che la scuola. Sono fortunati quelli che frequentano una scuola inserita in una vera istituzione educativa, come l'esternato, il semiconvitto; ma solo nel caso in cui tale formula sia effettiva e non solo nominale, cioè nel caso in cui nella scuola o dopo e attorno alla scuola vi sia un'effettiva ed efficace cura per fornire più larghe esperienze, più sicure verifiche, più valide formazioni, che tengano largo conto del vissuto intimo dello sviluppo bio-psico-sociale personale, del vissuto totale esterno quotidiano.
    Chi resta a lungo all'interno? Incorre nel pericolo di crescere in stato di vera estraneità dalla vita. Non è che in tale condizione il carattere si rafforzi e si prepari. Anzi è proprio tale situazione la causa di molti indebolimenti di carattere. Si perde il contatto con le altre classi sociali, con gli altri gruppi, con le altre culture e professioni. Si subiscono limitazioni arbitrarie negli incontri con l'altro sesso, deformandone la percezione, il concetto, l'affetto, la maturità di rapporto...
    In ambienti di isolamento si perde il contatto con gli aspetti economici della vita, perché c'è chi pensa a tutto. Ma questo pensare a tutto e per tutti è sommamente deleterio in ogni campo in cui si esercita, dai divertimenti alle letture, agli spettacoli, agli orari, alle selezioni esperienziali, ai ritmi della vita religiosa. Proprio nel campo religioso forse nulla fa perdere tanto la spontaneità delle idee e dei sentimenti come la pratica già tutta decisa e obbligata ogni giorno dall'esterno, senza più esperienza di libera scelta.
    I troppi controlli inducono al fariseismo, feriscono i sentimenti personali, indeboliscono i poteri e la maturità dell'autocontrollo.

