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    Istituti cattolici, educatori e pastorale



    Vittorio Gambino

    (NPG 1967-01-16)


    Dappertutto una stessa angoscia, lo stesso conflitto: la situa­zione attuale delle scuole cattoliche e le esigenze educative ed ecclesiali del presente e dell'avvenire.
    Il problema nasce dal fatto che l'educazione riguarda l'uomo concreto, inserito in un tempo determinato, in uno spazio, in una civiltà, marcato da correnti d'idee, da uno stile di com­portamento...
    Non si educa per il passato, ma per il presente, per l'avvenire. Il dramma incomincia quando si tratta di prevedere i progetti futuri dell'uomo...
    Non ci meravigliamo se l'educatore prova oggi un certo disagio. Questo disagio, se ne è cosciente, gli fa onore. Sarebbe un disastro se rimanesse tranquillo come se nulla accadesse nel mondo dei giovani e della Chiesa.
    A voler riassumere in brevi parole questo disagio dovremmo dire che esso risiede nel conflitto tra una concezione ereditata dal passato e l'esigenza del presente, e questo a due livelli: educativo ed ecclesiale.


    Interrogativi a livello educativo

    Fino a ieri la scuola sapeva suppergiù a quale situazione sociale doveva preparare il giovane: i cambiamenti erano lenti nella società e ciò che era valido in una determinata epoca lo era ancora dopo trenta o cin­quanta anni.
    Il problema della scuola si poteva limitare perciò a far acquisire al ragazzo delle «conoscenze», ossia delle nozioni (saggiamente studiate a tavolino), dei contenuti offerti a lui come «possesso».
    Oggi la scuola deve far fronte ad una metamorfosi senza precedenti. Deve affrontare dei compiti molto più vasti e complessi di quelli del pas­sato. La scuola d'oggi deve aiutare i giovani a scegliere il loro avvenire sociale e professionale tenendo conto delle carriere nuove e delle attività molteplici che la nuova civiltà dell'industrializzazione prospetta.
    Per la preparazione alla vita professionale è assoluta la necessità di una formazione generale richiesta ormai in tutti i settori della produzione a tutti i livelli della qualificazione. L'evoluzione rapida rende sterile una specializzazione stretta che obbliga di continuo a riadattarsi per i compiti nuovi che emergono via via nella società.
    La vita professionale inoltre non si riduce all'attività tecnica: suppone sempre di più la capacità di cooperare in seno ad un équipe di lavoro, di scambio, d'informazione e in più di operare all'interno di un movimento locale o politico.
    Si tratta sempre meno di dare un sapere enciclopedico (la «testa») che di sviluppare la capacità di organizzarsi, di reagire sanamente, condursi personalmente, di entrare in collaborazione, di vivere in comunità»...
    «I fanciulli ed i giovani, tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica, debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità nell'elevazione ordinata ed incessantemente attiva della propria vita e nella ricerca di una vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli. Debbono anche ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale. Debbono inoltre essere avviati alla vita
    sociale, in modo che, forniti dei mezzi ad essa necessari ed adeguati, possano attivamente inserirsi nelle diverse sfere della umana convivenza, siano disponibili al dialogo con gli altri e contribuiscano di buon grado all'incremento del bene comune» (EC, 1 ).
    «La scuola in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara la vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa, dispo­nendo e favorendo la comprensione reciproca.
    Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazione a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana» (EC, 5).
    Una tale vocazione educativa, fa notare la dichiarazione sull'educazione cristiana, richiede evidentemente nell'educatore la «capacità pronta e di rinnovamento e di adattamento» (EC, 5).
    Questa situazione provoca un disagio nell'educatore avvertito:
    - quello di sentirsi «giudicato» non solo dai suoi colleghi, ma addi­rittura allievi, dai genitori, dalle associazioni varie (religiose, civiche, culturali) e da tutta la comunità umana;
    - quello di dover dosare un «insegnamento spontaneo» con quello «pratico» e con l'«insegnamento teorico»;
    - quello di dover integrare i metodi moderni per attivizzare le facoltà dell'allievo e inserirlo nella società, senza che questi debba rinunciare ad essere vero uomo secondo la cultura propria del suo ambiente;
    - quello di conoscere e di educare secondo le linee di sensibilità profonda di questa epoca che provocano dei comportamenti e dei modi di agire nuovi: questi tratti («segni dei tempi») indicano alla sua fede il marchio dello Spirito sulla nostra epoca;
    - quello di essere convinto che agendo ecclesialmente deve parteci­pare al senso della Chiesa che è di essere a servizio del mondo e quindi saper illuminare certi settori della vita dei giovani d'oggi;
    - quello di stabilire dei legami con altre sfere culturali, con interessi che superano lo stretto recinto dell'istituto e pongono il giovane in contatto con esperienze più estese.

