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    al tempo del covid-19

    A cura del Dicastero PG dei Salesiani
     PG meeting

    Il Dicastero di PG della Congregazione ha incontrato il 5 novembre, i 36 delegati di PG d’Europa. Tutti presenti i 6 italiani. E’ una forma di accompagnamento e di formazione molto apprezzata in un momento di emergenza sanitaria che rende difficile la prosecuzione delle attività pastorali e provoca l’interruzione di tanti percorsi educativi.
    Il programma ha visto oggi una rilettura pastorale dell’emergenza Covid. Don Miguel Ángel Garcia e don Tarcizio Morais del Dicastero non hanno solo elencato elementi problematici ma hanno evidenziato la necessità di essere “pro-attivi”, reagendo con creatività e cogliendo alcune imprevedibili opportunità di questo tempo come un mettere maggiormente a fuoco le fragilità giovanili, un recupero della reciprocità nella costruzione delle comunità educative, il primato delle relazioni, l’imparare a cambiare senza illudersi di lasciare le cose come stanno, la fiducia nelle potenzialità dei giovani, la dinamicità a cui la complessità chiama, l’interdipendenza che la vulnerabilità fa scoprire.
    La raccolta di esperienze nel confronto a gruppi di questa mattina lascerà domani spazio alla Programmazione post-capitolare per il prossimo sessennio.
    Come Salesiani vogliamo così che allo smarrimento subentri un cuore rinnovato che sa trovare nuove forme per testimoniare e portare la vicinanza di Dio ai giovani.

    Questo il testo di avviamento all'incontro

    Il COVID-19 ci rimanda a una crisi globale, ma non solo: è anche la nostra crisi, ci riguarda direttamente e quindi ci costringe ad agire con i nostri mezzi. Improvvisamente ci siamo trovati ad essere tremendamente vulnerabili e fragili. Il COVID-19 ci impone di adottare misure che ci impediscono persino di avvicinarci agli altri (confinamento, distanza fisica e sociale e isolamento profilattico).
    Se il bisogno di cura e di essere curati è inerente all'essere umano, la cura pastorale è ora una priorità. La cura non è solo una "pratica pastorale" in più, ma la pratica di accompagnamento più adatta a questi tempi. La nostra cura pastorale implica necessariamente la presa in carico della realtà dell'altro e ciò richiede a noi credenti, e soprattutto ora, la capacità di essere in sintonia con l'oceano di sentimenti che una pandemia provoca.
    Vivere in stato di quarantena innesca una serie di reazioni e sensibilità, importanti per chi di noi ha imparato la saggezza salesiana del legame emotivo, asse centrale del Sistema Preventivo di Don Bosco. Prima di tutto, la pandemia è un'esperienza di lutto, un dolore per una perdita. Non solo per la morte della persona amata, ma anche per altri tipi di perdite che generano cambiamenti significativi. In questo caso, molti giovani sono rimasti senza i punti di riferimento quotidiani che costituivano l'insieme delle routine, delle persone, delle attività o degli spazi che coloravano il ritmo normale della vita.
    Osiamo dire che la nostra prospettiva evangelizzatrice dovrebbe ruotare intorno a tre indicatori, di particolare profondità e urgenza, che sono: creatività, audacia e discernimento. A questi tre atteggiamenti possiamo pensare ad alcuni brevi spunti:

    1. Il coronavirus è un'opportunità per fermarsi. Ora più che mai è necessario sviluppare l'abitudine al discernimento, una sana ermeneutica che promuova la domanda: che cosa ci dice il Signore in questo momento storico? Che cosa sto imparando? Che cosa ho perso? Che cosa è essenziale? E forse è a questo punto che si visualizza una delle principali conclusioni del Sinodo sulla gioventù: personalizzazione, accompagnamento, discernimento (un atteggiamento vitale di fede), fatto modello pastorale salesiano.

