Orizzonte pastorale
Redazione
(NPG 1967-02-04)
Gli incontri pastorali che in questi ultimi tempi si succedono con più frequenza esprimono spesso tacitamente un senso vivo di povertà e di impotenza davanti al mondo giovanile che cresce nelle nostre città e paesi, che cambia di anno in anno, che si organizza attorno a sempre nuovi valori e nuovi miti, senza che noi pastori ed educatori possiamo essere nient'altro che dei testimoni ai quali non si domanda il parere.
Ciò che plasma il volto di questi giovani è questo mondo che vive, che cresce, che crea e si distrugge. Ed è a servizio di questo mondo in guerra, al Viet-Nam o altrove, l'impegno evangelico della Chiesa e del suo «servo dei servi», Paolo VI, di ricercare tutti i dialoghi possibili per riconciliare le nazioni disperse. Umilmente «Colui che vi parla è un uomo come voi; è vostro fratello, anzi uno dei più piccoli tra di voi... Non ha nessuna potenza temporale, nessuna ambizione di entrare con voi in competizione... Non abbiamo nulla da chiedere, nessun problema da sollevare, al massimo abbiamo un desiderio da formulare, un permesso da sollecitare, quello di potervi servire in ciò che è di nostra competenza, con disinteresse, umiltà e amore».
Questo brano del discorso all'ONU non potrebbe, rispondendo a quel sentimento di impotenza di tanti di noi, esprimere ciò che si potrebbe chiamare «una spiritualità della Chiesa nel mondo dei giovani»?
La nostra rivista di Pastorale Giovanile vuol aiutarci a comprendere questo mondo così complesso e agitato venendo incontro alla nostra impazienza di amare e di salvare.
Non ha da suggerire delle formule prefabbricate. Ha il solo desiderio di cercare, insieme a voi, e di comprendere quelle situazioni che onestamente sentiamo il dovere di ripensare e ricollegare alla verità del Vangelo. Cercare non vuol dire disobbedire.
Il nostro compito di educatori è di capire in questo momento il travaglio dei giovani, senza chiuderci in una rigida visione che li impoverirebbe perché li snaturerebbe. La lettura evangelica degli avvenimenti e delle situazioni diventa il compito principale delle comunità educative (Revisione di vita).
Non è un lavoro facile, perché richiede da noi che si sappia cambiare una visione che da anni ci era familiare. Ci vuole del tempo per cambiare! Anni di servizio umile, di desiderio di dialogo, di sforzo di attenzione, di accettazione fraterna delle differenze.
Cercare assieme senza gettarci addosso degli anatemi vuol dire capire che «siamo qui per servire e non per essere serviti». Vuol dire accettare onestamente il dialogo, il «faccia a faccia» tra di noi e con i nostri giovani, nell'unico vivo e forte desiderio di servire la storia nella verità.
Ci sembra che solo in questo rispetto universale e in questo progresso di dialogo, si possa porre la condizione iniziale per una vera azione pastorale.
In questo senso noi proponiamo in questo numero della Rivista alcune linee di azione pastorale che partendo dalla realtà storica dei giovani d'oggi, ci pare, permettano un azione pedagogica abbastanza fedele alle esigenze dei giovani e allo spirito del Concilio.
Il problema dei Piccoli Gruppi che qui affrontiamo solo in parte, nell'aspetto piuttosto metodologico e tecnico, ci permette di essere presenti al processo di maturazione dei giovani in spirito di servizio fraterno e non magistrale e come risposta alla richiesta di ulteriori studi per l'interpretazione del recente documento «La Comunità educativa degli Oratori» pubblicato dalla Conferenza degli Ispettori Salesiani d'Italia nel dicembre scorso.
Perché parliamo dei «piccoli gruppi»?
Il lavoro in équipe è di moda.
A poco a poco, l'automazione ha liberato l'uomo dall'aspetto materiale del lavoro. D'altra parte, l'uomo si è trovato alle prese con problemi sempre più vasti, complessi e difficili: la guerra, la pianificazione economica, la ristrutturazione dell'insegnamento, l'organizzazione pastorale delle diocesi e delle parrocchie.
Davanti a questa situazione, l'uomo si è sforzato di dare al suo lavoro il massimo d'efficacia e di produttività.
Per questo ha ricorso al lavoro in équipe.
Kurt Lewin ha incominciato a studiare questi problemi intorno all'anno 1930. Dopo di lui, altri ricercatori hanno raccolto una vasta documentazione per studiare la psicologia dei gruppi. Questa nuova scienza fu da loro chiamata «dinamica dei gruppi».
Nello stesso tempo e parallelamente a questa ricerca scientifica, molte altre tecniche sono state elaborate per aumentare l'efficacia del lavoro in équipe. Il termine «dinamica di gruppo» è pure impiegato per designare l'insieme delle tecniche.
Dopo vari anni di lavoro e di sperimentazione sulle tecniche di gruppo si è formato un nuovo concetto di gruppo.
Questo concetto è centrato da una parte sul rispetto delle persone e dall'altra sulla partecipazione delle responsabilità tra tutti i membri del gruppo. Questa nuova concezione del gruppo e lo spirito che anima il lavoro, viene pure designato con il termine «dinamica dei gruppi».
L'espressione quindi «dinamica di gruppo» ha una triplice significazione: essa è una scienza, un insieme di tecniche e uno spirito.
Leggendo le pagine che seguono si dovrà tener conto di questa triplice significazione per evitare gli inconvenienti e i pericoli che inquietano coloro che osservano la dinamica dei gruppi solo dall'esterno. Le tecniche sono utili nella misura in cui esse rispettano la persona e sono messe a suo servizio. Inoltre. queste tecniche non sono una ricetta magica che risolva tutta la pastorale giovanile. Sarebbe utopistico pensare che esse siano infallibili e risolvano automaticamente tutti i problemi dell'educazione alla fede e dell'impegno cosciente dei giovani.
Nè la scienza della dinamica dei gruppi, né le sue tecniche possono dispensare dalla riflessione e dal lavoro personale degli educatori e animatori di gruppo che suppone sempre evidentemente l'azione della grazia.
Un animatore di gruppo sarebbe ben povero se si immaginasse aver raggiunto l'ideale il giorno in cui si sia svuotato da ogni opinione personale.