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    Rallegrati, perché il Signore è con te. La Madre del Messia annunciato (cap. 2 di: Nato da donna. Maria, la Madre di Gesù)


    José Miguel Nuñez, NATO DA DONNA. Maria, la Madre di Gesù, Elledici 1998



    È trascorso molto tempo e Israele ha imparato a leggere la sua storia in chiave di speranza. Ai tempi di Gesù, il maestro della Galilea, tutti i suoi contemporanei vivono con lo sguardo puntato verso l'orizzonte della storia, pieni di speranza, di fronte al regno di Dio promesso dall'antichità e che deve diventare realtà da un momento all'altro. Si tratta del regno definitivo, il regno della pienezza annunciato dai profeti, che compirà la promessa fatta da Jahvè ai padri del popolo.
    In questa tensione, la speranza si tinge di un colorito diverso a seconda dei vari gruppi protagonisti della vita religiosa del paese. Mentre ifarisei si sforzano di essere scrupolosamente fedeli alla Legge di Mosè, gli zeloti trovano il giusto cammino nella difesa violenta della loro identità e nell'opzione per la lotta armata contro gli invasori romani. Mentre i sadducei si rassegnano alla dominazione romana, gli esseni si allontanano dal mondo per ritrovare la purezza delle loro tradizioni nella siccità del deserto.
    Tutti attendono e anelano al Messia di Dio, ma è soprattutto il popolo semplice quello che chiede con forza al Signore che faccia scendere dal cielo il Giusto annunciato. La terra dei poveri è secca perché non riceve da tempo l'acqua della giustizia. Schiacciati dal peso dell'abbandono e dalle leggi che li opprimono, i diseredati di Israele alimentano la speranza nel Messia liberatore, in colui che verrà e aprirà di nuovo il mar Rosso della povertà e dell'oppressione, mostrando un varco tra le acque tempestose della disperazione, per condurre il popolo verso la terra promessa, dove tutto sarà diverso.
    Prima di proseguire, è necessario soffermarsi un momento sull'idea del «resto fedele».

    IL SIGNORE È IL DIO FEDELE E MISERICORDIOSO

    Jahvè è il Dio dei poveri. Il Dio di Israele, colui che «ha visto le disgrazie del suo popolo» (Es 3,1-10), non rimane indifferente di fronte alla sofferenza, all'ingiustizia o al dolore degli uomini. Con stupore - come chi si vede sorpreso dall'inatteso e insperato - quelle tribù che si erano stabilite in Egitto alla ricerca del futuro e che non avevano trovato altro che schiavitù, videro emergere la libertà dalle acque del mar Rosso perché Jahvè - «Io sono colui che sarò» - aveva mostrato il pugno di ferro di fronte al potente faraone prendendo posizione, in modo deciso, per il più piccolo di tutti i popoli.
    Il debole contro il potente, il piccolo contro il grande, Davide contro Golia... sempre il paradosso! Questa è l'esperienza sconcertante dei discendenti di Abramo che - a colpi di storia - imparano un po' alla volta a conoscere il volto del loro Dio.

    «Jahvè, ricco di grazia e fedele» (Es 34,6)