    b) Indirizzi di superamento. Si possono considerare due direzioni.
    Dilatare l'esperienza personale all'interno degli istituti.
    La scuola con i suoi insegnamenti scolastici non è per sé estranea alla vita. Basta che parta e arrivi molto largamente a contatto con il vissuto quotidiano giovanile, e ne costituisca la revisione, la fondazione, lo sviluppo a livello scientifico. Il passato proietti luce sul presente in ogni campo. Ogni insegnante tenga presente le espressioni e gli accadimenti d'oggi nel proprio campo di interesse e di insegnamento e cura. E si faccia guida mediatrice della scoperta di una meravigliosa realtà personale e culturale. Si faccia attento alle domande e alle attese che sgorgano dalla vitalità psicologica degli alunni, secondo l'età, il sesso, le capacità individuali.
    Gli istituti di più prolungata convivenza devono fare ogni sforzo per permettere ai giovani la massima espansione personale, libera, autentica, totale, moderna, individuale, senza costringerli a nascondere gli aspetti più vivi del loro intimo vissuto, anche se qualche volta può a prima vista sconcertare non poco. Non bastano permessi generici; occorre dare tempo e spazio, libertà di incontro, di articolazione in gruppi, sicurezza di non essere giudicati e condannati per la verità delle espressioni più vive.
    Una tale autenticità vitale deve essere alimentata dall'esterno, con contatti e rapporti esterni. Per ora consideriamo l'esigenza di larga apertura all'informazione sociale, attraverso giornali, riviste, libri, radio, televisione, cinema, soprattutto se tutto questo è seguito da conversazioni, da dibattiti, se è programmato da gruppi responsabili d'interesse e di servizio.
    È logico che per la natura educativa dell'istituto e delle esperienze che vi vengono vissute, rimane una precisa funzione agli educatori: non più però centrata sulla vigilanza preservativa, ma sulla presenza morale (non sempre fisica) educativa, cioè diretta a valutare globalmente la validità delle esperienze, a intervenire con varia azione di guida, di aiuto, di integrazione, e anche di correzione degli inconvenienti.
    Un'ottima apertura è costituita dall'invito di personalità particolarmente dotate di informazione e di validità di vita, famose per la scienza e per la esperienza della vita, per la competenza nei problemi giovanili, per tenere conferenze, per dirigere conversazioni, per informare gli alunni della loro attività, per orientare le scelte vocazionali e professionali, per discutere assieme ogni sorta di problemi.
    Oggi deve essere tenuta in considerazione la possibilità di mutui inviti tra gruppi giovanili, a volte omogenei, a volte appositamente eterogenei e quindi capaci di offrire nuove esperienze, nuovi contributi: cioè con differenza di indirizzo, di razza, di religione, di sesso, di età, di interessi...
    Aprire gli istituti a larghe raggiere di esperienze esterne.
    Ogni istituto si trova già per sé immerso in una rete di relazioni che non può trascurare, che anzi deve coltivare, pur senza rompere i ritmi del proprio impegno autonomo di lavoro e vita.
    Secondo la natura propria l'istituto è in rapporto con centri, manifestazioni, organizzazioni, attività di cultura, di formazione, di vita sociale e civile, di religiosità, di gioventù, di ricreazione e sport, di spiritualità, apostolato, carità, a livello locale e più largo. Basta volere e scegliere; così si può modulare una immissione metodica e intenzionale dei giovani di ogni istituto in una raggiera larghissima di relazioni, di presenze, di scambi, di influssi reciproci, di esperienze tali da superare in numero e soprattutto in valore formativo la stessa esperienza spontanea abbandonata a sé.
    Si possono susseguire iniziative di turismo, visite, gite (occasionali, frequenti, programmate) che possono permettere l'accostamento di persone, di culture. Anche ogni uscita a piedi, in auto, in bicicletta, può tradursi in contatto esplorativo valido.
    Le uscite, le andate in famiglia, le vacanze settimanali e mensili, occasionali o di fine d'anno, offrono una gamma di incontri ed esperienze che non deve essere guardata con sospetto, non abbandonata a sé, ma integrata in un piano educativo intenzionale. Questo prevede un lavoro preparatorio, una guida, dei resoconti, delle revisioni e dei giudizi, e nuovi propositi per altre successive occasioni.È evidente che i criteri non potranno restare solo disciplinari o moraleggianti; dovranno abbracciare tutto l'arco dei valori formativi.
    Si può misurare ora l'importanza d'avviare all'uso valido del tempo libero in istituto. I migliori risultati si ottengono infatti con ragazzi educati per tempo alla responsabilità e all'iniziativa personale e di gruppo.
    Negli istituti riservati ad alunni di un solo sesso, bisogna superare il pericolo dell'estraneità con l'altro sesso; bisogna avviarsi su linee di nuove prospettive. Una revisione di fondo va portata sui giudizi, sulle percezioni, sull'impostazione positiva e non negativa dei problemi dell'incontro. Su tale linea rinnovata bisogna procedere, pur con la dovuta prudenza: incontri tra gruppi di diversi istituti per impegni comuni ad alto livello; manifestazioni comuni; partecipazione ad associazioni e attività esterne comuni; serena regolazione delle visite di fratelli e sorelle, con incontri e manifestazioni comuni; preparazione a incontri positivi e fiduciosi nei tempi delle vacanze.
    Per apprendere l'uso del denaro, il ragazzo può ricevere una somma fissa o variabile dai genitori, e amministrarla a suo piacimento, pur rendendone conto periodicamente. E questa somma non dovrebbe riguardare solo le spese superflue, ma anche alcune spese imprevedibili ma inevitabili nel corso della convivenza.
    Per evitare che gli alunni perdano i frutti dell'educazione ricevuta, uscendo dall'istituto, soprattutto se in età ancora acerba, ha grande importanza la modalità della formazione: solida, persuasiva, incarnata in condotte personali e di gruppo, proiettata verso l'avvenire, quindi analoga alle situazioni future di iniziativa, di responsabilità, alle nuove forme di inserimento. Si devono curare gli Exallievi, con iniziative che continuano rapporti e influssi educativi, presenze di guida nei momenti delicati della vita personale, professionale, morale, religiosa.
    La corrispondenza e le altre forme di attività intima, devono essere rispettate, in forme leali, confidenti, mai repressive, inquisitorie.

    Pericoli collegati con l'educazione di massa
    (organizzazione e mezzi collettivi)

    a) Descrizione. Negli istituti vengono educati numerosi soggetti, riuniti con larghi criteri di selezione; la loro organizzazione ed educazione è larga mente collettiva.
    Si può proporre una distinzione tra la collettività e comunità sociale. La comunità solidale si distingue dalla collettività di vita per il fatto che in quella ognuno si sente responsabile non soltanto davanti alla collettività, ma anche davanti a se stesso. La dinamica sociologica della collettività è l'assimilazione; la dinamica sociologica della comunità solidale è l'interrelazione affettiva oltre che vitale.
    L'istituto deve portare alla collettività, e quindi attraverso questa alla comunità solidale.

