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    Con tutta la Chiesa, le comunità salesiane, confratelli e giovani, partecipano all'ANNO DELLA FEDE



    Joseph Aubry

    (NPG 1967-06-06)

    INTRODUZIONE: IL TRIPLICE SFORZO DI QUEST'ANNO

    In occasione del XIX centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo, un Appello di Paolo VI, il 22 febbraio scorso, festa della Cattedra di S. Pietro; proposto a tutta la Chiesa un Anno della Fede, che andrebbe dal 29 giugno 1967 al 29 giugno 1968. Questo appello è stato raccolto dalla Conferenza Episcopale Italiana, che ha esortato tutti, sacerdoti, religiosi e laici impegnarsi decisamente in questo Anno.
    Sarebbe assolutamente inconcepibile che noi Salesiani non ci inserissimo in pieno in questo slancio ecclesiale e diocesano. Ogni comunità ha preso conoscenza delle direttive del proprio vescovo a questo riguardo? Se ne tono discussi i modi di applicazione pratica, adatti al proprio ambiente elle diverse categorie di giovani ed adulti ai quali ci si dirige?...
    Ci è sembrato che in una simile ricorrenza non si poteva proporre ufficialmente altro sforzo d'insieme che questo. È il caso di parlare di «Campagna dell'anno?». Le parole non importano gran che. Il tema proposto sembra più vasto e più fondamentale di tutti quelli degli anni precedenti. Il risultato principale sarà un ritorno all'essenziale, una visione più chiara del fine della nostra missione: Educare dei Credenti, cercando di approfondire noi stessi senza posa la nostra fede.

    La fede ha tre orientamenti principali

    I tre articoli di novembre, gennaio e marzo (proposti come gli anni precedenti, non ai giovani, ma ai loro educatori) presenteranno i tre sforzi fondamentali dell'educazione della fede, corrispondenti alle tre tappe previste nel piano dell'anno.
    È significativo infatti che i diversi documenti ufficiali si incontrino nel delineare tre orientamenti principali concernenti la fede e il suo movimento progressivo; secondo la triplice dimensione – personale, intellettuale, attiva – della fede stessa. Già Paolo VI alla fine della sua Esortazione apostolica del 22 febbraio, indicava i seguenti obiettivi: «Il progresso interiore, lo studio approfondito, la professione e la testimonianza, attiva della fede».
    La dichiarazione comune dei Vescovi di una regione della Francia precisa nello stesso senso: «Anzitutto la nostra fede sia un'adesione totale a Di che ci ha parlato per mezzo di suo Figlio... D'altra parte molti cristiani sono rimasti a una conoscenza elementare della loro religione; tutti cerchino quindi di approfondire il contenuto della loro fede. Infine occorre che ogni: cristiano e la Chiesa tutta manifestino la loro fede attraverso la loro vita (Settimana religiosa di Lione; 16 giugno 1967). Mons. Ancel, in un opuscolo di spiritualità sull'Anno della Fede, propone: l'adesione più ferma al Cristo vivente, il contenuto della fede meglio approfondito, la vita ordinaria più, impregnata di fede (Settimana religiosa di Lione, 30 giugno 1967).
    Questi stessi aspetti stimoleranno successivamente il nostro sforzo e la nostra riflessione. Cercheremo di nutrire in noie nei nostri giovani la Fede:
    – come Incontro con il Signore vivente e in Lui con il Padre dei cielo e con gli altri, visti come dei «fratelli nel Signore» (fede e amore);
    – come Scoperta della verità decisiva sull'uomo, la sua storia, la sua: vocazione, la sua vita e. la sua morte (fede e intelligenza).
    – come Impegno nel piano di Dio, attraverso tutti i momenti, positivi e negativi, della propria vita, a cui dona la più completa efficienza.
    Presa alla lettera, questa scalarità sarebbe artificiale, perché questi tre forzi concordati sono da attuarsi sempre insieme (cfr. il triplice sforzo, rituale, dottrinale e morale-apostolico richiesta, sia ai catecumeni, sia ai battezzati durante il periodo di quaresima). Abbiamo voluto solo dare a ciascuno il suo rilievo. Sarà bene ricordare che queste non sono che delle „accentuazioni, niente affatto esclusive.

