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    È possibile un incontro fra canzone moderna e liturgia?



    Gino Stefani

    (NPG 1967-04-52)

    La soluzione dipende dall'incontro tra mondo liturgico e mondo culturale. L'importanza dell'esperimento alla Vallicella a proposito della musica yé-yé. I giovani non possono fare senza della «loro musica». Ma esiste realmente in Italia una comunità che possa celebrare con queste canzoni? C'è da fidarsi delle vie nuove? Un'interessante iniziativa.

    A proposito della «messa dei giovani» o «messa yè-yè», molti hanno gridato allo scandalo: la liturgia sembrava in pericolo. In realtà, non si vede perché. Quante volte, in passato, musiche del tutto «profane» sono state applicate ai testi, della liturgia, senza che un tale contatto – spesso puramente casuale – abbia poi lasciato traccia nell'uso liturgico di quei testi. Tranquillizziamoci; le nostre celebrazioni non sono affatto in pericolo.
    La manifestazione ha invece attirato l'attenzione del gran pubblico, e stimolato nei fedeli e nei responsabili la riflessione sui rapporti fra la liturgia e la canzone.
    Certo, una buona composizione di questi rapporti presuppone, come avverte il Concilio, una «accurata investigazione teologica, storica e pastorale» Cost. lit. n. 23) e, ovviamente, anche tecnica. Ma sono ugualmente presupposti gli esperimenti per saggiare eventuali formule di incontro fra i due mondi, quello liturgico e quello culturale. Ora, il «concerto spirituale» è una di tali formule, e quello della Vallicella era appunto un concerto spirituale.
    Un giudizio di sì o di no su un esperimento di questo genere ha poca importanza: il valore di questa novità è nelle conseguenze che avrà. Ci sembra invece utile seguire alcune riflessioni che potrebbero orientarci sia nel compiere esperimenti analoghi che nel valutarli.

    Pluralismo culturale e pluralismo musicale

    La cultura in cui viviamo è essenzialmente pluralistica. La musica «sacra», oggi, non può essere un quid unum, un'entità culturale unitaria (come lo sono il gregoriano classico o la polifonia classica, prodotti di culture unitarie). t assurdo pensare che un dato genere o stile musicale debba imporsi come un modello per tutta la comunità. In concreto: all'assemblea non si può imporre lo stile yè-yè, che è l'espressione di una ristretta minoranza. D'altra parte, proprio per il pluralismo culturale, è chiaro che se i ragazzi beat vorranno cercarsi un'espressione «sacra» loro propria, partiranno dalla loro musica. E di questa musica è obbligatorio tener conto se si vuole dai giovani una partecipazione attiva nella liturgia. Anzi, dovrà tenerne conto anche la musica per una comunità eterogenea, cioè normale, nella misura in cui questa musica influenza la comunità.
    La musica è per la celebrazione, e non la celebrazione per la musica.. un equivoco pensare che la Chiesa debba farsi promotrice, nella celebrazione liturgica, della cultura, della sua conservazione e del suo progresso. La liturgia prende dalla cultura solo quello che le serve. La musica per la liturgia non deve essere, per sè, nè vecchia nè nuova: deve solo essere funzionale. E per essere funzionale deve rispondere da un lato alle esigenze dei riti in sè stessi, dall'altro alle tendenze di tutta la concreta comunità„ celebrante.

    Funzione della musica nella Liturgia

    Lasciamo per ora da parte le esigenze dei riti in sé stessi e domandiamoci: esiste realmente il Italia una comunità che potrebbe celebrare con quelle canzoni? Questa è la domanda da farsi. Chi ha presentato quella «messa» si è appellato a precedenti di altri paesi: le «messe» criolla, cilena, peruviana, andalusa. Ma questi esempi non provano. affatto che la Chiesa cerca il nuovo per il nuovo e segue la moda. Al contrario: là si tratta di espressioni religiose radicate in tradizioni popolari antiche; qui invece, si tratta di una moda recentissima, anonima, internazionale. La «messa Luba» è nata in chiesa, è stata registrata con una comunità che la celebra realmente; la «messa yè-yè» è un puro spettacolo organizzato da alcuni intellettuali.
    Questo è il punto della questione. Non si tratta di giudizi o pregiudizi sulla «dignità» o «nobiltà» o «santità di un certo linguaggio o stile musicale. Su questo, il Concilio ha parlato chiaro: «la Musica sacra (cioè la musica che si impegna nella liturgia) sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica» (Cost. lit. n. 112): all'azione, cioè ai riti da un lato, e alla partecipazione «attiva, piena e consapevole» dall'altro.

    Perché la musica sacra è in crisi?

