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    La Parola di Dio



    (NPG 1967-06-22)


    Il tema di lavoro che impegnerà quest'anno (1967-1968) l'Azione Cattolica è la «Parola di Dio», come emerge dalla Costituzione Dogmatica «Dei Verbum» sulla Divina Rivelazione.
    Il tema vuol essere eminentemente pastorale. Contro la facile tentazione di una serie di lezioni accademiche, vuol essere l'occasione per una vera e propria «revisione di vita» dell'agire cristiano. «Cristo che parla» e continua a rivelarsi nella Scrittura, nella Azione Liturgica, nella Comunità Ecclesiale e nella Storia dell'umanità dev'essere l'oggetto di una continua attenzione e contemplazione.
    Se Cristo, per mezzo del suo Spirito, è all'opera in tutta 'umanità quale dovrà essere l'atteggiamento di ascolto del cristiano?
    Da questa esperienza dell'incontro con Cristo nasce l'urgena evangelizzare diventa far conoscere agli altri che Cristo è all'opera nel mondo. Che la sua Parola risuona ancora oggi nelle situazioni storiche della vita.
    Tutto questo è possibile se:
    – si sa far attenzione alla sua Parola scritta,
    – se si celebra con amore l'Eucaristia,
    – se la comunità è testimonianza viva di questa Parola.


    DEI VERBUM
    BREVE PRESENTAZIONE DELLA COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA DIVINA RIVELAZIONE
    a cura di Mons. Natale Bussi

    Per leggere in giusta prospettiva la Dei Verbum, promulgata il 18 novembre 1965, occorre tener presente che il Concilio, in tutti i suoi lavori, non ha trattato che un tema unico: la Chiesa. Tema sviluppato in sedici documenti, che possono considerarsi come altrettanti capitoli di un libro sulla natura e la missione del Popolo di Dio nella odierna situazione della storia umana.
    La Chiesa è, per sua intima natura, il mistero della comunione di vita degli uomini con Dio Padre e tra loro per mezzo di Cristo nello Spirito Santo; e la sua missione – compiuta insieme dalla gerarchia e dai laici – è quella di chiamare tutti gli uomini di tutti i tempi a questa comunione di vita, in cui consiste la salvezza del mondo e, a un tempo, la gloria di Dio. Ora la parola di Dio, in quanto ascoltata, ossia accolta con fede, forma appunto questa comunione, che è la Chiesa; in quanto proclamata – e il proclamarla è missione della Chiesa – chiama a questa stessa comunione, alla salvezza in Cristo. In breve, l'ascolto della parola di Dio crea la Chiesa; la proclamazione della parola di Dio, costituisce la missione della Chiesa.
    Di qui, si vede come la Dei Verbum si inserisca nell'unico tema del Concilio, anzi costituisca come il fondamento di tutta l'opera conciliare. Si legga, ora, il Proemio: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il Sacrosanto Sinodo aderisce alle parole di Giovanni, il quale dice: "Annunciano a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunciamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (1 Giov. 1, 2-3)».
    Dopo questa premessa, veniamo al contenuto della Dei Verbum, che è appunto la parola di Dio o rivelazione divina, di cui il Concilio intende presentare la vera dottrina circa la natura (Capo I) e la trasmissione (capi II-VI).

    Che cos'è la rivelazione

    1. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (Cfr. Ef. 1, 9), mediante il quale gli 'uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno libero accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura» (n. 2, periodo 1°).
    La rivelazione ha il suo principio nel beneplacito (eudokia) di Dio che nella sua bontà e sapienza, manifesta se stesso e il mistero – piano, disegno, decreto, progetto – della sua volontà, che è di unire a sé, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo, gli uomini, facendoli partecipare alla divina natura e, quindi, abilitandoli a dialogare con le tre divine persone. Questo è l'oggetto della rivelazione. Non si dice che tale oggetto è la Trinità, la Incarnazione, la redenzione, la grazia, la Chiesa, la vita eterna, ma il Mistero nel senso paolino, il quale abbraccia tutto ciò in concreto e per di più in una visione dinamica, storico-escatologica. Così l'oggetto della rivelazione viene presentato nel modo più completo, più ricco, più suggestivo, più afferrabile.
    Questo mistero, per il fatto che è oggetto o contenuto della divina rivelazione, è pure oggetto o contenuto della predicazione apostolica, della Tradizione, dei libri del nuovo testamento e, in quanto preparazione e promessa, anche di quelli del Vecchio. Perciò stesso è il contenuto della predicazione ecclesiastica e delle scienze teologiche.