    La fedeltà è, senza dubbio, uno degli attributi di Dio che meglio combaciano con l'esperienza del popolo dell'alleanza. Jahvè ha siglato un patto la cui unica ragione è quella di essere dono gratuito e la cui principale caratteristica è la stabilità. Basta scorrere le pagine dell'AT per rendersi conto che nel corso della storia la fedeltà di Dio appare forte e ferma, le sue promesse stabili e le sue parole solide. Così Dio «non ha smesso di essere buono e fedele» (Gn 24,27) verso Abramo, padre dei credenti; cantano i salmi che «la fedeltà del Signore si prolunga nei secoli. Hai fondato la terra e sta salda» (Sal 119,90); la voce profetica si leva energica per rendere evidente che, in mezzo alla desolazione, la fedeltà di Dio «sarà resa stabile come il trono del discendente di Davide» (Is 16,5). È come se, nonostante l'infedeltà e i cammini tortuosi seguiti da Israele, il popolo idolatra e dalle labbra impure che «ha offerto sacrifici a spiriti maligni che non sono Dio, a divinità sconosciute» (Dt 32,17), Dio si «ostinasse» a portare avanti il suo progetto rinnovando continuamente i vincoli col suo popolo per il quale ha, a volte, parole dure ma che ama con tenerezza, come esprime in modo poetico il libro di Osea nel dialogo tra Dio e il popolo - sposa infedele - in bocca al profeta: «Ti farò mia sposa, e io sarò giusto e fedele. Ti dimostrerò il mio amore e la mia tenerezza. Manterrò la mia promessa, così tu saprai che io sono il Signore» (Os 2,21-22).
    Il termine ebraico 'emet descrive in modo meraviglioso questo senso di stabile fedeltà di Jahvè. Allo stesso tempo, l'immagine della «roccia» viene spesso usata dagli autori sacri per esprimere la solidità delle sue promesse, perché Dio è «la Roccia che ci protegge, quel che egli fa è perfetto, e le sue decisioni sono giuste; è un Dio fedele e non inganna, sempre giusto e leale» (Dt 32,4). Jahvè è Dio e si fa conoscere impegnato nello sforzo di strappare il suo popolo alla situazione perduta in cui si trova per condurlo attraverso sentieri di maggiore pienezza verso la terra in cui abbondano latte e miele. Più volte Israele non ha udito la voce del suo Dio, si è dimenticato della sua promessa e ha preferito il delirio del proprio errore. Il castigo e la misericordia, l'ira imminente e il perdono, la speranza e il futuro della storia appaiono intrecciati nelle pagine profetiche. Presto l'idea del «resto fedele» mostrerà il nuovo Israele, servitore fedele, autentico depositarlo della promessa in cui Jahvè realizzerà definitivamente il suo progetto.

    Israele, il resto fedele

    Dio aveva promesso ad Abramo una «discendenza numerosa come le stelle del cielo» (Gn 15,5). Certo il tempo - categoria umana, come la libertà - contamina la storia di oblio e di miseria, ma in mezzo all'infedeltà e al castigo, alla desolazione e al deserto, alla perdizione e all'idolatria, un resto rimane fedele e sarà il popolo dei tempi messianici, tempi in cui Jahvè mostrerà tutto il suo potere nell'Unto che verrà secondo la sua promessa. Ci ricorda il profeta Michea che questo «resto», popolo purificato e fedele, è il nuovo Israele che diventerà «nazione potente» (Mic 4,7). Ai tempi difficili della deportazione a Babilonia, Geremia ed Ezechiele alimentarono la speranza dei giusti annunciando che il futuro è di e in Jahvè, per quelli che partecipano della sua santità e si appoggiano a Dio, ossia il resto fedele. Infatti è lo stesso Jahvè che afferma: «Radunerò io stesso quel che resta delle mie pecore da tutte le regioni dove le avevo disperse. Le farò ritornare ai loro pascoli, saranno feconde e aumenteranno di numero» (Ger 23,3). Si tratta di una prospettiva profetica che punta oltre i limiti degli eventi immediati e che si proietta verso l'orizzonte della storia, lì dove la comunità degli ultimi tempi sarà beneficiaria della salvezza.
    Dopo l'esilio, i deportati ritornano a Sion come vero e proprio resto santo e benché la restaurazione storica sia già in atto e annunci in modo figurato il definitivo avvento del regno di Dio, Israele dovrà ancora aspettare che si realizzino le promesse escatologiche. In quel tempo, l'idea del resto fedele diviene via via più chiara e il popolo di Israele si identifica negli scritti dell'ultimo Isaia come «i poveri del Signore» (Is 49,13) che camminano con cuore puro, fedeli all'alleanza col loro Dio.
    Sono proprio il contesto storico-salvifico e l'idea del resto fedele inteso come i «poveri del Signore» che attendono il compimento della profezia, gli elementi che ci possono aiutare a collocare meglio la figura di Maria di Nazaret e il compimento in lei di tutte le promesse fatte da Dio ai padri sin dall'antichità.

    MARIA, CREDENTE PIENA DI SPERANZA

    I dati della Scrittura sono come tasselli di un mosaico dal brillante colorito e dai minuziosi dettagli che si vanno incastonando progressivamente a mano a mano che la approfondiamo in base alla lettura credente che la Chiesa ha fatto dei testi nel corso dei secoli. Così, il profilo della figura di Maria acquista maggiore nitidezza se la osserviamo nel contesto della storia della salvezza che abbiamo appena descritto. Forse ora si comprenderà meglio il perché della nostra ampia introduzione sulle tradizioni dell'Antico Testamento. In effetti, Maria si comprende solo all'interno della tradizione del suo popolo, il popolo dell'alleanza, erede - anch'ella - delle promesse del Signore. Maria è una credente piena di speranza che attende pazientemente, come tanti altri, la salvezza di Israele, il Compimento definitivo delle antiche profezie. Anche lei è «resto fedele», la Figlia di Sion.

