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    la propria anima

     

    Elisabetta Ferraroni 

     


    Apprendere a guardarsi dentro è il primo passo per conoscersi, per verificare di quale pasta siamo fatti, per vedere “la sostanza del cuore”. Se ciascuna persona è un “unico” nella storia dell'umanità, un progetto distinto e diverso da tutti gli altri, un “destino” originale da realizzare, occorre attivare un duplice percorso, dalle “maschere” al volto.

    E cioè apprendere a distinguere il proprio nome da tutti gli altri nomi pronunciati all'esterno che tentano di definire, ingabbiare, omogeneizzare, standardizzare... sedurre; e – secondo – conoscere/riconoscere ciò che ci costituisce nella verità e che solo quando viene interiorizzato è avvertito come “vero”, significativo, vitale, un progetto realizzante.

    Un libro, a volte, riesce a mostrarti come sia possibile percorrere questo itinerario e magari ad offrirti le parole che la tua anima fatica a trovare per dire se stessa nella verità.

    In questa nuova rubrica della NEWSLETTER di NPG, che contiamo di offrire regolarmente, presentiamo un modo di approfondimento e di lavoro soprattutto per i gruppi di adolescenti e giovani, e ancora più per le classi di italiano e di religione o comunque di cultura. 

     


    STRALCI
     

     

    Hermann Hesse, Demian

    Ed. Oscar Mondadori, 2006, pp. 144-148 

     

    Quando ero rimasto coricato per terra davanti al caminetto in quella triste camera da eremita, l’organista Pistorius, senza che me ne rendessi conto, mi aveva dato una prima lezione. Quel guardare nel fuoco mi aveva fatto bene, rafforzando e confermando certe mie tendenze che avevo sempre avute, senza però coltivarle mai. A poco a poco una parte di ciò mi fu chiara.

    Già da piccolo ero stato incline a guardare le forme bizzarre della natura, non già osservando ma abbandonandomi al loro fascino e al loro complicato linguaggio. Lunghe radici d’albero affioranti, vene colorate nella pietra, macchie d’olio natanti sull’acqua, crepe nel vetro, tutte queste cose esercitavano su di me una grande attrattiva, soprattutto l’acqua e il fuoco, il fumo, le nubi, la polvere e, in modo particolare, le macchioline giranti che vedevo chiudendo gli occhi. Ciò mi tornò in mente nei giorni dopo la prima visita a Pistorius. Notai infatti che quel maggior vigore, la gioia più intensa, il più profondo sentimento di me stesso che provavo dopo di allora, erano dovuti esclusivamente all’insistente contemplazione del fuoco. Era una cosa stranamente benefica e un arricchimento.

    (…)

    «C’è una bella differenza tra l’avere il mondo dentro di sé ed esserne anche consapevoli! Un pazzo può produrre pensieri che ricordino Platone e lo scolaretto devoto di un istituto religioso può concepire nessi mitologici che troviamo negli gnostici o in Zoroastro. Ma non ne sa niente, e finché non lo sa è un albero o un sasso, nel migliore dei casi un animale. Quando poi gli balena la prima scintilla di questa conoscenza diventa uomo. Non vorrà mica considerare uomo tutti i bipedi che passano per la strada soltanto perché camminano ritti e la gestazione dei loro figli dura nove mesi! Lei capisce che molti di loro sono pesci o pecore, vermi o sanguisughe. E quanti sono formiche, quanti api! Certo in ognuno di loro ci sono possibilità di diventar uomini, ma solo quando lo intuiscono e imparano a rendersene conto, queste possibilità appartengono a loro.»

    Di questo genere all’incirca erano le nostre conversazioni. Di rado mi recavano qualcosa di nuovo, qualcosa di sorprendente. Ma tutte, anche le più umili, colpivano con leggero e costante martellio il medesimo punto dentro di me, tutte contribuivano a formarmi, a rompere gusci di uova da ognuno dei quali alzavo il capo un po’ più in alto, un po’ più libero, finché l’uccello giallo con la bella testa di rapace erompeva dal frantumato guscio del mondo. 

     

    PER UNA RIPRESA IN GRUPPO

     

    Guardare il mondo per guardare dentro di sé, imparare a riconoscere i sentimenti e le emozioni e i pensieri soffermandosi sui colori, le forme e i rumori che ci circondano.

    Sapersi fermare, saper ascoltare, saper vedere.

    Diventare uomini è divenire consapevoli della complessità che compone il mondo interiore di ciascuno, un mondo che si riflette nella natura e nei volti che incontriamo. 

    • Ti è mai capitato che un paesaggio, un’immagine, un oggetto, aprissero una finestra sul tuo mondo interiore? Quando? Che sentimenti ha suscitato in te?