    2. La crisi, non dimentichiamolo, genera anche dolore. Per questo motivo, è necessario ascoltare la sofferenza, esercitare il decentramento di se stessi per concentrarsi sulle periferie fisiche e psicologiche alle quali siamo chiamati come Chiesa. Il confinamento sta salvando delle vite, ma può anche aiutarci in quella necessaria riconciliazione con la nostra stessa fragilità. Dobbiamo aiutare a vivere il presente, ma con senso e con la storia. Con il «il contagio della speranza»: questo non può essere «il tempo dell’indifferenza», né «degli egoismi» o «delle divisioni», perché la sfida della pandemia «ci accomuna tutti e non fa differenza di persone», quella “speranza contagiosa che si coltiva e si rafforza nell’incontro con gli altri e che, come dono e compito, ci è data per costruire la nuova “normalità” che tanto desideriamo” (Papa Francesco ai sacerdoti di Roma, 31 maggio 2020).

    3. La cura pastorale significa anche accompagnare i processi di costruzione personale: la "dimensione samaritana della fede", parte del bilancio pastorale che ogni situazione di dolore e di crisi personale e sociale non è solo un momento di tensione che dobbiamo sopportare, ma anche un'occasione di ricostruzione e di crescita personale. Pertanto, il nostro obiettivo è quello di aiutare la persona a raggiungere la forza e l'orientamento necessari per utilizzare il suo potenziale personale e le sue risorse interpersonali in modo più efficace.

    4. Tutti questi suggerimenti possono e devono essere collegati a esperienze di prossimità, risposte pratiche di reale incidenza, coinvolgendo le Comunità Educativo-Pastorali: volontariato; donazioni occasionali o periodiche; programmi di attenzione ai bambini vulnerabili, dando loro accesso al cibo di base, all'attenzione psicologica e alla possibilità di continuare la loro formazione; liturgie e catechesi online; relazioni quotidiane gratuite... e molte microstorie di aiuto e sostegno per gli altri. Strategie efficaci, sì, ma affettive che permettono un approccio consapevole e solidale.

    5. Sappiamo quanto sia necessario il rapporto umano. Che non è sufficiente lo schermo, l’online, uno strumento valido e utile, ma... è necessario l’incontro. Per stare insieme. Condividere. Ridere. Correre. Saltare. Viaggiare per la ricchezza delle parole pronunciate, per la bellezza dell'essere, per la grandezza del rapporto, faccia a faccia. Rinunciare a questo è troppo disumanizzante per essere vero. Soprattutto per noi che abbiamo imparato, con Don Bosco, che "l'educazione è una questione di cuore".

    6. Ma la vulnerabilità non diventa protagonista solo nella vita di chi accompagniamo. È presente anche nella vita dei loro accompagnatori, in noi. Prendersi cura è dare sostegno, accompagnare, dare protagonismo all'altro, trasmettere conforto, serenità e pace; ma questo è possibile solo se chi si prepara a svolgere questo compito gode di equilibrio emotivo e di salute spirituale. La Risurrezione è il "miracolo" di vivere tutto nel nome di Gesù. E in questo tutto sono i nostri incontri, il nostro incoraggiamento, il nostro ascolto, la nostra preghiera. Conserviamo tutti questi miracoli pasquali nel Cenacolo del nostro cuore.

    Per riflettere in prospettiva di buone pratiche

    Apprezzando quanto abbiamo guadagnato da questa crisi (ambiente migliore, vita più lenta, stare insieme come famiglia) e quanto creativi e innovativi siano stati tanti educatori e “buon pastori” nelle nostre comunità educativo pastorale, dobbiamo superare il pericolo della "catastrofe generazionale" e trasformare questa "crisi dell'umanità" (globale e planetaria) in opportunità, con tutto quello che il nostro “discernimento pastorale” (cosa fare?) e il “discernimento vocazionale” (cosa ci chiede il Signore?) può offrire, operativamente. Non possiamo permettere la possibilità di una “generazione COVID”! Ancora una volta, le giovani generazioni sono la parte della popolazione più esposte alle conseguenze più ampie, soprattutto se si considerano le loro prospettive emozionale, sociali, occupazionali e la minaccia per il loro capitale sociale e umano, per il suo futuro.

    * “Nel caso specifico della pandemia da Covid-19, il clima di costante paura del contagio, l’interruzione di quasi tutte le attività quotidiane e l’isolamento sociale e fisico hanno rappresentato fonti di grande sofferenza per molte persone, ma allo stesso tempo hanno potuto generare spunti di riflessione sulla propria esistenza, sul suo significato e sulle priorità di scopi e valori” (Giovani ai tempi tel coronavirus, Rapporto Giovani 2020, p. 28).

