Dentro di te
Percorsi musicali nell'interiorità
Dentro di te, fuori dal mondo
Marco Masini (Il mio cammino, 2003)
Per un commento musicale (o meglio per un ingresso nella riflessione attraverso il modo in cui i cantanti interpretano il sentire soprattutto dei giovani, e che i giovani sentono particolarmente vivo e vero), cominciamo da una canzone di Masini, che già proprio dal titolo esprime una delle modalità in cui l’interiorità può essere percepita, desiderata, vissuta. Poco importa che il “dentro di te” si riferisca alla persona amata… di riflesso è anche simbolo del soggetto, di colui che canta tali sentimenti.
In tale canzone in effetti si esprime per certi versi la “ragione” dell’andare verso di sé (ragioni socioeconomiche, le difficoltà della vita, la mancanza di lavoro, l’astrattezza delle relazioni, il caos confuso dei rapporti, luccichii fantasmagorici che annebbiamo la vista e suoni laceranti che assordano…): dunque, fuori dal mondo.
Ma verso dove? Dentro, “ovviamente”, nel profondo. E “dentro di te” più che dentro di me. Dentro ci sta il sole, non la notte; dentro ci stanno sentimenti, amore, ci stanno ragioni vere di vivere…
E il mondo gira intorno a femmine e motori
un'Indianapoli del look
bisogna vivere con l'anima di fuori
in questo grande elettro-shock...invece
dentro di te
c'è un altro mondo
dentro di te
nel tuo profondo...c'è un sole
dentro di te
che sta nascendo amore
dentro di te
ancora vivo mentre sto morendo...
Il negozio di antiquariato
Niccolò Fabi (La cura del tempo, 2003)
Essere giovani vuol dire essere in ricerca, con lo sguardo dello stupore piuttosto che del disincanto. E’ una ricerca attenta e scrupolosa, vissuta nella consapevolezza che “ogni acquisto ha il suo luogo giusto e non tutte le strade sono un percorso”. Lungo il cammino occorre avere il coraggio di avventurarsi negli “anfratti”, nelle periferie dell’esistenza, perché spesso si nascondono le cose più preziose, ma anche avere la capacità di guardare con meraviglia ciò che è vicino e che si dà per scontato. Il vero tesoro però non è una conquista transitoria; esso ci chiede di fare un salto in quella realtà “invisibile agli occhi”, dove si nasconde ciò che è essenziale e necessario alla crescita umana. L’ascolto dei bisogni veri e la capacità di arginare il più possibile i condizionamenti esterni sarà il primo passo per orientare la ricerca in modo autentico e direzionare i passi nella giusta direzione.
È soltanto l’amore, la cura della relazione che permette di avere premura e attenzione nella ricerca, senza impazienza e indifferenza: “le più lunghe passeggiate le più bianche nevicate e le parole che ti scrivo non so dove l'ho comprate di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta». Cercare ciò che si desidera rende pregiata l’attesa. L’attesa non è un nemico da annientare, ma valore aggiunto che ci accompagna e ci fa assaporare le conquiste autentiche: “l’argento sai si beve, ma l’oro si aspetta”.
Cerca nel cuore
Luciano Ligabue (A che ora è la fine del mondo?, 1994)
«Parlami, cerca, dimmelo, fatti sentire, toccami, stringi, stringi di più.
Io sono qui qui qui.
Parlami, parlami, senza dire niente
parlami dai, cerca nel cuore».
Imperativi che dicono una mancanza assoluta scavata dentro, un bisogno di relazione, riconoscimento, di toccare e essere toccati perché il corpo è la mediazione dell’incontro.
Vengono in mente le scene drammatiche del film musicale Tommy, in cui ci si apre alla vita e al mondo sono quando i propri sensi sono toccati e guariti da qualcuno fuori di te.
Una canzone che può chiedere all’adolescente di indagare le parti della propria vita che hanno bisogno di essere guarite col tocco della relazione, dell’amore, della grazia; e da dove questo tocco guaritore può venire.
Non può non venire in mente il Vangelo e la figura di Gesù, il Taumaturgo.
E, volendo anche, dopo la risurrezione, Maria Maddalena (e anche Tommaso) che vuole toccare Gesù perché fede e speranza si riaccendano e diano ragioni per vivere.
Dunque, “dentro” c’è un bisogno assoluto di essere toccati e guariti.
La notte
Arisa (Amami, 2012)
«Ma quando arriva la notte, la notte
e resto sola con me».
Prendiamo solo questi due versi per indicare, nella riflessione di gruppo, il “tempo” come occasione in cui attivare un percorso di cammino dentro di sé, e la condizione esistenziale in cui ogni percorso è possibile.
Il tempo qui è indicato come “la notte”: tempo di silenzio e dunque propizio perché tacciano le voci esteriori e ci si accinga a un cammino di scoperta o riscoperta: dentro.
Ovviamente non è la notte in quanto notte, bensì in quanto espressione di una veglia silenziosa, di un ascolto delle voci nascoste, di un “distacco” dalle cose e dagli altri, dove la penombra o il buio stesso fanno perdere i contorni dell’identità delle cose e degli altri, e un pochino anche di se stessi. Si va dunque alla ricerca, alla scoperta di una identità ancora indefinita non ancora nata definitivamente… e ci si scopre finiti, inquieti, timorosi, lacerati… Ecco cosa si trova dentro: miseria e grandezza, Dio e io, finito e assoluto… proprio dentro il “cuore” intenso in senso ovviamente biblico.
E la solitudine, l’altra faccia esistenziale della notte.
Parliamo di solitudine, a volte anche di isolamento come condizione iniziale; ma solitudine è abitazione di altre presenze…
Invitiamo alla scoperta del queste presenze nella solitudine dell’io.
Momento silenzioso
Cesare Cremonini (Maggese, 2005)
«Oh! Ma credo che non conti molto una preghiera al cielo
quando senti che un secondo può passarti accanto come un treno.
E più ti rendi conto che sei solo un passeggero,
e più respiri a fondo cercando qualcosa,
quel maledetto qualcuno
che illumini il sentiero».
Ovviamente non intendiamo portare il giovane a una riflessione sulla morte (come è il leitmotiv della canzone, dove comunque la si pone come la condizione che ci “impone” scelte di verità e dunque di amore).
Bella l’immagine del “passeggero”, che sollecita a pensare alla responsabilità circa il tempo, le cose e persone che stanno a cuore (e che popolano la nostra vita interiore e la arricchiscono); la ricerca di qualcosa/qualcuno che illumini…
Insomma, una luce è necessaria, dentro il cuore e nella strada che percorriamo. Una luce che non troviamo dentro se non la facciamo entrare da fuori, mentre il respiro diventa affannoso.
Il cielo
Renato Zero (Zerofobia, 1977)
«Quante volte ho guardato al cielo
ma il mio destino è cieco e non lo sa
e non c'è pietà per chi non prega e si convincerà
che non è solo una macchia scura
il cielo
quante volte avrei preso il volo
ma le ali le ha bruciate già
la mia vanità e la presenza di chi è andato già
rubandomi la libertà
il cielo
quanti amori conquistano il cielo
perle d'oro nell'immensità
qualcuna cadrà
qualcuna invece il tempo vincerà
finché avrà abbastanza stelle il cielo».
Lasciamo all’ascolto della canzone e alle suggestioni che questa evocazione del cielo possono suscitare… Il cielo non può che essere lo sfondo e il destino di ogni “dentro”, perché questo non si riduca a un buco nero e sempre più povero e vuoto.
«Si deve anche essere capaci di vivere senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera» (Etty Hillesum).