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    Virus e religiosità

    degli Italiani

    Franco Garelli

    I dati sono stati rilevati da un’indagine promossa da Apsor (Associazione piemontese di sociologia delle religioni [della quale Franco Garelli è direttore, ndr]) e realizzata dall’Istituto IPSOS. Campione di 1.000 interviste (popolazione italiana dai 18 ai 75 anni), metodologia CATI, CAMI, CAWI. Periodo rilevazione: 24-26 marzo 2020.

    Come cambia la fede ai tempi del Coronavirus? Gli italiani pregano di più o di meno, sentono Dio più vicino o più lontano? Come reagisce il paese alla decisione della Chiesa di annullare le funzioni religiose e, soprattutto, i funerali partecipati dalla comunità? Come dovrebbero agire i preti in questa emergenza umana e sanitaria che celebra l’eroismo di tanti medici e infermieri? Inoltre, c’è un messaggio religioso che ci giunge dal Covid-19?

    Coronavirus: indagine sulla religiosità degli italiani

    Interrogativi come questi sono alla base dell’indagine promossa dall’Apsor (Associazione piemontese di Sociologia delle religioni – diretta da chi scrive) e realizzata pochi giorni fa dall’Istituto demoscopico Ipsos, che ha intervistato un campione di mille persone rappresentativo della popolazione italiana dai 18 ai 75 anni. È in assoluto la prima ricerca che tasta il polso dell’Italia religiosa in quest’epoca di contagio.
    Per capire anzitutto se e quanto lo tsunami che stiamo vivendo renda più fragili anche le convinzioni di fede, oppure dia nuovo vigore alla domanda religiosa in una nazione in cui poco meno del 70% della popolazione continua a dichiararsi credente e cattolica. E ciò a fronte del 27% dei soggetti che risultano “non credenti” e di una quota di persone (un po’ sottorappresentate nel campione) che professano altre fedi religiose.[1]

    1. In effetti, in questo periodo, prevalgono nella popolazione più i segni di fede che di indifferenza religiosa, più la vicinanza che la distanza da Dio. Rispetto a prima dello scoppio dell’attuale emergenza sanitaria, un quarto degli italiani avverte oggi l’esigenza di una vita spirituale più intensa e, in parallelo, sente Dio più prossimo alla propria condizione di vita.
    In questo scenario vi è anche un incremento della preghiera, dichiarato dal 16% del campione. In tutti i casi, il termometro religioso del paese sembra rivolto all’insù; soprattutto per il maggior numero di persone più sensibili al lato spirituale dell’esistenza e al rapporto con Dio rispetto a quanti sono spinti – anche da questa pandemia – a negare un riferimento trascendente o a non dar rilievo ai valori dello spirito.
    Questa crescita del bisogno religioso e spirituale è comunque circoscritta, coinvolge molto di più i credenti impegnati o i cattolici praticanti che il vasto insieme dei credenti/cattolici che vivono ai margini di una vita di fede e di Chiesa. Nessun cambio di indirizzo o prospettiva si manifesta invece tra i “non credenti”.
    Come a dire che le persone spinte nell’attuale situazione a pregare di più (o a intensificare la vita spirituale) sono quelle per le quali la preghiera è perlopiù una pratica (o un habitus) familiare; mentre quanti pregavano poco in precedenza non si attivano più di tanto in questa particolare circostanza, magari riproponendo anche a questo livello il modello di una religiosità più delle intenzioni che del vissuto.

    La Chiesa istituzione

    2. Che seguito hanno – in questa emergenza sanitaria – i servizi organizzati dalla Chiesa per stare vicino ai propri fedeli utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia? Come si sa, si sono moltiplicate le iniziative in questo campo, sia a livello di vertice sia da parte di molte parrocchie e comunità locali che – grazie a siti internet e canali televisivi diversi – offrono occasioni virtuali di preghiera e di incontro, tra cui le messe in streaming, la recita del rosario, le riflessioni di figure religiose, momenti di meditazione e di adorazione ecc.
    La fruizione di questi servizi non è di per sé elevata, anche se il 23% degli italiani dichiara o di farne uso spesso o con una certa frequenza. Anche in questo caso prevalgono i fruitori più “affezionati”, per intenderci i credenti o i fedeli più impegnati, quanti partecipano in modo assiduo ai rituali comunitari (che ammontano appunto al 20% della popolazione); mentre è assai scarso l’accesso a questi servizi religiosi da parte del folto insieme dei cattolici che vivono la fede “a modo proprio”, perlopiù ai margini delle dinamiche ecclesiali. In tutti i casi, la grande maggioranza della popolazione è al corrente di questo nuovo sforzo comunicativo della Chiesa, che viene giudicato positivamente da quasi i 2/3 degli italiani.