    2. «Con questa divina rivelazione Dio invisibile, nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es. 33, 11; Giov. 15, 14-15) e si intrattiene con essi (Bar. 3, 38) per invitarli e ammetterli alla comunione con Sè» (n. 2, per. 2°).
    Viene qui precisata la natura o l'aspetto formale della rivelazione: è una parola con la quale Dio esce dal suo silenzio e apre un dialogo, come tra amici, si intrattiene con gli uomini, in un rapporto di persona a persona, di io-tu come con Mosè, di io-voi come con gli apostoli, per invitarli e ammetterli alla comunione della sua vita tripersonale. Coloro che, ascoltando questa parola, questo invito, si donano consapevolmente e con amore a Dio, ossia l'accolgono con fede (n. 5), entrano in questa comunione di vita, che è la salvezza. Parola di Dio – e risposta dell'uomo: ecco la struttura fondamentale del vero rapporto religioso, dell'unione di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio. La parola di Dio, a cui risponde la parola o il sì dell'uomo, crea la comunione. Dai termini qui usati: parola, colloquio, comunione, amore, amicizia, è facile vedere che il Concilio si esprime col linguaggio del «personalismo dialogico», lanciato, dopo la prima guerra, nella cultura europea da F. Ebner e M. Buber. Il primo lo aveva elaborato nel Nuovo Testamento, il secondo sul Vecchio.

    3. «Questa economia della rivelazione avviene con eventi (gesti) e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole proclamano le opere e dichiarano il mistero in esse contenuto» (n. 2, per. 3°).
    È la prima volta che un Concilio spiega in concreto l'economia ossia il modo secondo cui si attua la rivelazione. Dio si manifesta con gesti, ossia con opere costituenti la storia della salvezza, e con parole che riferiscono e spiegano queste opere. Per l'antico Testamento, le opere più salienti – a parte quella fondamentale della creazione – sono la liberazione dall'Egitto (esodo) e il patto sinaitico (legge). Per il Nuovo, le opere sono le azioni della vita di Gesù, specie la sua morte e risurrezione. Le parole che spiegano le opere sono, per l'Antico Testamento, soprattutto quelle dei profeti, per il Nuovo Testamento quelle di Gesù stesso e soprattutto quelle degli Apostoli. È noto come S. Paolo ha impegnato tutta la sua predicazione e scritto le sue lettere per spiegare il significato salvifico, quindi esistenziale per l'uomo, del mistero pasquale.
    Dio, insomma si rivela in fatti storici che hanno una loro successione e con parole che spiegano il mistero, la realtà profonda e indivisibile in essi nascosta. La rivelazione ha pertanto, come oggi si suole dire, carattere storico-sacramentale. Fin qui il Concilio ha detto qual è l'oggetto della rivelazione, la sua natura, la sua economia.

    4. Ora precisa un'altra cosa della massima importanza: Cristo è la pienezza della rivelazione e perciò in lui risplende a noi la verità profonda sia di Dio sia della salvezza umana (n. 2, per. 4°).
    Pienezza della rivelazione nel suo oggetto: Egli è il Mistero. In sè stesso, Cristo è la più intima unione di Dio con l'uomo, e, per tutti gli altri è principio e prototipo della loro unione con Dio. Cristo e l'umanità per mezzo di Lui, in lui e con lui unita in comunione con Dio: ecco il Mistero di Cristo di cui parla S. Paolo.
    Pienezza della rivelazione nella sua natura: Cristo è la parola di Dio fattosi carne, venuto tra gli uomini, fratello tra fratelli, per dialogare con loro e ammetterli nella comunione con Sè e perciò col Padre e lo Spirito Santo.
    Pienezza della rivelazione nella sua economia. Tutte le opere – creazione compresa – fatte da Dio prima di Cristo e tutte le parole dette da Dio per spiegare queste opere sono preparazioni e promesse che trovano il compimento nell'opera e nella parola di Cristo. Egli, nella sua incarnazione, nella sua vita, nella sua morte e risurrezione è la proto-opera divina che dà il significato a tutte le opere divine fatte prima e dopo di lui (ad es. i sacramenti). Egli, con tutte le sue parole dette per spiegare l'opera divina che è lui stesso, è la proto-parola che dà il vero e profondo senso a tutte le parole divine dette prima e dopo di lui (ad es. la predicazione). Tutto questo non è che una spiegazione dei nn. 2 (4° per.) 3 e 4. Il n. 6 aggiunge che la rivelazione soprannaturale, di cui si è fin qui parlato, non esclude quella naturale, ma la conferma e la rafforza.