    La canzone può e deve portare un valido contributo alla liturgia. Quel «canto popolare liturgico», che la costituzione conciliare vuole «si promuova con ogni impegno» (n. 118), presuppone anche la canzone. Specialmente per í giovani, í quali di solito cantano solo canzoni, e in chiesa si sentono sradicati e alienati perché non trovano niente che ricorda loro la canzone. La crisi attuale del canto popolare nella liturgia è dovuta in parte proprio a questo: il repertorio dei nuovi canti è sradicato dalla cultura `tradizionale popolare, cioè dalla canzone. Il canto liturgico deve «incarnarsi» nella cultura musicale viva del popolo; e 'questa cultura è sempre stata e continua' a essere la canzone.
    Ma questa «incarnazione» non si può improvvisare. Non si improvvisa una spi' ritualità e neanche un linguaggio. Ogni linguaggio umano, per diventare cristiano, deve passare attraverso un catecumenato. E ogni linguaggio privato, per diventare ecclesiale, deve fare i conti con le strutture della, comunicazione sociale e con quelle dei riti. La formazione di un linguaggio ecclesiale è una paziente operazione pedagogica sulle strutture linguistiche e sulla comunità. Il canto liturgico può attingere nuova linfa dalla canzone in diversi modi. Vediamone alcuni dei più comuni.

    Dove il canto liturgico può attingere nella canzone moderna

    Un passaggio dalla canzone alla liturgia è quello proposto – sia pure non intenzionalmente – dalla «messa dei giovani». Si tratta di applicare ai testi e alle strutture liturgiche (sostanzialmente integrali) uno «stile» di canzone determinato, preciso, riconoscibile. È la via più ::;,ovvia e facile da pensare; ma è quella che ha meno probabilità di riuscita. Lo stile è un modo di vita: preso così com'è, nella sua fisionomia ben precisa, questo modo di vita urta inevitabilmente contro lo stile, il modo di vita che la liturgia ha già (e più di quello che non sembra) ben individuato sia nei testi sia nelle strutture dei riti.
    La liturgia vuole elementi costanti, duraturi: lo stile della canzone yè-yè è una moda effimera. La liturgia vuole elementi universali comuni a tutta la comunità: lo stile yè-yè è caratteristico di un dato strato della comunità. La liturgia vuole elementi duttili e vari, da adattarsi ai diversi momenti e attori, alle diverse funzioni e forme del rito cantato: uno stile di canzone (quello yè-yè come qualunque altro) è per definizione uniforme e limitato. Infine, e soprattutto, il momento essenziale del canto liturgico è il canto d'assemblea: gli stili comuni della canzone moderna (inclusa la yè-yè) non sono comunitari.
    Prima che allo stile musicale bisogna pensare alle strutture rituali. D'altra parte, il «moderno» nella canzone è dato dallo stile di esecuzione, non dagli elementi di composizione. Ad esempio: la canzone di successo di Caterina Caselli Nessuno mi può giudicare è costruita sulla melodia della vecchia e celebre canzone Feneste ca lucive. Lo stile di esecuzione liturgica deve nascere dall'interno della celebrazione; dall'esterno si possono e si devono prendere gli elementi di composizione, da ricomporre e adeguare ai riti e ai testi.
    Più sicura e redditizia è la via che sta seguendo in alcuni paesi e ora anche in Italia. Canzoni e corali antichi, melodie western o di Negro Spirituals, laudi, canti folcloristici vengono ripresi, integralmente o parzialmente, e adattati a nuovi testi e ai diversi riti liturgici. Questi elementi melodici e armonici sono comuni alla cultura occidentale e alla sensibilità popolare di tutta la comunità di oggi, giovani compresi. Essi hanno avuto lungo i secoli e nei diversi paesi e ambienti interpretazioni stilistiche diverse; per la loro universalità essi sono un linguaggio base che può avere nuove interpretazioni stilistiche nelle nostre celebrazioni. In questo modo si realizza il voto del Concilio, che cioè «le nuove forme risultino come uno sviluppo organico di quelle già esistenti» (Cost. lit., n. 23).

    La canzone spirituale nuova

    Infine, il canto liturgico nuovo può provenire da una canzone spirituale nuova, dall'esperienza di un chansonnier cristiano passato nella comunità celebrante. In Francia, un liturgista pastorale e autore di molti canti liturgici tra i più diffusi, Didier Rimaud, è anche autore di diverse canzoni spirituali. I due campi della canzone e della liturgia sono da lui concepiti e vissuti in modo unitario: l'uno è il prolungamento e la preparazione dell'altro.
    Per l'Italia vale la pena di riferire una realizzazione attuata a Torino il settembre scorso, nell'ambito del Convegno degli Amici di Catechesi. Una serata del convegno era stata dedicata a un concerto di canzoni spirituali. Le ultime canzoni della serata erano una autentica pre o paraliturgia: parafrasi di salmi e canti pasquali, con ritornelli che tutta la sala (gremita di sacerdoti e religiose) cantava con entusiasmo. A questo punto, entrando nel cuore della liturgia (la veglia pasquale!) si è presentato un canto su testo biblico (Esodo 15): il Canto di Mosè. C'era la rievocazione storica: il canto era accompagnato dalla percussione di un tamburello basco. Ma l'evento storico era attualizzato: il tono di guerra e di vittoria era espresso con formule melodiche moderne e giovanili, prese dal folclore comune occidentale, e quindi accettabili da una assemblea media e da quella presente, non solo, ma facili e spontanee da cantare. L'assemblea fu presa: il ritornello riempiva il teatro: «Cantiamo al Signore, è veramente glorioso!». Due giorni dopo, la stessa assemblea si ritrova davanti, in una celebrazione della Parola, quello stesso Canto di Mosè, accompagnato dallo stesso tamburello. Gli animi e gli orecchi erano stati ormai preparati, e la partecipazione al canto fu ancora più sentita in chiesa che in teatro.


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