    La fede è pienezza dell'uomo

    D'altra parte, ognuno di questi tre sforzi sarebbe anche esposto all'artificialismo, se fosse visto e praticato come una realtà che viene puramente e semplicemente dall'esterno e che si sovrappone alla vita concreta del credente. Il Concilio Vaticano II ci offre a questo proposito un esempio significativo. Nella Gaudium et spes esso parte «dalle gioie e dalle speranze» del mondo attuale. Poi sottolinea le gravi questioni che vengono sollevate dalle esperienze positive e negative dell'uomo. E quindi mostra come, senza sopprimere per nulla il significato primo di queste esperienze, la Chiesa, per la rivelazione del Cristo di cui è apportatrice, ne manifesta il senso ultimo e pieno e come tutto si ricapitola in Gesù Cristo, alfa e omega.
    «A che cosa serve la fede?» sentiamo spesso dire. A portare agli uomini la salvezza e la vita, risponde il Vangelo. Vale a dire a soddisfare le loro esigenze più profonde, a dare un senso pieno e assicurare la riuscita della loro esistenza. Essa non s'opprime per nulla questa esistenza concreta, né il suo valore intrinseco; anzi le dà modo di superarsi e di trovarne la soluzione totale e ricapitolante. La fede è triplice soddisfacimento trascendente di questi bisogni di ogni uomo che si rispetti:
    – bisogno di incontrare l'altro, di essere amato e di amare;
    – bisogno di conoscere, di comprendere, di ricercare in questo modo la verità;
    – bisogno infine di agire con efficacia, di costruire, di riuscire ne propria vita e nel mondo.
    Più profondamente l'uomo sente questo desiderio, più egli è adatto a in, tendere l'appello del Cristo. Appunto perchè uno degli aspetti essenziali: dell'educazione alla fede consiste nel coltivare pazientemente nel cuore dei giovani questi tre desideri spirituali, le tre sante passioni di amare er adorare, di comprendere e di servire; nell'alimentare e mantenere questa triplice sete essnziale di presenza totale, di spiegazione totale e di efficienza totale: «Se qualcuno ha sete, venga a Me, dice Gesù; e beva, colui che crede in Me (Giov. 7, 37-38)». Qui sta l'opera principale e la veri riuscita dell'educazione «umana». Non verrà mai a bere colui nel quale non è mai stata stuzzicata nessuna sete magnanima, colui che avremo lasciato «soddisfatto» della sua mediocrità, ricco e impinzato delle sole comodità umane, chiuso nei soli orizzonti ordinari.