    • Se pensi alla tua vita ci sono state relazioni che ti hanno dato la possibilità di fermarti e di ascoltarti?

    • Se provi a guardarti dall’esterno, a visualizzare un’immagine di te, come ti vedi? Ti sembra di essere una persona “complessa”? 

     

    POESIA

     

    Emily Dickinson, POESIE

     

    La solitudine che non si osa sondare

    (n. 777)

     

    La solitudine che non si osa sondare -
    e si preferisce piuttosto immaginare
    che andare a scandagliarla nella tomba
    per accertarne la misura -

    la solitudine il cui massimo terrore
    è vedere se stessa -
    e morire davanti a sé
    per un solo sguardo -

    l’orrore che non si lascia esaminare -
    ma solo aggirare nel buio -
    con la coscienza sospesa -
    e l’essere sotto chiave -

    Questa io temo - è solitudine -
    Il creatore dell’anima
    le sue caverne e corridoi
    illumini - o sigilli -


    PER UNA RIPRESA IN GRUPPO

     

    La nostra vita interiore è carica di parti buie, profonde e labirintiche su cui fatichiamo anche solo ad affacciarci. Ma anche di quello siamo fatti, di paure e delusioni che, anche se non ammettiamo, ci costruiscono.

    Può sembrare più facile e semplice e rassicurante “misurare” solo ciò che di noi ci appare “normale” e “giusto”. Ma non è la nostra verità, non siamo noi. E allora forse vale la pena riconoscerci per quello che siamo, tentare di illuminare alla nostra vista ogni remoto pensiero che ci attraversa. Per accettarci e poter finalmente andare oltre noi stessi. 

    • Ti è mai capitato di avere paura di pensare a qualcosa o a qualcuno, a qualche aspetto della tua vita?

    • Riesci a riconoscere, se ci sono, le paure che ti abitano?

    • Non ti è mai sembrato che ci fosse qualcosa di “sbagliato” in te? Come l’hai affrontato? 

     

    LETTURA CONSIGLIATA 

     

    Paulo Coelho, Veronika decide di morire

    Bompiani 1999 

     

    In breve:

    Una giovane decide di togliersi la vita perché convinta che non l’aspetti niente di meglio di ciò che ha già vissuto. Fallito il tentativo di suicidio si trova in un’ospedale psichiatrico, con la consapevolezza che le restano solo pochi giorni prima che il suo cuore, danneggiato dalle pastiglie di sonnifero ingoiate, cessi di battere.

    Ma proprio in questo luogo abitato dalla follia, verità o finzione che sia, Veronika trova il coraggio di lasciare da parte le convenzioni e le convinzioni che fino ad allora l’avevano tenuta imprigionata dentro ad un’immagine che non sentiva sua. Perdendo ogni interesse per la vita e liberandosi dalla paura di ciò che gli altri potrebbero pensare di lei, questa giovane comincia ad ascoltarsi e a riscoprirsi. Ed è quest’apertura a sé e di sé che le consente, per la prima volta, di sperimentarsi autenticamente e vivere relazioni che la toccano profondamente, permettendole di spogliarsi definitivamente da quel velo di apatia e indifferenza in cui aveva vissuto i ventiquattro anni precedenti. 


    PER UNA RIPRESA IN GRUPPO

     

    Non ascoltare e non accettare ciò che si sente può sembrare più semplice e meno doloroso, ma a volte può anche portare ad una mancanza di significato assai pericolosa. Il rischio è quello di vivere in funzione di ciò che gli altri si aspettano da te e di ritrovarsi in un’esistenza che non si è scelta e che non corrisponde ai propri desideri. 

    • Ti succede di fare o di aver fatto qualcosa solo perché era quello che gli altri si aspettavano da te?

    • Ti sei mai sentito particolarmente libero di esprimere te stesso? In quali situazioni? Con chi?

    • C’è stato un momento in cui è emerso un aspetto di te che non credevi ti appartenesse? Quando è emerso come ti sei sentito? 

     

     

    I CLASSICI

     

    S. Agostino 

    «Non uscire da te, ritorna in te stesso»

     

    «C’è dunque ancora qualcosa che non possa ricordare all’anima la primitiva bellezza che ha perduto, dal momento che lo possono fare i suoi stessi vizi? La sapienza divina pervade il creato da un confine all’altro ; quindi, per tramite suo, il sommo Artefice ha disposto tutte le sue opere in modo ordinato, verso l’unico fine della bellezza.