    b) Pericoli. Nell'istituto l'alunno si trova continuamente immerso nel campo di «influenza interpersonale» che permea l'ambiente. Forze irradianti appunto dall'ambiente, forze suggestive provenienti dagli educatori e dai compagni, portano al formarsi un'«anima collettiva» (L. Bopp). Da questo fondo psicologico e sociologico emergono pericoli per la formazione della personalità dell'alunno.
    1. L'incapacità d'iniziativa: è l'anima collettiva che pensa, giudica, sente, s'atteggia, fa. L'alunno è portato inconsciamente ad agire e sentire come sente e opera il «gruppo» (J. Schroteler).
    2. Ne consegue il livellamento generale di tutti gli alunni, al livello di questo spirito comune.
    3. Il pericolo è ancora maggiore, se si pensa che l'alunno subisce tutte queste conseguenze in modo inconscio, e che perciò ben difficilmente può far qualcosa per reagirvi. Né gli educatori lo pretendono; anzi sono ben lieti di vedere le cose facilitate, a meno che siano dirette contro di loro e contro la disciplina.
    4. Ne consegue che il singolo è difficilmente capace di reagire contro le influenze dei compagni, fino a formare gruppi clandestini dominati da personalità dotate di ascendente: fumo, alcool, omosessualità, discorsi equivoci e letture disoneste, resistenza sorda o aperta; nei casi migliori, gruppi di appassionati di sport, di musica moderna...
    L'aspetto positivo di questa situazione sociologica e psicologica consiste nel fatto che in tal modo l'alunno si abitua alla comunità, a conformare i propri gusti personali a quelli del gruppo.

    c) Superamento. Si ottiene in genere mediante la divisione della «massa» degli alunni in piccoli gruppi autonomi e responsabili, dotati di iniziativa, entro i quali i singoli a loro volta godano di considerazione, di impegno personale. Nella storia si trovano parecchi sistemi per tale divisione.
    1. Medio Evo: separazione tra schola exterior e schola interior.
    2. Gesuiti: divisione in tre grandi gruppi: piccoli, medi, grandi.
    3. L'individualismo e il liberalismo ne hanno tratto motivi di condanna della forma educativa collegiale.
    4. Dall'inizio del secolo XX si hanno diversi esperimenti del sistema-comunità:
    a) Il sistema famiglia-focolare: tutto l'istituto viene diviso in parecchie famiglia, con un padre e una madre (sposati o no) educatori di 15-20 alunni come figli. Il sistema è buono, ma economicamente costoso, pedagogicamente non facile.
    b) Scioglimento della massa degli alunni in una istituzione di tipo familiare (Lietz, Geheeb) o in compagnie, camerate, gruppi attorno a un educatore (Wyneken, Benten).
    c) La divisione in Gruppi-Famiglia: ogni gruppo-famiglia deve avere un massimo di 30 alunni (meglio se appena sopra i 15 se in ambiente di rieducazione). Ogni gruppo-famiglia deve avere per sé: sala di lavoro, refettorio, sala di ricreazione e soggiorno, dormitorio (meglio se un sistema di camerette per gruppi minori), luoghi di ricreazione più movimentata e rumorosa, attrezzature corrispondenti. Ma soprattutto deve avere un educatore proprio. Qualcuno crede che il numero ideale per tali gruppi sarebbe 8-10-12 alunni. Dove queste innovazioni radicali non sono possibili, si attuino almeno adeguate separazioni per gruppi ristretti in tutti gli ambienti; refettori a piccole tavole (4-6-8) separate; camerette per piccoli gruppi; separazione di ogni letto con elementi divisori, anche solo a tenda o meglio a box con tre pareti e tendina. Le stesse divisioni, o altre relative al tipo d'attività, sono da adottare nella ricreazione, nello studio, nelle passeggiate, nelle visite, per le conseguenze che hanno sulla disciplina, sulle sue forme, sulle relazioni educative con i singoli alunni, sulla garanzia di conseguire le finalità formative di ognuno.
    d) Un altro mezzo adatto per evitare l'ambiente di «massa» nell'internato consiste nella cura dell'arredamento. Quanto più la disposizione degli ambienti, il loro arredamento, si assomiglia allo stile di un ambiente di famiglia, tanto meno il ragazzo si sente sotto l'influsso dello spirito di massificazione.
    e) Però ha maggiore importanza per evitare il pericolo della massa nell'istituto, la struttura interna dell'istituto stesso.
    In esso alunni e educatori devono formare una unica comunità educativa, tesa a un unico fine: la formazione dell'uomo totale.
    I maggiori responsabili e gli educatori più prossimi, tutti contribuiscono a dare al rapporto e all'ambiente educativo la giusta impronta, il giusto indirizzo.
    f) Un mezzo moderno per evitare il pericolo della massa, è la Pedagogia Sociale. L'educatore con questo sistema impegna le risorse e le iniziative gregarie, comunitarie, dei ragazzi, in direzione degli obiettivi dell'educazione. L'istinto sociale viene incanalato in organismi e iniziative di autogoverno disciplinare e formativo della collettività. In alcuni casi si è giunti fino ad impegnare i giovani a elaborare il proprio regolamento, un codice di condotta e lavoro, per la reggenza dell'istituto: autogoverno, o corresponsabilità educativa di diversa forma ed estensione.
    Per evitare la formazione delle «bande» clandestine o palesi, il miglior metodo è di favorire la formazione legale dei gruppi.È il principio che ha portato i Gesuiti a istituire le Congregazioni Mariane, i Salesiani ai gruppi e alle Associazioni Giovanili...
    g) Per evitare la morale di gregge, amorfa, mediocre, irresponsabile, esteriore, per cui ognuno fa quel che gli altri fanno, occorre dare il primato alla formazione della coscienza personale, fornire questa occasione di esercitarsi, di imporsi, di difendersi, di affermarsi.