    La fede è anzitutto vissuta dalla chiesa

    C'è da fare un'ultima prescrizione perchè sia ben compreso il modo in cuksaran presentate le cose in questi articoli. Questi tre aspetti della fede, il cristiano non li vive individualmente. Li vive partecipando, a titolo di '. membro, al movimento per il quale la Chiesa li vive essa stessa per prima, essendo votata, fin dalla sua origine, alla triplice adesione alla Persona del suo Signore, alla sua Parola e alla sua Opera di salvezza. È la Chiesa prima? di tutto che è credente e che fa respirare le sue membra nella sua propria fede: la Chiesa universale, la Chiesa diocesana e anche queste «cellule di Chiesa» che sono la famiglia cristiana, la scuola cristiana, ogni comunità cristiana.
    La nostra casa come tale vive della fede della Chiesa? Ecco, mi sembra, la questione di fondo che occorre porsi lealmente durante quest'anno...
    Un episodio evangelico riassume tutto questo in modo mirabile: quello di Emmaus (Luca, 24, 13.35). Questi due «poveri diavoli» che se ne ritornano a casa delusi e tristi, hanno perso totalmente la loro fede e le sue ricchezze: Gesù è morto e tutta la sua opera è finita con uno scacco doloroso. Un solo valore rimane loro: l'Amicizia nella sventura; essi sono in e e camminano con lo stesso passo. La squisita prevenienza di Gesù Vivente viene loro in aiuto per fargli ritrovare la fede e le sue ricchezze decisive:
    – la sua presenza di Risuscitato, sotto forma diretta ma nascosta prima poi sotto i segni eucaristici: «Resta con noi!».
    – la sua luce: la parola dei Signore, a partire dalle Scritture, permette loro di comprendere finalmente tutto quanto è accaduto;
    – il suo servizio nella Chiesa: essi se ne tornano al Cenacolo per trovarvi fratelli, dividere con loro la fede che anch'essi hanno ritrovato e lavorare ton loro per il Regno.
    Salvati dalla solitudine, dall'errore e dall'inutilità, essi accedono alla gioia asquale che nessuno potrà toglier loro.

    PRIMA VISUALE: LA FEDE, INCONGTRO PERSONALE COL CRISTO, CON IL PADRE E CON I FRATELLI

    Realizzare una comunità di confratelli e giovani che si sforzano di «accettarsi» a vicenda e di «accogliere» Dio.

    1. La sete suprema dell'uomo: avere incontri veramente personali

    Filosofia, psicologia, esperienza si accordano nel riconoscere che l'uomo non un essere solitario. Creato ad immagine di Dio-Trinità, essere sessuato, originariamente «relazione-a»; egli è fatto per espandersi in relazioni attive, positive, nella doppia direzione della profondità e dell'universalità. i conseguenza, la peggior cosa per lui è di essere costretto a vivere nell'animato, nella «folla solitaria» (titolo del celebre libro di Riesman); .pure di essere «utilizzato» come una cosa per la «macchina» politica, economica, amministrativa; di vedersi dimenticato, trascurato, non «riconosciuto» come persona originale. Il tema della difficoltà o addirittura dell'impossibilità della comunicazione è uno dei più tipici della letteratura e del cinema attuale (dr. specialmente i titoli di Sartre: II Muro, Porta chiusa, I sequestrati di Altona...).
    E la cosa migliore che fornisce l'espansione dell'uomo è lo sguardo «accogliente» di un altro che lo stima e lo rispetta, il dialogo confidente e paziente (cfr. il tema dell'anno scorso), e soprattutto l'amore vero che fa appello alle sue risorse più profonde.
    I nostri giovani, soprattutto a partire dall'adolescenza, fanno molto profondamente questa esperienza, scoprendosi ciascuno come una persona unica, legata ad altre persone, desiderando la vita in gruppo (o in bande), dove ognuno raggiunge una consistenza personale solo nella misura in cui è riconosciuto dagli altri. È il tempo dei compagni con cui ci si trova bene, degli idoli sui quali si proietta il proprio ideale, più raramente degli amici fedeli nei quali si trova un appoggio sicuro.
    E tuttavia si fa anche una esperienza correlativa in senso inverso: ci si accorge delle difficoltà di incontri profondi, della comprensione e del dia logo vero. Quanti schermi e quante maschere! Delusione per tanti limiti oggettivi. (il capo, il tempo, lo spazio, le separazioni, la morte) e soggettivi (le incomprensioni, le dimenticanze, gli interessi egoistici, le quasi-impossibili fedeltà). Persino l'amor coniugale, immenso nelle sue promesse, si rivela limitato una volta colto!
    Ora è possibile sperare in una forma di comunicazione e di amore in cui questi limiti siano rimossi se non vinti? Si può essere salvati dal rischio del naufragio nella solitudine e nelle opprimenti strettezze del dialoga umano, sia pure il più bello?...