    Interrogativi a livello pastorale

    Il disagio qui è ancora più acuto. Il gruppo di educatori spesso non ha prospettive pastorali precise, chiaramente orientate, che si inseriscano in una pastorale d'insieme intesa come quel «familiare rapporto alla stessa salvifica missione della Chiesa a cui tutti sono destinati dal Signore» (C, 10 e 33).
    Eppure il Concilio parla di «problema urgente»:
    «Essendo anche in campo scolastico sommamente necessaria quella cooperazione, che per la sua urgenza va sempre più affermandosi a livello diocesano, nazionale e internazionale, bisogna far ogni sforzo per coordi­nare convenientemente tra loro le scuole cattoliche e per favorire tra esse e le altre scuole quella collaborazione, richiesta dal bene della comunità universale umana» (EC, 12).
    È vero, come spesso capita, che abitualmente non esiste nessuna relazione precisa tra la pastorale di un settore o di una diocesi e le finalità proprie di istituzioni libere.
    Se un istituto volesse interrogarsi sul valore del suo lavoro di evangelizzazione in ordine ad una situazione pastorale totale di un determi­nato ambiente, non saprebbe proprio a chi riferirsi, sia perché non c'è niente, sia perché spesso non si ha fiducia reciproca e non si sa a chi rivolgersi. Eppure i problemi posti da una pastorale che si volesse organica o d'insieme sono molti e sono tutti «urgenti».
    Ci sarebbero da chiarire, tra gli altri, i seguenti problemi:
    - Qual è il criterio per determinare la «clientela scolastica» di un dato istituto? L'iniziativa è lasciata al criterio isolato dell'istituto, o è determinata dalle pressioni sociali, o lasciata alla necessità di costruire e modernizzare, o è invece retto da un criterio di Chiesa che si interroga e vede nella scuola un problema comune? (Il Concilio parla di «bene della comunità universale umana»).
    «Il sacrosanto Sinodo esorta vivamente i Pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare sacrificio alcuno nell'aiutare le scuole cattoliche ad assolvere sempre meglio il loro compito...» (EC, 9).
    - Come si imposta una pastorale catechistica che tenga conto delle intenzioni della pastorale d'ambiente?
    - Dipende solo dal gusto o dalla fantasia privata optare in un istituto per lo scautismo, la conferenza di San Vincenzo, l'Azione Cattolica, la G.S. o altre forme associative?
    Nessuno può esimersi da questi interrogativi e dire che il problema non lo concerne.
    È probabile che il giorno in cui si comprenderà l'influsso considerevole che potrà arrecare la collaborazione delle scuole cattoliche tra di loro e con le diocesi, potremo assistere ad una vera rivoluzione della nostra  educazione.
    Nel frattempo, dalla base ai vertici, vogliamo tutti riacquistare quello spirito di povertà (che è spirito di disponibilità), quel ritrovare lo Spirito ecclesiale del fondatore, quell'ascoltare la voce della Chiesa, che è di base per una più profonda missione evangelizzatrice.
    Questa collaborazione si deve ricercare con perseveranza, con pazienza, con desiderio profondo di dialogo. Solo così, con questa collaborazione accresciuta, meglio organizzata, più sentita e partecipata, l'insegnamento cattolico, sulla linea del Concilio, potrà dare una risposta ai problemi dei giovani d'oggi.


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