    La Figlia di Sion

    Sion fa riferimento alla città di Davide, a Gerusalemme; l'espressione «figlia di Sion» è una personificazione femminile che allude al popolo eletto, al resto fedele, al popolo degli ultimi tempi, alla speranza del compimento della promessa di Dio a Israele, al futuro del Signore... Ce lo ricorda Michea: «Alla fine il monte dove sorge il tempio del Signore sarà il più alto e dominerà i colli (...). Gli insegnamenti del Signore vengono da Gerusalemme, da Sion egli parla al suo popolo» (Mic 4,1-2). Il profeta parla, inoltre, di un parto doloroso della Figlia di Sion (Mic 4,10) che darà alla luce un popolo nuovo, liberato, portatore di una nuova speranza. In tale contesto, sottolineando la sua umile origine - nascerà nella città di Betlemme - ci viene annunciata la venuta di un re messianico imparentato con la dinastia di Davide che sarà pastore, che riunirà e darà la pace al popolo: «Betlemme Efrata, tu sei una delle più piccole città della regione di Giuda. Ma da te uscirà colui che deve guidare il popolo di Israele a nome mio. Le sue origini risalgono ai tempi antichi. Il Signore abbandonerà il suo popolo fino a quando colei che deve partorire non avrà un figlio. E allora chi sarà sopravvissuto all'esilio ritornerà dal suo popolo, Israele» (Mic 5,1-2). La profezia si compie, come ben sappiamo, in Mt 2,6.
    Un'attenta esegesi dei primi capitoli della catechesi di Luca ci aiuta a vedere come l'evangelista identifica la figura della Vergine Maria nella Figlia di Sion delle profezie di Michea. Un noto mariologo, R. Laurentin, ha evidenziato nei suoi attenti studi che i testi profetici che si riferiscono alla Figlia di Sion (Mic 4,9-10; Sof 3,14-17; Gl 2,21-27; Zc 9,9-10) alludono a una personificazione di Israele e hanno come oggetto l'annuncio della gioia messianica. L'espressione più caratteristica di questo annuncio è: «Rallegrati! Non avere paura!». Il messaggio inoltre è sempre lo stesso: il Signore dimorerà a Sion come re e salvatore. Tutti questi elementi li incontriamo nella struttura teologico-letteraria dell'annunciazione in base al racconto di Lc 1,28-33. In questo caso, chiaramente, la destinataria del messaggio è Maria, e colui che dimorerà come re e salvatore è Gesù, il Figlio dell'Altissimo.
    Nella lettura cristologica delle tradizioni dell'Antico Testamento si stabilisce, così, una specie di parallelismo: esso indica che Sion, Israele personificato, il resto santo, diventa attuale nella persona di Maria che dà l'assenso al compimento della promessa a nome di tutto il popolo. Così come il Signore risiedeva a Sion, il monte santo, il suo tempio sarà ora il grembo di Maria per mezzo della concezione verginale. In Maria, la povera di Jahvè, Figlia di Sion, si concentrano tutte le aspettative di Israele e si realizzano le promesse che annunciarono l'avvento di Dio nella storia degli uomini.

