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    Quel virus tra Darwin e Marx


    Quel virus

    tra Darwin e Marx

    Massimo Recalcati

    La violenza dell’epidemia sta lentamente perdendo nel nostro Paese il suo vigore mortifero. Siamo sopravvissuti a fatica e sappiamo bene che il trauma non si è affatto esaurito, non è alle nostre spalle ma vi siamo ancora drammaticamente dentro.
    Due volti più di altri ci aiutano oggi a decifrarlo ulteriormente. Sono i volti di Darwin e di Marx. Perché Darwin? Quest’epidemia ha colpito i più fragili e i più vulnerabili: le persone già indebolite da altre malattie, ma, soprattutto, i nostri anziani. Il virus sembra avere cinicamente applicato la norma darwiniana della selezione naturale della specie.
    Ha soppresso le vite meno adeguate a resistere, quelle più indifese, quello meno provviste di anticorpi. Una intera generazione, come sappiamo, è stata decimata. Ma a essere cinico non è stato solo il virus quanto, ancora di più, il ragionamento che implicitamente molti hanno, consciamente o inconsciamente, condiviso: se qualcuno tra noi deve morire meglio loro, i vecchi, quelli che, in fondo, hanno già vissuto la loro vita. Meglio, dunque, loro che noi. Accade anche quando la sperimentazione scientifica produce un nuovo farmaco, per esempio nelle malattie oncologiche: a essere privilegiati sono le persone più giovani, i soggetti con maggiore prospettiva di vita. E come dargli torto? Tuttavia, dovremmo sempre ricordare che non esiste morte umana naturale, che la morte di un essere umano è sempre, per certi versi, atrocemente prematura. Qualcuno durante la fase più difficile dell’epidemia ha evocato uno spettro insopportabile: e se invece dei nostri anziani questo virus avesse mostrato di scegliere le sue vittime privilegiando i più piccoli, i nostri figli? Sarebbe stato tutto uguale? Avremmo reagito allo stesso modo?
    Il secondo volto che l’epidemia ha riscoperto è quello di Marx. Perché Marx? Molti hanno interpretato il Covid come un virus democratico, indifferente alle diseguaglianze sociali e alla ricchezza. Un virus, come la giustizia, che avrebbe agito bendato, senza discriminare le sue vittime. In realtà il Covid ha mostrato una verità di fondo, incontrovertibile, del ragionamento marxista: nel sistema capitalista gli esseri umani sono diversi e hanno diritti diversi in base al loro reddito. Il recente rapporto dell’Istat ha confermato purtroppo l’oggettività spietata di questa tesi: non solo la perturbazione economica scatenata dal virus ha diffuso povertà, ma la stessa malattia ha fatto maggiori vittime tra le persone più umili, povere ed escluse. A dimostrazione lampante che il virus non è stato affatto democratico, ma ha enfatizzato le condizioni di diseguaglianza sociale. È scontato constatare che il confinamento al quale siamo stati costretti non sia stato affatto uguale per tutti. Diverso è stato trascorrere la quarantena in condizioni di privilegio e di relativa serenità per l’avvenire che non in condizioni di povertà e di preoccupazione angosciata per il proprio futuro. Anche il ritornello assai diffuso che la crisi sia in sé un’occasione di rinnovamento, alla luce di queste considerazioni, non può che rivelarsi come una cattiva retorica. Anche su questo Marx ha espresso verità difficilmente confutabili: per coloro che vivono con l’acqua alla gola una situazione di crisi non è mai un’occasione di rinnovamento, ma una complicazione tragica che può comportare l’annegamento.
    Darwin e Marx sono due volti che il Covid ci ha fatto impietosamente riscoprire. Selezione naturale e condanna sociale dei poveri sono stati il fondamento per lungo tempo di una concezione dell’uomo basata sulla lotta individuale per la propria affermazione. Da una parte la ferocia del virus ha rivelato la verità scabrosamente arcaica, per certi versi intramontabile, di questa doppia tesi sull’uomo – i più forti sopravvivono; i poveri muoiono e si ammalano più dei ricchi –, dall’altra ha rivelato invece tutta l’impostura che la abita: l’incuria per gli altri, la cancellazione della dimensione della solidarietà, l’affermazione del successo individuale come unico criterio di realizzazione personale hanno mostrato il loro fiato corto: la salvezza – ci insegna il magistero austero e tetro del Covid – non può che essere collettiva. Per questa ragione stare vicini ai più deboli, non lasciarli cadere, è la sola condizione per uscire insieme dal tunnel del trauma.

    (La Stampa - 7 luglio 2020)


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