    Nella sua bontà pertanto a nessuna creatura, dalla più alta alla più bassa, ha negato la bellezza che da Lui soltanto può venire, così che nessuno può allontanarsi dalla verità senza portarne con sé una qualche immagine. Chiediti che cosa ti attrae nel piacere fisico e troverai che non è niente altro che l’armonia; infatti, mentre ciò che è in contrasto produce dolore, ciò che è in armonia produce piacere.
    Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia:
    non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso.
    Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò un’armonia insuperabile e fa’ in modo di essere in accordo con essa.
    Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l’uomo interiore potesse congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito».

    (De vera religione, 39) 

    «Dov’eri dunque allora, e quanto lontano da me? Io lontano da te vagavo… Lungo quei gradini fui tratto sino agli abissi infernali, febbricitante, tormentato dall’arsura della verità, mentre, Dio mio, lo riconosco davanti a te, che avesti misericordia di me quando ancora non ti riconoscevo, mentre cercavo te non già con la facoltà conoscitiva della mente, per la quale volesti distinguermi dalle belve, ma col senso della carne.
    E tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta».

    (Confessioni, Libro III, 6) 

    «Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l’universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te per farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere; respingesti il mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d’amore e terrore. Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile, ove mi pareva di udire la tua voce dall’alto: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me”. Riconobbi che hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria e imputridito come ragnatela l’anima mia. Chiesi: “La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?”; e tu mi gridasti da lontano: “Anzi, io sono colui che sono “. Queste parole udii con l’udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell’esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato».

    (Confessioni, Libro VII, 10) 


    PER UNA RIPRESA IN GRUPPO

     

    • Ti è mai capitato di trovare nella tua anima, o di leggere nella tua vita un desiderio a cui non sai come rispondere, un’insoddisfazione che niente di ciò che hai o fai potrebbe colmare?

    • C’è stato un momento in cui, riflettendo su te stesso, su una tua esperienza, ascoltando un’emozione o un pensiero, hai intuito la presenza di una verità, di una bellezza capace di andare oltre al tuo “essere uomo”?

    • Riesci, in poche parole, a definire la “verità del tuo cuore”? 

     

    UN APPROFONDIMENTO PER L'ANIMATORE 


    S. Agostino, padre dell'interiorità

    Un’intervista a Massimo Cacciari 

     

    Agostino è alle origini della cultura europea. È il padre di tutta la letteratura moderna, che non ci sarebbe stata, così com’è, senza Le confessioni di Agostino; esattamente come, senza De Civitate Dei, non ci sarebbe stata alcuna filosofia della storia.

    Quale è il peso filosofico della Confessioni di s. Agostino?

    Un peso enorme. Con l’Agostino delle Confessioni abbiamo la scoperta dell’interiorità, nel senso che noi diamo al termine ancora oggi. Il peso sulla cultura europea e occidentale di Agostino è incalcolabile. Il libro delle Confessioni, poi, è un concentrato del pensiero filosofico di Agostino. In questo testo c’è tutto lo scandalo agostiniano.

    In che senso “scandalo”?

    Lo scandalo di Agostino è nel suo parlare in prima persona. Hegel diceva che tutto ciò che è personale è falso. Prima di lui Kant e Bacone. Questa è stata la strada maestra della filosofia occidentale, per cui non ha senso parlare di se stessi, per poter parlare “della cosa”. Come si fa, infatti, a parlare in prima persona, filosoficamente? La filosofia è scienza o narrazione, ovvero letteratura? Lo stesso vale per la teologia.

    Eppure il teologo e filosofo Agostino ci riesce, riesce a dimostrare non solo l’utilità ma anche la necessità di parlare di sé per poter parlare della cosa. Questo è l’assillo, il pungolo che Agostino (e il pensiero cristiano mediante Agostino) pone alla cultura europea.

    Ed è straordinario come il filosofo affronti e risolva il paradosso.

    Il primo passo è chiedersi: come posso conoscere qualcuno senza cercarlo?

    Ma, d’altra parte, cosa cerco che già non conosco? Non posso cercare una cosa che non conosco. Devo quindi presupporre l’oggetto del mio cercare. Se cerco qualcosa vuol dire che debbo presupporne la sua esistenza. Devo credere nell’esistenza del cercato. Devo crederlo, non saperlo, perché se lo sapessi non lo cercherei.

    Quindi la fede è il momento essenziale, immanente a ogni ricerca. Nella ricerca c’è, non può mancare l’elemento della fede. Con tutto il bagaglio di rischio, di pericolo, che essa porta con sé. L’uomo infatti non vede Dio faccia a faccia. La natura dell’uomo è vulnerata; su questo Agostino scrive pagine sublimi, con il suo straordinario realismo, col suo duro sermo, senza mai indulgere in vaghi sentimentalismi. 