    Dio in mezzo al suo popolo

    Sappiamo bene che Luca, nel cosiddetto «vangelo dell'infanzia», costruisce una struttura teologico-letteraria molto accurata. L'evangelista procede per dittici, mettendo in parallelo i racconti relativi a Giovanni Battista e a Gesù: le due annunciazioni (1,8-22 e 1,26-38); le due nascite (1,57-58 e 2,6-14); le due circoncisioni (1,59-66 e 2,21). Luca ci fa capire che con Giovanni Battista si lasciano alle spalle i tempi antichi e che con Gesù - il Figlio dell'Altissimo - si inaugurano i tempi nuovi, i tempi messianici.
    Nel suo racconto dell'infanzia di Gesù, Luca fa continue allusioni alla Scrittura i cui testi si attualizzano nella persona e nell'evento del bambino che nasce. Lo stile letterario usato dall'autore per svolgere la sua catechesi appartiene al genere chiamato midrash, vale a dire quello in cui si tenta di approfondire i testi estraendo da essi il loro senso profondo e cercando di darne un'applicazione pratica. Ma, a differenza della letteratura giudaica dell'epoca, il punto di riferimento per l'interpretazione dei vangeli sarà Gesù Cristo, per cui gli stessi faranno riferimento alle Scritture in continuo rapporto e costante riferimento alla sua persona. Ebbene, il racconto dell'annunciazione va letto in questa chiave esegetica: un'interpretazione cristologica del compimento messianico.
    Il succitato R. Laurentin nella sua riflessione sottolinea qualche elemento in più di somiglianza fra i testi profetici, in questo caso il testo di Sofonia, e il racconto dell'annunciazione di Luca. Analizzando il testo, egli giunge alla conclusione che le parole dell'angelo «avrai un figlio» (Lc 1,31) concordano con quelle di Sofonia «Jahvè è con te» (Sof 3,15). Il contesto della frase profetica è anche l'invito rivolto a Sion a rallegrarsi per la salvezza di Dio (Sof 3,14-15) e, malgrado dal punto di vista letterario sia difficile provare la spiegazione di Laurentin, non si può negare che l'ipotesi appaia abbastanza verosimile.
    Di sicuro il saluto dell'angelo non è un semplice saluto; non può essere tradotto semplicemente con «Ave» - come si fa abitualmente -, anzi Maria viene invitata a gioire: «Rallegrati!». Come già si è detto, si tratta piuttosto di un invito alla gioia messianica cui gli antichi profeti invitarono la Figlia di Sion. Il motivo è lo stesso, vale a dire, Dio viene a vivere in mezzo agli uomini: «Rallegrati, perché il Signore è con te!». Questa è la buona notizia: nel seno di Maria, la nuova Figlia di Sion, Dio vuole visitare il suo popolo. Così la tradizione cristiana lo ha sempre inteso e celebrato, come testimoniano i versi di uno degli inni della liturgia bizantina più belli che si conoscono e che risale ai secoli VI-VII:

    «Un angelo di prim'ordine è stato inviato dal cielo per dire alla Theotékos: Rallegrati! E pieno di ammirazione nel vedere che vi incarnavate, Signore, al suono di questa parola immateriale, l'angelo stava di fronte a lei ed esclamava:
    Rallegrati, tu, per cui risplenderà la gioia!
    Rallegrati, tu, per cui cesserà la maledizione!
    Rallegrati, tu, per cui Adamo si solleva dalla sua caduta! Rallegrati, tu, che asciughi le lacrime di Eva!
    Rallegrati, cima inaccessibile al pensiero umano! Rallegrati, abisso ancora impenetrabile persino agli occhi degli angeli!
    Rallegrati, perché sei il trono del grande re!
    Rallegrati, perché porti in seno colui che sostiene tutte le cose!
    Rallegrati, stella messaggera del Sole!
    Rallegrati, seno della divina incarnazione!
    Rallegrati, tu, per cui si rinnova la creazione!
    Rallegrati, tu, per cui e in cui viene adorato il Creatore!
    Rallegrati, Sposa non sposata! Vergine!

    Trasformata dalla grazia

    Nell'ambito di questo invito alla gioia per la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Maria, una giovane di Nazaret, si sente chiamare dall'angelo con un'espressione insolita: kecharitoméne, un termine greco che nella tradizione cristiana è stato comunemente tradotto con «piena di grazia» o «preferita». Recenti studi filologici ci hanno dimostrato che il suo significato è molto più ricco. Infatti, il vocabolo racchiude una sfumatura relativa all'effetto che produce nelle persone il dono della grazia; per cui a Maria non solo è stata concessa una grazia, ma essa stessa è stata «trasformata» dalla grazia di Dio. La stessa espressione viene usata in modo simile da Paolo nella sua lettera agli Efesini: «A Dio dunque sia lode, per il dono meraviglioso che egli ci ha fatto per mezzo di Gesù suo amatissimo Figlio» (Ef 1,6). In questo caso i destinatari della grazia siamo tutti noi cristiani, cioè tutta la comunità dei credenti è stata trasformata dalla grazia di Dio in Cristo Gesù. Alla luce dei due testi non è difficile comprendere che Maria, la prima credente, anticipa l'orizzonte a cui siamo destinati tutti noi battezzati.
    E ancora una domanda: trasformata per cosa? L'espressione kecharitoméne viene subito spiegata nell'annuncio dell'angelo. «Tu hai trovato grazia di fronte a Dio» (Lc 1,30) e sarai la Madre del Messia. Ecco la missione: Maria di Nazaret è stata «trasformata dalla grazia» per essere madre del Salvatore annunciato sin dall'antichità.
    Ma come accadrà tutto ciò?

    «Lo Spirito Santo verrà su di te...»