    3. Sempre la maggioranza della popolazione esprime, inoltre, un diffuso giudizio positivo su altre iniziative messe in atto dalla Chiesa per far fronte a questa emergenza sanitaria. Tra queste, l’annullamento delle funzioni religiose (delle messe), giudicato in modo controverso negli ambienti religiosi, ma che raccoglie tuttavia il consenso del 68% degli italiani. O anche la tanto discussa e lacerante scelta di annullare i funerali, limitandosi a una benedizione della salma del defunto, che registra il 61% dei voti positivi.
    Quote simili di popolazione valutano poi positivamente l’azione del volontariato cattolico a sostegno dei soggetti più fragili; o ancora il supporto psicologico e morale offerto dal personale religioso e dai gruppi ecclesiali alle persone colpite dal Coronavirus. Per contro, i dubbi maggiori riguardano la decisione di tenere aperte in questo periodo le chiese, per dar la possibilità ai fedeli di frequentarle individualmente; una scelta che non pochi giudicano “rischiosa” o imprudente, vista la forza perdurante del contagio.

    Il prete e il suo ruolo

    4. Un altro tema oggetto di dibattito all’interno degli ambienti ecclesiali (e nella riflessione pubblica) riguarda il ruolo dei preti e delle figure religiose attive in questa emergenza sanitaria. Come dovrebbero agire in questa particolare circostanza? Impegnarsi, ad esempio, nelle retrovie dell’azione pastorale e caritativa, o essere presenti negli ospedali in prima linea, subito dopo i medici e gli infermieri?
    Ecco una questione sulla quale le posizioni della popolazione si polarizzano. Per il 44% del campione, i sacerdoti dovrebbero scendere direttamente sul campo, andando ad assistere le persone malate e quelle più fragili; mentre per il restante 56% dovrebbero rimanere in isolamento come tutti gli altri cittadini, evitando di correre il rischio di infettarsi e di infettare gli altri.
    Molti dunque chiedono al clero e ai religiosi un impegno diretto in questa battaglia di frontiera (per accompagnare i malati e anche assistere chi sta lottando tra la vita e la morte), ma i più auspicano un orientamento prudente da parte dello stesso personale religioso; fors’anche per non intralciare (in questa fase acuta dell’emergenza) l’azione dei medici e degli infermieri e per rispettare le priorità del momento.

    Significato di quello che succede

    5. Che significato, culturale e religioso, viene attribuito dalla popolazione a questa pandemia? Contrariamente a molti luoghi comuni, la grande maggioranza (il 70%) non equipara il Coronavirus a un fulmine divino che si abbatte su un mondo ritenuto ormai pagano e secolarizzato. L’idea del Dio punitivo non sembra trovare – nemmeno in questa circostanza eccezionale – grande credito nella società contemporanea, anche se continua a far breccia in alcune minoranze religiose di umore apocalittico.
    In modo analogo, oltre i 2/3 degli italiani non vivono questo tempo drammatico come una vittoria delle forze del male su quelle del bene, un segno questo del clima di fiducia e di speranza con cui il Paese affronta – oggi come ieri – le prove più difficili. Ciò non toglie che questa pandemia semini sconcerto e paure, interpelli a fondo la coscienza moderna, sia rivestita dei messaggi più diversi. Tra questi, due risultano di particolare rilievo. Anzitutto l’idea (condivisa dall’80% del campione) che questo sia “un tempo propizio per tornare a essere più umani e solidali”, per vivere in modo più sano, equo e fraterno la nostra vicenda personale e collettiva.
    E, in secondo luogo, la sensazione (espressa da poco meno della metà della popolazione) che anche in questo evento drammatico sia possibile cogliere un messaggio che giunge dall’Alto: quello di un Dio che intende richiamarci alle cose che contano, che vuole comunicare a ognuno di noi (e al popolo nel suo insieme) qualcosa di importante. Non sono dunque pochi gli italiani che – anche in questa circostanza – riconoscono di essere parte di un mondo di mistero non facile da decifrare, frutto della vitalità del sacro che mai scompare, della percezione che vi è un Dio che accompagna la propria esistenza.
    Si tratta di un sentimento religioso che non coinvolge soltanto i fedeli più convinti e partecipi, ma di cui vi sono varie tracce anche tra i gruppi sociali caratterizzati da una religiosità minima o che vivono ai margini degli ambienti religiosi. Si può dunque essere “Gente di poca fede”[2] – come recita il titolo del mio ultimo libro, da pochi giorni in libreria – e, nello stesso tempo, essere attenti ai segni che, di tanto in tanto, ci provengono dall’Alto.

    NOTE

    [1] Riprendo qui, e amplio, un articolo comparso sul Messaggero del 30 marzo 2020.
    [2] Franco Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, Il Mulino, 2020.


    Per vedere i grafici, qui il ink
    https://www.settimananews.it/chiesa/virus-religiosita-degli-italiani/

    PS La fonte delle tavole grafiche è sempre APSOR-IPSOS, Gli italiani e la religiosità durante il Covid-19.

    in Settimana News 02 aprile 2020


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