    2. La Chiesa del Padre, del Figlio e dello Spirito vive già di queste presenze totali e degli incontri fraterni «sopra-umani»

    a) La Chiesa in comunione con le Persone divine.
    Esiste da 2000 anni una comunità, nel mondo, che è così «salvata», essendo in comunione misteriosa con le tre divine Presenze totali del Padre, del Figlio e dello Spirito. È opportuno rilevare qui l'originalità assoluta ed essenziale della fede «cristiana». Tutte le religioni propongono delle verità, delle leggi morali, un culto. Anche il Cristianesimo. Ma non è questo che lo definisce nella sua originalità. Bensì questo fatto; in Gesù Cristo, Dio si è «rivelato» e si è «donato» per sempre al mondo, dapprima nella condizione corporale ordinaria per 35 anni, in seguito e definitivamente nella condizione di risuscitato: la Chiesa è l'assemblea di coloro che hanno riconosciuto e accolto la Presenza di amore del Signore Vivente. Nel più profondo del suo mistero, essa è il suo Corpo e la sua Sposa, il luogo della sua Presenza intensa e del tutto intima. Essa vive di questa unione e dello scambio di amore e di dialogo instaurato tra lei e Lui. Nulla di simile nelle religioni fondate da un Budda o da un Maometto!... Per convincersi che questa è appunto la fede-fedeltà della Chiesa nel suo nocciolo, basta aver letto una volta S. Paolo: «Se il Cristo non è vivente, noi siamo dei pazzi!» (1 Cor. 15, 17-19).
    È il Cristo Figlio, divenuto il Primogenito, introduce anche la sua Chiesa al sublime dialogo con suo Padre, nello Spirito Santo, perché Essi han fatto dimora anche in lei (Efes. 2, 18; 3, 12; Rom. 5, 1-5; Giov. 14, 5-10; 16, 23). Come ha vigorosamente ricordato il Vaticano II, la Chiesa è anzitutto il Popolo e la Famiglia di Dio Padre, il Corpo del Cristo e il Tempio dello Spirito (Lumen Gentium, art. 2-4 e al fondo del 17; Ad gentes, art. 2-4 e 7, 3).
    Essa vive quindi della certezza che l'Amore di queste Persone infinite non cessa di avvolgerla; essa intreccia con loro un oscuro dialogo, nella speranza dello «svelamento e dell'appagamento esterno (Apoc. 19, 7-9; 21, 2.4). L'oscurità attuale di queste Presenze non corporali ha del resto dei larghi compensi: esse sono già in certo modo totali, con il triplice vantaggio di essere straordinariamente intime, permanenti e offerte a tutti i membri della Chiesa.

    b) La Chiesa comunità sopra-umana dei fratelli e dei figli.
    A partire da queste Presenze divine, i membri della Chiesa formano tra di loro una comunità umana di un tipo nuovo, anche se questa novità non balza subito agli occhi al primo colpo. Tra di loro si instaurano dei legami veramente divini, che permettono di superare già i limiti corporali: «Voi siete tutti figli di Dio, per la fede in Cristo. Voi tutti siete battezzati in Cristo, avete rivestito il Cristo; non vi è più nè giudeo, nè greco, nè schiavo, nè libero, nè uomo, nè donna (triplice superamento: razziale, speciale, sessuale); voi fate una cosa sola nel Cristo Gesù» (Gal. 3, 28; cfr. 1 Cor. 12-13; Col. 3, 11).
    Lo Spirito Santo quindi prende possesso di questi cuori per insegnar loro ad amare divinamente», in partecipazione alla stessa carità di Cristo: «Restate in me per portare molto frutto... Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati, dando la vostra vita» (Giov. 15, 1-5, 12-13). Malgrado le oppri menti miserie delle sue membra, la Chiesa è il luogo dove le relazioni tra gli uomini cominciano a sfuggire al tormento delle strettoie umane; si impara a guardare gli altri nella luce del Cristo, a non ferire «questo fratello per il quale Cristo è morto» (1 Cor. 8, 11), a perdonare, ad amare gratuitamente, a servire pazientemente, a donare la propria vita. Cosa c'è di più meraviglioso di un'amicizia umana o di un amore coniugale dilatato alle dimensioni della presenza del Cristo Signore?... E ancora, per il mistero della comunione dei santi, noi siamo stretti in un autentico legame con i fratelli della Chiesa sofferente e della Chiesa trionfante.