    N.B. Il pericolo dell'educazione di massa non si può eliminare interamente, almeno nei grandi complessi. Se ne può però arrestare notevolmente l'influsso negativo sugli alunni. Tale pericolo resta come una prova per ogni ragazzo, da affrontare e vincere ogni giorno, come preparazione al le prove della vita.

    Pericoli connessi con la spersonalizzazione dei principi educativi in regolamenti, disposizioni, schemi di comportamento

    a) Descrizione. L'istituto di educazione, come ogni altra forma di convivenza comunitaria, ha due specie di leggi: normative (il Regolamento), legislative (l'orario di ogni giorno, il calendario delle attività).
    Il Regolamento: dà le norme generali; perciò, come ogni statuto o carta costituzionale, deve partire da una certa concezione dell'uomo, del giovane, dell'educazione, dei fini e dei metodi dell'educazione secondo determinati principi filosofici, scientifici, religiosi, sociali... Così concepito, esso si applica indiscriminatamente a giovani di diversa provenienza e formazione, di diversa esperienza di vita e disponibilità alla educazione e ai suoi metodi. Può farlo dolcemente; può farlo in maniera intransigente, violenta, senza considerare la diversa provenienza, convinzioni, concezioni, personalità... Deve invece proporsi rispettoso delle differenze individuali, dei diversi ritmi d'evoluzione e dei diversi orientamenti di vita.
    L'Orario e il Calendario delle attività: la regolazione esatta di tutti gli atti della giornata porta con sé il pericolo della meccanizzazione, della automatizzazione, della routine del comportamento personale e della volontà con conseguente mancanza di educazione alla indipendenza, di preparazione a una vita dove ognuno dovrà scegliere e decidere, programmare e pianificare secondo criteri più elastici. La moralità può ridursi a cura della legalità dell'osservanza materiale degli oratori.

    b) Superamento. Un mezzo radicale consiste nell'organizzare in modo familiare la vita dell'internato, con contatti personali tra educatori e alunni, il maniera che il regolamento sia ricondotto a grandi principi d'intesa, di posizioni comuni di fini, di obiettivi, di modalità. Anche il sistema equilibrato dell'autogoverno o della corresponsabilità attiva diminuisce il senso d'oppressione dell'ordine esterno. Gli alunni contribuiscono a stabilire gli orari, i programmi, ed è lasciata loro l'osservanza. Per la scuola, i giuochi, il tempo libero, le feste... hanno possibilità di proporre e decidere quelle varianti che risultano ragionevoli. Gli alunni non sono più passivi davanti all orario; non lo rifiutano, non vi si oppongono, perché lo sentono proprio e funzionale, trovandovi una spinta all'indipendenza interiore, alla maturità di decisione e scelta, un appoggio contro la pigrizia, o l'improvvisazione, una base di sicurezza personale e di convivenza collettiva, un fattore di formazione del carattere, una palestra di volontà. È bene che all'inizio gli educatori sostengano l'orario con mano ferma; poi ne passino sempre più il controllo agli alunni, fatti più maturi, più capaci di iniziativa personale.