    Come si trasmette la rivelazione

    «Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni» (n. 7).
    Questa volontà di Dio è espressa nel comando di Cristo, dato agli Apostoli ,di portare il Vangelo della salvezza a tutto il mondo. Essi adempirono questo comandamento in due modi: primo, con la predicazione, che in concreto comprende anche istituzioni, riti, pratiche; secondo, con lo scrivere – sia loro stessi, sia persone della loro cerchia – sotto ispirazione dello Spirito Santo, la buona novella, il mistero della salvezza. La rivelazione penano viene trasmessa con la Tradizione e con la Scrittura. Così Tradizione e Scrittura sono come uno specchio in cui la Chiesa contempla il mistero di Dio, penetrando in esso sempre più, finché non giunga a vederlo svelatamente. Il che vuol dire che il linguaggio della Tradizione e della Scrittura è un complesso di segni – lo specchio è un medium quo – attraverso i quali ci sforziamo di cogliere, con la fede, quella realtà che ci renderà beati in cielo. La fede è pregustamento della visione (n. 7). A questo punto il Concilio affronta le principali questioni circa la Tradizione (nn. 8-10) e la Scrittura (nn. 11-26).
    Il n. 8 tratta della Tradizione in se stessa. Dopo aver detto qual è il suo contenuto – tutto il Vangelo o mistero di Cristo nel senso spiegato sopra – e come esso venga trasmesso non solo dalla predicazione ma da tutta la vita della Chiesa che crede e prega (per. 3°); e che, nel trasmetterlo, tutto il popolo di Dio penetra in esso sempre più, tendendo così, attraverso i secoli, incessantemente alla pienezza della verità divina (per. 4° e 5°) pone in luce l'importanza della Tradizione nella vita della Chiesa. «La Tradizione fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e in essa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le. Sacre Scritture; così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa. nel mondo, introduce i credenti in tutta intera la verità e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza» (per. 7°). Per mezzo della Tradizione dunque: 1) si conosce integralmente il canone o elenco dei libri ispirati; 2) la Scrittura è compresa più profondamente e 3) viene attualizzata, resa presente e operante sicché Dio continua, oggi, il dialogo con gli uomini.
    Così è già aperta la via a parlare dei rapporti reciproci della Tradizione e della Scrittura (n. 9). Esse formano in certo modo una cosa sola – sono un solo specchio. – e congiuntamente ci danno la pienezza della rivelazione. Perciò «la Chiesa attinge la certezza su tutte le verità rivelate. non dalla sola Scrittura». Con queste parole si evita la questione – tanto discussa – se quella pienezza, che si ottiene per via della Tradizione, ecceda il contenuto della Scrittura.
    La terza questione, infine, riguarda i rapporti della Tradizione-Scrittura col popolo di Dio e col Magistero (n. 10). La pienezza della rivelazione – il sacro deposito della parola di Dio – è affidata a tutto il popolo di Dio che ne vive, la trasmette, la sviluppa, ma è interpretata autenticamente dal Magistero, che deve piamente ascoltarla, santamente custodirla e fedelmente esporla. Pertanto Tradizione, Scrittura e Magistero sono strettamente connessi tra loro da non poter indipendentemente sussistere. Ed eccoci alle questioni circa la Scrittura.
    La prima (n. 11) è quella della ispirazione da cui deriva la verità della Scrittura, il fatto cioè che i suoi libri «insegnano con certezza fedelmente e senza errori la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata.. nelle Sacre Lettere». Una precedente redazione diceva: ...la verità salutare. Poichè qualcuno temeva che con questa espressione si volesse restringere l'inerranza – parola, questa, non più usata dal testo conciliare – alle sole cose di fede e morale, il testo fu modificato come sopra. Ed è stata una modifica felice. Infatti per conoscere ciò che un libro vuol dire, ossia la sua verità, non basta considerare la materia che tratta – se storia, se precetti morali e sapienziali, se profezia, se diritto, ecc. – ma occorre tenere presente sotto quale angolo visuale la considera (obiectum formale quo!). Ora i libri sacri, pur parlando di tante materie, le presentano sempre in vista della nostra salvezza. Così, per fare un esempio, la verità della storia della Passione, non sta tanto nella precisazione dei particolari, quanto piuttosto nel suo significato salvifico.
