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    L'incontro

    con Gesù Cristo vivo:

    due icone bibliche

    José Pagola


    Dopo l'esecuzione di Gesù, i suoi seguaci hanno vissuto un processo che li ha condotti a "credere" in Gesù risorto, superando dubbi, incertezze, interrogativi e sconcerto. Alla luce di questa fede andarono via via approfondendo, non senza difficoltà, il mistero racchiuso in Gesù, fino a confessarlo in maniere diverse come incarnazione del mistero di Dio nella fragilità di un essere umano. Quale via possiamo percorrere noi uomini e donne di oggi per seguire un processo simile? Questa non fu una questione ignora­ta agli inizi della fede cristiana; i credenti della seconda e della terza generazione pensano a coloro che un giorno crederanno senza essere stati protagonisti diretti degli eventi vissuti intorno a Gesù;[1] offrono persino delle piste per accedere alla fede in Gesù Cristo. Di quali esperienze possiamo disporre noi per unirci alla fede dei primi di­scepoli di Gesù?

    Il racconto dei discepoli di Emmaus

    Questo racconto offre alcuni suggerimenti di grande importanza[2]. Due discepoli abbandonano il gruppo che è riunito a Gerusalemme; camminano con «aspetto triste»; il loro stato d'animo dopo la crocifissione di Gesù è di tri­stezza, desolazione e disperazione. La loro fede in Gesù si e spenta; non si attendono più nulla. In apparenza dispongono di tutto ciò che avrebbe potuto condurli alla fede in Gesù Cristo: conoscono le Scritture d'Israele, sono vissuti con Gesù, hanno ascoltato il suo messaggio, lo han­no visto agire come un «profeta potente», hanno ascolta­to l'annuncio pasquale delle donne, che dicono che il cro­cefisso «è vivo» e quello dei loro compagni, che confer­mano che il sepolcro è vuoto. Tutto è inutile; la loro fede rimane morta; manca loro l'aspetto più decisivo: ricono­scere la presenza dei Risorto nelle loro vite, incontrare per­sonalmente Cristo vivo.
    Sebbene camminino tristi e scoraggiati, quei discepoli con­tinuano a ricordare Gesù e «conversano e discutono su di lui». Mentre camminano, il Risorto «si avvicina», si rende presente nella loro conversazione e si mette a camminare con loro. Gesù li invita a ricordare «quanto è accaduto». I due discepoli ravvivano i loro ricordi e fanno memoria di tutto; parlano allo sconosciuto di «Gesù di Nazaret»: è sta­to «un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo»; tuttavia i dirigenti religiosi lo hanno cro­cifisso; in loro si era destata la speranza che «sarebbe sta­to lui a liberare Israele», ma la sua esecuzione ha posto fi­ne a tutte le loro aspettative; neppure la notizia che Gesù è vivo è riuscita a ravvivare la loro fede in lui. è allora che Gesù comincia a spiegare loro, alla luce delle Scritture, l'autentico significato degli eventi e del destino di passio­ne e risurrezione del Messia.
    Quanto Luca suggerisce è di grande importanza. Lì dove un gruppo di persone cammina per la vita cercando di sco­prire il significato delle parole e delle opere del profeta Gesù di Nazaret, lì dove si fa memoria della sua passione e si ascolta la notizia della sua risurrezione... lì si rende presente il Risorto. È una presenza reale di qualcuno che ci accompagna nel cammino; una presenza non facile da cogliere, poiché i nostri occhi possono essere incapaci di riconoscerlo; una presenza che ci invita a riconoscere che siamo «tardi di cuore nel credere». Ma è una presenza che va destando la speranza nei discepoli. Più tardi confesse­ranno che, mentre Gesù parlava loro per la strada, «il cuore ardeva in loro». Una via per incontrare Cristo risorto e sentire che il nostro cuore si accende alla sua presenza è quella raccoglierci in suo nome, leggere i Vangeli cercando di scoprire il significato profondo delle sue parole e delle sue azioni, far memoria della sua crocifissione e ascoltare dal di dentro, con cuore fiducioso, l'annuncio della sua risurrezione.
    Non basta. È necessaria anche l'esperienza della cena eu­caristica per riconoscere la presenza del Signore risorto non tanto come qualcuno che illumina la nostra vita con la sua Parola, ma anche come qualcuno, che ci nutre nella sua Cena. È quanto suggerisce il racconto di Luca. I discepoli chiedono al viaggiatore sconosciuto di non abban­donarli, e Gesù «entra per restare con loro». I tre viaggia­tori si siedono a tavola per cenare insieme come amici e fratelli. Quando Gesù prende il pane, pronuncia la benedizione, lo spezza e glielo dà, «si aprono loro gli occhi e lo riconoscono». È sufficiente riconoscere la sua presenza, anche soltanto per alcuni istanti. L'esperienza di sentirsi nutriti da lui trasforma la loro vita. Ora si rendono conto del fatto che le speranze che avevano riposto in Gesù non erano eccessive, ma troppo piccole e limitate. Recuperano il significato della loro vita. Tornano alla comunità dei di­scepoli e «raccontano quel che era successo loro per via e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane»[3].
    La nostra fede in Cristo risorto non è soltanto frutto del segno del sepolcro vuoto, né della testimonianza di coloro che hanno vissuto l'esperienza dell'incontro con lui. È ne­cessario anche riconoscere la presenza di Cristo viso del­la nostra stessa vita. Luca suggerisce due esperienze privi­legiate per la comunità cristiana: l'ascolto personale della Parola interpretata da Cristo e in Cristo, e l'esperienza del­la cena fraterna dell'eucarestia.