    Non si può nascondere la difficoltà esegetica di questo versetto (Lc 1,35) nel testo dell'annunciazione, come dimostrano le numerose interpretazioni che di esso sono state date nel corso di tutta la tradizione cristiana. In esso si fa riferimento all'azione dello Spirito di Dio su Maria: soltanto perché la Vergine di Nazaret è luogo privilegiato della presenza dello Spirito può nascere nel mondo il Figlio di Dio.
    È opportuno sottolineare, inoltre, che Luca da parte sua non fa altro che mettere in evidenza la confessione di fede della Chiesa primitiva sul concepimento del Figlio di Dio: sarà un concepimento verginale, per opera dello Spirito Santo. Benché le riflessioni dei vari studi della Scrittura non siano concordi su questo punto, noi, sulla base di una unanime tradizione ecclesiale, possiamo segnalare che non mancano indizi di storicità in questi racconti e che non si deve interpretare il concepimento verginale unicamente come un'immagine, un ricorso letterario o una costruzione teologica.
    Indubbiamente non è casuale il legame tra il versetto del Vangelo di Luca che abbiamo commentato e il testo degli Atti degli Apostoli in cui si legge: «... Riceverete su di voi la forza dello Spirito Santo che sta per scendere. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e in tutto il mondo» (At 1,8). In questa occasione, la destinataria dell'azione dello Spirito è la Chiesa, la comunità dei credenti che illuminerà per il mondo - nell'annuncio fino ai confini della terra - il Signore Gesù. Maria, prototipo dei credenti, porterà in seno e darà alla luce, per la forza dello Spirito, il Figlio dell'Altissimo, il Messia atteso, il Salvatore.
    D'altra parte, Maria rappresenta in questo testo la nuova «Arca dell'Alleanza». A lei l'angelo annuncia: «L'Onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà» (Lc 1,35) con chiara allusione alla «nube», simbolo di Dio, che copriva la tenda dell'Alleanza: «... perché su di essa c'era la nube e la presenza gloriosa del Signore riempiva l'Abitazione» (Es 40,35). Il testo del libro dell'esodo ci segnala che l'arca dell'Alleanza era lo stesso luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Maria è, a partire dall'annunciazione dell'angelo, la nuova «arca dell'Alleanza» che recherà in seno il Figlio di Dio, Dio-connoi: «Colui che è la Parola è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi uomini» (Gv 1,14).

    PUOI CONTARE SU DI ME

    Non cessa di essere sconcertante. Ancora una volta un paradosso. Dio ha eletto ciò che è piccolo nel mondo per confondere i grandi. Maria, una ragazza di Nazaret, è l'amata da Dio, eletta come interlocutrice per portare avanti il suo progetto di liberazione. Nel dialogo accade l'inaspettato: l'incontro tra l'amore e il potere dell'Altissimo e la libertà dell'uomo che viene interpellato. Il Signore Dio, con tutto il suo potere, non ha voluto portare avanti la sua proposta di salvezza senza il consenso dell'uomo, libero fino all'estremo della sua risposta. Dio non si impone, anzi ha bisogno della risposta e dell'adesione incondizionata di Maria che accoglie la chiamata e spalanca la porta della sua storia - e della storia degli uomini - all'azione liberatrice di Dio. Maria risponde «sia fatto» senza condizioni, e il suo «sì» è l'abbandono credente e gioioso di colui che in Dio ha riposto ogni sua speranza.

    Un «sì» credente e gioioso

    Ma cosa significa credere? Il verbo credere - nella sua radice etimologica latina - significa «dare il cuore». La fede è, fondamentalmente, «dare il cuore», vale a dire rispondere vitalmente all'iniziativa gratuita di Dio che si fa storia, prende il passo dell'uomo e percorre con lui sentieri di pienezza. Credere è incontro con il Dio della vita che si propone all'uomo come progetto di liberazione e fa della nostra storia una realtà riuscita. Se è così - e ne siamo convinti - capiremo meglio cosa si vuol dire quando si afferma che Maria vive di fede. Infatti, Maria di Nazaret è la donna credente che si apre piena di speranza al mistero ed esclama il suo «fiat» nell'incertezza probabilmente di colui che non arriva a vedere fino a dove porta tutto questo, ma nella certezza, luminosa e ferma, che la promessa di Dio è incondizionata. Lo stupore iniziale si trasforma in ammirazione e il timore lascia il posto al gioioso desiderio di collaborare con Dio. Non si tratta solo di accettare passivamente o di acconsentire in modo rassegnato alla «imposizione divina». Si tratta, al contrario, di un «sì» che parte dalla libertà, di un «sì» responsabile e coerente, di un «sì» che trasforma la vita e apre dimensioni nuove nella propria esistenza.