    La seconda (n. 12) è sulla interpretazione della Scrittura. Questa va pensata ad analogia del Verbo che si è incarnato, ha assunto fattezze umane. La Scrittura è un linguaggio – fatti e parole – umano che Dio ha assunto per dialogare con gli uomini e chiamarli a sé. Di qui due principi fondamentali: primo, quello «filologico», per cui attraverso una accurata analisi del linguaggio biblico, perciò lo studio dei generi letterari, permette di precisare l'intenzione, ossia ciò che intendevano dire gli agiografi; secondo, il principio «teologico», secondo cui in quel linguaggio umano è contenuta la parola di Dio, il Verbum Dei, il piano della salvezza o il mistero di Cristo, mistero che gli agiografi intendono illuminare ora sotto un aspetto ora sotto un altro. Il che è detto nel testo con queste parole:
    Per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto (si ricordi quanto detto sopra circa l'oggetto della rivelazione) e alla unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede». Dunque l'esegesi «filologica» è a servizio della esegesi «teologica». Si può dire che oggi, sia in campo protestante che cattolico, l'esegesi «teologica» è in piena fioritura e produce opere che aiutano grandemente a intendere e gustare la Scrittura.
    Terza questione è quella dei libri del Vecchio Testamento, del loro contenuto (n. 14) del loro valore per i cristiani (n. 15) del loro rapporto con quelli del Nuovo (n. 16). Si tratta di una questione attualmente molto viva e molto sentita, non solo dagli studiosi, ma anche dal popolo che, specie attraverso la liturgia in lingua volgare, viene a contatto di molti testi del Vecchio Testamento. Per approfondirla e intendere bene le poche ma preganti affermazioni del Concilio in proposito, si possono vedere i due migliori studi che, finora, possediamo: quello del cattolico P. Crelot, Sens chrétien de l'Ancien Testament, Desclée, Tournai, 1962; e quello del protestante S. Amsler, L'Ancien Testament dans l'Eglise, Delachaux et Niestlé, Neuchatel 1960.
    La quarta questione concerne i libri del Nuovo Testamento: eccellenza di essi – contengono il mistero di Cristo, finalmente rivelato – (n. 17); preminenza e origine apostolica dei Vangeli (n. 18); come va intesa la storicità dei Vangeli (n. 19); gli altri libri neotestamentari (n. 20). Sulla storicità dei Vangeli, problema che oggi assilla tanti credenti, si veda X. Leon-Dufour, Les évangiles de Jesus, Ed. du Seuil, Paris 1963; trad. it.. presso Ed. Paoline.
    L'ultima questione (nn. 21-26) riguarda l'importanza e il valore della Scrittura nella vita del Popolo di Dio. Essa, analogamente alla Eucaristia, forma e nutre tutta la vita della Chiesa, la cui intensità si commisura al suo incontro, di fede e d'amore, con Cristo presente e operante sia sotto le specie o segni biblici, sia sotto le specie o segni eucaristici, anche se in modo diverso.
    Perciò si fanno queste raccomandazioni: 1) che si facciano versioni accurate, a preferenza dai testi originali, dei libri sacri, anche in collaborazione con i fratelli separati; 2) che i biblisti, di cui si lodano le fatiche, ne mettano soprattutto in luce il contenuto – il mistero della salvezza – in vista della predicazione e alimentazione spirituale del Popolo di Dio; 3) che la Scrittura sia l'anima di tutta la teologia, la quale «ringiovanisce e si irrobustisce scrutando tutta la verità racchiusa nel mistero di Cristo»; 4) che da parte di tutti i cristiani, specie chierici, sacerdoti, predicatori, catechisti, si abbia «un contatto continuo con la Scrittura», si legga cioè assiduamente con una lettura «accompagnata dalla preghiera perché possa svolgersi il dialogo tra Dio e l'uomo».

    Conclusioni

    Per concludere sia permesso un suggerimento pratico. Oggi si suole studiare e leggere la Bibbia col metodo tematico, raccomandato anche dal Concilio, quando parla del rinnovamento degli studi teologici (Optatam totius, n. 16). Ora a questo fine abbiamo degli ottimi mezzi o sussidi: primo e fondamentale il Grande lessico del Nuovo Testamento, in corso di pubblicazione presso ed. Paideia, Brescia; poi il Dizionario di teologia biblica dei biblisti francesi, edito da Marietti, Torino, 1965 e il Dizionario di teologia dei biblisti tedeschi, edito dalla Morcelliana, Brescia, 1965; infine, come prima ma buona iniziazione, i Grandi temi biblici, svolti da veri specialisti e raccolti nel volume pubblicato dalle Ed. Paoline, Alba, 1960; e soprattutto, per una dimensione biblica nella catechesi, i Temi biblici a schede, 500 schede sciolte, contenute in un raccoglitore - ed. L.D.C., Torino-Leumann.


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