    Pericoli dell'applicazione dei principi educativi agli alunni mediante educatori professionali ed estranei

    a) Descrizione. L'educatore d'istituto occupa una posizione particolare è anch'egli sotto la direzione del regolamento e dell'orario giornaliero L'autorità non è naturale: nasce dall'ordinamento; è oggettiva. Non è l'autorità-naturale, soggettiva, dei genitori. L'autorità soggettiva (di ascendente, di inclinazione all'ubbidienza) la deve ottenere, conquistare; può ottenerla e perderla, aumentarla o vederla diminuire o subire oscillazioni generali o individuali. L'educatore è inizialmente un estraneo: difficoltà che a volte si supera con lentezza. La sua posizione è di natura professionale. Professionista della educazione, può rivelarsi competente ed esperto, ma può anche subire conseguenze negative.
    L'educatore nell'esercizio dell'autorità può marcarne eccessivamente il rigore, per esempio pretendendo un'obbedienza cieca, l'osservanza meccanica del regolamento... O l'alunno si adatta e diventa puramente legale e farisaico, o si amareggia e diventa ribelle e rivoluzionario. Per questa ragione Don Bosco ha eliminato il sistema repressivo dell'educazione. Però l'educatore può cadere anche nel difetto opposto, svalutando la propria autorità, non proponendone la forza morale e perciò educativa, non offrendola mai come motivazione della condotta. È pericoloso anche rinunciare ad ogni impostazione e rapporto d'autorità, per ispirare tutto a comune consenso ragionevole, ad amicizia. Questo atteggiamento porta con sé il pericolo che l'alunno si creda già «maturo», che creda che sarà sempre cosi nella vita, che non diventi capace di obbedienza, che diventi egoista ecc.
    Anche il fatto dell'estraneità parentale dell'educatore può essere un vantaggio per l'alunno, perché gli offre un'esperienza di rapporto più oggettivamente riferito all'ordine delle cose, del dovere.
    Però c'è anche il pericolo che il giovane non abbia fiducia in un educatore professionale; che l'educatore abbia a cuore, più che l'alunno, i suoi interessi, la sua abilità professionale, o i valori impersonali del mestiere, dimenticando l'individualità del ragazzo. Può accentuare l'esercizio delle funzioni diagnostico-terapiche, vedendo più i difetti che i pregi e le virtù.

    b) Superamento. Questi pericoli sono più facilmente superabili, perché dipendono per lo più dall'avvertenza e dalla volontà dell'educatore.
    Per eliminare il falso concetto dell'autorità, l'educatore deve avere una chiara idea di essa, in funzione educativa, non nell'accezione generale della reggenza degli adulti, mediante il comando oggettivo e la minaccia.
    Deve proporre un'autorità paterna, amichevole, secondo l'età e lo sviluppo mentale e morale del giovane, secondo il momento e il rapporto. Deve sapere dare agli alunni responsabilità e posizioni di fiducia. Chi pretende rispetto da parte degli alunni, per sé e per l'autorità connessa alla carica, deve per primo rispettarli, e far dell'autorità e del suo esercizio qualcosa di rispettabile, di amabile perfino, nonostante le esigenze di fermezza.
    Il pericolo dell'estraneità parentale può essere evitato solo con un grande esercizio di seria autoeducazione e autoosservazione, per conquistarsi l'animo dei giovani; ricordando i propri anni giovanili, seguendo la letteratura al riguardo, mirando più ad esercitare l'autorità con il consiglio che con il comando. Giova molto anche il contatto frequente, continuo, con i genitori d'ogni alunno, ben conosciuto dal ragazzo. Bisogna leggere tutto ciò che serve per capire meglio il ragazzo d'oggi.
    Il Direttore dell'istituto deve poter selezionare i propri collaboratori, e formarli con costante cooperazione. L'esempio e la personalità di tutti coloro che sono in contatto diretto con gli alunni, sono fattori primari.
    Ogni educatore deve incessantemente lottare con se stesso per migliorare il proprio essere, il proprio agire, il proprio educare.

    CONCLUSIONE

    La conclusione di queste note si può riassumere cosi: non è mai possibile evitare tutti i pericoli e le deficienze dell'istituto d'educazione (è forma sempre «essenzialmente imperfetta», disse Pio XII); questi pericoli e limiti però si possono incessantemente alleviare e rimediare.
    Gli istituti non sono case di rieducazione, né il ricovero dei ragazzi di cui i genitori «non sanno più che fare». Se cosi fosse, tutto l'istituto andrebbe ripensato e ristrutturato. Se non è cosi bisogna evitare che il clima e i rapporti si intorbino e appesantiscano.
    Non si dimentichi che non tutte le età sono adatte per la vita in istituti d'educazione, che implicano un notevole distacco dalla famiglia.
    La vera educazione può essere impostata soltanto su un impegno di influenza e lavoro armonico tra famiglia (genitori), e istituto (educatori).


    T e r z a
    p a g i n A


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