    Il «sì» dei credenti di tutti i tempi

    Dio e l'uomo, protagonisti del mistero: «Dio, quando fu giunto il tempo stabilito, mandò suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Mai Dio è stato così vicino all'uomo e mai l'uomo si è sentito più vicino a Dio come nell'incarnazione. Maria, la donna, contempla con sguardo stupito la grandezza di un Dio che vuole contare sul suo piccolo «sì». Vi è potere più grande del voler dipendere dalla libertà dell'altro? Dio vuole contare sul «fiat» di Maria, una di noi, per portare avanti il suo progetto perché il suo potere è la libertà dell'uomo. Nel «sì» della giovane di Nazaret sono contenuti inoltre tutti i «sì» di tutti gli uomini di tutti i tempi. Nel «fiat» di Maria si concentrano tutte le risposte stupite dell'uomo che si è aperto alla «provocazione» del Mistero e ha fatto aderire la sua vita - libero e fiducioso - all'iniziativa e al volere di Dio.
    La piccola storia della salvezza in Maria è, dunque, l'anticipazione di ogni storia dell'incontro di un Dio protagonista con l'uomo al quale domanda, senza violenza, il suo «fiat» e al quale egli risponde, responsabile e pieno di speranza, «eccomi». Dio, come allora con Maria, continua a fare grandi cose in mezzo al suo popolo e porta avanti il suo progetto di salvezza che poggia sulla libertà dell'uomo.

    «Dio ha fatto in me grandi cose»

    È curioso che Luca, nella struttura teologico-letteraria del suo Vangelo, faccia notare che Maria, oggetto della predilezione di Dio, destinataria della Parola, si mette «immediatamente» al servizio della cugina Elisabetta quando la giovane di Nazaret va a visitarla. Il testo (Lc 1,39-45) si colloca tra le due annunciazioni del capitolo 1 e cerca di mostrare un influsso sull'incontro di colui che sarà profeta dell'Altissimo, il precursore, col suo Signore. Quasi senza pronunciare parola, nell'incontro tra le due madri, il bambino che Elisabetta porta in grembo salta di gioia e l'espressione della madre pone l'episodio nella chiave giusta. È la confessione di fede della comunità dei tempi nuovi: «Dio ti ha benedetta più di tutte le altre donne, e benedetto è il bambino che avrai! Perché mai la madre del mio Signore viene a farmi visita?» (Lc 1,42-43). Luca non esita ad applicare a Maria, colei che ha creduto, la beatitudine evangelica, inizio dell'espressione di fede e di ammirazione che la comunità cristiana professerà alla Madre di Gesù per tutte le generazioni.
    Esattamente allo stesso modo Luca porrà sulle labbra di Maria un cantico che ricorda i grandi avvenimenti della storia della salvezza. Il Magnificat (Lc 1,46-50) mostra la risposta di Maria a Elisabetta raccontando quanto il potere dell'Altissimo stia operando in lei e - attraverso lei - nella storia degli uomini. Il contesto è chiaramente storico-salvifico e colloca Maria in un luogo privilegiato all'interno del progetto di liberazione di Dio.
    Secondo l'esegesi attuale, non sembra possibile attribuire questi versetti alla stessa Maria. Il cantico - che riecheggia fortemente quello di Anna, la madre di Samuele (1 Sam 2,110) - probabilmente ha avuto un'origine indipendente dal racconto evangelico e solo più tardi si è aggiunto alla catechesi di Luca. Ciò che è importante è riconoscere nelle parole di Maria l'espressione della fede della stessa comunità cristiana alle sue origini nei confronti della Madre del Signore.
    In questo senso, tutto il contesto ci invita a scoprire in colui che sta per nascere il compimento di tutte le profezie messianiche e in Maria il paradosso di Dio che «ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi» (Lc 1,52) aprendo, come nei tempi antichi, un varco tra le acque in tempesta. Così appare evidente il potere di Dio, che si spoglia del suo potere e indica il cammino sconcertante del Messia: «rinunziò a tutto: diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e visse conosciuto come uno di loro (...) fu obbediente fino alla morte, alla morte di croce» (Fil 2,7-8).
    E tu, Maria di Nazaret, povera di Dio, sarai chiamata beata da tutte le generazioni perché Dio, nella tua libertà, ha fatto grandi cose.


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    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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