Sempre guidato
e accompagnato,
fino alla meta
Luigi Bosoni, (anziano) prete salesiano *
Avevo sei anni e già cantavo “O don Bosco, padre buono“. Era la Pasqua dell'Anno Santo 1934 e io ero all'asilo dalle Suore Guanelliane. Il mio parroco novantenne vantava una stola che gli era stata regalata, non so come né quando, da don Bosco.
Il mio don Bosco però era don Domenico, sempre circondato da ragazzi. Gli servivo la messa e, a nove anni, guidavo le preghiere in chiesa, la mia chiesa, vicina a casa e officiata da lui.
Quando avevo terminato le classi elementari, traslocammo al paese vicino. Là, ai piedi della collina c’era un antico castello, abitato allora da una Principessa che aveva contattato don Rua per avere i Salesiani nel paese. Non li ottenne; vi giunsero, per le ragazze, le Suore di don Bosco. Per i ragazzi aveva ceduto e attrezzato un vasto spazio del suo castello e voluto una fondazione che vi assicurasse un prete impegnato a gestirlo “come voleva don Bosco”.
Ancora ragazzo, aiutavo, come potevo, ad assistere i più piccoli. D’estate l’Oratorio si trasferiva in collina, al fresco. Si partiva al mattino cantando, si tornava a sera, stanchi e contenti, contente anche le nostre mamme, che ci sapevano custoditi e impegnati.
Era tempo per me di pensare a continuare gli studi; dove se non dai Salesiani della vicina Milano? Che i salesiani fossero di don Bosco fu una dolce sorpresa per me. E così, anno dopo anno, alla fine del ginnasio, potevo prepararmi “a stare con don Bosco” sempre. L’orientamento al sacerdozio in me era remoto e dichiarato da sempre; perché non avessi mai pensato ad entrare in Seminario, è un mistero.
La mia strada era segnata. Bastava seguirla.
In collegio ebbi occasione di conoscere Mons. Olivares e don Cimatti, oggi Venerabili, e molti missionari. Vescovo di Milano era il Card. Schuster, beato, che amava don Bosco e invitava i salesiani a studiarlo. “Per trovare un fondatore della sua statura, egli diceva, bisogna tornare a San Benedetto”.
Nell’Oratorio attiguo all’Istituto operava, molto noto e sempre presente, Attilio Giordani, oggi Venerabile. Fu con noi per tutti quegli anni. Di lui, noi ragazzi, dicevamo: “Bisognerebbe scriverne la vita!”.
Da giovane prete, per sette anni, fui all’Aspirantanto di Chiari (BS). Erano anni fortunati. A settembre quasi l’intera classe dell’ultimo anno di ginnasio entrava in Noviziato. Non pochi partivano per le missioni. Tra quei ragazzi posso ora contare in lontani paesi del mondo sei Vescovi.
Dopo una breve sosta (due anni) a Treviglio, mi chiedono di iniziare una nuova presenza per ragazzi abbandonati in Val Camonica. Una esperienza che ha segnato la mia vita. Tre anni.
Mi nominarono Maestro di Noviziato. Un solo anno. L’anno successivo, 1969, si chiudeva il Noviziato, rimandando l’ingresso ad età maggiore. Tornai a Treviglio. Altra sosta di due anni.
Mi attende Bologna. Nella periferia est è iniziata una nuova presenza: Parrocchia e Oratorio. Sette anni: era il dopo sessantotto e Bologna era allora più rossa che mai. La chiesa, una delle prime del dopo Concilio, era dedicata a don Bosco.
Mi chiamano a Novara, ispettore. Due anni, e sono a Roma nel Consiglio Generale come Consigliere per l’Italia e il Medio Oriente. Dieci anni, aperti a nuovi e più ampi orizzonti. Sono gli anni del progetto Africa e del Centenario della morte di don Bosco: dal Capitolo XXI al XXIII.
Chiedo di andare a lavorare in Meridione. Sarò parroco e direttore a Salerno per 12 anni.
Ho 74 anni quando raggiungo il Postnoviziato di San Tarcisio a Roma, dove sono ancora con i miei 87 anni compiuti, di cui settanta con don Bosco.
Ho raccontato il percorso della mia vita.
Ho l’impressione di aver camminato ben al di sopra delle mie possibilità, ma guidato, accompagnato.
L’avventura continua. Fino a quando? Fin dove?
Come quando, ragazzo, lasciavo casa per il collegio o per il Noviziato, o quando, mi avventuravo nel Libano in guerra, nella Siria, in Turchia, in Egitto, nell’Iran di Komeini, o nelle nuove missioni africane in Madagascar, Kenia, Etiopia! Sempre guidato e accompagnato, fino alla meta. Don Bosco mi attende.
* Vive e opera nella casa salesiana di San Tarcisio alle catacombe a Roma, casa con i giovani salesiani. Racconta il della sua vita. Un percorso per nulla lineare, che egli vede tracciato per lui da don Bosco, fin dall’infanzia.