    L'incontro di Maria con il Risorto

    Anche questo incontro offre alcuni suggerimenti importanti per accedere alla fede in Gesù Cristo[4]. Maria di Magdala è triste e desolata; il suo cuore è in lacrime. Il racconto sot­tolinea soprattutto che Maria è una donna che cerca Gesù; non si rassegna a vivere senza di lui. La sua vita non avreb­be senso. A tutti ripete più volte l'origine del suo pianto: «Hanno portato via dal sepolcro il mio Signore e non so do­ve l'abbiano messo». Vi è una progressione intenzionale nel­la risposta che riceve. Simon Pietro e il discepolo amato le rispondono con il loro silenzio: neppure loro sanno dove sia il Signore. I «due angeli» che sono presso il sepolcro le ri­volgono una domanda invitandola a iniziare una ricerca in­teriore: «Donna, perché piangi?». Maria ricorre allora a co­lui che pensa essere l'«incaricato del giardino». In realtà, si tratta di Gesù. Egli è lì, davanti a lei, ma Maria «non sa che è Gesù». Egli le rivolge allora la domanda completa: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Il racconto di Giovanni sug­gerisce che, per incontrare Cristo risorto, non basta una ricerca qualsiasi, bisogna compiere un processo interiore ponendosi le domande decisive dell'esistenza.
    Tale ricerca interiore può risultare insufficiente. Maria ri­conosce Gesù soltanto quando si sente personalmente interpellata da lui: «Gesù le dice "Maria". Ella lo riconosce e gli dice Rabbunì, che significa "Maestro"». Per incontrare Gesù risorto è necessario ascoltare dalle sue labbra il nostro proprio nome, sentirci chiamati personalmente da lui. Allora la nostra vita cambia radicalmente. Maria deve ancora scoprire che Gesù non è soltanto il Maestro che ella ha conosciuto: è il Figlio di Dio che sale a colui che è suo Padre e nostro Padre. Deve imparare a vivere con il Signore risorto senza poter godere della sua presenza fisica, come in Galilea. Lo abbraccerà nei suoi fratelli, cui il Risorto la invia per co­municar loro la Buona Notizia: tutti siamo fratelli, tutti ab­biamo, con Gesù, un unico Dio e Padre. Gesù è il Figlio uni­genito, il nostro fratello maggiore; tutti formiamo la fami­glia di Dio. Gesù Cristo è la nostra speranza: con lui e per lui giungeremo un giorno al seno del Padre.

    (José Antonio Pagola, Gesù. Un approccio storico, Borla, pp. 527-531)


    NOTE

    [1] Secondo Giovanni 20,29, Gesù risuscitato dice a Tommaso: «Hai creduto perché mi hai visto. Beati coloro che credono senza aver vi­sto».
    [2] Luca 24,13-35. Il racconto è assai particolare; viene evitato il lin­guaggio tradizionale delle «apparizioni» e si insiste sul riconosci­mento di una presenza. È l'unico racconto nel quale il Risuscitato trascorra delle ore con i discepoli, vivendo con loro (li accompagna per strada, discute con loro, si trattiene a cena...).
    [3] «Frazione del pane» è il termine tecnico usato nella comunità cri­stiana per designare l'eucaristia (Atti degli Apostoli 2,42).
    [4] Giovanni 20,11-18.


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