    3. Le comunità-relais: la famiglia, la scuola, la parrocchia, il gruppo di religiosi apostoli

    Cosa possiamo fare per educare i nostri giovani a questa prima dimensione della loro fede cristiana in evoluzione? Mi sembra che si possa dire questo. Il mistero della Chiesa si incarna concretamente nelle Chiese locali, nelle diocesi, e più sensibilmente ancora, all'interno della diocesi, in queste comunità-relais che sono la parrocchia, la famiglia cristiana, la scuola cristiana, il movimento di Azione Cattolica, il gruppo di amicizia... Queste comunità ristrette dovrebbero offrire ai giovani la possibilità di una duplice esperienza.
    Anzitutto quello di uno spirito di accoglienza mutua, di un calore umano, di uno spirito di cameratismo e di gioia tale che si percepisca almeno confusamente che il Cristo è venuto veramente a salvare i rapporti umani, ad approfondirli e ad arricchirli per la felicità dell'uomo. In questa linea, una scuola cristiana, per esempio, che organizzerà l'accoglienza dei nuovi, che lavorerà per creare un fine spirito di amicizia nelle classi e un armonioso rapporto tra superiori e allievi, che favorirà un aiuto concreto ai vecchi e ai poveri a Natale... si porrà nella più autentica prospettiva dell'Anno della Fede.
    L'altra esperienza, più difficile senza dubbio, ma alla quale occorre tendere con passione, è di aprire a poco a poco questi giovani alla relazione diretta col Signore Vivente e con il suo Padre. Questo si attua ad un tempo sul piano collettivo e sul piano individuale. Ci sono infatti dei momenti precisi in cui la comunità come tale ( famiglia, scuola, gruppo) si pone davanti al Signore e dialoga con Lui. È il caso soprattutto delle celebrazioni liturgiche e della preghiera comune. Durante questo anno come dovrebbero ,essere preparati, curati, animati appunto di spirito di fede e di autentica adorazione questi momenti! Quale significato potrebbero assumere, per esempio, una celebrazione fervente della Festa di Cristo Re, a fortiori la preparazione dell'Avvento e la venuta del Cristo Salvatore!
    Ma la partecipazione collettiva avrà delle probabilità di essere efficace, solo se si sarà risvegliato l'interesse per il contatto individuale col Signore.