    Nessun autobiografismo quindi nelle Confessioni?

    Assolutamente no. La grandezza, anche letteraria, di Agostino è nel suo realismo senza nessun sterile ripiegamento nel proprio io. La sua è riflessione filosofica e teologica, non certo una mera esercitazione di stile.

    Per Agostino il discorso è chiaro e consequenziale: se dunque il credere è immanente alla scienza, alla ricerca, allora per giungere a sapere io non ho altra via d’accesso che la mia indagine, la mia inquisitio fondata sul credere.

    Non è quindi la messa a nudo in modo sentimentale dell’anima, ma è l’unica via d’accesso all’inventio veritatis, alla scoperta della verità.

    Percorrere la strada dell’interiorità è necessario, è la via d’accesso al “cercato”: si deve per forza sfidare l’abisso del sé, la via infinita dell’anima, per dirla con i greci.

    Agostino sprofonda nell’interiorità e indica questa come unica strada possibile per la filosofia, per una filosofia che non sia solo “ego cogito”, che non sia legata esclusivamente alla dimensione poetica in cui la coscienza non sia soltanto quella dell’antichità classica, ovverosia il fondamento della razionalità, la dimensione noetica dell’anima.

    La coscienza è abisso, è infinito. Non si può ridurre, dice Agostino, l’interiorità a sapere, una dimensione teoretica universale, idealistica e razionalistica, uguale per tutti; c’è ben altro. Con Agostino abbiamo quindi la scoperta dell’interiorità.

    Come “padre dell’interiorità”, si può dire che c’è un agostinismo letterario? E in che senso?

    Senza dubbio, ma attenzione perché ci sono almeno due “agostinismi”.

    Penso a quella formidabile figura che è stato Petrarca, forse il primo intellettuale moderno. Petrarca è un artista che svolge proprio il tema agostiniano dell’interiorità, ma lo fa verso una direzione pericolosa, quella dell’homo duplex, dell’uomo duplice, mentre quest’esito non lo troviamo in Agostino, che supera la “duplicità” intesa come “dubbiosità”. In Petrarca invece, primo moderno, la dubbiosità rimane un esito insuperabile; il grande poeta segue Agostino nel cammino dell’interiorità, ma si ferma un attimo prima, non arriva all’illuminazione della fede che è l’unica dimensione in cui si dà un nome al “cercato”, in cui il “cercato” rivela il suo nome: “Io sono colui che è”, il Dio biblico e cristiano. In Petrarca di fatto ancora convivono Agostino e Seneca (che Agostino cordialmente detestava): è veramente il primo intellettuale moderno e dopo di lui molti altri faranno come lui, da Montaigne a Kierkegaard, ma anche lo stesso Heidegger. L’inizio di Essere e tempo è tutto agostiniano, ma poi Heidegger rimane anche lui all’interno della filosofia senza superare il cammino della ricerca e tuffarsi (o essere catturato) nella fede. Egli resta il filosofo che identifica la filosofia in quell’infinita “inquisitio”, che sempre si rinnova, senza posa.

    Bisogna quindi distinguere due agostinismi: quello proprio di Agostino e del pensiero cristiano, che sfocia nella beatitudine della fede, e quello di tanta filosofia successiva ad Agostino e che da Agostino non può prescindere, ma che quasi finisce per ribellarsi al suo modello o a quelle conclusioni religiose. Tutto ciò porta ad una “inquietudo sine beatitudine”.

    Parlo di tanta filosofia, quasi tutta quella occidentale, ma lo stesso si può dire per tanta letteratura: laddove non puoi concludere la ricerca ti resta la poesia, la dimensione lirica.

    In questo senso si può parlare certamente di un “agostinismo letterario”, di una forte influenza agostiniana sulla letteratura.

    (https://www.railibro.rai.it/interviste.asp?id=227)

     


    Scavando nell’anima si trova Dio

    Se i greci quando si riferivano all’uomo lo facevano pensando all’uomo astratto e generale, Agostino va oltre poiché si riferisce alla singola persona. Egli elabora infatti il concetto di persona sulla base del ruolo della volontà.

    Agostino vede nei modi di essere della persona il riflesso di Dio Trinità: conoscere e amare. Siamo quindi lontano dall’intellettualismo greco, che alla volontà aveva lasciato se non scarsissimo spazio.  Per Agostino, è il confrontarsi della verità umana con la verità divina che porta alla scoperta dell’io come persona: “nell’anima si rispecchia Dio”. Anima e Dio sono i pilastri della filosofia agostiniana. Non indagando nel mondo, ma sdcavando nell'anima si trova Dio.


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