    * “È un paradosso, ma è vero: la pandemia del Coronavirus ha messo in evidenza, in un modo più intenso del solito, il fatto che tutta la realtà, terrena e umana, nei suoi molteplici aspetti, è una relazione, è una reciprocità, è un’interazione. Dobbiamo renderci conto che l’unico modo di uscire da questa pandemia è proprio la riscoperta della reciprocità, il senso dell’appartenenza, la comunità, il sentirci parte viva di qualcosa di più grande, di cui prenderci cura e che si può prendere cura di noi” (monsignor Franco CECCHIN).

    * Tempo per imparare. «Non sarà più come prima!». Non c’è purtroppo solo il rischio di non cambiare, ma se non si sente, non si ascolta, se non si impara dall’esperienza, c’è anche il pericolo di andare anche peggio nella comunità. (...) La pandemia crea un “pressing” emotivo pesante che risveglia le parti più difficili di sé stessi, è come una radiografia che mette allo scoperto il proprio modo di essere, le crepe e le fragilità, lo stile delle relazioni, a volte in modo così doloroso e improvviso da gettare nella confusione e da far saltare l’equilibrio psichico di una persona anche con esiti tragici. Non hanno tempo di imparare coloro che non prendono contatto con la vulnerabilità e la grandezza della propria umanità: le povertà e i limiti, le qualità e le risorse, ciò che sta più cuore e ciò che da senso e gusto alla vita. Questo tempo di vero e proprio “tirocinio” nel vivere, così esigente, apre occhi nuovi verso gli altri oltre che verso se stessi. Può essere un tempo nel quale si impara molto anche a riguardo di esperienze precedenti, ma per imparare occorre il coraggio di rischiare e lasciarsi convertire (don Enrico PAROLARI, Prete e psicoterapeuta).

    * In questa straordinaria situazione i giovani hanno vissuto un'opportunità per imparare ad affrontare le sfide del nostro tempo, un'opportunità per ristabilire la fiducia nelle istituzioni e un'opportunità per attuare la giustizia intergenerazionale. Dovremo pensare in modo creativo ai modi per ricollegare le persone. Fidarsi dei giovani e dare loro la possibilità di pensare e agire insieme è un modo importante per raggiungere questo obiettivo.

    * Dobbiamo costruire delle narrazioni di speranza per come potrebbe apparire la nuova realtà. Dobbiamo alimentare le fonti che ci danno speranza per ripensare il modo in cui funziona il mondo. L'educazione deve essere al cuore di tutti noi per quel futuro nel quale abbiamo bisogno di audacia di pensiero e di azione coraggiosa.

    * Il Covid-19 ha rivelato le ansiose difficoltà che derivano da tale complessità, ma ci ha dimostrato che la complessità genera anche un potente dinamismo e molteplici possibilità. Le sfide travolgenti che accompagnano l'incertezza sono state ampiamente esposte negli ultimi mesi. Ma il Covid-19 ha ricordato all'umanità che l'incertezza contiene anche grandi potenzialità e mette in secondo piano il determinismo. Abbiamo visto i terrificanti rischi e le vulnerabilità della nostra fragilità, ma il Covid-19 ci ha spinto a ricordare che la fragilità genera anche consapevolezza, sensibilità alle nostre interdipendenze e può essere fonte di speranza.

    Le cose saranno diverse e noi vogliamo che siano diverse. Niente è come prima: vita, legami, spazio e tempo. Non vogliamo tornare al punto di partenza, ma vogliamo cambiare in meglio, innovare, creare, credere in noi stessi, nelle nostre risorse. E di fronte a questo, quali criteri dobbiamo assumere per un'adeguata azione educativo-pastorale? Da dove guardare a questa complessa realtà? Cosa possiamo fare con realismo e speranza? Cosa sta funzionando? Cosa c’è di buono che possiamo condividere? Che tipo di animazione sta portando delle risposte positive? Cosa, al rovescio, no sta funzionando?

    A voi la parola!


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