    4. Essere dei Giovanni Battista, che rivela il Cristo e conduce a Lui

    Qui soprattutto, più che altrove, entra in gioco l'anima profonda dell'educatore, ad un tempo con tutta la discrezione richiesta e con un'audacia nutrita di speranza. Tutti i veri credenti hanno definito e sperimentato la vita «cristiana» anzitutto come un incontro personale e un'intimità con il Cristo Vivente e suo Padre, con un crescendo nella scoperta del loro Aspetto di Maestà e di tenerezza. Le testimonianze da citare sarebbero infinite: S. Paolo nelle sue estasi (Gal. 2, 20), Giovanna d'Arco sul rogo. Ignazio con la Compagnia «di Gesù», Pascal con il suo Memoriale, e il suo Mistero di Gesù, Claudel, Mauriac (cfr. Il Figlio dell'Uomo), Guy de Lariguadie (Etoile du màtin, p. 14, 36) tanti giovani jocisti, e giù giù fino a Padre Duval che canta: «Seigneur, mon ami»...
    Orbene molti cristiani sembrano credere a un Cristo del passato, ora morto, e si rassegnano a vivere di ricordi! Niente di strano che la loro fede sia insipida, triste, scoraggiata,) come quella dei discepoli di Emmaus o di Maria Maddalena piangente. L'educatore cristiano deve spesso presentarsi `come Giovanni il Battista: «In mezzo a voi sta Uno che non avete ancora conosciuto». Egli deve distruggere le immagini totalmente false (e pur tuttavia correnti) di un Cristo «morto e sotterrato» oppure «partito» nella stratosfera e «assiso» immobile nel cielo (formule del Credo comprese in modo materiale ed erroneo). Egli deve spiegare la resurrezione-ascensione come presa di possesso del mondo da parte del Cristo. Egli deve far appello senza posa al Battesimo, atto di amore decisivo per il quale il Cristo prende piede per sempre nel più profondo di un essere. -.Egli deve soprattutto suscitare la fede viva del giovane cristiano: il Cristo è qui, vivente, che l'invita, lo chiama per nome. La fede non consiste nel creare questa presenza per autosuggestione! Ma in qualche modo- a «captarla» e ad accoglierla («Se uno non apre...» Apoc. 3, 20): «Signore, io mi lascia prendere da Te, io Ti scelgo come guida sovrana della mia vi io mi attacco a Te. E attraverso Te, riconosco Dio Tuo Padre come il mio:- io sarò suo figlio, sforzandomi di riprodurre il tuo amore filiale con la forza del tuo Spirito Santo».
    Felice quell'educatore che sa condurre i giovani fino a questo incontro segreto; che sa far percepire i segni visibili della Presenza invisibile, al fine: di assestare solidamente questa fede; che sa condurli alla preghiera personale e al contatto personale dei sacramenti! Non temiamo di dire che occorre tendere (con molta pazienza) a che questi giovani facciano un girini L'esperienza della presenza divina e del rapporto personale ineffabile con Dio.
    Cito il P. Babin: «L'adolescenza costituisce un «periodo sensibile» della conoscenza di Gesù Cristo come Amico e significato ultimo dell'Universo... Occorre che i giovani imparino a entrare in contatto con «l'amato Fratello e Signore Gesù» (P. De Foucald) nella realtà unica della sua Persona. Che essi imparino a parlargli come si parla a un vivente, con tutto il loro essere, le loro miserie e i loro bisogni. In questa linea, l'educazione collettiva per mezzo della vita liturgica non deve essere un caporalismo anonimo. Ma deve condurre al silenzio dell'adorazione e dell'incontro personale. Un certo pericolo di anonimato, dí spersonalizzazione ci minaccia nell'educazione, anche sul piano della preghiera. I giovani sono ancora capaci oggi di una preghiera autenticamente contemplativa. Ci si può domandare se noi siamo capaci di educarli sufficientemente» (Les jeunes et la foi, p. 124; p. 269-270).
    Con una punta di nostalgia, Romain Rolland confessava alla fine dell sua vita: «Non ho mai incontrato un prete che abbia saputo presentarmi Gesù Cristo». Che accusa! E Jean-Claude Barreau, nel suo libro così interessante La foi d'un païen, riconosce che gli ambienti cristiani che frequentò furono incapaci di «evangelizzarlo», vale a dire di rivelargli Gesù Cristo. Egli fu iniziato a Dio a 9 anni dalla vecchia governante del nonno, poi al Cristo, a 17 anni, dalla predica di un domenicano (p. 37-40). Il periodo dell'Avvento offre una magnifica occasione per una «coltivazione» della fede cristiana incentrata nella persona di Gesù. Queste quattro settimane mostrano che è necessaria una preparazione a questa accoglienza: ci vogliono delle condizioni spirituali molto bene illustrate nei personaggi-tipo dell'Avvento: l'anima assetata di un povero (testi di Isaia) il coraggio di un conquistatore (Giovanni il Battista), la semplicità di un fanciullo (Maria).


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